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Un'intervista su Mark Rothko nello studio di Claudio Zambianchi  
Francesco Franco
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Maggio 2008, n. 493
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Area Interviste

Rothko è fra i più grandi pittori del novecento e la mostra che si è chiusa a gennaio, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, lo ha ricordato al pubblico e agli specialisti (Rothko, cat. della mostra, a cura di O. Wick, Palazzo delle Esposizioni, Roma 6/10/07-6/1/2008, Milano 2007).
Claudio Zambianchi ha studiato per molti anni l'arte americana del dopoguerra. Ha scritto vari articoli su "Il Venerdì di Repubblica", su "L'Unità" e molti saggi in cataloghi di mostre su artisti dell'Ottocento e del Novecento. Nel 2007, per "Il Sole 24 Ore", è uscita in edicola una sua ampia monografia su Claude Monet. È professore di Storia dell'Arte Contemporanea alla Sapienza, Università di Roma. La sua attività di ricerca si unisce a una grande disponibilità verso le numerose problematiche accademiche degli studenti. Mi ha sempre colpito di non aver quasi mai udito uno studente parlare male di lui, neppure dopo una bocciatura all'esame. È certamente una situazione invidiabile e il segno di una vera vocazione all'insegnamento, piuttosto rara nell'università italiana.
Claudio Zambianchi mi riceve nel suo studio, rispondendo pazientemente a ogni mia domanda, per un'ora.



Si ricorda quando è avvenuto il suo primo incontro con l'arte di Mark Rothko ?

È un dato storicamente irrilevante per quanto riguarda la fortuna di Rothko. Ho incominciato a vederlo quando era già morto. I primi quadri li ho visti a Londra, alla vecchia Tate Gallery, credo, nel 1975-76, quando andavo a Londra per studiare l'Inglese. Avevo sedici-diciassette anni e mi colpì molto. I Seagram Murals sono fra le cose più belle di Rothko. Poi l'ho rivisto, qualche anno dopo, negli Stati Uniti. Ero in Texas e ho visto la Rothko Chapel, a Houston. È molto diversa dai Seagram Murals. Guardandola ho capito una cosa che quando ero adolescente intendevo meno: stando di fronte ai suoi lavori "scuro su scuro", a tele in cui all'inizio le forme sono quasi indistinguibili dallo sfondo, standoci un po' davanti ... poi le cose cominciano a muoversi, a vibrare. Non solo la superficie del quadro, ma lo spazio intorno al quadro, fra l'osservatore e i trittici, cominciano a vibrare in modo emozionante. Anche se le riproduzioni sono spesso molto belle, Rothko in riproduzione non si capisce. Almeno rispetto a questa caratteristica della superficie, della vibrazione della superficie e della vibrazione fra l'osservatore e lo spazio. Poi l'ho rivisto in vari musei americani ed europei. Fino ad allora ho visto un Rothko tardo. A Parigi, nella grande mostra del '99, ho visto il primo Rothko, che fino ad allora non conoscevo molto bene. Mi ha colpito capire che nei suoi primi anni era un pittore singolare, molto interessante, per certi aspetti, ma non era un gran pittore.


È un artista russo che arriva negli Stati Uniti prima dell'adolescenza. Cosa conserva della cultura russa, europea e cosa acquisisce di quella americana ?

