Come noto, il cinema era una delle
più grandi passioni di Vasco Pratolini. Ad essa lo scrittore fiorentino si è
lungamente dedicato, sia contribuendo alla versione cinematografica di alcune
sue opere narrative, sia collaborando, come soggettista e sceneggiatore, con
alcuni dei più importanti registi italiani della seconda metà del Novecento, da
Roberto Rossellini a Luchino Visconti.
All’inizio degli anni Cinquanta egli lavorò, insieme al giovane Franco
Zeffirelli, a un interessante soggetto ambientato nella Firenze di fine anni
Trenta. Il testo, che avrebbe dovuto anche portare al debutto di Zeffirelli
come regista, per vari motivi non fu mai realizzato. La critica degli ultimi
decenni ne ha fatto menzione abbastanza di rado. A noi pare utile fare qualche
considerazione più approfondita su di esso.
Il punto di partenza del progetto
è rappresentato da un breve racconto scritto da Pratolini e pubblicato dal Politecnico
vittoriniano nell’ottobre 1945 con il titolo Il segreto. Quando nel 1947
lo scrittore darà alle stampe Mestiere da vagabondo (che comprenderà la
raccolta di racconti a sfondo autobiografico già pubblicata nel 1943 con il
titolo Le amiche e il brano Lungo viaggio di Natale) il
testo sarà aggregato ai racconti della raccolta. Un nuovo breve ritratto di
donna andò dunque ad aggiungersi alla decina già pubblicata nel ’43. Rispetto
al testo uscito sul Politecnico, cambieranno solo il titolo, che
diventerà Vanda ,
e qualche piccolo dettaglio lessicale. Il racconto diventò dunque parte
integrante delle Amiche e in quanto tale fu incluso anche nel Diario
sentimentale, pubblicato nel 1956.
La vicenda è ambientata nella
Firenze del 1938. Il momento è abbastanza drammatico per l’Italia e per
l’Europa tutta, “i rossi spagnoli avevano perduto Brunete, un marito aveva
ammazzato la moglie, il Governo votava la legge sulla razza, ma erano tutti
fatti che passavano lontano da noi, titoli di giornali. Per noi contavano le
ore sul Ponte, le passeggiate sui viali, e suo padre che rifiutava di
conoscermi. ‘Lo convincerò, vedrai’ diceva Vanda”. Il
contesto storico è dunque angosciante, con la guerra di Spagna che volge a
favore della destra totalitaria e una guerra ancora più terribile che incombe
sul continente europeo. Tutto ciò sembra però non toccare la vita quotidiana
dei protagonisti, dell’anonimo ‘io narrante’ e della sua giovane fidanzata,
fatta di piccole gioie tipiche di un amore nascente.
C’è però qualcosa di strano
nell’atteggiamento della ragazza. Non è tanto il fatto che non lo ha ancora
presentato ai suoi familiari, per la qual cosa ella ha una spiegazione
abbastanza convincente: essi sono ancora minorenni e il fidanzamento potrà
essere ufficializzato solo con la maggiore età. E’un non meglio specificato
“segreto” a cui la donna fa spesso riferimento pur senza spiegarlo mai con
esattezza, che la rende abbastanza inquieta e talvolta la fa persino piangere,
ma a cui il fidanzato tutto sommato non dà mai molta importanza, ritenendo
forse che si tratti di una futile ‘cosuccia’ adolescenziale.
All’improvviso Vanda sparisce nel
nulla. L’uomo per la prima volta va a casa sua per saperne di più. Trova una
donna che, dopo qualche perplessità iniziale, gli parla della famiglia della
ragazza, rivelandogli la natura dell’inquietudine che la logorava (e dunque
anche il “segreto” che ella custodiva): “ ‘il babbo di Vanda è impazzito tre
mesi fa, dopo che lo cacciarono dall’impiego perché è un ebreo. E’impazzito
dalla disperazione’. ‘E Vanda?’ chiesi. ‘Non ho idea dove possa essere andata’
rispose la donna ‘Forse a cercare un prestito da qualche parte. Sa, facciamo il
possibile per aiutarla, siccome anche lei ha perso il lavoro, ma noi pure non
nuotiamo nell’oro…’”.
