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Imago Sardiniae Imago Siciliae  
Calogera Di Miceli Muscarella
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Agosto 2006, n. 437
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Area Didattica

INTRODUZIONE

L'esistenza di un Paese, per i geografi e non, è legata indissolubilmente alla carta che la raffigura, grazie alla quale esso è identificato, localizzato e localizzabile.

Le carte geografiche hanno sempre avuto un grande fascino perché dalla loro apparizione hanno fornito il supporto ed il soccorso della rappresentazione grafica dei diversi territori. Su pergamena o su carta, imprecisa o scientificamente esatta, la pianta è un tentativo di rappresentazione dello spazio finito e infinito, come sintesi di conoscenze e immaginazioni. Disegnare un Paese, le sue montagne, i fiumi e i mari, misurare le distanze, raffigurare una città, tutti compiti della cartografia, sono esigenze, aspirazioni presenti fin dall'antichità, come testimonia la storia da Alessandro il Grande in poi.

La Cartografia corrisponde alla necessità umana di stabilire uno stretto rapporto con tutto lo spazio. Il fatto di poterlo abbracciare con un solo sguardo rende meno vago e contemporaneamente indica il posto dell'uomo nell'universo, ma soprattutto sulla terra. La carta infatti, è il risultato e la summa delle conoscenze astronomiche, geografiche, artistiche, etnografiche e filosofiche di una società, inoltre nella carta si può vedere come l'individuo si percepisce in relazione al resto del mondo.

Analizzare una cartina geografica di una civiltà significa, quindi, scoprire un suo livello intellettuale e scientifico, nonché conoscere una quantità enorme di informazioni non solo geografiche, ma anche sulla capacità di organizzazione, sull'evoluzione delle tecniche, sulle reti di comunicazioni.
«Nel passato, come nel presente, la carta conserva sempre un valore di memoria, memoria di un'arte e di una scienza di un determinato periodo della nostra storia, ma anche memoria dei luoghi e della civiltà, che il cartografo ha saputo trascrivere e consegnare alla posterità. A tutto occorre aggiungere un piacere estetico della contemplazione delle carte» (L. Defour, 1997, p. 22).

La raffigurazione dello spazio in termini cartografici ed artistici rispecchia inoltre il livello culturale del geografo e delle conoscenze di una società cui appartiene. «Il processo di una carta è legato da un lato al processo storico della produzione dell'immagine in generale, e dall'altro al linguaggio specifico ed alle esigenze della geografia. [...] la cartografia è al tempo stesso l'arte del misurare e l'arte del dipingere, ciò significa che si trova a metà strada tra scienza e arte» (L. Defour, 1998, p. 31-32).

Parlare di raffigurazioni di spazi esterni e della percezione simbolica e scientifica che l'individuo ha di sè comporta necessariamente una dimensione estetica, «Ciò appare evidente se si fa riferimento a sommi artisti che hanno operato in questo campo [...] o che hanno raffigurato carte geografiche come i celebri dipinti di Wermeer dove ornano le pareti di abitazioni borghesi o l'atelier del pittore» (G. Sedda Delitala, 1999, p. 261). Nella carta si visualizzano con notevole grado di immediatezza molti degli oggetti che contribuiscono a definire un quadro paesaggistico. «Il cartografo, tuttavia raramente possiede la duplice capacità di dipingere e di rappresentare tecnicamente lo spazio, e cioè di dipingere i buoni colori in tela e con giusti lineamenti. È questo il motivo dell'introduzione di una divisione del lavoro tra lo scienziato e l'artista: al primo tocca la costruzione della carta, o la topografia, al secondo la sua composizione e decorazione» (L. Defour, 1998, p. 31-32).


Sicilia e Sardegna: similitudini

La Sicilia e la Sardegna sono le due più grandi isole del Mediterraneo, caratterizzate da una stessa fisionomia territoriale: sono, infatti, collinose e montuose, con scarse pianure e con contrasti di paesaggi coltivati in alcune zone costiere e con zone dell'interno aride e poco popolate. Esse sono accomunate, inoltre, dal clima mediterraneo, con una lunga stagione calda e secca e con scarse piogge che condizionano i fiumi a carattere torrentizio. La Sicilia e la Sardegna sono, comunque, innanzitutto isole e, in quanto «isole hanno configurato delle entità singolari, delle terre "altre" rispetto alle superfici continentali» (C. Incani Carta, 1999, p. 147) e da sempre gli studi compiuti sulle isole hanno bene sottinteso come per l'uomo le isole siano sempre stati dei posti particolari distaccati dal contesto dell'ecumene, come indica il termine stesso di isola quindi luogo isolato e solitario.

Le isole hanno, infatti, il privilegio di una forma ben definita loro assicurata dal perimetro costiero che le delimita e le realizza, inoltre sono poste al centro del Mediterraneo che, in quanto «mare è uno spazio che divide e che unisce allo stesso tempo. Frontiera e trait d'union, il mare è un "cemento liquido" che permette la circolazione degli uomini, delle merci, delle idee» (M. Gras, 1997, p. 5).
Il mare, che in questo caso è appunto il Mediterraneo ha, per i popoli antichi, un duplice significato. «Esso è, innanzitutto, mare praticamente chiuso che comunica con l'oceano esterno solo attraverso quello stretto che noi oggi chiamiamo di Gibilterra [...]. È inoltre un mare che sta nell'universo conosciuto, dell'oikoumene come l'Agorà, la piazza pubblica, si trova al centro della città greca, il Mediterraneo è il luogo centrale che condiziona la vita sociale e le relazioni tra le diverse civiltà». (M. Gras, 1997, p.5). Logica conseguenza è stata la colonizzazione della Sicilia e della Sardegna sia come terre di approdo, sia come luoghi da colonizzare e sia come porti non solo nell'età arcaica, ma in tutta la storia della civiltà europea.