Non ho una risposta precisissima. Dipende dal momento in cui consideriamo l'arte di Rothko. Se prendiamo il pittore delle origini: non c'è nulla che ricordi la pittura dell'avanguardia russa. Del resto, ha lasciato la Russia talmente giovane: non si può pensare che avesse visto opere dell'avanguardia suprematista o costruttivista. Per quanto riguarda le influenze dell'arte europea, ovviamente, l'arte americana di quando Rothko inizia, negli anni trenta, è fortemente intrisa di fonti europee ... È banale dire che c'è Henri Matisse. C'è Milton Avery, un matisseiano americano al quale è abbastanza vicino in quegli anni; un piccolo maestro, ma molto interessante dal punto di vista della vibrazione cromatica. P. Picasso c'è in tutti e c'è anche in lui. In Rothko ci sono i grandi maestri dell'avanguardia europea, come in tutti gli altri Americani. L'arte moderna negli Stati Uniti, per tutti gli anni trenta, è fortemente condizionata dall'arte europea. Poi, alla fine degli anni trenta, con i Surrealisti, si crea il punto di svolta per tanti Americani: cominciano a capire il Surrealismo, che fino ad allora avevano visto, per lo più, da lontano e soprattutto in un'interpretazione abbastanza purificata e formalista. Dopo, le cose iniziano a cambiare. Si può porre il problema di un eventuale riferimento consapevole all'avanguardia russa ... a Kazimir Malevic, eventualmente. C'è lo stesso senso di rarefazione, di astrazione. Malevic e Alexander Rodchenko possono essere fonti, alla fine degli anni quaranta, nel passaggio all'astrazione totale. Sicuramente, in questo passaggio all'astrazione, c'è qualcosa di W. Kandinsky. Ci può essere un rinvio - ma questo è molto problematico - ai mosaici russi, a un rapporto con l'oro, con questo senso di "spazio invaso dalla luce". Non mi sentirei di sottoscrivere questo con certezza, ma è molto suggestivo. Certo ... i mosaici ai quali normalmente ci si riferisce sono ortodossi ... e Rothko è ebreo. Soprattutto nei primi anni della sua vita ... non dico che mai sia stato ortodosso, però la cultura ebraica ha avuto una qualche influenza su di lui, anche abbastanza forte, nei primi anni in cui è arrivato in America. Quindi il riferimento ai mosaici e alle icone ... ci può essere, ma è molto difficile da provare. E poi, casomai, arriva dopo. Non riguarda le origini, ma gli sviluppi astratti di Rothko.


Rothko, secondo lei, è definibile meglio come "espressionista astratto" o come "impressionista astratto" ?

Queste sono etichette. Io, come molti altri, tendo a vedere questa pittura americana (Rothko, Jackson Pollock, Clyfford Still, Barnett Newman, Arshile Gorky, Willem De Kooning) come un fenomeno, composto da individualità molto forti e ben identificabili, che ha però dei temi di riflessione comuni. Se con "Espressionismo Astratto" non si individua qualcosa che è sia "espressionista" sia "astratto"; ma si prende come etichetta puramente tassonomica, di definizione storica di un momento della pittura americana ... allora Rothko è un espressionista astratto. "Impressionista astratto" ? Non mi convince. Non è impressionista astratto se si vuole dare una definizione che sia l'opposto di espressionista. Impressionista astratto, in genere, si dice per metterlo a contrasto con De Kooning, Pollock, eventualmente Franz Kline, che avevano fatto dell'attività del segno un fattore espressivo importante. Questa attività del segno in Rothko rimane; rimane sempre ai bordi di questi grandi rettangoli che caratterizzano la sua pittura.


In Rothko l'attività segnica resta sempre visibile ?

Resta sottostante. Resta determinante. Non è una superficie placida quella di Rothko, è una superficie attiva. Certo, non è attiva come quella di Clyfford Still. È stato detto "impressionista astratto", ma è un'etichetta che lo stacca da un contesto dal quale, secondo me, non può essere staccato; altrimenti si rischia di non capirlo.


Quindi non può definirsi una "pittura dell'inazione" nell'ambito dell'Action Painting ?

Harold Rosenberg coniuga questa espressione nel '52. È riferita a De Kooning, a una pennellata molto evidente. La sua è una bella pennellata, carica di colori, un po' all'europea. Per quanto riguarda Pollock, l'espressione funziona? Semplicemente perché Pollock si muove sulla tela? Pollock si stacca dalla tela. Action Painting è un termine interessante per la nozione che porta della tela: l'idea della tela come "arena". Ma quando si va a definire più esattamente che cosa sia ... saltano fuori gli elementi problematici della definizione.


Alcune opere di Rothko sono caratterizzate da un forte senso di profondità. Il lavoro che P. Mondrian svolgeva con le tinte piatte e uniformi viene riletto da Rothko attraverso la pittura impressionista e la pittura di M. Whistler ?

Sono state dette molte cose su questo. È stato fatto il riferimento, molto suggestivo, da questo punto di vista, alla spazialità profonda, sterminata del Romanticismo nordico, di Caspar Friedrich. È Robert Rosenblum che lo dice.


Anche Rothko lavora con le trasparenze dei colori e in modo estremamente poetico ... Esatto ?