Prima di chiudere il racconto lo
scrittore aggiunge solo poche altre parole, che ci fanno capire cosa è successo
alla ragazza: “Due giorni dopo, lontano, prossimo alla foce, il fiume restituì
il corpo di Vanda”. Come spesso capita nella
narrativa pratoliniana, le grandi tragedie sono descritte in maniera indiretta.
Il racconto è molto breve e tanto
la vicenda quanto il carattere della ragazza sono semplicemente accennati. A
pochi mesi dalla fine della guerra fa comunque la sua apparizione il tema delle
leggi razziali fasciste e delle conseguenze che esse ebbero sulla quotidianità
delle persone che ne furono travolte, ebrei ma anche ‘ariani’ che con loro
avevano stretto rapporti di amicizia. Pratolini, che fino a quel momento ha
dato alle stampe solo opere basate largamente sul ripensamento della propria
storia individuale, sta dunque iniziando ad allargare il proprio sguardo e ad
elaborare un nuovo tipo di letteratura che negli anni successivi darà risultati
di grande valore. Letteratura fondata sulla descrizione degli effetti che la
macrostoria, ossia le decisioni dei governanti, provoca nella microstoria,
nella quotidianità delle persone che appartengono alle fasce più basse della
società (nel Segreto il narratore è praticante giornalista, la ragazza
commessa e il padre ufficiale giudiziario). La giovane Vanda, di fronte alla
persecuzione razziale che si abbatte sulla sua comunità religiosa e sulla sua
famiglia, non ha la forza di reggere e decide di togliersi la vita.
Nel 1952 Pratolini e Zeffirelli
decisero di iniziare a lavorare a un film ispirato proprio al racconto e a tale
scopo scrissero un ampio soggetto intitolato I fidanzati. Secondo il
progetto, il debuttante Zeffirelli avrebbe dovuto dirigere le riprese e per i
due ruoli principali si pensò a Walter Chiari e Lucia Bosè. Nei due anni
successivi vari produttori esaminarono il testo ma nessuno di loro ritenne
opportuno finanziare le riprese. Il progetto fu dunque accantonato e il debutto
cinematografico di Zeffirelli avverrà solo nel ’57, con la commedia Camping.
Nel 1954 il soggetto fu pubblicato dalla rivista Cinema nuovo in
quattro puntate e undici pagine, nella sezione significativamente intitolata I
film che avrebbero voluto fare.
Alla prima puntata fu premesso il
testo del breve messaggio che Pratolini aveva inviato ad Aristarco, direttore
della rivista, che conteneva qualche riflessione sui motivi che erano forse
stati alla base dello scarso successo del soggetto presso i produttori: “1) la
protagonista è una ragazza ebrea e proprio dal suo essere ebrea durante la
guerra nasce la tragedia: argomento scabroso e di nessun richiamo sul pubblico;
2) è vero che si tratta essenzialmente di una storia d’amore, ma di una storia
d’amore ‘che finisce male’, addirittura con un suicidio: altro argomento
scabroso e impopolare”.
Come vedremo, il soggetto è
innanzitutto un notevole ampliamento della materia del racconto, che si
arricchisce di molti particolari. Tuttavia in esso gli autori cambiano anche
alcuni dettagli del racconto, a partire dall’anno in cui la vicenda si svolge,
che non è più il 1938 ma il 1939. Non è una differenza da poco, perché la
drammatica cornice storica in cui la vicenda sentimentale è inquadrata non è
più rappresentata solo dalle leggi razziali ma dalla stessa seconda guerra
mondiale che ha iniziato a devastare l’Europa. L’Italia è ancora non
belligerante ma nessuno si fa troppe illusioni su come andrà a finire. Il
contesto bellico ci trasmette con ancora maggiore intensità la tragica
sensazione di una Storia che con i suoi orrori travolge la dimensione privata
delle persone umili, per le quali è assolutamente impossibile sottrarsi a tale
meccanismo. Bruno (nel soggetto il fidanzato di Vanda ha ovviamente un nome)
deve infatti partire per il servizio militare, che in tempo di guerra può
significare il fronte.