Di conseguenza da sempre della Sicilia e della Sardegna ci sono pervenuti studi marittimi delle coste o ricerche di grandi trattati nei quali le isole venivano studiate insieme alla loro misurazione e ai grandi problemi cosmici.

La Sicilia, come le carte che la raffigurano, è essa stessa un luogo mitico e simbolico. In quanto isola, «la Sicilia partecipa di questo grande gioco simbolico che accompagna dall'Età Ellenistica, attraverso il Romanzo Medievale, la creazione/invenzione dell'altro come proprio doppio e l'essere un palinsesto di etnie diventa allora più importante che farsi crocevia di lingue o di culture, giacché la Sicilia è così facilitata a trovare l'altro in se stesso» (G. Giarrizzo, 1997, p.11).

Non è pensabile che la carta della Sicilia possa ridursi a semplice guida del viaggiatore o a sussidio di un libro da viaggio: alla identificazione dei luoghi mitici o classici dell'isola hanno partecipato antiquari o pittori, topografi, etimologi spesso fantasiosi e inaffidabili. «Sicché la Imago Siciliae, comunque rappresentata, non è mai il solo disegno di costa e di percorsi: è, per i Siciliani e non, la riproduzione devota, di quel che memoria o invenzione caricano quei luoghi con tratti peculiari, "geroglifici" e affidano a questi il ruolo di cornice per le emozioni della visite e del ricordo» (G. Giarrizzo,1997, p.12).

Non è possibile, inoltre, pensare alla Sicilia, nell'universo cartografico antico, senza ricordare il contributo fornito dai Siciliani allo sviluppo della scienza del tempo. Solo per restare nell'ambito della rappresentazione in piano della superficie terrestre si pensi ad Archimede e ai suoi studi di geometria e di trigonometria, oltre a quelli sul moto della Terra: quasi nulla c'è, invece, di una produzione cartografica della Sardegna ad opera dei Sardi stessi e tale mancanza è stata vista come una forma di riservatezza propria della Sardegna: «l'isola, nascondendo la propria immagine nasconde se stessa e la propria essenza subalterna, che resta intima, riservata a chi vive e partecipa della medesima realtà isolana» (Isabella Zedda Macciò, 1999, p. 21), Secondo Masimo Quaini «ogni tradizione regionale presenta le sue particolarità e spesso [...] si regge su peculiarità locali che resistono ai processi di unificazione tipici dell'assolutismo statale», questo sembra proprio il caso della Sardegna. (L. Rombai, 1993, p 14. Quest'isola è, come la Sicilia, una grande isola del Mediterraneo, ma a differenza di quella è stata, fin dall'antichità classica, vista come fuori dalla Storia, posta sì nel Mediterraneo ma ai suoi margini, impenetrabile, non aggredibile dall'esterno e vissuta quasi ignorata dalle grandi correnti commerciali e culturali. La Sardegna è «abbastanza lontana dalla Penisola, a differenza della Sicilia, per essere raggiunta agevolmente e frequentemente, trascurata e ridotta a colonia fin dall'alba della sua storia, povera e arretrata, poco conosciuta all'esterno, [...] è stata isola [...] più e meglio delle altre consorelle mediterranee» (C. Incani Carta, 1999, p. 149).

Il mare Mediterraneo che ha unito i popoli e favorito gli scambi commerciali è stato per la Sardegna una sorta di prigione. L'origine di questo trauma dell'insularità è stato rintracciata da Febvre, quando i Cartaginesi cacciarono i Sardi indigeni dalle coste nell'entroterra, isolandoli: ciò avrebbe dato origine alla «costante resistenziale sarda» (A. Mattone, 1999, p. 100). L' isolamento esistenziale dei Sardi è stato da sempre giustificato in virtù, appunto, dell'isolamento territoriale e della posizione geografica, difficile da raggiungere da altri popoli che hanno voluto continuamente conquistarla; questo avrebbe generato un fiero indipendentismo storico, votato alla vita dura dei campi e alla vita pastorale, che deve essere considerato non in termini di chiusura, ma di salvaguardia della sua identità culturale poiché, di contro, la Sardegna è stata sempre aperta al dialogo con altri popoli che venissero non per vessarla ma per relazionarsi con essa. Ma altri studiosi, quale il Mattone, vedono anche che «insieme alla separatezza e alla chiusura nella libertà montanara, c'è sempre stata la volontà di superare gli stretti confini dell'isola e di immaginare un mondo più vasto di quello delineato dalle coste e segnato dagli orizzonti marini».(A. Mattone, 1999, p. 103).


PERIODO ARCAICO FENICI

Il mondo antico ha prodotto una sua cartografia, dalle fonti letterarie si desume che già dal finire del VI sec. a. C. ci fosse una rappresentazione visiva dell'ecumene, ma rimane il problema di come le carte antiche venissero disegnate perché sono insieme modelli di speculazioni astratte e sono frutto di studi empirici. In alcuni studiosi la tendenza è stata quella di vedere nelle carte antiche un'anticipazione di quelle moderne, «inoltre contro il silenzio delle poche testimonianze letterarie, si è giunti talvolta a postularne una circolazione e un uso analogo a quello che oggi si sperimenta quasi quotidianamente» (F. Prontera, 1983, p. 295).

Com'è noto, della cartografia antica non resta nessun documento originale, molte le ipotesi di ricostruzione ma talvolta discordanti. Uno dei motivi per cui non ci sono pervenute cartine geografiche antiche è dovuto anche alla deperibilità dei materiali adoperati per disegnare e all'importanza pratica di queste, che ne causava l'usura e la distruzione. Questa lacuna è più grave se si pensa che il prodotto cartografico è uno dei manufatti più complessi di una società organizzata.