Sì, però, dipende a cosa servono. Gli Impressionisti non suggeriscono la profondità, ma, casomai, la piattezza e la convenzionalità della superficie. Il paragone con l'Impressionismo può esser fatto, soprattutto con gli esiti dell'ultimo Monet; ma, in senso stretto, con ciò che succede negli anni settanta non mi sembra che ci sia molta interferenza. L'interferenza con Mondrian sicuramente è presente. Si guardava molto a Mondrian in quegli anni. Era costruito, criticamente, come un artista che cercava di eccedere le due dimensioni del quadro in una dimensione ambientale ... Quella di Rothko è una spazialità in cui la misurabilità non è un fattore importante. C'è questa possibilità della pittura di effondersi nello spazio che la ospita. È tipico dell'Espressionismo Astratto: è di Rothko, di Newman, di Still, di Pollock e, assai meno, di De Kooning. In Rothko la profondità va al rovescio, va verso lo spettatore, che si sente coinvolto e avvolto dallo spazio pittorico.


Non ci sono entrambi i movimenti? Non c'è un avanzare, ma anche uno sprofondare della pittura ?

È lo spettatore che sprofonda dentro al quadro, però. Cioè: non è soltanto l'occhio. Si sente che la superficie apre uno spazio incommensurabile. "Profondità" non è la parola che si applica meglio alla pittura di Rothko. Casomai: vibrazione, dimensione ambientale, senso di avvolgimento. Questi elementi prevalgono rispetto a un'idea di profondità, che è associata a una percezione, in senso lato, naturalistica. La pittura dell'Espressionismo Astratto, in generale, e quella di Rothko marcatamente, sono pittura astratta. Non c'è figura, non c'è neanche un lacerto di figura, soprattutto in Rothko e in Pollock.


Sono molti gli slogan coi quali viene definita la pittura di Rothko. Concorda con Roberto Pasini quando scrive che nella pittura di Rothko «la regola si è fatta emozione e l'emozione si è fatta regola» ?

Era Georges Braque che diceva «amo la regola che corregge l'emozione». Ma il problema del mondo è che non c'è regola. De Kooning, nella sua generazione, lo dice abbastanza chiaramente, più o meno così: «l'idea che il mondo sia un caos e che la pittura debba mettervi ordine mi sembra profondamente sbagliata». Sono convinto che tutti la pensassero, più o meno, in questo modo. Nessuno di costoro parte dall'idea di dare una regola al mondo. L'idea di mettersi in rapporto con la difficoltà e la caoticità del mondo, per sentire di più se stessi, è il problema di questa generazione. Regola? No, assolutamente. La partenza di tutti costoro è surrealista. L'unica regola era di non averne, come l'unica regola della psicanalisi è di mettersi sul lettino e dire allo psicanalista quello che ti viene in mente. La regola non c'è; ci sono delle esplorazioni, dei carotaggi, degli esperimenti, ricerche, ma non c'è nulla che si congeli in regola.


Questo paragone con la psicanalisi è molto interessante. Se pensiamo a come nasce la psicanalisi, la psicanalisi freudiana ... di dogmi, di regole ce ne sono. Mentre gli Espressionisti Astratti questi dogmi non li avevano o sbaglio ?

Io stavo facendo solo un'analogia di metodo. Penso che nessuno avesse letto ... o Rothko forse sì ... Rothko è più colto degli altri.


Alcuni degli Espressionisti Astratti facevano psicanalisi ?

Pollock ha fatto analisi jungiana, però, non freudiana. È difficile capire che cosa avessero recepito esattamente di Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Quel che avevano acquisito dal Surrealismo, non dai testi a cui André Breton si ispirava (quindi da Freud), è l'idea di poter fare una pittura "originaria", determinata, senza filtri, da una pulsione originaria. L'interferenza con la psicanalisi, in senso stretto, non c'è. L'idea che l'arte possa essere espressione dell'inconscio, invece, c'è, anche molto fortemente. È la definizione di inconscio che non c'è, in modo così preciso.


Esistono lavori di questo artista che non sono per nulla emozionanti o che, soggettivamente, non la emozionano affatto ?

I primi, quelli dipinti male. C'è quello molto famoso: Slow Swirl at the Edge of the Sea del 1944. È un lavoro monumentale, che però rimane pittoricamente molto "sordo". Non ha nulla di particolarmente emozionante, coinvolgente. Se si fosse fermato lì sarebbe stato un artista molto interessante, molto intelligente, ma un cattivo pittore. Vari lavori dell'inizio mi sembrano molto interessanti dal punto di vista intellettuale, ma dal punto di vista pittorico scarsamente emozionanti. Poi Rothko capisce che deve lavorare sugli spessori, sul progressivo intridere la tela col pigmento: i lavori diventano tutti emozionanti. Poi ... ci sono quelli riusciti meglio. Ogni tanto si espongono le stesure, ma sarebbe meglio lasciarle dove sono o spiegare che sono nelle mostre perché documentano certe modalità di affrontare la superficie pittorica. Quelli fatti per essere esposti, non rimasti a metà, sono molto emozionanti, spesso travolgenti.


