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Un soggetto mai realizzato di Pratolini e Zeffirelli  
Gianluca Schiavo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 24 Luglio 2009, n. 532
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   Come noto, il cinema era una delle più grandi passioni di Vasco Pratolini. Ad essa lo scrittore fiorentino si è lungamente dedicato, sia contribuendo alla versione cinematografica di alcune sue opere narrative, sia collaborando, come soggettista e sceneggiatore, con alcuni dei più importanti registi italiani della seconda metà del Novecento, da Roberto Rossellini a Luchino Visconti.

   All’inizio degli anni Cinquanta egli lavorò, insieme al giovane Franco Zeffirelli, a un interessante soggetto ambientato nella Firenze di fine anni Trenta. Il testo, che avrebbe dovuto anche portare al debutto di Zeffirelli come regista, per vari motivi non fu mai realizzato. La critica degli ultimi decenni ne ha fatto menzione abbastanza di rado. A noi pare utile fare qualche considerazione più approfondita su di esso.

   Il punto di partenza del progetto è rappresentato da un breve racconto scritto da Pratolini e pubblicato dal Politecnico vittoriniano nell’ottobre 1945 con il titolo Il segreto. Quando nel 1947 lo scrittore darà alle stampe Mestiere da vagabondo (che comprenderà la raccolta di racconti a sfondo autobiografico già pubblicata nel 1943 con il titolo Le amiche e il brano Lungo viaggio di Natale) il testo sarà aggregato ai racconti della raccolta. Un nuovo breve ritratto di donna andò dunque ad aggiungersi alla decina già pubblicata nel ’43. Rispetto al testo uscito sul Politecnico, cambieranno solo il titolo, che diventerà Vanda [1] , e qualche piccolo dettaglio lessicale. Il racconto diventò dunque parte integrante delle Amiche e in quanto tale fu incluso anche nel Diario sentimentale, pubblicato nel 1956.

   La vicenda è ambientata nella Firenze del 1938. Il momento è abbastanza drammatico per l’Italia e per l’Europa tutta, “i rossi spagnoli avevano perduto Brunete, un marito aveva ammazzato la moglie, il Governo votava la legge sulla razza, ma erano tutti fatti che passavano lontano da noi, titoli di giornali. Per noi contavano le ore sul Ponte, le passeggiate sui viali, e suo padre che rifiutava di conoscermi. ‘Lo convincerò, vedrai’ diceva Vanda”. [2] Il contesto storico è dunque angosciante, con la guerra di Spagna che volge a favore della destra totalitaria e una guerra ancora più terribile che incombe sul continente europeo. Tutto ciò sembra però non toccare la vita quotidiana dei protagonisti, dell’anonimo ‘io narrante’ e della sua giovane fidanzata, fatta di piccole gioie tipiche di un amore nascente.

   C’è però qualcosa di strano nell’atteggiamento della ragazza. Non è tanto il fatto che non lo ha ancora presentato ai suoi familiari, per la qual cosa ella ha una spiegazione abbastanza convincente: essi sono ancora minorenni e il fidanzamento potrà essere ufficializzato solo con la maggiore età. E’un non meglio specificato “segreto” a cui la donna fa spesso riferimento pur senza spiegarlo mai con esattezza, che la rende abbastanza inquieta e talvolta la fa persino piangere, ma a cui il fidanzato tutto sommato non dà mai molta importanza, ritenendo forse che si tratti di una futile ‘cosuccia’ adolescenziale.