Per quanto riguarda il periodo arcaico delle due isole, notevoli sono state le dominazioni subite, abitate fin dalla preistoria, in Sicilia i primi insediamenti umani risalgono al Paleolitico inferiore, all'inizio del I millennio a. C. troviamo già insediate nella Regione, infatti, le popolazioni dei Siculi, dei Sicani e degli Elimi, invece la Sardegna risulta abitata dal neolitico tra il XVI e l'VIII a. C. dalla civiltà nuragica, portata da popolazioni provenienti, probabilmente, dal Mediterraneo orientale.

Tra le più antiche fonti geografiche ci sono i peripli che descrivevano i porti di un mare e fornivano molte notizie utili alla navigazione del Mediterraneo.

Nell'età arcaica la cartografia è essenzialmente legata ad alcuni tipi particolari di peripli quali quelli legati alla fondazione di colonie che riguardavano le coste del mondo allora conosciuto, il Mediterraneo e come supporto al movimento di fondazione di colonie lungo la costa del Mediterraneo in essa confluiscono le notizie dei naviganti, esperienze dei commercianti e anche leggende o credenze popolari dettate dai pericoli della navigazione o dalle insidie del mare.

Nel IX e VIII secolo i coloni fenici, invece, si insidiarono sia in Sardegna che in Sicilia, respinsero verso l'interno dell'isola le popolazioni, fondarono alcune città quali Karalis, Nora, Tharros, Bythia nella prima e Palermo, Mozia e Solunto situate in luoghi di facile approdo e naturalmente protetti. Il processo di assimilazioni della cultura punica condusse all'integrazione delle due popolazioni. Col tempo la Sardegna non era più terra di conquista da sfruttare per ragioni militari ed economiche: era diventata a sua volta una patria.


PERIODO GRECO

Nel I millennio a. C. nasce nella penisola greca una nuova civiltà urbana che si stabilisce tra vallate anguste strette tra mari e monti dando vita così a centinaia di polis. Nelle quali, a poco a poco, uomini imparano a governarsi da soli e per la prima volta nella storia compare il cittadino: un uomo geloso della sua autonomia che elabora leggi scritte.

Dal VIII al VI si sviluppa la civiltà ellenica con una forte attività commerciale, dalle campagne la popolazione affluisce nelle polis, che si affollano oltre misura, la soluzione è unica: emigrare. All'origine di questo fenomeno c'era una forte crisi sociale che la polis aristocratica faticava a risolvere al proprio interno. Inizia così la grande colonizzazione greca dell'Occidente: in Sicilia e nell'Italia meridionale i colono greci fondano numerose città, e vi portano la propria superiore civiltà.

Mentre la colonizzazione non avvenne in Sardegna, in Sicilia fu, invece, profonda e significativa e presenta numerose sfaccettature. La prima colonia greca in Sicilia risale al 735 a. C. anno in cui coloni greci, fondarono la prima colonia a Naxos sulle spiagge di Taormina, da allora la Sicilia entra nella storia del Mediterraneo greco.

Chiaramente opere enormi di colonizzazione e navigazioni sono possibili anche grazie allo studio di opere geografiche. In Grecia la cartografia sembra svilupparsi con i peripli con un fine pratico cioè proprio della navigazione, ma anche filosofico cioè studio della terra in relazione alla natura e all'universo. In Grecia la cartografia è chiara sintesi e evoluzione della geografia, astronomia, filosofia e arte. Per capire la cartografia greca, bisogna considerare i criteri adoperati talvolta diversi dai nostri. Innanzitutto, secondo i Greci, la costa costituisce il criterio di misura e il mare fa da guida alle topografie e la linea costiera, con le sue sporgenze e rientranze, che individua un inizio e una fine, in questo senso, fornisce lo strumento per misurare gli spazi, quindi, di fondamentale importanza diventano gli istmi.

Al VII secolo appartiene una prima rappresentazione artistico-simbolica della Sicilia, la famosa Trinacria, essa è costituita da una testa di Gorgone, il mostro mitologico che trasformava in pietra i suoi avversari, circondata da tre gambe. Il mostro orribile indica la forte ostilità dei Siciliani nei confronti degli stranieri sempre mal visti e mai graditi, così come le tre gambe indicano la forma triangolare dell'isola. Questo dimostra che già nel VII secolo ci fosse da parte dei Greci una chiara percezione della forma triangolare dell'isola ed una certa conoscenza della forma dell'isola. «È citata nell'opera Esiodea che ricorda Ortigia, l'Etna e il Capo Peloro, in Pindaro che la definisce isola delle tre punte».( A. Gumina, 1998, 13). Del resto il termine Trinacria per indicare la Sicilia è adoperato da Omero nell'Odissea e anche gli storici Antioco di Siracusa, Timeo da Taormina e lo stesso Tucidide la chiamarono così. In età romana le tre gambe rappresentarono i raggi del sole e sulla testa della Gorgone furono poste delle spighe di grano per indicare la fertilità dell'isola specie in campo granaio.

Secondo Prontera i Greci non hanno solo ricreato nelle colonie la toponimia civile e religiosa della madrepatria, ma essi hanno cercato e, in certo senso riconosciuto, nelle nuove terre le medesime vocazioni strategiche ed emporiche dei luoghi d'origine; le prime colonie furono fondate su degli istmi e questi ebbero una importanza fondamentale anche negli studi geografici. «I Greci conobbero i mari prima delle terre [...] la linea costiera rappresenta il limite, la linea di confine del mare».

