La neo-modernità e la post-modernità, secondo una periodizzazione esposta in altro articolo, vede, come tutti sappiamo, l'eclissi dei grandi racconti o meta-racconti, cioè dei miti fondativi della modernità. Ad esempio, come il Rinascimento aveva visto l'eclissi dei miti fondativi del Medio Evo, così i due periodi indicati.
Nella neo-modernità e nella post-modernità, dunque, il sapere, la storia, l'individuo, la stessa scienza, ecc... si parcellizzano, facendo perdere la visione d'insieme propria dei meta-racconti precedenti.
Il 6 maggio del 2003 sul "Financial Time" apparve un articolo dal titolo: Happy Birthday Globalisation. Buon compleanno, cioè, a quel fenomeno che nel 1983 Theodor Levitt sancì come l'atto di nascita della globalizzazione, che si potrebbe, a nostro avviso, indicare come il primo possibile grande racconto, dopo l'eclissi dei miti fondativi della modernità (ammesso che anche questi non costituiscano, già di per sé un meta-racconto !) secondo le seguenti argomentazioni.
Quali erano i miti fondativi della modernità ?
Da una parte la fiducia illuministica nella forza della ragione basata sulla fiducia dell'uomo nel poter dominare la natura al fine di modificarla, sfruttarla, piegarla, ecc... ai propri fini, per dare all'uomo una vita più piena e felice, dall'altra il meta-racconto idealistico che aveva come fine ultimo la consapevolezza del sé, che di grado in grado portava l'uomo all'infinita fede in se stesso tanto da apparentarlo ad un dio.
In breve. Fin quasi a metà Ottocento, più o meno, si era vissuto in funzione di questi meta-racconti. Ma, quando scienza e tecnologia, procedendo per proprio conto, fecero sì che l'uomo non fosse più il fine per cui esse lavoravano, ma il mezzo per una crescita illimitata delle stesse, i meta-racconti si frantumarono, parcellizzandosi in mille rivoli, onde la "morte" della storia, la "morte" dell'arte, la "morte" della filosofia e morti discorrendo. Le mille realtà che ne derivarono potremmo definirle di "corta gittata", di gittata regionale o anche mini-racconti. Essi trovarono nel nostro Gianni Vattimo un autorevole sostenitore, noto per aver parlato di "pensiero debole", che afferma la molteplicità dei mini-racconti. Questi hanno il compito di continuare a raccontare la dissoluzione dei meta, attraverso un costante processo di revisione di ciò che è stato, si potrebbe aggiungere.
Non per nulla, oggi, molti filosofi nell'evoluzione del loro pensiero, non si rifanno più alla razionalità propria della filosofia, ma cercano lumi, spiragli o anche "spifferi" nella rilettura delle opere dei grandi narratori, vedi, a mo' di esempio, il filosofo Sergio Givone con Dostoevskij, o lo stesso Luigi Alfieri, della facoltà di Sociologia di Urbino, con la rilettura di William Golding e il suo Signore delle mosche (Lord of the Flies), ecc... Perché proprio i grandi narratori ? Per scoprire tra le pieghe della loro poiesis una nuova interpretazione di un qualche "mini-racconto" postmoderno.
In altre parole, ciò che si evince lampante nella contemporaneità è l'incapacità di dare una lettura della realtà secondo parametri di riferimento universali. Di conseguenza, i vari punti di vista, con cui la si legge, si presentano a noi come conflittuali e plurali.
Oggi, con i progressi informatici e tecnologici, il sapere non è visione globale, ma informazione misurabile quantitativamente secondo il parametro on-off, si-no, 0-1 ... La tecnologia (nel senso di razionalità della tecnica) non può prevedere qualità, ma quantità calcolabile secondo l'opposizione: bello-brutto, buono-cattivo, vero-falso, ragione-follia, scienza-fede e così via, senza che il soggetto possa esporre i principi in base ai quali è giunto a delle conclusioni. La tecnologia, infatti, non ammette doxa, opinione. L'umanismo non ammette identità strutturate, ma frantumazione dell'io, e il mondo esterno si rispecchia in tutto questo con la moltiplicazione all'infinito delle immagini.
