Nei giorni della Vernice della cinquantunesima edizione della Biennale di Venezia, gli "addetti ai lavori" (critici, giornalisti, collezionisti, galleristi ...) che erano usciti saturi e sconfortati dall'edizione precedente, hanno subito tirato un sospiro di sollievo, dato che a livello strutturale (ancor prima di un discorso espositivo e artistico) la nuova edizione concede una maggiore fruibilità delle opere e degli spazi e vede scelte più sagge e una più efficace organizzazione.
Questo preludio tecnico di egocentrismo da fruizione (ho potuto camminare nei padiglioni e fruire le opere senza subire l'"effetto-mercato" di due anni fa) è dunque la prima introduzione ad una Biennale vivibile, con pochi e selezionati artisti rispetto ai 500 presentati nel 2003 che avevano snervato anche i più appassionati, e con più spazio dedicato ad un'arte «colorata, divertente, femminile, ed esplosiva».
Sicuramente il pubblico non si annoierà percorrendo l'Arsenale, dov'è allestita la mostra dal titolo di un libro di Hugo Pratt: Sempre più lontano curata da Rosa Martìnez, probabilmente una delle migliori presentate in questi spazi, e se tanto era stato detto sull'eventuale « pericolo di estremismo femminista » da parte della curatrice brandendo come esempio opere quali il lampadario di assorbenti interni di Joana Vasconcelos, o la presenza delle Guerrilla Girls, ciò che si vede e si prova calpestando il percorso espositivo è invece poesia romantica mista ad un'energia tutta femminile.
Un percorso in cui si incontrano o si ripercorrono gli stati d'animo della vita, dove vince un'umanità problematica pronta a rimettersi in gioco come Plastic Bags, l'opera di Pascale Marthine Tayou, tante bustine di plastica che sventolano legate ad una gabbia metallica come bandierine. Una nuvola in continuo movimento il cui significato più profondo è però inquietante e tragicamente attuale a dimostrazione che i suoi interventi nel paesaggio divengono opere sociali di critica e confronto nel rapporto continuo di creazione e distruzione tra l'uomo e la natura.
Ma c'è anche un'umanità intima come Breath di Nikos Navridis, dove il senso di precarietà è creato dalla proiezione sul pavimento di immagini che scorrono, tanto da far perdere orientamento e stabilità ai passanti o El espacio se mueve, despacio della colombiana Maria Teresa Hincapié Zuluaga dove le candele, la terra, la musica, le immagini trasmesse, la lenta danza, e una gabbia chiusa ... catturano l'animo delle persone.
La stessa Martìnez sottolinea come « i visitatori sono invitati a compiere un viaggio partendo dalla convinzione che l'arte contenga ancora una promessa di trasformazione. Collegando romanticismo e illuminismo, ideologia ed economia, entusiasmo e spossatezza ». Un viaggio dunque dentro se stessi e fuori, nel mondo e contro un certo tipo di mondo nella speranza della Martìnez e degli artisti che « questa mostra ci renda consapevoli di continuare a pensare, creare e resistere ».
Se dunque i 49 artisti dell'Arsenale riescono perfettamente nell'intenzione della Martinez di sviluppare un'armonia tra opera e visitatore e di creare un itinerario estetico e un cammino di comune continuità pur nella diversa specificità artistica, i 41 presentati al Padiglione Italia presso i Giardini rimangono, forse volutamente, chiusi in un labirinto strutturalmente museale, lasciando emergere frattura e individualità.
Sicuramente le intenzioni dell'altra spagnola Maria de Corral curatrice di questo spazio dal titolo L'esperienza dell'arte non sono di sviluppare un discorso totalizzante sull'arte, ma di creare « un luogo aperto allo scambio e alla nascita di esperienze, idee, riflessioni. Non è storicistica né lineare, al contrario, mostra la relazione esistente fra artisti di generazioni diverse, che discutono e lavorano a idee specifiche sull'arte e sulla vita attuale ».
Riesce sia nell'intenzione di non storicizzare l'arte contemporanea e di mostrarne le sue infinite sfaccettature, opere come "tagli" di un diamante: diversi, unici e preziosi, che in quella di offrire un Padiglione finalmente in relazione col suo contenuto e gli artisti « esprimono in modo reale, poetico e visionario i temi che inquietano e preoccupano la società attuale ».
Molte le perle esposte (ma se ne cercate una vera andate all'Arsenale dove Bruna Esposito espone La perla a piombo, l'opera più piccola mai esposta alla Biennale), con capisaldi storici della pittura come F. Bacon, P. Guston, A. Tapies, fino alle generazioni più giovani e di diversa origine e natura, da Dan Graham a Robin Rhode, che mostra la difficoltà di vivere in un mondo di interessi polarizzati, di violenza e incertezza politica. Fino a Tania Bruguera, che con le sue bustine da tè mostra una « metafora perfetta della deculturalizzazione: un prodotto e una tradizione dell'India, portato in Inghilterra e reinterpretato come fosse loro, poi reimpostato in India come abitudine inglese ».
Ma alla fine forse la mostra della de Corral fagocita il visitatore in un labirintico senso oppressivo, creando forse una confusione spazio-temporale, e vince l'individualismo contro quel dialogo e legame che la curatrice desiderava ottenere. La relazione fra artisti di generazioni diverse c'è, ma rimane ognuno chiuso nel proprio spazio, emergendo distinzione e non comunione.
A questo punto tutti si sono già chiesti e continueranno a chiedersi: « L'Italia dove è ? ».