(P. Janni, 1988, p. 153). A partire dalla linea istmica si costruisce un sistema elementare di orientamento e di localizzazione in virtù del quale il settore peninsulare viene a trovarsi dentro o fuori e in basso o in alto. La collocazione istmica di molte città siciliane e sarde è motivata da ragioni di difesa o di attacco contro di esse, da operazioni militari o particolari situazioni tattiche, quindi, i Corinzii, per esempio, si stanziarono proprio a Siracusa e nell'isola di fronte a Ortigia, collegandole con un terrapiano così come fecero i Fenici che si stanziarono a Nora.

Comunque, se si prescinde dalle singole condizioni topografiche e storiche, l'occupazione di un istmo appare, dal punto di vista strategico, paragonabile all'occupazione di un'isola adiacente alla costa. L'opportunità di avere due poli opposti in modo che l'uno offra un ridosso alle navi o una via d'uscita quando l'altro è sopravvento e chiuso da forze nemiche. C'è da considerare inoltre ciò che il professore Pietro Janni ha sottolineato quanto profondamente sia radicata nella geografia degli itinerari una concezione unidimensionale dello spazio; per cui chi percorre le vie unidimensionali sa dove si trova rispetto alla linea del suo percorso, non rispetto al piano, i segmenti della linea sono collegati tra loro, mentre manca il collegamento trasversale fra i percorsi.

Un altro grande studioso dell'antichità è per esempio Scilace di Carianda, un Greco dell'Asia minore, ammiraglio di Dario I re dei Persiani; questi ebbe da Dario l'incarico di esplorare il corso dell'Indo. A lui si deve la compilazione, tra le altre opere, di un periplo del Mediterraneo dove offre il primo quadro non frammentario delle terre disposte attorno al Mediterraneo e la descrizione è ancora legata a una secolare esperienza geografica marittima. «Il periplo di Scilace è allo stesso tempo qualcosa di più e qualcosa di meno di un Portolano e nello stesso tempo in cui ci è giunto esso tradisce, inoltre, i rimaneggiamenti della tradizione manoscritta» (F. Prontera, 1998, p. 97). Il principio della descrizione costiera porta Scilace ad associare le isole alla porzione continentale più vicina, infatti la Sicilia e la Sardegna, per ragioni storiche e geografiche hanno svolto un importante funzione di raccordo fra le coste europee e quelle africane. Nel periplo le localizzazioni in termini cartografici sembrano mancare però riguardo la Sicilia e la Sardegna. Una loro ubicazione è indicata solo con la stima delle distanze. «Un giorno e mezzo di navigazione separa la Corsica dall'Eritrea, la terza parte di un giorno dalla Sardegna; da qui la traversata dura un giorno e una notte fino alla Libia, due giorni e una notte fino alla Sicilia» (F. Prontera, 1988, p. 99). Queste stime comportano l'approssimativa equidistanza della costa africana rispetto alla Sicilia e alla Sardegna.

È noto che nella cartografia antica la figura triangolare dell'isola si presenta con un orientamento distorto per un insieme di ragioni, che si possono chiamare, dopo gli studi di Pietro Janni, odologiche: «C. Lilibeo, che protende verso Cartagine, costituisce il vertice nettamente più meridionale della Sicilia, mentre C. Pachino figura come il vertice più nettamente orientale» (Frontera, 1988, p. 104) Questo perchè gli studiosi antichi concepirono la costa africana come stesa in linea retta da oriente a occidente, il Capo Lilibeo, il più vicino all'Africa, divenne per i geografi il più meridionale; il Capo Pachino, tenuto conto delle distanze da questo continente e dei rapporti con la Grecia, fu ritenuto il più orientale.

Ma accanto ai peripli incomincia a svilupparsi, proprio nel VI secolo, anche una cartografia che non riguarda più una parte del territorio, ma una geografia che spazia in parallelo con la filosofia e che non riguarda più solo una parte del territorio, ma tratta tutte le terre.

Nella seconda metà del V sec. a. C., con la spedizioni di Atene in Sicilia, cambia il contesto storico in cui si sviluppa la politica occidentale. Nella prospettiva dell'imperialismo ateniese la Sicilia è oggetto di una riflessione politico-militare globale che, coinvolgendo anche l'Italia, trova espressione organica nelle «Storie» di Tucidide. Prima del conflitto, secondo Tucidide, gli Ateniesi non conoscevano la grande estensione dell'isola e la gente che vi abitava e le informazioni topografiche della Sicilia erano inserite nel contesto politico-militare. Tucidide si limita a dare un'idea della reale estensione dell'isola, «commisurandola al periplo di una nave oneraria, che impiegherebbe non molto meno di otto giorni» (Frontera, 1998, p. 101).

Nelle analisi e nelle vicende della Sardegna e della Sicilia non si può prescindere dalle fonti di Strabone. La sua opera rappresenta una testimonianza della tradizione della cultura greca. La cartografia di Strabone è sostanzialmente una cartografia che vuole creare un'immagine: «Il principio ordinatore e costruttivo sarà il mare, o più esattamente l'andamento delle coste». (P. Janni, 1998, p. 151). Esso servirà a costruire la Sicilia e la Sardegna come tutte le altre terre e il mare servirà, quindi, a costruire la figura vero oggetto della percezione, che è il presupposto dell'immagine intesa come produzione.


SARDEGNA E SICILIA NELLA GEOGRAFIA TOLEMAICA E ROMANA

Due sono le figurazioni della Sardegna e della Sicilia pervenutaci dal mondo classico: quella di Tolomeo e quella contenuta nella Tabula Peutingeriana.

È importante il profondo significato che Tolomeo abbia riservato alla Sardegna e alla Sicilia in un'apposita Tabula e l'influenza esercitata nella storia della cartografia delle isole da questa singolare preferenza. L'altro documento cartografico della Sardegna e della Sicilia è la piccola e sommaria delineazione delle isole inserite nelle celebre carta itineraria romana del III-IV secolo d. C., denominata Tabula Peutingeriana.