Prima ha detto che ci sono lavori di Rothko dipinti male. Si può parlare male di un grande artista, oltre che nei saggi scientifici, anche al grande pubblico? Non bisogna avere tabù ?

No, non bisogna avere tabù. Prendi il caso del G. De Chirico metafisico. È uno di coloro che cambiano la storia della pittura, però quella pittura è brutta! È intenzionalmente brutta. È quel tanto che basta a creare un'immagine: non c'è il senso dell'atmosfera, degli spessori cromatici. Non c'è il senso della pittura che ha Picasso, anche quando fa lavori di grande rigore, in cui elimina quasi completamente il colore. La pittura di Picasso è quasi sempre bella; quella di De Chirico è quasi invariabilmente brutta pittura; ma la brutta pittura è un fattore che esprime altro.
Nel caso di Rothko ci sono alcuni tentativi, fatti fino al '45. Alcuni riusciti, altri meno. Certi quadri di Rothko sono molto interessanti dal punto di vista dell'immagine, ma dal punto di vista della realizzazione pittorica sono brutti. Allora, perché non si deve dirlo? C'è un problema nel maneggiare gli strumenti del pittore. Non è intenzionale, come in De Chirico. Questo problema, a un certo punto, si risolve in una maniera che fa di Rothko uno dei grandi coloristi del novecento. Perché non dire che ci arriva faticosamente? Ci arriva con enormi difficoltà. Ha una manualità difficile; poi si libera. Sicuramente anche il dripping di Pollock è un'invenzione che parte anche da certe difficoltà che aveva nel maneggiare la pittura a contatto con la tela, quando questa pittura si era fatta troppo materica.
Se un quadro è brutto lo vede anche il grande pubblico. Più che "brutto", se è dipinto male lo vede anche il pubblico. Si può porre il problema: «L'ha fatto apposta ?» Nel caso di De Chirico dirà di sì. Nel caso di Rothko dirà: «Fin qui ancora non era riuscito a trovare una soluzione soddisfacente per maneggiare i mezzi dell'artista».


Credo che molti di noi amino contemporaneamente la buona pittura e la buona tavola. Nel 1958 il pittore russo realizzò una serie di opere per il ristorante Four Seasons, nel Seagram Building di New York, su invito di Philip Johnson (allievo di M. Van der Rohe). Ho sempre pensato, però, che la pittura di Rothko vada fruita lontano dai pasti. È un'arte sulla quale si può meditare, forse anche pregare, ma è troppo intensa per facilitare la digestione. Non è certamente un'arte pop. Non crede ?

Bisogna vedere se l'arte Pop faciliti la digestione. Di fronte agli Hamburger di Claes Oldenburg avrei qualche dubbio. La storia dei dipinti per il Four Seasons Restaurant è abbastanza chiara e va nel senso della domanda. Rothko non ammetteva che i suoi quadri fossero delle decorazioni che stessero dentro uno spazio fatto per uno scopo diverso: fornire del buon cibo, in un ristorante di lusso, agli uomini d'affari. A un certo punto ha rinunziato a questa commissione. Lo spazio di quelle istallazioni di Rothko va pensato come qualcosa da guardare complessivamente più che nei singoli episodi. La forza di quello spazio è tale per cui diventa "uno spazio sacro" - come dice Michel Butor nel saggio Le Moschee di New York - dentro una città che sacra non è. L'esperienza del buon mangiare non si concilia con quella pittura.


Anche Rothko si accorse di questa inconciliabilità della sua pittura "religiosa" con la vita mondana, con la società dei consumi? È per questo che nel 1967, dopo essersi pentito di aver lavorato per l'industria alimentare d'elite, decise di lavorare ancora con Johnson, ma questa volta per una chiesa di Houston (Texas), realizzando quella che verrà chiamata la Rothko Chapel (a cui ha già accennato) ?

Anche qui i rapporti con Johnson non sono semplici. Johnson, in queste circostanze, fa sempre la figura migliore. È uomo molto pragmatico. È stato un eccellente architetto; spesso anche un cattivo architetto. Però in questi rapporti con gli artisti è stato sempre estremamente disponibile, in alcune circostanze, anche a tirarsi indietro, come mostrano le vicende del Seagram Building e della Cappella di Houston. Sì, la pittura di Rothko è più adatta a uno spazio meditativo, quasi religioso, a forte temperatura spirituale, che non a uno spazio laico. Non perché lui avesse disgusto per i sensi: la sua è una pittura che si appoggia molto pesantemente sulla nostra esperienza percettiva e, quindi, sensuale. La percezione di un quadro di Rothko parte dai sensi, ma dovrebbe indurre un'esperienza di carattere spirituale assai più rarefatto di quella a cui inducono l'esperienza del cibo o del sesso.