Passione e ragione sono rigidamente separate, come se l'uomo pendesse solamente da una parte o dall'altra, dalla parte cioè della ragione tout court, come proprietà universale presente in ciascun soggetto, o dalla parte delle passioni cieche e irrazionali, che travolgono il soggetto attraversato da queste due polarità.
Traendo le somme: da una parte si ha la fine dei meta-racconti, in quanto fine della rappresentazione dell'autocoscienza unitaria del mondo, dall'altra si ha la parcellizzazione dei saperi con il trionfo delle immagini. Dimostrarono ciò in maniera esemplare le avanguardie storiche che si relazionarono, quanto altri mai, con la trasformazione dell'esistenza delle collettività cittadine che videro, allora, un'autentica esplosione delle città, ove si concentrava la produttività.
Un acuto lettore della vita moderna fu Baudelaire col famoso saggio Il pittore della vita moderna che vide, appunto, nella città moderna e nella sua strutturazione, in quanto pluralità di forme di vita e di scontri e incontri, di mutamenti, ecc ... la causa della parcellizzazione dei saperi.
La città, infatti, offriva dei modelli di vita effimeri e instabili, che non consentivano più di riconoscere l'aspetto eterno ed immutabile del mondo, come era stato vissuto nelle società agricolo-contadine e pastorali, in cui i ritmi di vita erano molto lenti e quindi davano la sensazione della immutabilità delle cose e del mondo.
A maggior ragione, oggi, il fenomeno si estremizza, anche perché ai valori, che un tempo nascevano spontanei in seno ad una società ed in quella si evolvevano e tramontavano lentamente, si sono sostituiti i modelli. E, come, si sa, il modello è imposto dall'alto e quando non funziona in relazione all'economia, alla politica, ecc.. muta velocemente, determinando crisi di identità a non finire. Un giovane si trova nella condizione di seguire un certo modello di vita che, a distanza di qualche anno, cambia e quindi gli è difficile raccapezzarsi in questo marasma di sagome ed esemplari senza ordine né direzione. Ogni modello "tira" dalla sua parte ... e le nostre identità subiscono tracolli. Perché la nostra è l'era della depressione ?
Tenute presenti queste premesse, scaturisce un primo punto di domanda: la parcellizzazione delle sfere di esistenza in uno con la parcellizzazione dei saperi non potrebbe essere il grande meta-racconto postmoderno ? D'altra parte, una visione dello zeitgeist (spirito del tempo) completa ed articolata è agevole solo "a posteriori". Ma, non siamo già in un "a posteriori" chiamato post-umano ? Il post-moderno, infatti, non è esaurito, per cui possiamo, in un certo senso, tirare un po' le somme ?
Altro punto di domanda: se la parcellizzazione dei saperi e delle sfere di esistenza è l'aspetto fondante della postmodernità, un altro fenomeno da più di vent'anni si è profilato all'orizzonte, la globalizzazione. Come citato in apertura, relativamente all' Happy Birthday levittiano, essa ha raggiunto oggi il quarto di secolo. In seguito a questo grande processo, che investe la terra tutta, non potrebbe aprirsi un "nuovo" grande meta-racconto, che veda protagonisti le due più grandi culture del globo intersecantesi tra loro ?
In un mondo globalizzato le varie società sono ampiamente informatizzate ed omologate a modelli occidentali in cui stili di vita, organismi sopranazionali, stilemi di riferimento, forme etiche ed estetiche, ecc... incarnano punti di vista centrali e monodirezionali. Essi hanno nella civiltà occidentale e nei modelli da essa proposti (costumi, credenze, mode, pensiero ... ) i loro punti di forza. Infatti, nel nostro occidente la tecnologia si è evoluta al punto tale che, pervasivamente ! rischia di spazzare via altri modi di vita ed altre civiltà ugualmente importanti come quelle occidentali.
Il fenomeno o meglio il processo di ridurre sotto un'unica bandiera più popoli è sempre stato l'aspirazione di sovrani e governanti. Un esempio per tutti: Alessandro Magno. Questi, in seguito alle sue conquiste, aveva imposto una koinè linguistica (e noi sappiamo che il linguaggio ha tutta una serie di implicazioni che investono ogni aspetto della vita) a popoli e culture diverse dalla sua e comunque sottomessi con la forza delle armi. Dopo di lui, ma anche prima, tanti altri. Tuttavia, ogni volta i popoli si erano scrollati dal tallone del più forte.