   All’improvviso Vanda sparisce nel nulla. L’uomo per la prima volta va a casa sua per saperne di più. Trova una donna che, dopo qualche perplessità iniziale, gli parla della famiglia della ragazza, rivelandogli la natura dell’inquietudine che la logorava (e dunque anche il “segreto” che ella custodiva): “ ‘il babbo di Vanda è impazzito tre mesi fa, dopo che lo cacciarono dall’impiego perché è un ebreo. E’impazzito dalla disperazione’. ‘E Vanda?’ chiesi. ‘Non ho idea dove possa essere andata’ rispose la donna ‘Forse a cercare un prestito da qualche parte. Sa, facciamo il possibile per aiutarla, siccome anche lei ha perso il lavoro, ma noi pure non nuotiamo nell’oro…’”. [3]

   Prima di chiudere il racconto lo scrittore aggiunge solo poche altre parole, che ci fanno capire cosa è successo alla ragazza: “Due giorni dopo, lontano, prossimo alla foce, il fiume restituì il corpo di Vanda”. [4] Come spesso capita nella narrativa pratoliniana, le grandi tragedie sono descritte in maniera indiretta.

  Il racconto è molto breve e tanto la vicenda quanto il carattere della ragazza sono semplicemente accennati. A pochi mesi dalla fine della guerra fa comunque la sua apparizione il tema delle leggi razziali fasciste e delle conseguenze che esse ebbero sulla quotidianità delle persone che ne furono travolte, ebrei ma anche ‘ariani’ che con loro avevano stretto rapporti di amicizia. Pratolini, che fino a quel momento ha dato alle stampe solo opere basate largamente sul ripensamento della propria storia individuale, sta dunque iniziando ad allargare il proprio sguardo e ad elaborare un nuovo tipo di letteratura che negli anni successivi darà risultati di grande valore. Letteratura fondata sulla descrizione degli effetti che la macrostoria, ossia le decisioni dei governanti, provoca nella microstoria, nella quotidianità delle persone che appartengono alle fasce più basse della società (nel Segreto il narratore è praticante giornalista, la ragazza commessa e il padre ufficiale giudiziario). La giovane Vanda, di fronte alla persecuzione razziale che si abbatte sulla sua comunità religiosa e sulla sua famiglia, non ha la forza di reggere e decide di togliersi la vita.

  

   Nel 1952 Pratolini e Zeffirelli decisero di iniziare a lavorare a un film ispirato proprio al racconto e a tale scopo scrissero un ampio soggetto intitolato I fidanzati. Secondo il progetto, il debuttante Zeffirelli avrebbe dovuto dirigere le riprese e per i due ruoli principali si pensò a Walter Chiari e Lucia Bosè. Nei due anni successivi vari produttori esaminarono il testo ma nessuno di loro ritenne opportuno finanziare le riprese. Il progetto fu dunque accantonato e il debutto cinematografico di Zeffirelli avverrà solo nel ’57, con la commedia Camping. Nel 1954 il soggetto fu pubblicato dalla rivista Cinema nuovo in quattro puntate e undici pagine, nella sezione significativamente intitolata I film che avrebbero voluto fare.

   Alla prima puntata fu premesso il testo del breve messaggio che Pratolini aveva inviato ad Aristarco, direttore della rivista, che conteneva qualche riflessione sui motivi che erano forse stati alla base dello scarso successo del soggetto presso i produttori: “1) la protagonista è una ragazza ebrea e proprio dal suo essere ebrea durante la guerra nasce la tragedia: argomento scabroso e di nessun richiamo sul pubblico; 2) è vero che si tratta essenzialmente di una storia d’amore, ma di una storia d’amore ‘che finisce male’, addirittura con un suicidio: altro argomento scabroso e impopolare”. [5]

   Come vedremo, il soggetto è innanzitutto un notevole ampliamento della materia del racconto, che si arricchisce di molti particolari. Tuttavia in esso gli autori cambiano anche alcuni dettagli del racconto, a partire dall’anno in cui la vicenda si svolge, che non è più il 1938 ma il 1939. Non è una differenza da poco, perché la drammatica cornice storica in cui la vicenda sentimentale è inquadrata non è più rappresentata solo dalle leggi razziali ma dalla stessa seconda guerra mondiale che ha iniziato a devastare l’Europa. L’Italia è ancora non belligerante ma nessuno si fa troppe illusioni su come andrà a finire. Il contesto bellico ci trasmette con ancora maggiore intensità la tragica sensazione di una Storia che con i suoi orrori travolge la dimensione privata delle persone umili, per le quali è assolutamente impossibile sottrarsi a tale meccanismo. Bruno (nel soggetto il fidanzato di Vanda ha ovviamente un nome) deve infatti partire per il servizio militare, che in tempo di guerra può significare il fronte.