A questa richiesta Davide Croff risponde prima un po' goffamente che si è adeguato all'impostazione dei suoi predecessori, poi stizzito sottolinea come la presenza italiana c'è nei pochi artisti sparsi tra Arsenale e Padiglione Italia, ma soprattutto nel Padiglione Venezia con i giovani artisti del Premio Arte Italiana 2004-2005 (Lara Favaretto, Loris Cecchini, Manfredi Bennati ...), infine nomina Ida Giannelli (guida del museo d'arte contemporanea al Castello di Rivoli di Torino) come curatore del Padiglione italiano 2007 in un non precisato luogo ed edificio. Ponendo alla Tesa delle Vergini la press room un quasi ironico striscione per avvertire che l'anno prossimo il padiglione ci sarà.
Il curatore della Biennale del 2007 sarà un americano (Robert Storr).
E non è per puro patriottismo che la Fondazione è stata sommersa da lettere di proteste per questa reiterata (e in questa edizione clamorosa) assenza italiana, ma perché stupisce come l'Italia, patria dell'arte classica e moderna, continui ad aver paura o vergogna a mostrare la propria contemporaneità, quasi a non sentirsi all'altezza e obbligandosi ad un confronto mondiale non necessario perché l'arte è arte nella sua più alta manifestazione prescindendo dai nazionalismi.
Così a dimostrazione della nostra storia dell'arte contemporanea Giorgio de Narchis ha stupito tutti distribuendo libri omaggi intitolati: Album di viaggio in quarant'anni di arte: 1960/2000, pubblicato da Alemanni. Siamo dunque giunti a dover dimostrare che esistiamo, oppure da buoni italiani ospiti temiamo di ridurre la Biennale a fiera italiana solo perché esponiamo le nostre opere ?
Credo che l'urgenza di un padiglione italiano sia prima di tutto un dovere nei confronti dei nostri bravi artisti che cercano giustamente spazi e dei tanti visitatori italiani e non, che visitando i padiglioni trovano new entry come il Marocco e l'Afghanistan, ma non l'Italia.
E così magari l'anno prossimo nel concentrarci sulla realizzazione e visita di un padiglione italiano potremo evitarci certe inutili brutture presentate quest'anno nei vari padiglioni mondiali, forse a mio avviso punto un po' dolente di questa Biennale.
Vincono ampliamente il confronto le esposizioni nelle sedi esterne.
Partecipano 73 paesi e lascio libero giudizio a chi percorrerà i giardini, e a parte scelte di sicuro successo come il Padiglione della Gran Bretagna che presenta Gilbert & Gorge di cui tanto è stato e sarà detto, e l'America orgogliosa di ri-presentare Ed Ruschi la cui arte è giustamente definita "impassibile", segnalerei il padiglione tedesco con Thomas Scheibitz e Tino Sehgal che costruisce situazioni e che plasmando artisticamente l'agire e il comunicare delle persone ha creato qui un intervento apparentemente buffo e divertente ma che rimane nella profondità di chi lo vive come unico e irripetibile momento artistico (i suoi lavori sono transitori, mai filmati o fotografati, vivono solo l'attimo in cui qualcuno vi si imbatte), e ancora il padiglione spagnolo con l'impegnato e critico Muntadas, senza tralasciare il padiglione della Repubblica Ceca e Slovacca dove ho visto i bambini gioire nel giocare con le palline metalliche sparse sul pavimento.
E su queste palline chiuderei con una forse volgare assonanza verso l'opera di Fabrizio Plessi Mare Verticale, di fronte ai giardini, barca o totem verticale in cui scorre l'infinita acqua di un artista mai stanco di ripetersi, e la scelta del Correr di allestire un'antologica su Lucian Freud che, con tutto rispetto verso le sue attuali quotazioni, fa da contraltare tutto maschile al supposto femminismo delle spagnole e che fa arroccare l'arte su una certa sicurezza dettata dal bisogno di mostrare una pittura "storica o passata" e dal desiderio di sicuro successo di pubblico.
Fino al 6 novembre buona visione a tutti !
FOTO
fig. 1 Joana Vasconcelos, A Noiva, 2001
Acciaio inossidabile, Lampadario di assorbenti interni
300 x 300 x 680 cm.
Collezione António Cachola, Campo Maior.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia.
fig. 2 Pascale Marthine Tayou, Buste di plastica, 2001
Dimensioni variabili
Installazione per Arte all'Arte 2001 - Voices over.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia.
Foto cortesia Associazione Arte Continua, San Gimignano, Italy.
Foto di Attilio Maranzano.
fig. 3 Bruna Esposito, La perla a piombo.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia e Veronica Caliendo.
fig. 4 Francis Bacon, Studio del corpo umano, 1991
Olio su tela 198 x 147,5 cm.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia.
The Estate of Francis Bacon.
Foto Cortesia di Faggionato Fine Art, London & Tony Shafrazi Gallery, New York © The Estate of Francis Bacon, by SIAE 2005.
fig. 5 Robin Rhode, Cavallo, 2002 (video still).
Animazione digitale, 53" secondi.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia.
Foto cortesia dell'artista e di Perry Rubenstein Gallery, New York.
fig. 6 Tania Bruguera, Giustizia poetica, 2002-2003
Veduta generale. Installazione video. Bustine di tè usate, tela, legno, 8 monitors LCD, materiale preso da cinegiornale, suono.
Metri 19 x 4 x 4.
Animazione digitale, 53" secondi.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia.
Tutte le immagini © di Tania Bruguera.
Foto di Michael Tropea, Donna Hurts.
Foto cortesia della Rhona Hoffman Gallery, Chicago e dell'artista.
fig. 7 Padiglione italiano 2006.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia e Veronica Caliendo.
fig. 8 Antoni Muntada, On Translation: El Aplauso, 1999.
Museum am Ostwall Dortmund, Germany On Translation: Das Museum, 2003.
Foto cortesia Ufficio Stampa Biennale di Venezia e Veronica Caliendo.
Foto di Sascha Dressler.
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