Si accentua il divario sociale tra
i due ragazzi: Bruno lavora come corniciaio e vive in un modesto appartamento
nel quartiere popolare di Santa Croce. Ciò permette agli autori di
rappresentare suggestivamente alcune scene di vita quotidiana della Firenze
popolare, operazione in cui Pratolini notoriamente eccelle e che è senza dubbio
uno degli aspetti più affascinanti della sua narrativa. Lo stesso passo che
descrive la scena iniziale del film è estremamente pregevole: “E’ il quartiere
di Santa Croce, un dopocena. L’aria ventilata della sera compensa della calura
meridiana la gente del quartiere seduta sulle panchine, sulle sedie nane
trasportate dalle case, sulla scalinata della Chiesa e tutt’intorno, là dove,
altissima sul piedistallo, la statua dell’Alighieri sembra dominare, superba e
aggrondata, l’animazione e il vocio della piazza” (p. 277).
Nel testo colpiscono molto alcuni
aspetti della vita di quartiere che, nella narrativa pratoliniana, erano stati
alla base di molte belle pagine delle Cronache di poveri amanti, il suo
grande capolavoro. Ad esempio la
labilità della linea che separa la sfera privata da quella pubblica. Nei rioni
più popolari della città nulla è davvero privato. Quando Bruno porta a casa
Vanda per farla conoscere alla madre, teoricamente dovrebbe trattarsi di un
momento familiare molto privato ma Fiammetta, la sorellina dell’uomo, ha
avvertito tutto il vicinato e nel quartiere c’è dunque una grande attesa.
Quando i giovani arrivano i vicini cercano di mostrarsi indifferenti, ma dopo,
quando essi stanno andando via, la gioiosa curiosità del vicinato esplode:
Discendono, e sulla porta di
strada, ecco che la piccola Fiammetta, Guido e gli altri ragazzi, improvvisano
loro una festa. Bambini cresciuti, discoli un tanto, quali sono, battono le
mani e gridano: “I fidanzati. I fidanzati”. Dalle finestre, dalle soglie, gli
adulti si uniscono ai ragazzi. I vicini si chiamano dai cortili interni, dalle
terrazze. La voce passa da una casa all’altra e tutti vogliono vedere la bella
fidanzata di Bruno. (p. 312).
Non è però mera curiosità. La
grande conseguenza positiva di questa stretta commistione di pubblico e privato
è che, quando qualcuno nel quartiere ha un grave problema, gli amici lo
considerano come un problema di tutti e si mobilitano per aiutarlo. Bruno ad
esempio ha con Alfredo un rapporto molto particolare:
Alfredo era amico di suo padre. Lui e sua
moglie assistettero la famiglia di Bruno nei momenti difficili, dopo la morte
del padre: e il loro figlio, Guido, è compagno di giochi di Fiammetta. Bruno
prova per Alfredo un sentimento vivo di riconoscenza, e di stima insieme. Lo sa
un uomo onesto e leale, a cui chiedere consiglio e solidarietà all’occorrenza. Alfredo
lo tratta affettuosamente, dicendogli “nano” e battendogli forte la grossa mano
sulla spalla. (p. 278).
Parlando di solidarietà verso il
vicino in difficoltà, viene in mente il passo delle Cronache in cui
l’intero quartiere si mobilita, nel cuore della notte, per aiutare Milena a
ritrovare il marito Alfredo che non ha fatto ritorno a casa. Si scoprirà poi
che si trova in ospedale, essendo rimasto vittima di un’aggressione da parte di
alcuni squadristi fascisti.
Altro aspetto estremamente
pregevole del soggetto è la grande capacità degli autori di affrontare
efficacemente un complesso tema storico-politico attraverso la narrazione di una
storia d’amore. Si tratta di una delle caratteristiche fondamentali della
migliore narrativa pratoliniana, che troverà anche in Metello uno dei
suoi esempi più significativi.
Nei limiti di quanto la brevità
del testo consente, in alcuni passi gli autori si soffermano sugli aspetti più
strettamente psicologici del dramma che i personaggi stanno vivendo.