   Si accentua il divario sociale tra i due ragazzi: Bruno lavora come corniciaio e vive in un modesto appartamento nel quartiere popolare di Santa Croce. Ciò permette agli autori di rappresentare suggestivamente alcune scene di vita quotidiana della Firenze popolare, operazione in cui Pratolini notoriamente eccelle e che è senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti della sua narrativa. Lo stesso passo che descrive la scena iniziale del film è estremamente pregevole: “E’ il quartiere di Santa Croce, un dopocena. L’aria ventilata della sera compensa della calura meridiana la gente del quartiere seduta sulle panchine, sulle sedie nane trasportate dalle case, sulla scalinata della Chiesa e tutt’intorno, là dove, altissima sul piedistallo, la statua dell’Alighieri sembra dominare, superba e aggrondata, l’animazione e il vocio della piazza” (p. 277).

   Nel testo colpiscono molto alcuni aspetti della vita di quartiere che, nella narrativa pratoliniana, erano stati alla base di molte belle pagine delle Cronache di poveri amanti, il suo grande capolavoro [6] . Ad esempio la labilità della linea che separa la sfera privata da quella pubblica. Nei rioni più popolari della città nulla è davvero privato. Quando Bruno porta a casa Vanda per farla conoscere alla madre, teoricamente dovrebbe trattarsi di un momento familiare molto privato ma Fiammetta, la sorellina dell’uomo, ha avvertito tutto il vicinato e nel quartiere c’è dunque una grande attesa. Quando i giovani arrivano i vicini cercano di mostrarsi indifferenti, ma dopo, quando essi stanno andando via, la gioiosa curiosità del vicinato esplode:

 

Discendono, e sulla porta di strada, ecco che la piccola Fiammetta, Guido e gli altri ragazzi, improvvisano loro una festa. Bambini cresciuti, discoli un tanto, quali sono, battono le mani e gridano: “I fidanzati. I fidanzati”. Dalle finestre, dalle soglie, gli adulti si uniscono ai ragazzi. I vicini si chiamano dai cortili interni, dalle terrazze. La voce passa da una casa all’altra e tutti vogliono vedere la bella fidanzata di Bruno. (p. 312).

 

   Non è però mera curiosità. La grande conseguenza positiva di questa stretta commistione di pubblico e privato è che, quando qualcuno nel quartiere ha un grave problema, gli amici lo considerano come un problema di tutti e si mobilitano per aiutarlo. Bruno ad esempio ha con Alfredo un rapporto molto particolare:

 

 Alfredo era amico di suo padre. Lui e sua moglie assistettero la famiglia di Bruno nei momenti difficili, dopo la morte del padre: e il loro figlio, Guido, è compagno di giochi di Fiammetta. Bruno prova per Alfredo un sentimento vivo di riconoscenza, e di stima insieme. Lo sa un uomo onesto e leale, a cui chiedere consiglio e solidarietà all’occorrenza. Alfredo lo tratta affettuosamente, dicendogli “nano” e battendogli forte la grossa mano sulla spalla. (p. 278).

 

   Parlando di solidarietà verso il vicino in difficoltà, viene in mente il passo delle Cronache in cui l’intero quartiere si mobilita, nel cuore della notte, per aiutare Milena a ritrovare il marito Alfredo che non ha fatto ritorno a casa. Si scoprirà poi che si trova in ospedale, essendo rimasto vittima di un’aggressione da parte di alcuni squadristi fascisti. [7]

   Altro aspetto estremamente pregevole del soggetto è la grande capacità degli autori di affrontare efficacemente un complesso tema storico-politico attraverso la narrazione di una storia d’amore. Si tratta di una delle caratteristiche fondamentali della migliore narrativa pratoliniana, che troverà anche in Metello uno dei suoi esempi più significativi. [8]

