Vorrei prestare un' attenzione particolare all' "espressivo" 2 Crocifisso ligneo posto sopra l'altare nella Cappella delle Reliquie o del Crocifisso, sul lato destro della navata della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Progettata dal Fuga, fu l'unico sacello aggiunto a quelle già esistenti nel corso dei restauri Settecenteschi; sull'altare maggiore, l'architetto pose il Crocifisso ligneo, ricoperto da una vernice scura simulante il bronzo, che in origine era su un altare all'ingresso della Basilica 3.
Per quanto attiene alla sua analisi stilistica ed iconografica si dispone ora di alcune riflessioni generali, dovute alla ricerca più recente 4, che pur non possedendo un valore risolutivo consentono di analizzare più attentamente la morfologia di opere con i medesimi elementi tipologici, fornendo allo stesso tempo indicazioni utili a migliorarne la comprensione.
Il termine cronologico proposto finora per la datazione di questo manufatto - prima metà del XV secolo 5 - è riconfermabile, a mio avviso, a seguito di palmari evidenze stilistiche: l'opera presenta una notevole qualità scultorea imponendosi per la giustezza delle proporzioni e la leggera torsione che la anima. È addossato ad una croce piatta di porfido rosso - appartenente al rifacimento settecentesco - la testa è leggermente reclinata su un lato articolandosi con il corpo spostato in senso opposto. Il perizoma con ricami bruni, ricade con ricche pieghe e tornisce il corpo lasciando maggiormente scoperta la gamba destra, con il ginocchio più sporgente. La gabbia delle costole è ancora molto sottolineata pur nella robustezza del torace, il volto dolorosamente sereno si abbandona sul petto, incorniciato dalle ciocche inanellate dei lunghi capelli.
Sul corpo sono palesi i segni del martirio: la figura tesa, con evidente tensione lungo gli arti, è ricoperta da copiose piaghe con grossi grumi di sangue che lambiscono i piedi, le mani e il torace. L'aspetto realistico è completato dalla corona di spine e dalla pelle che si ritrae sotto la pressione dei chiodi scoprendo tendini e muscoli.
La necessità di rappresentare vividamente i segni dei patimenti del Cristo richiama direttamente il bisogno di inverare una più accesa sensibilità per l'umanità del Salvatore. L'aggancio alla iconografia del "Crocifisso doloroso" che ne deriva, 6
ha qui una valenza abbastanza pregnante, tale da sostenere il tangibile sentimentalismo - riecheggiato seppur in maniera molto particolare, con minor enfasi e smorzato vigore - rispetto a quello originario duecentesco, emanato dalla religiosità propagata in Italia dagli ordini mendicanti, in special modo dai francescani.
Modi toccati da questa trepida partecipazione sentimentale si ritrovano in altri esemplari, costituenti un folto seguito di manufatti pregevoli per qualità ed esecuzione, ma tali da generalizzare la specifica iconografia, adombrata ancora ai primi del Cinquecento 7. La comparazione stilistica con il Crocifisso della Cappella del Crocifisso in Santa Maria sopra Minerva a Roma, e con i prototipi di Rieti - chiesa di Sant'Antonio del Monte e del Museo Civico - dimostra verosimilmente la dipendenza mentale nei confronti di quella consuetudine artistica.
La patina bronzea del crocifisso di Santa Maria Maggiore provoca un camuffamento dell'originaria superficie lignea - ribadendo la netta differenza del giudizio di valore fra l'opera di marmo o di bronzo, che occupa un posto di maggiore considerazione artistica, e quella intagliata nel legno - ma fortunatamente non nasconde i colori con cui sono rese le ferite, secondo quell'uso spregiudicato, ancora di marca medievale, di utilizzare tutti i materiali nella mimesi del reale. La policromia svolge, ai fini della definizione del risultato finale, un ruolo paritario rispetto all'intaglio ligneo. La scultura dipinta è il prodotto della calibrata collaborazione fra maestro di legname e pittore: al primo spetta non solo l'intaglio ma anche l'operazione più delicata e finale di stesura del gesso, il cui spessore non deve rischiare di appannare il modellato, la cui superficie ben rasata e carazzevole sarà poi coperta con oro e colori dal pittore 8.