Se tutti questi lavori cartografici dell'epoca classica non ci sono stati tramandati che dalle polemiche tra i sapienti, in compenso l'opera di Claudio Tolomeo, greco d'Alessandria del II secolo d. C., ci è stata trasmesso nella sua integrità. Fu l'astronomo più rinomato del Basso Impero, poi un oggetto di venerazione per il mondo islamico, e il Rinascimento lo considera il grande geografo-cartografo dell'Antichità. Il libro di Tolomeo, la Geografia, ci è stato trasmesso da più manoscritti d'epoca bizantina, di cui il più antico risale al XII secolo. È diviso in dodici parti, di cui sei costituenti un repertorio geografico, il resto essendo un manuale di cartografia. Il repertorio consiste in una serie di tavole che danno la longitudine e la latitudine di circa ottomila località, di città, di montagne, di estuari, di penisole, il tutto espresso in gradi.

I manoscritti della Geografia di Tolomeo che noi possediamo sono, si è detto, illustrati di carte. Ci sono, a questo riguardo, due tipi di manoscritti. Uno contiene ventisei carte dettagliate delle parti del mondo; l'altro, sessantaquattro carte. In più, le due versioni sono illustrate da un mappamondo. Ciò che è sorprendente nella versione attribuita a Tolomeo, è l'esattezza del disegno della maggior parte dell'Europa, dell'Africa del nord e dell'Asia occidentale. Il Nilo è rappresentato sorgente da un gruppo di laghi dell'Africa equatoriale; l'Asia meridionale, contorta, è composta dall'India, dal Ceylon, dalla Malaisia e dall'Indocina; e l'esistenza dell'Estremo Oriente non è indicata che da nomi che si rapportano alla Cina, terra della seta.

Il geografo alessandrino, attinse a diverse tradizioni letterarie, geografiche, astronomiche e cartografiche greche, le corresse laddove necessario, le riordinò traducendole in rappresentazioni tramite di una metodologia cartografica rigorosamente scientifica, che avrebbe retto la sfida dei secoli.
Tolomeo «giudica indispensabile il ricorso alla proiezione conica classica: [...] nella quale i meridiani, tracciati come rette, convergono verso un punto unico, rappresentano il polo, e i paralleli sono disegnati come archi di cerchio aventi per centro il detto punto unico. Nel tracciato egli rispetta la proporzione di 4/5 fra la lunghezza di un grado (circolare) sul parallelo di Rodi e quella di un grado (lineare) sul meridiano» (G. Aujac, 1992, p. 200). Assertore della teoria geocentrica di contro alla teoria di Aristarco di Samo «Chiude la grande stagione dell'astronomia, ma anche dell'astrologia, geografia e cartografia antiche. [...] Nelle intenzioni di Tolomeo lo studio del cielo è attivato secondo due prospettive: una teorico-matematica, atta a conoscere i movimenti degli astri; l'altra pratica, previsionale, per interpretarla ai fini utili» (R. Mesina, 1991, p. 88). A Tolomeo rimane il rammarico «di non poter osservare, misurare, descrivere e quindi rappresentare cartograficamente la terra, come il cielo, perchè non è visibile né in parte, né tutta. Quindi bisogna accontentarsi alla «mimèsis [...] Per Tolomeo la geografia consiste nella rappresentazione cartografica, non in una descrizione dell'ecumene e, nel primo libro della sua geografia parla del modo di realizzare le carte, cioè di trasferire su di una superficie piana la superficie sferica della terra, secondo il tracciato della latitudine e longitudine di una proiezione conica semplice o modificata» (R. Mesina, 1991, p. 96).

A. Mori ritiene però che «su 8000 posizioni in longitudine e latitudine elencate da Tolomeo, di sole 400 circa è stata determinata la latitudine per mezzo dell'altezza del sole, di due sole per mezzo dell'osservazione dell'eclissi, e che tutte le altre, vale a dire la straordinaria maggioranza per latitudine, è stata determinata ricavando i valori di arco delle distanze itinerarie. [...] Nessun dubbio vi può essere che soprattutto dalle carte romane, per gran parte del territorio dell'Impero, e specialmente per l'occidente, Marino e Tolomeo abbiano tratti i materiali per la costruzione delle loro carte e per la redazione degli elenchi di posizione. Da qui si deduce una forte dipendenza della cartografia tolemaica da quella romana, dipendenza da molti studiosi trascurata o del tutto ignorata»(A. Mori, 1960, p. 174).

La prima traduzione della Geographike Hiphegesiis, più nota come Geografia, risale al 1416 ad opera di Jacopo Andrea di Scarperia, che in una lettera dedicatoria al papa Alessandro V dirà che «Plinio reca la Palma fra i cosmografi; ma né lui, né gli altri che hanno descritto il mondo abitato ci hanno dato la possibilità di disegnare una carta in cui le proporzioni fra le varie parti siano rispettate; nessuno ci ha fornito misure di latitudine e longitudine per tutte le località del mondo abitato; nessuno ci ha insegnato a rappresentare su una superficie piana il nostro mondo, che è sferico. Plinio e gli altri scelsero, per elaborare la propria materia, la maniera degli storici: non così Tolomeo, che trascurò l'aspetto storico, e che non ha ciò che essi hanno» (M. Milanesi 1984, p. 9).

Alla cartografia di tutto il mondo conosciuto, egli pose il limite settentrionale a 63º Nord, latitudine di Tule, e quello meridionale a 16º Sud. Fuorviato dall'unica misura di longitudine a disposizione stimò l'estensione da est a ovest dalle Canarie alla Cina in 100º, 40º più della realtà. Nella sua opera il contorno costiero delle isole del Mediterraneo risulta più curato rispetto alla zona continentale e le analisi parziali dell'opera di Tolomeo riguardano soprattutto le isole.