Particolarmente complessa è la situazione psicologica degli ebrei italiani, che
va ben oltre la semplice e inevitabile paura per quanto potrà accadere. Ci sono
ad esempio le umiliazioni, che con il passare del tempo diventano sempre più pesanti.
Molti di loro perdono il lavoro, compresi Vanda e suo padre. Si moltiplicano
anche le aggressioni fisiche ai danni di componenti della comunità ebraica
fiorentina, ad opera di esponenti della parte più rabbiosamente oltranzista
dello schieramento fascista.
Un risvolto molto particolare di
tale dramma psicologico è rappresentato dalla paura di mettere nei guai quei
non ebrei che avessero offerto il loro aiuto. “Non accomuniamo i nostri amici
nella nostra disgrazia”, dice il rabbino in sinagoga parlando ai fedeli,
“Accettate il loro aiuto, ma cercate sempre di evitare che la loro generosità
non gli procuri danno. Fate in modo di non comprometterli per nessun motivo”
(p. 312). Le parole del rabbino sconvolgono profondamente Vanda e la portano
alla decisione di proporre a Bruno una pausa nel loro rapporto, per il timore
che un’eventuale ulteriore frequentazione possa metterlo in pericolo. Poiché la
ragazza non ha ancora parlato a Bruno della sua religione (né lo farà mai, per
timore della sua reazione, sarà lui a scoprirlo casualmente), ella giustifica
la sua proposta con pretesti poco credibili, causando una rottura abbastanza
traumatica. Si tratta di una delle principali differenze fra la trama del
soggetto e quella del racconto.
L’atteggiamento del mondo ebraico
italiano di fronte al fascismo fu notoriamente abbastanza complesso. Nella
borghesia ebraica non mancarono coloro che per molti anni appoggiarono con
convinzione il regime mussoliniano. Come noto, alcune tra le migliori pagine
della narrativa di Giorgio Bassani vertono proprio su tale aspetto. Nei Fidanzati
non mancano riferimenti a ebrei compromessi con il regime. Di particolare
squallore è soprattutto la figura di Gennazzani, fascista della ‘prima ora’ e
imprenditore piuttosto noto in città, soprattutto in quanto dirigente della
squadra calcistica della Fiorentina. In seguito all’approvazione delle leggi
razziali l’uomo ha mantenuto, dietro le quinte, un rapporto abbastanza stretto
con alcuni gerarchi, soprattutto con il segretario della federazione fascista
di Firenze. Nella parte conclusiva della vicenda Gennazzani riesce addirittura
a convincere Vanda a concedersi a lui, con la truffaldina promessa di far
ottenere alla famiglia della ragazza quei passaporti che avrebbero significato
la salvezza. L’ultima immagine che abbiamo di lui lo vede preparare
frettolosamente la valigia per fuggire in Inghilterra, poche ore prima che
Mussolini pronunci la dichiarazione di guerra: “Ella insiste, disperatamente,
chiedendo dove sono i passaporti suo e dei suoi ch’egli la sera prima le ha
detto di avere già pronti, presso di sé. Egli non l’ascolta, si affanna a
chiudere la valigia. Scosta con un gesto di violenza la ragazza che gli si era
gettata addosso, infila la porta” (p. 344).
Le leggi razziali, aggravate
dall’entrata in guerra dell’Italia, sono del resto un dramma psicologico anche
per molti italiani non ebrei. Lo sono innanzitutto per migliaia di brave
persone che hanno degli ebrei alle proprie dipendenze e che sono costretti a
lasciarli disoccupati, come appunto il datore di lavoro di Vanda:
In quel momento il padrone del negozio la chiama, deve parlarle. E’ un
uomo anziano, bonario, cordiale; ed è imbarazzato, non trova le parole per
cominciare […] come per farsi coraggio, cava dal cassetto una carta: è il
modulo che ogni industriale o commerciante deve riempire, riferendo circa i
propri dipendenti; lo stato civile, la religione, la razza a cui appartengono …
“Lei, signorina, è brava, è cara, mi è preziosa. Ma io, per il mio lavoro, con
una clientela in prevalenza sempre più tedesca … Finirebbero con l’impormelo di
licenziarla, col pigliarmi d’occhio per questo … Non le dico di restare a casa
da domani, le dico: cerchi un altro impiego, e tra quindici, venti giorni, sia
lei a dirmi: signor Pratesi, ho trovato, me ne vado” (pp. 313-314).