   Nei limiti di quanto la brevità del testo consente, in alcuni passi gli autori si soffermano sugli aspetti più strettamente psicologici del dramma che i personaggi stanno vivendo. Particolarmente complessa è la situazione psicologica degli ebrei italiani, che va ben oltre la semplice e inevitabile paura per quanto potrà accadere. Ci sono ad esempio le umiliazioni, che con il passare del tempo diventano sempre più pesanti. Molti di loro perdono il lavoro, compresi Vanda e suo padre. Si moltiplicano anche le aggressioni fisiche ai danni di componenti della comunità ebraica fiorentina, ad opera di esponenti della parte più rabbiosamente oltranzista dello schieramento fascista.

   Un risvolto molto particolare di tale dramma psicologico è rappresentato dalla paura di mettere nei guai quei non ebrei che avessero offerto il loro aiuto. “Non accomuniamo i nostri amici nella nostra disgrazia”, dice il rabbino in sinagoga parlando ai fedeli, “Accettate il loro aiuto, ma cercate sempre di evitare che la loro generosità non gli procuri danno. Fate in modo di non comprometterli per nessun motivo” (p. 312). Le parole del rabbino sconvolgono profondamente Vanda e la portano alla decisione di proporre a Bruno una pausa nel loro rapporto, per il timore che un’eventuale ulteriore frequentazione possa metterlo in pericolo. Poiché la ragazza non ha ancora parlato a Bruno della sua religione (né lo farà mai, per timore della sua reazione, sarà lui a scoprirlo casualmente), ella giustifica la sua proposta con pretesti poco credibili, causando una rottura abbastanza traumatica. Si tratta di una delle principali differenze fra la trama del soggetto e quella del racconto.

   L’atteggiamento del mondo ebraico italiano di fronte al fascismo fu notoriamente abbastanza complesso. Nella borghesia ebraica non mancarono coloro che per molti anni appoggiarono con convinzione il regime mussoliniano. Come noto, alcune tra le migliori pagine della narrativa di Giorgio Bassani vertono proprio su tale aspetto. Nei Fidanzati non mancano riferimenti a ebrei compromessi con il regime. Di particolare squallore è soprattutto la figura di Gennazzani, fascista della ‘prima ora’ e imprenditore piuttosto noto in città, soprattutto in quanto dirigente della squadra calcistica della Fiorentina. In seguito all’approvazione delle leggi razziali l’uomo ha mantenuto, dietro le quinte, un rapporto abbastanza stretto con alcuni gerarchi, soprattutto con il segretario della federazione fascista di Firenze. Nella parte conclusiva della vicenda Gennazzani riesce addirittura a convincere Vanda a concedersi a lui, con la truffaldina promessa di far ottenere alla famiglia della ragazza quei passaporti che avrebbero significato la salvezza. L’ultima immagine che abbiamo di lui lo vede preparare frettolosamente la valigia per fuggire in Inghilterra, poche ore prima che Mussolini pronunci la dichiarazione di guerra: “Ella insiste, disperatamente, chiedendo dove sono i passaporti suo e dei suoi ch’egli la sera prima le ha detto di avere già pronti, presso di sé. Egli non l’ascolta, si affanna a chiudere la valigia. Scosta con un gesto di violenza la ragazza che gli si era gettata addosso, infila la porta” (p. 344).

   Le leggi razziali, aggravate dall’entrata in guerra dell’Italia, sono del resto un dramma psicologico anche per molti italiani non ebrei. Lo sono innanzitutto per migliaia di brave persone che hanno degli ebrei alle proprie dipendenze e che sono costretti a lasciarli disoccupati, come appunto il datore di lavoro di Vanda:

 

   In quel momento il padrone del negozio la chiama, deve parlarle. E’ un uomo anziano, bonario, cordiale; ed è imbarazzato, non trova le parole per cominciare […] come per farsi coraggio, cava dal cassetto una carta: è il modulo che ogni industriale o commerciante deve riempire, riferendo circa i propri dipendenti; lo stato civile, la religione, la razza a cui appartengono … “Lei, signorina, è brava, è cara, mi è preziosa. Ma io, per il mio lavoro, con una clientela in prevalenza sempre più tedesca … Finirebbero con l’impormelo di licenziarla, col pigliarmi d’occhio per questo … Non le dico di restare a casa da domani, le dico: cerchi un altro impiego, e tra quindici, venti giorni, sia lei a dirmi: signor Pratesi, ho trovato, me ne vado” (pp. 313-314).