Il cosiddetto Cod. Urb. Greco 82, è il più antico documento cartografico della Sardegna giuntoci dall'antichità: questa antichissima carta ha avuto, perciò, sulle successive raffigurazioni cartografiche della Sardegna una grande influenza che si spinge sino al XVI secolo con echi fino nel XIX. La forma dell'isola è allungata e la città di Cagliari e il suo golfo sono situate nella costa orientale. Sebbene la città di Cagliari si collochi nella costa orientale, l'ampia insenatura del golfo omonimo è correttamente rivolto a sud, ed è questa la differenza sostanziale tra questa carta e quella Tolemaica. I fiumi segnati in azzurro sono cinque: il Temo, il Tirso, il Cixerri, nella costa occidentale; il Cedrino, il Flumendosa nella costa orientale.

Particolare è il modo con cui vengono rappresentati non pochi centri abitati: piccoli rettangoli color terra di Siena con il lato superiore seghettato simbolo della cinta murarie. Per la città di Cagliari, di Porto Torres, Orroli sono aggiunte piccole torri: un punto segna per ciascuno centro abitato la sua ubicazione. I nomi sono in nero, altri segni convenzionali (cerchietti, asterischi, crocette) sempre inseriti in rettangoli, indicano il popolo a cui la città apparteneva. Il Geografo arricchisce la toponomastica della sua carta anche dei nomi - scritti in giallo - della popolazione che abitavano le le varie regioni dell'isola.

Non è segnata l'orografia, fatta eccezione di un massiccio posto nel centro-nord dell'isola e denominato Insani Montes. Negli scrittori classici l'espressione insanus, riferito in senso traslato a cose, corrisponde a rabbioso, furioso o anche eccessivamente alto, grande. Circa l'ubicazione, mentre il La Marmora identifica i monti insani nel Massiccio del Monteferru a nord di Bosa e il Pais con la catena del Limbara, R.B. Motzo in un suo accurato studio li individua nel Gennargentu, che con le sue diramazioni, si spinge fino al mare Tirreno, rendendo la costa alta e impetuosa e perciò spesso pericolosa alla navigazione, specialmente di cabotaggio com'era più spesso quella degli antichi. Nei corredi cartografici dell'opera tolemaica, la Sicilia compare nella Tabula VII insieme alla Sardegna. In Sicilia Tolomeo cita 10 promontori, 19 fiumi, 2 monti, 64 località, e 15 isole. La tavola sarà presente nelle medesime forme in tutte le 40 edizioni dell'opera di Tolomeo nei secoli successivi.

La rappresentazione Tolemaica della Sicilia, presenta numerosi errori che possono essere riferiti alla più complessiva deformazione del bacino del Mediterraneo, dovute ad inesattezze nel calcolo della longitudine. «La Sicilia rappresentata da Tolomeo secondo i versanti, e soprattutto l'area circoscritta dai capi (Pelorus Aegitharsus, Ulixeum) ha una forma rapportabile a quella di un triangolo scaleno e nella realtà la stessa area descrive un triangolo scaleno; nella la stessa area descrive un triangolo di forma ed orientazione diverse. Dai dati riguardanti l'estensione massima in longitudine, risulta evidente che Tolomeo attribuì alla Sicilia un'estensione in longitudine minore di quella reale» (M. Basile, 1992, p. 122).
In aggiunta, come ha osservato Maria Gaetano Columba, «gli antichi geografi non erano riusciti a rilevare la insenatura che si apre tra il capo Bon e il Ras, e forma le due Sirti: essi concepivano la costa mediterranea dell'Africa come stesa in linea retta da Oriente ad Occidente, il capo Lilibeo, il più vicino all'Africa, divenne per i geografi il più meridionale; il capo Pachino, tenuto conto della distanza di questo continente, e dei rapporti con la Grecia, fu ritenuto il più orientale» (L. Defoure - A. La Gumina, 1998, p. 12). Si potrebbe dire, quindi, che la forma della Sicilia è già grossolanamente individuata nei suoi caratteri generali, ma con una rotazione marcata del capo Lilibeo verso sud, al punto che esso risulta più meridionale del capo Pachino. «In conseguenza di questi errori, Tolomeo fece compiere alla Sicilia una rotazione in senso antiorario, sino a far coincidere la massima espressione in latitudine dell'isola con la costa orientale stessa» (M. Basile, 1992, p.123).

A differenza del Cod. Urb. Greco 82, che riunisce in una sola carta la Sardegna e la Sicilia, nel codice Laurenziano questa carta è divisa in due cartine separate, una per ciascuna isola e, perciò, nella carta a fianco viene riprodotta la sola carta della Sardegna . Il Perimetro delle isole è in azzurro e pure in azzurro è segnato il corso dei fiumi. I nomi sono in nero, mentre di color carminio sono i nomi dei popoli e i segni indicanti i centri abitati, anche qui rappresentati da merlati.


TABULA PEUTINGERIANA ESPRESSIONE DEL PRINCIPIO DELLA CELERITAS

Nella storia della cartografia si possono cogliere svariati tipi e modelli di carte in conseguenza delle conoscenze scientifiche, geografiche e artistiche nonché filosofiche del tempo. Chiunque sia il cartografo, qualsiasi sia l'uso della carta, è comunque pacifico che queste sono veri e propri quadri della società del tempo con le loro esigenze e i loro usi e costumi. Una carta che meglio di altre mostra la società del suo tempo è certamente la Tabula Peutingeriana, di cui non si ha l'originale, che risalirebbe forse al IV secolo a. C., ma di cui si conserva una copia medievale. Già da una prima lettura si evince la diversità culturale tra i Greci e Romani che si manifesta anche nelle loro concezioni cosmografiche e nel modo di fare cartografia. I primi osservavano il mondo curiosi, i secondi, più pratici, lo conquistavano e lo lottizzavano. Mentre i Geometri dell'Oriente antico ancora rispettavano le forme della natura, i Romani coprivano il loro Impero di maglie rigorosamente geometriche, incuranti di fiumi e montagne.

