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Intervista a Luigi Maria Perotti, direttore artistico della Biennale Adriatica  
Giulio Gaudiano
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 16 Novembre 2006, n. 442
http://www.bta.it/txt/a0/04/bta00442.html
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Area Interviste

La terza edizione della Biennale Adriatica di Arti Nuove ha letteralmente occupato la città di San Benedetto del Tronto dal 5 al 27 agosto scorso. Come tema dell'esposizione è stato scelto il "contagio" ed effettivamente gli eventi organizzati hanno avuto una capacità di coinvolgimento del pubblico "epidemica". Che il contagio sia davvero riuscito ... ?
Lo chiediamo a Luigi Maria Perotti, direttore artistico della Biennale.



La terza edizione della Biennale si è da poco conclusa. L'impressione è che questo evento, negli anni, stia crescendo e maturando, in modo da attirare su di sé l'attenzione di un numero sempre crescente di addetti ai lavori, ma anche di amatori e curiosi. Qual è il bilancio di questa edizione 2006 ?

L'idea di dedicare una biennale al contagio era proprio quella di arrivare a più persone possibili, a prescindere da come poi sarebbero state valutate le opere. Per questo, se nel chiedermi un bilancio della biennale, mi dice che ha avuto l'impressione che l'attenzione di critici e curiosi sia cresciuta, posso dirle che, almeno per il suo punto di vista, abbiamo raggiunto il nostro scopo. Una biennale d'arte non è una fiera espositiva e generalmente ha poco senso dire: «se ne è parlato, ha funzionato». Nel nostro caso però, è un po' diverso. Mi spiego meglio. Penso che l'arte oggi, abbia il compito di sfruttare al massimo gli strumenti della contemporaneità, soprattutto a livello comunicativo.
Per questo, dedicare una biennale al contagio, significava declinare l'arte in termini "epidemici", utilizzando quelle che in termini commerciali vengono definite strategie di
marketing. Da questo punto di vista sono soddisfatto. Migliaia di persone che mai si sarebbero sognate di andare ad una mostra, hanno maneggiato opere d'arte sotto forma di sacchetti della spazzatura, sono andate a riposarsi in igloo di materiale di riciclo realizzati sulla spiaggia, hanno passeggiato vicino ai bagni pubblici abbandonati rivestiti di carta da parati, hanno guardato i cartelloni pubblicitari con una foto di Guantanamo. All'inizio non capivano il perché. Qualcuno ha fatto lo sforzo di chiedere ed interessarsi. Più di quanti potessimo immaginare.



La Biennale ha mostrato di avere, sin dalla prima edizione, un carattere giovane e proiettato verso il futuro. Il nome stesso «Biennale adriatica di arti nuove» sposta l'attenzione da ciò che sta accadendo (il contemporaneo) a ciò che deve ancora accadere (il nuovo). Qual è l'idea che sta dietro alla Biennale ? In che cosa differisce dalle altre manifestazioni che hanno luogo in Italia ?

La Biennale è dedicata al rapporto tra l'arte ed i nuovi linguaggi. In effetti è un guardare avanti. Mi piace citare il mio amico Derrick de Kerckove, il direttore del Mc Luhan Centre di Toronto, una delle menti più lucide del contemporaneo, che un giorno mi disse: «l'arte è un ponte metaforico tra psicologia e tecnologia. L'evoluzione dei linguaggi aumenta in continuazione le possibilità che l'artista, l'uomo in cima alla collina, ha di poter raccontare agli altri quello che vede». Questa biennale cerca di essere questo ponte.



Cos'è che, tre anni fa, vi ha fatto credere nella Biennale ?

La Biennale è uno spazio di sperimentazione di cui c'era bisogno.



Quali ostacoli avete incontrato sulla vostra strada ?