 

   Del resto l’inizio della persecuzione antiebraica fu un momento di drammatico disorientamento anche per una parte dello stesso schieramento fascista. Decenni di cameratismo con molti ebrei aderenti al partito rendevano difficile, soprattutto per molti gerarchi periferici, conformarsi alle nuove disposizioni, considerare ‘diversi’, se non addirittura ‘nemici’, uomini che per tanto tempo erano stati considerati ‘camerati’. Nel testo che Pratolini e Zeffirelli redigono troviamo anche questo aspetto, soprattutto nella figura del Federale fascista fiorentino, che non perde occasione per scambiare con Gennazzani un sorriso di complicità. Alla fine lo aiuta anche a mettersi in salvo in Inghilterra, proprio poche ore prima che la dichiarazione di guerra mussoliniana chiuda i collegamenti aerei tra i due paesi.

   Nel quadro psicologico che il testo disegna c’è anche un altro interessante risvolto, rappresentato dalla grande confusione mentale che molti giovani italiani denotano di fronte all’argomento ‘razziale’. Essi sono cresciuti in anni di progressivo avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista, in cui dunque le parole d’ordine del razzismo hitleriano iniziavano lentamente a farsi strada. E’però evidente che esse non sono riuscite ancora a toccare le corde più profonde del loro animo. Per Bruno l’antisemitismo è più che altro, se così possiamo dire, uno sgradevole repertorio di frasi da usare nei momenti di rabbia, ad esempio quando si convince (e in quel momento la cosa non era ancora vera) che Vanda abbia una relazione con Gennazzani: “Il Gennazzani, quello schifoso di ebreo, per caso? Con la sua auto, la sua ricchezza, cosa ti ha promesso, la bella vita? […] Uno schifoso di ebreo, razzaccia sporca” (p. 313). Quando però la rabbia passa e il ragazzo viene a sapere la verità sul “segreto” di Vanda, è evidente che l’antisemitismo, nonostante tutto, è lontano anni luce dalla sua visione: “Era quello allora il ‘segreto’ di Vanda? Vanda è ebrea? Ma a lui che importa ch’ella sia ebrea? E’il suo amore, la ragazza lungamente sognata, che due giorni prima gli ha fatto dono della sua verginità – e che ora è in pericolo, forse” (p. 375).

   La vicina di casa di Vanda, che poco prima aveva lanciato contro i familiari della ragazza delle grida antisemite per piccole scaramucce condominiali, di fronte alla scena del loro arresto inizia ad urlare di nuovo sconvolta, ma le sue parole sono di ben altro segno: “Ma io […] urlavo contro di loro perché mi sporcavano il pianerottolo, mica perché erano ebrei! Cosa conta se sono ebrei? Sono delle brave e oneste persone…” (p. 375).

   In conclusione, il soggetto presenta molti elementi di interesse, che ci fanno guardare con un certo rimpianto alla sua mancata realizzazione. Leggendone il contenuto, inevitabilmente si incontrano anche elementi meno gradevoli, alcuni dei quali peraltro corrispondono a noti aspetti negativi della prosa pratoliniana. Ad esempio il grande lirismo, che innegabilmente in alcuni punti della narrativa dello scrittore toscano raggiunge dei livelli non facilmente sopportabili. Nei Fidanzati non mancano passi eccessivamente strappalacrime, soprattutto nella parte conclusiva, quando la vicenda va assumendo caratteri sempre più drammatici. Vanda, “sola nella sua camera, finalmente, si libera in singhiozzi; evoca il nome di Bruno in un sussurro, tra le lacrime” (p. 314). Il ragazzo stesso, poco dopo, non è da meno, arriva a casa e “si getta tra le braccia della madre, singhiozzando” (p. 376).