Roma, agli inizi dell' VII secolo a. C., era solo un piccolo centro del Lazio abitato da pastori e agricoltori. Dopo circa cinquecento anni la modesta città-stato delle origini è già padrona dell'Italia, ancora tre secoli di ininterrotta espansione politica e militare e i Romani creano un impero che si estende su tutto il Mediterraneo e anche più a Nord e a Oriente, tanto è vero che in tre continenti Europa, Africa e Asia si trovano sue testimonianze: resti di città, templi, strade, acquedotti. L'Impero vive sino al V secolo d. C., unificando genti diverse. I motivi del successo di Roma sono molteplici: sicuramente una superiore tecnica militare, che consente ai Romani di vincere anche le guerre più difficili; il loro genio giuridico, che si esprimeva nelle leggi sia della Repubblica, sia dell'impero e nella sua grande capacità di governare popoli di culture diverse.
Dimenticati Pitagora e Aristotele, almeno a questo riguardo, la Terra si restrinse alla Provincia romana e tornò ad essere un disco piatto, forma assai più semplice da rappresentare e sufficiente ai bisogni di Generali e Funzionari.

I confini che separavano i Romani dai barbari non dovevano essere disegnati su fragile pergamena, ma entravano nel paesaggio come solida muraglia. Anche l'Astronomia matematica divenne patrimonio degli Aruspici e degenerò in Astrologia.

Mentre per il mondo greco sono rare le fonti letterarie, per il mondo romano queste sono più numerose, e ci sono anche le copie tardo - medievali di quelli che dovevano essere i documenti cartografici più diffusi, gli Itineraria Picta. Tra essi il più noto è la cosiddetta Tabula Peutingeriana. Questa Carta deve il suo nome a Conrad Peuntinger di Augsburg, primo proprietario conosciuto, consiste in dodici fogli di pergamena, dei quali uno è andato perduto, che originariamente formavano una lunga striscia larga trenta centimetri e lunga sei metri. «L'intera ecumene viene in tal maniera ridotta, enormemente schiacciata e deformata, ad unica asta diritta, in virtù di un procedimento mimetico che investe, come emanazione del medesimo principio, allo stesso tempo la cosa rappresentata e la sua immagine: la quale assume la foggia di una strada appunto perché è ad un immane sistema di rettilinei stradali che l'Impero romano viene, dalla tavola, ridotto» (F. Farinelli, 1992, p. 73).

Non si sa chi sia il vero autore di questa carta, né il committente, per cui non si conoscono i propositi dell'autore, comunque è certo che si tratta di una carta essenzialmente stradale, «ogni notizia utile al viaggiatore trova posto nella tabula» (C. Palagiano - A. Asole - G. Arena 1998, p. 40.) che rappresenta, in una prospettiva chiaramente distorta il mondo allora conosciuto, dalle colonne d'Ercole all'India. «Questo documento risponde ad un'esigenza pratica - sorta di mappe della fitta rete stradale dell'impero - che non la restituzione di un'immagine neutralmente scientifica del mondo, all'interno di un sistema geometrico di riferimento» (L. Defoure - A. La Gumina, 1998, p. 15).

Si tratta di un vero atlante tascabile di tutto l'Impero romano e dell'Asia «E pertanto massima ed icastica espressione del principio della celeritas, cioè della riduzione del mondo a tempo di percorrenza, sulla quale si fondava l'intera concezione latina dello spazio strategico» (F. Farinelli, 1992, p. 73).

I motivi che condussero alla compilazione di tale Carta sono di natura economico e militare, già nell'età giulio-claudia si assiste ad un eccezionale allargamento degli ambiti geografici «Quasi a dare misura concreta dell'estensione del mondo, l'instancabile attività dei mercanti, sostenuta dall'enorme domanda dei generi di lusso da parte dei ceti elevati italici, che erano oramai padroni dell'impero più che del Mediterraneo, amavano circondarsi di un lusso "mondiale", produsse una spettacolare dilatazione - dal Baltico alla Somalia, dall'Irlanda al Fezzan, all'India, alla Cina - del campo d'azione del commercio romano» (F. De Romanis, 1992, p. 226).
Ma di sicuro intervennero motivi di carattere militare: conoscere il territorio è importante per poter controllare i territori, far muovere velocemente le milizie, per sedare ribellioni o per riscuotere meglio i dazi o anche per poter apportare subito lo Jus romano ove necessitasse nell'Impero.

Già secondo Strabone «per le operazioni militari è infatti importantissimo possedere conoscenza quanto più perfetta e completa possibile del terreno di operazione e perciò anche nelle carte più estese, anche in quelle raffiguranti tutta l'oikumene, la terra habitabilis, deve essere dedicato alle regioni di più grande interesse, soprattutto militare, uno spazio maggiore e particolari più numerosi che a quelle meno importanti. Così dunque secondo Strabone e Tolomeo si spiega il maggior spazio dedicato alla Tabula a certe zone a scapito di altre» ( L. Bosio, 1983, p. 20).

La deformazione, per non dire lo stravolgimento del profilo delle terre rappresentate è compensata dall'abbondanza e dalla precisione dei dati relativi alla distanza e ai tempi di percorrenza tra i nodi della maglia stradale di cui l'impero disponeva nel periodo del massimo splendore. Per raggiungere questo scopo, il cartografo ha infatti eliminato quasi totalmente il mare, riducendolo a una sottile striscia. La Tabula si allunga soltanto per inserire le isole magari fuori dalle posizioni, come ad esempio la Sicilia, disponendola parallelamente al lato della striscia spostata verso Est.