Gli ostacoli sono parte del percorso. Spesso si fatica a lavorare in contesti "spuri" in cui certi meccanismi dell'arte sembrano assurdi. Ma spesso dopo i confronti, anche quelli più accesi, le persone si convincono e la soddisfazione è più grande. Cito ad esempio l'opera di Luxury Garbage. Il giorno dell'inaugurazione abbiamo riempito di sacchi dell'immondizia "griffati" con il messaggio «Salvate il mare» una cabina della spazzatura in pieno centro. I cittadini hanno gridato alla scandalo, tutti parlavano di arte spazzatura. Questo ci ha dato la possibilità di veicolare in maniera più forte il messaggio: sensibilizzate la vostra raccolta rifiuti, attaccate sul vostro sacchetto della spazzatura l'adesivo: «salvate il mare», per dimostrare che avete preso consapevolezza che quello che buttate oggi vi ritorna domani. È stato un successone.



Quest'anno la Biennale ha seguito due percorsi curatoriali: Aviaria di Cristiano Seganfreddo e Raid di Antonio Arévalo. A quali risultati sono giunti questi due percorsi di ricerca ?

Entrambi molto positivi. Antonio e Cristiano declinavano il contagio in forme diverse. Per il primo era paura e quindi "guerra", il morbo più contagioso del pianeta. Raid di Arevalo, tra l'altro era completamente nel contemporaneo più contemporaneo perché si è svolta proprio durante i raid israeliani in Libano. La mostra Aviaria di Cristiano era "en plein air" ed è andata a contagiare quelli che mai avrebbero voluto esserlo.



Un altro progetto artistico, legato all'edizione di quest'anno, ha suscitato divertite reazioni da parte degli abitanti. Il suo nome è «louse», che vuol dire pidocchio. Cosa ci fa un pidocchio a San Benedetto del Tronto ?

Un contagio senza pidocchi, che contagio è ? Lo scorso inverno ero alla Galleria Marconi di Cupra Marittima. Parlando con il gallerista, mi racconta che c'è un gruppo di artisti che ha occupato parte del suo spazio per organizzare mostre parallele alle sue. Si fanno chiamare «pidocchi». L'idea di occupazione artistica era geniale. Ho preso a prestito questa strategia comunicativa e a San Benedetto, la città "vittima" del contagio sono arrivati, indipendentemente dal progetto curatoriale i Guardian Angel di Sure creative Lab, gli stessi a cui avevo espropriato l'idea di louse e l'astronave Mata di Giovanni Neroni.



Qual è la cosa che, personalmente, le è piaciuta di più della Biennale di quest'anno ?

La reazione delle persone. Ogni giorno accadeva qualcosa di strano per la quotidianità della città e tutti si chiedevano «Cosa succederà domani per colpa del contagio ?». Tra le cose che non verranno dimenticate troppo presto, ci sarà sicuramente il concerto del pianista Giovanni Allevi. La sua musica è molto contemporanea e portarla all'interno di una mostra d'arte è stato un successo. C'era talmente tanta gente che, per usare un termine da concerto "rock" le persone hanno sfondato le barriere per sedersi sotto il suo pianoforte. Effetti collaterali del contagio. Non era mai successo per un concerto di musica classica !



Le devo chiedere anche qual è la cosa che le è piaciuta di meno.

Sicuramente l'opera di sabotaggio di alcuni artisti no global. Il giorno dell'inaugurazione si sono mischiati in mezzo ai presenti, hanno preso una enorme testa di porco e l'hanno messa in un acquario pieno di Coca Cola. Il loro obiettivo era dimostrare l'effetto corrosivo della bevanda. Vi posso assicurare che l'odore era nauseabondo. Alla fine, un contagio che si rispetti non può essere gestito, altrimenti che contagio è ? Quindi se da un certo punto di vista poteva rientrare nell'ottica del tema, ha catalizzato troppo l'attenzione di alcuni giornalisti, che sono caduti nel tranello di quegli artisti burloni e hanno dedicato ampio spazio a questa protesta, a discapito di altre opere d'arte. Il giorno successivo mi sono arrabbiato molto e li abbiamo convinti a fare una secca smentita. Immagina che il Resto del Carlino ha fatto una locandina con su scritto «QUEL PORCO NON E' DELLA BIENNALE». L'ho rubata al giornalaio sotto casa e la conservo gelosamente.



Il tema della Biennale è «contagio». È riuscito il contagio ?

Lo sapremo tra 10 anni.




 

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