Mi ha sempre impressionato che l'ultimo colore uscito dalle mani di Rothko sia stato il rosso vivo del suo sangue (quando nel suo studio di New York, il 25 febbraio 1970, si tagliò le vene dei polsi). La liquidità della sua pittura portava già in sé questa tragicità? Alcuni rossi delle sue tele presagivano già questa fine ?

Francamente no. Casomai, quello che fa immaginare una fine tragica di Rothko sono il pessimismo e la cupezza che compaiono nelle tele finali; tele senza luce. Non si può escludere che in Rothko possano esistere delle valenze simboliche associate a certi colori. Che il rosso abbia un'associazione, da che mondo è mondo, con il sangue, è talmente generico ... è valido per Rothko come per chiunque. Non direi che ci sia un'anticipazione della fine in questo. Quando un uomo si toglie la vita è molto difficile capire che cosa avesse in mente in quel momento. È una di quelle cose davanti alle quali l'interpretazione dovrebbe fermarsi, piuttosto che procedere.


Pensa che questa ultima e atroce "performance" dell'artista abbia influito sulla lettura postuma dei suoi quadri ?

No. Che il soggetto della pittura dovesse essere "tragico e senza tempo" era già nel Rothko del '43. Era in una lettera al "New York Times", scritta proprio da lui - credo - nel '43, insieme a Adolph Gottlieb e a Barnett Newman (che non appare). C'era un senso elevato dell'arte, ma in una chiave tragica, prima che diventasse pittore astratto. È stato sempre uno dei suoi temi profondamente meditati e sentiti. Non è la tragicità della fine che induce a leggere la sua pittura in una chiave di tragedia. Il destino dell'uomo è tragico: questo è quello che pensa Rothko. Il suicidio può essere il punto terminale di una riflessione di questo genere, ma conosciamo tanti pessimisti che poi non si sono suicidati. Il suicidio ha sempre delle motivazioni talmente complesse che non dovrebbe determinare un'interpretazione immediata. Sta dentro la vita di una persona.


Secondo lei, in generale, l'arte di Rothko vale quello che costa ?

I prezzi di ogni cosa li fa il mercato e non la qualità. Vale quel che costa dal punto di vista del mercato. In fondo, Rothko è morto, i lavori in giro sono abbastanza pochi, quelli importanti, in circolazione, sono ancora meno ... La critica non considera migliori o peggiori gli artisti se costano più o meno di altri. Le valutazioni di mercato sono abbastanza indipendenti dal valore di un pittore. Si paga tanto anche un francobollo per la sua rarità. Se ci fossero centinaia o migliaia di bei lavori di Rothko o di Monet si pagherebbero molto meno e sarebbero la stessa identica cosa, dal punto di vista materiale e artistico.


Se dovesse salvare un solo quadro di questo artista? Quale opera metterebbe nell'Arca di Noè? Un'opera da tramandare ai posteri, da far sopravvivere a un diluvio universale ...

Eh ! ... Buonasera ! ... [ride per la difficoltà della scelta] Intendendola come un'opera sola: i Seagram Murals della Tate Gallery. Sono un'opera sola. Fanno capire la dimensione ambientale, la vibrazione della pittura; il senso di una pittura con un'ambizione spirituale molto forte.


Non le chiedo se può permetterselo, ma, senza badare a spese, quale opera di Rothko acquisterebbe, pagandola il suo attuale valore di mercato, senza chiedere sconti ?

È No. 14 (Golden composition) del 1949 [presente alla mostra di Palazzo delle Esposizioni chiusa a gennaio]. Qui ancora non ci sono i rettangoli in una maniera così netta come, invece, ci saranno l'anno dopo. Dal punto di vista della rilucenza, della luminosità - non è un quadro tanto grande - è travolgente e me lo comprerei ... avendo i soldi. Questo non lo lascerei in eredità all'umanità, ma al mio erede, mio figlio, che si chiama come te.





Claudio Zambianchi nel suo studio alla Sapienza, Università di Roma, 2007

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Claudio Zambianchi nel suo studio alla Sapienza, Università di Roma, 2007

Foto cortesia Francesco Franco

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