In questo caso anche il perizoma è colorato, di tinta tenue, e distinto dal dettaglio di una consistente pieghettatura che scende lungo i fianchi, caratterizzata da una fitta decorazione a strisce brune trasversali e continua sui bordi dell'intero manto.
Questo è un indumento sacro 9, una foggia di fatto della massima essenzialità, che nella cultura cristiana è esclusivamente rapportabile a Gesù crocifisso e realizzata in stoffe di appanaggio aulico che denotano l'importanza attribuita alla veste del Cristo. Si tratta di una formula decorativa assai ricorrente nell'arte figurativa italiana a partire dal XIV secolo e che la utilizza per l'eleganza propria dei caratteri, semplificati e tradotti in ideogrammi privi di significato. Il motivo calligrafico di matrice islamica ricorre dipinto sui veli delle Madonne, sulle vesti dei Santi e nei ricchi dossali che fanno da sfondo alle narrazioni sacre, sempre utilizzato come elemento qualificante e selettivo del ruolo del personaggio. La scelta di vestire Cristo al sommo del martirio, con i panni del potere assume significato celebrativo della regalità della sofferenza del figlio di Dio, offerta in redenzione degli uomini: annientato nel corpo dalla morte, Cristo è connotato con le valenze caratteristiche del vincitore 10.
Se alcuni elementi adombrano talune incongruenze, richiamando precedenti esiti, un moderato naturalismo del corpo e una organica concezione strutturale, depongono a favore di una cronologia ben addentro al XV secolo.
L'apparente contraddizione si spiega ipotizzando la responsabilità di un artista della prima metà del '400, ancora legato alla cultura gotica ma non insensibile alle novità rinascimentali. Sulla strada di un'analisi psicologica del soggetto sacro, solo Donatello aggiungerà elementi di ulteriore innovazione, introducendo contenuti di vibrato e intimo tormento nelle sue figure che paiono meditare sul proprio destino di sacrificio, tale da rinnovare completamente l'apporto espressivo e fisiognomico, come dimostrerà nel Crocifisso ligneo di Santa Croce a Firenze.
Note
1
Una sommaria indagine nell'Archivio della Basilica e l'incontro con Mons. Venier non hanno rivelato sostanziali novità rispetto a quanto riportato dalle fonti divulgative.
2
P. PARSI, Chiese Romane, Roma, 1968, pp. 144/145.
3
Roma Sacra, 2000, nº 20, pp. 42/43; J. PUSTKA, Basilica di Santa Maria Maggiore, Roma, 1997, p. 32; p. 118.
4
Sacre passioni. Scultura a Pisa dal XII al XV secolo, 2000, pp. 62, 228.
5
Roma Sacra, op. cit., p. 42
6
M. TOMASI, Il Crocifisso di San Giorgio ai Tedeschi e la diffusione del "Crocifisso doloroso", in Sacre Passioni, op. cit., pp. 57/71.
7
F. N. Arnoldi, La Scultura, in Aspetti dell'arte del Quattrocento a Rieti, Roma, 1981, p. 87.
8
A. BAGNOLI, Scultura dipinta. Maestri di legname e pittori a Siena (1250-1450), Firenze, 1987, p. 12.
9
Il perizoma nasce in ambito egiziano, come indumento del faraone e migra successivamente nella cultura bizantino- medievale.
10
M. BRUNORI, B. NICCOLI, "ad vestiendum imaginem". I costumi degli attori. Le vesti scolpite e le stoffe dipinte delle statue, in Sacre Passioni, op. cit., pp. 247/250.
Le fotografie sono state eseguite da Ada Leonarda Frittoli, che mi ha segnalato anche il Crocifisso.
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