Oggi, quello che non era riuscito a tanti sovrani e governi, che hanno mosso eserciti e sterminato popoli, è riuscito in modo indolore (?) ad una "macchina universale" come viene definito il computer, ed alla tecnologia che hanno uniformato (?) gusti e valori.
In seguito a questi processi globalizzanti, spazi e tempi da una parte si sono polverizzati, dall'altra enormemente dilatati. In questa divaricazione si collocano le relazioni sociali, non più legate, come un tempo, alla territorialità. Si polverizza, di conseguenza, anche il senso di appartenenza ad un territorio, ad uno stile di vita, a un'etica, ad una filosofia, alle varie espressioni artistiche, ecc... in favore di modelli imposti spesso dall'economia capitalistica, dalla Global Governance, dal Potentato del Superfluo, ecc...
Alla luce di queste considerazioni, oggi, si può ancora parlare di post-moderno ?
Sembrerebbe di no, perchè esso riceve una forte spinta destabilizzante dalla globalizzazione, processo, appunto, che comporta una comunicazione diffusa e generalizzata che tende alla unitarietà delle manifestazioni planetarie. Ma, tali manifestazioni, invece, dovrebbero caratterizzarsi per una radicale dicotomia: globali da una parte e, locali dall'altra.
Infatti, se prevalesse la prima ipotesi, il linguaggio subirebbe un appiattimento su valori occidentali, poiché in occidente ha avuto inizio il processo di globalizzazione. Invece, se prevalesse la seconda si potrebbe dare il caso che il linguaggio globalizzato potrebbe localizzarsi secondo lo stile locale, appunto, arricchendosi di infinite sfumature, di infinite tonalità.
A mo' di esempio: il Rinascimento iniziando da una piccola patria con un suo specifico linguaggio, man mano che si diffondeva nei vari paesi, si arricchiva dello stile di questi e conseguentemente arricchiva il linguaggio rinascimentale nella sua totalità.
Ai giorni nostri il "processo" di globalizzazione investe qualunque cultura in senso lato e molto rapidamente, ma all'interno di essa dovrebbero interagire le culture locali e quindi locale e globale si dovrebbero intrecciare e non contrapporsi. Dalla contrapposizione, infatti, risulterà inevitabile che il destino del locale sarà quello di essere fagocitato dal più forte: il globale.
In altre parole, lo Zeitgeist (spirito del tempo e quindi linguaggio) che ha come idea portante la globalizzazione con le sue varie implicazioni sociali, economiche, politiche, culturali ecc... dovrebbe subire una stratificazione costituita dalla sommatoria delle varie identità territoriali. In questo senso la netta distinzione tra mondo occidentale, forte della sua globalizzazione, della sua filosofia, religione, economia, antropologia, ecc... basati sull'uso della dea ragione e mondo orientale con le sue strutture culturali, religiose, sociali ecc... basate più sulla irrazionalità, verrebbe a cadere e le due culture del mondo si integrerebbero a vicenda, costituendo il primo dei meta-racconti legati alla globalizzazione.
Facciamo un esempio: il concetto di relativismo, nella cultura indiana ed orientale in genere, risale all’idea di essere e di non-essere, che non sono entità distinte, come è stato quasi sempre nella cultura occidentale, ma sottintendono l’idea che ogni elemento è contemporaneamente essere e non-essere, cioè pieno e vuoto insieme. Questa astrazione è rappresentata dal simbolo che tutti conosciamo dello Jin e delle Yang, in cui la parte nera (vuoto, non essere) contiene una piccola circonferenza bianca (pieno, essere) e viceversa, la bianca contiene il cerchietto nero, in una continua dialettica in cui gli elementi fluiscono gli uni negli altri senza fondersi mai.
Di conseguenza, così concepito, il vuoto non è apparentabile al nostro nulla, appunto perché esso ha una sua efficacia e, come dice Pasqualotto, «ciò fa si che ciascuna forma materiale sia quella che è in rapporto ad altre forme materiali ... il vuoto agisce già all'interno di ciascuna forma materiale distruggendo le sue pretese di avere e di far valere un "sé" autonomo«. E più relativismo di questo ? Ma sostanzialmente diverso da quello occidentale.