   Non è particolarmente entusiasmante neanche il groviglio di equivoci che si viene a creare nella parte conclusiva della vicenda (totalmente assente nel breve racconto) e che contribuisce in maniera determinante al tragico epilogo. Bruno che si convince erroneamente che la donna gli abbia proposto una pausa di riflessione poiché segretamente innamorata di Gennazzani. Il fatto che il ragazzo assista poi a un incontro tra i due, che in realtà avviene solo per motivi di lavoro ma che consolida il suo convincimento. Ancora, proprio nelle ultime battute, Vanda che fraintende le dure parole che la madre di Bruno le rivolge, che in realtà sono solo l’inizio un po’ brusco del discorso di una suocera affettuosa, ma che la ragazza scambia per atto di avversione nei suoi confronti. Tutto ciò rende ancora più disperata la sua situazione psicologica (i suoi familiari sono stati arrestati da poco) e genera l’epilogo, che anche nel soggetto è presentato in maniera indiretta, attraverso uno scambio di battute tra alcuni passanti che guardano l’Arno:

 

“Si è buttata di qui”, dicono.

“Un bel volo”.

“Era una donna”.

“Era una ragazza, l’avevo vista pochi momenti prima, l’avevo invitata a rifugiarsi nel ricovero più vicino [c’è stato un allarme aereo]”dice la guardia.

   Sul fiume, con le bambe, dei renajoli cercano il corpo di Vanda. hanno una lampada con loro.

“Via quella luce!” gli grida dalla spalletta il milite dell’UNPA. “tanto, non c’è più nulla da fare. Ci penseremo domattina”. (p. 376).

 

   Il progetto di Pratolini e Zeffirelli di portare sullo schermo la vicenda non andò dunque a buon fine. Tuttavia il regista Sergio Capogna si ispirò liberamente al racconto e al soggetto in due diversi momenti. Innanzitutto nel 1954, quando realizzò il cortometraggio Roma 1938 come saggio di diploma in regia presso il Centro sperimentale di cinematografia. Pratolini lo vide e lo apprezzò profondamente. Quindi nel 1972 con il lungometraggio Diario di un italiano, con Mara Venier e Donatello nei due ruoli principali e la prestigiosa partecipazione di Alida Valli nella parte dell’anziana madre del ragazzo. Il risultato è stato però giudicato dalla critica abbastanza modesto.

 



NOTE

[1] Quasi tutti i ritratti delle Amiche hanno infatti nome di donna.

[2] Vasco Pratolini, “Il segreto”, Il Politecnico,a.  I, n. 5,  27 ottobre 1945, p.1.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem..

[5] Vasco Pratolini, Franco Zeffirelli, “I fidanzati”, Cinema nuovo, n.35, 1954, p. 277. Il soggetto è pubblicato dal n. 35 al n. 38. Per brevità le prossime citazioni, dove non diversamente indicato, si riferiranno all’insieme del soggetto e saranno seguite, tra parentesi, dalla sola indicazione della pagina.

[6] V.Pratolini, Cronache di poveri amanti, Firenze: Vallecchi, 1947.

[7] L’intero passo, uno dei più belli delle Cronache, si trova nell’edizione citata alle pp. 94-99.

[8] V.Pratolini, Metello, Firenze: Vallecchi, 1955. Come noto, ciò fece inorridire la critica più ‘ideologizzata’. Celebre la polemica di Carlo Muscetta, che tuonò contro un Metello “rappresentato più in camera da letto che alla Camera del Lavoro” (Carlo Muscetta, “Metello e la crisi del neorealismo”, Società, agosto 1955. Il saggio è ora in Id., Realismo, neorealismo, controrealismo, Milano: Garzanti, 1976, pp. 117-141).




 

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