Grande interesse ebbero i Romani per la Sicilia per diversi motivi, tra questi decisivo fu l'interesse politico; era logico che il duello imperialistico ingaggiato per la supremazia nel Mediterraneo tra Roma e Cartagine, si risolvesse proprio in Sicilia, data la determinante posizione geopolitica dell'isola; per motivi economici, Roma aveva bisogno di assicurarsi il vettovagliamento sia per le truppe eternamente in guerra, che per la sua popolazione continuamente in crescita e per il motivo strategico, la Sicilia costituiva per Roma la testa di ponte ideale per la conquista dell'Africa.

La Sicilia costituì quindi, una tra le principali province romane, e nella Tabula Peutingeriana la Sicilia appare di forma vagamente rettangolare, con ai vertici, Siracusys, Messina, Lilybeo e Thermis. La Sicilia, l'insula Creticae, l'Insula Cypros sono raffigurate nel Mediterraneo. «La loro rappresentazione trova sufficiente corrispondenza con la realtà ed anche la loro posizione, tenuto conto dello sviluppo composito della Carta, è nel complesso correttamente localizzata. È da dire ancora che in tutte queste tre isole i dati fisici, antropici ed itinerari sono numerosi e chiariscono la cura del compilatore nel dare in esse una lettura il più possibile circostanziata ed esauriente. Altre due isole, anche se con minore rilievo, sono state mese in evidenza sulla Carta e cioè l'Insula Corsica e l'Insula Sardinia» (L. Bosio, 1983, p. 42.)

È questa carta, insieme alla Sardegna di Tolomeo, l'altro documento cartografico sulla Sardegna pervenutoci del periodo classico. L'isola è raffigurata nella forma di piede umano: la digitazione è attribuita alla costa meridionale, mentre il rotondo tallone ingloba e ignora del tutto il golfo dell'Asinara. «La sua configurazione, pur nella grossolana incompletezza, rivela una conoscenza geografica dell'Isola sufficientemente aderente alla realtà. Può affermarsi che questa era la concezione cartografica che della Sardegna si aveva nell'epoca della declinante romanità» (V. Piloni, 1997, Tav. III).

La Sardegna fu conquistata dai Romani nel corso del III secolo a. C., dopo varie vicissitudini, nel 227 a. C. divenne la provincia di Sardegna. Anche se le zone più interne rimasero in mano ai Sardi che continuavano a sviluppare la pastorizia e fare periodiche scorrerie in pianura. I Romani traevano dalla provincia grano e riscuotevano i tributi, la loro amministrazione spesso era in mano a funzionari corrotti. La romanizzazione del bacino del Mediterraneo fece perdere alla Sardegna il carattere di ponte tra civiltà diverse e nei secoli successivi la cultura romana si sovrappose a quella sardo-punica. Una rete di strade ben tracciate e curate, e una serie di castra, costruiti nell'interno per sorvegliare i montanari della Barbagia, consentirono lo sviluppo di grandi latifondi nel Campidano e nelle altre zone pianeggianti. I Romani sfruttarono le miniere del Sulcis servendosi del lavoro di deportati o di condannati ad metalla. È da notare che l'indicazione «Ins. Sardinia» è contenuta all'interno del disegno dell'isola assieme ai seguenti nomi, corrispondenti ad altrettanti centri abitati: Neapolis, Sulci, Attea, Crucis, Turribus, Nura, Caralis, segnati in generale senza preoccupazione alcuna dell'esatta ubicazione di ciascuno, come risulta chiaramente da Sulcis oggi, Sant'Antioco, posta di fronte alla Corsica. La posizione poi di Turribus accanto a Caralis significherebbe la trascrizione di un itinerario marittimo Turris Caralis. Turribus è l'unica città dell'isola, indicata con il segno delle due doppie torrette «questo viene oggi interpretato non tanto come si riteneva, riferito a colonie o a municipi, quanto a località ove era possibile l'alloggio per chi viaggiava, il cambio degli animali e delle vetture, un servizio di riparazione: in sostanza, un luogo di tappa» (P. Meloni, 1975, p. 224). Interessanti sono le sei isole minori, delle quali quattro disposte geograficamente in modo molto approssimativo presso la costa settentrionale e due presso quella sud occidentale. Queste ultime, segnate in posizione approssimativamente esatta rispetto al perimetro costiero della Sardegna, devono identificarsi con le due isole di Sant'Antioco e di San Pietro, anche se i nomi usati dal Cartografo romano, sono per noi di incerta lettura e di dubbia interpretazione. Anche per le quattro isole della Maddalena: Hercul, Bovena, Bertula e Boares sussiste lo stesso problema dell'insicurezza della lettura e della diversità d'interpretazione.

Circa la difficoltà della lettura della toponomastica, non vi è dubbio che essendo la Tabula Peutingeriana la copia medievale o la trascrizione di un originale risalente al III-IV secolo, il copista abbia potuto leggere e trascrivere certi nomi del cartografo romano e così accrescere l'incertezza della lettura e della conseguente interpretazione.
L'importanza della Tabula consiste anche nel fatto che, pur essendo una carta preposta ad uso militare, si articola in numerosi elementi politici, religiosi, economici, sociali, e trova poi la sua ordinata disposizione in un contesto territoriale, definito nei suoi contorni fisici e negli aspetti orografici, idrografici e topografici più rilevanti e significativi.
«È invero un grande quadro paesaggistico ed una completa pagina di storia e di vita dell'umanità» (L. Bosio, 1983, p. 179).








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