In ultima analisi, in seguito alla globalizzazione, le identità nazionali e regionali non devono andare perdute a causa di quel famoso pregiudizio eurocentrico. Infatti, esso porta dietro di sé l'idea della globalizzazione, la quale affonda le sue radici nel mondo statunitense. Ma questo, sostanzialmente, dal punto di vista culturale, dipende ed è assimilabile a grandi linee alla cultura occidentale.
Sembra riduttivo e pregiudizievole il lavorio della cultura occidentale, ed italiana in particolare, di recuperare nel mondo greco i miti fondanti, parametri di riferimento, per re-interpretarli alla luce dei nuovi tempi, anche perché se questo può valere per i paesi di cultura neolatina, assolutamente indifferente essi sono per i paesi di lingua anglosassone e slava. All'interno dell'Europa stessa, infatti, i vari miti fondanti le varie civiltà sono estremamente diversificati e variegati E quindi questo modo di vedere le cose mi sembra riduttivo se non provincialistico.
Invece, lo ribadiamo, dovremmo guardare, in seguito a questo processo di globalizzazione, ai due grandi sistemi di pensiero esistenti al mondo: il razionalistico proprio dell'eurocentrismo e l'irrazionalistico proprio delle culture orientali. A nostro avviso, solo in questo modo si dovrebbe "lavorare", al fine di dare vita ad una nuova koinè, ad un nuovo meta-racconto in cui possa riconoscersi, ed autorappresentarsi il mondo globalizzato.
Se le due grandi culture di riferimento (orientale-irrazionale, occidentale-razionale) del mondo resteranno localizzate ed elaborate secondo le rispettive specificità in seno al processo di globalizzazione, (nonostante nel passato siano state rigidamente separate) potrebbero trovarsi parametri di riferimento, in grado di dare senso all?esistenza dell?individuo e dei popoli e nello stesso tempo potrebbero sortire l?effetto di salvaguardare culture autoctone, localistiche, regionali e quindi singole memorie storiche. Esse, come abbiamo ribadito, comunque ! costituiscono sempre un arricchimento dello zeitgeist. I Romani, erano altri tempi allora ! unificavano l'impero attraverso le leggi lasciando apparentemente intatto tutto il resto, (questo solo fatto, tuttavia, meriterebbe una trattazione più lunga) «tu regere imperio polulos ...», dice Virgilio, che più o meno si potrebbe tradurre: «Tu ricorda, o Romano, di dominare i popoli; queste saranno le tue arti, stabilire norme alla pace, risparmiare i sottomessi e debellare i riottosi». E proprio su quel «debellare i riottosi» che si appunta il nostro discorso, perché molti popoli «riottosi» furono sterminati. I Cartaginesi, ad esempio, il cui territorio fu dato alle fiamme e bruciò per diciassette giorni consecutivi, ecc... Oggi, di molte minoranze di allora e di diversi popoli noi non conosciamo nulla o molto poco. Quelli che ebbero l’onore delle cronache ci sono giunti attraverso i libri, ma altri ?
Ma forse la storia non è mai magistra vitae.
In chiusura, vorrei sottolineare il fatto che queste sono considerazione spicciole da non addetti ai lavori, ma che esprimono un'intima convinzione. Se perdiamo l'occasione di elaborare le due grandi culture orientale ed occidentale, per ricavarne nuovi parametri di riferimento, avremo perso la partita con la storia e con la globalizzazione.
In ultima analisi e con un esempio un po' più calzante. Immaginiamo di avere uno sfondo qualsiasi, diciamo bianco. Su di esso poggiamo i linguaggi simbolici dell'uno e dell'altro sistema di pensiero dell'una e dell'altra parte del mondo. All'interno di questa superficie (la globalizzazione !) e grazie ad essa si verificheranno una serie infinita di intersezioni tra questi linguaggi, in cui una forma, una intersezione darà luce e forza all'altra in una osmosi continua. Solo in tal modo l'arido linguaggio della razionalità tecnica potrà "riempirsi" per dar luogo ad un "nuovo" umanismo, ad un "nuovo" Meta-Racconto, nella consapevolezza che il "nuovo" è sempre "l'antico" che rivive, però, in forme nuove.
Utopie ?
(G.Pasqualotto, Estetica del vuoto, Venezia, Marsilio, 2007, pag. 53, 6^ ed.).
|