Del resto l’inizio della
persecuzione antiebraica fu un momento di drammatico disorientamento anche per
una parte dello stesso schieramento fascista. Decenni di cameratismo con molti
ebrei aderenti al partito rendevano difficile, soprattutto per molti gerarchi
periferici, conformarsi alle nuove disposizioni, considerare ‘diversi’, se non
addirittura ‘nemici’, uomini che per tanto tempo erano stati considerati
‘camerati’. Nel testo che Pratolini e Zeffirelli redigono troviamo anche questo
aspetto, soprattutto nella figura del Federale fascista fiorentino, che non
perde occasione per scambiare con Gennazzani un sorriso di complicità. Alla
fine lo aiuta anche a mettersi in salvo in Inghilterra, proprio poche ore prima
che la dichiarazione di guerra mussoliniana chiuda i collegamenti aerei tra i
due paesi.
Nel quadro psicologico che il
testo disegna c’è anche un altro interessante risvolto, rappresentato dalla
grande confusione mentale che molti giovani italiani denotano di fronte
all’argomento ‘razziale’. Essi sono cresciuti in anni di progressivo
avvicinamento dell’Italia alla Germania nazista, in cui dunque le parole
d’ordine del razzismo hitleriano iniziavano lentamente a farsi strada. E’però
evidente che esse non sono riuscite ancora a toccare le corde più profonde del
loro animo. Per Bruno l’antisemitismo è più che altro, se così possiamo dire,
uno sgradevole repertorio di frasi da usare nei momenti di rabbia, ad esempio
quando si convince (e in quel momento la cosa non era ancora vera) che Vanda
abbia una relazione con Gennazzani: “Il Gennazzani, quello schifoso di ebreo,
per caso? Con la sua auto, la sua ricchezza, cosa ti ha promesso, la bella
vita? […] Uno schifoso di ebreo, razzaccia sporca” (p. 313). Quando però la
rabbia passa e il ragazzo viene a sapere la verità sul “segreto” di Vanda, è
evidente che l’antisemitismo, nonostante tutto, è lontano anni luce dalla sua
visione: “Era quello allora il ‘segreto’ di Vanda? Vanda è ebrea? Ma a lui che
importa ch’ella sia ebrea? E’il suo amore, la ragazza lungamente sognata, che
due giorni prima gli ha fatto dono della sua verginità – e che ora è in
pericolo, forse” (p. 375).
La vicina di casa di Vanda, che
poco prima aveva lanciato contro i familiari della ragazza delle grida
antisemite per piccole scaramucce condominiali, di fronte alla scena del loro
arresto inizia ad urlare di nuovo sconvolta, ma le sue parole sono di ben altro
segno: “Ma io […] urlavo contro di loro perché mi sporcavano il pianerottolo, mica
perché erano ebrei! Cosa conta se sono ebrei? Sono delle brave e oneste
persone…” (p. 375).
In conclusione, il soggetto
presenta molti elementi di interesse, che ci fanno guardare con un certo
rimpianto alla sua mancata realizzazione. Leggendone il contenuto,
inevitabilmente si incontrano anche elementi meno gradevoli, alcuni dei quali
peraltro corrispondono a noti aspetti negativi della prosa pratoliniana. Ad
esempio il grande lirismo, che innegabilmente in alcuni punti della narrativa
dello scrittore toscano raggiunge dei livelli non facilmente sopportabili. Nei Fidanzati
non mancano passi eccessivamente strappalacrime, soprattutto nella parte
conclusiva, quando la vicenda va assumendo caratteri sempre più drammatici.
Vanda, “sola nella sua camera, finalmente, si libera in singhiozzi; evoca il
nome di Bruno in un sussurro, tra le lacrime” (p. 314). Il ragazzo stesso, poco
dopo, non è da meno, arriva a casa e “si getta tra le braccia della madre,
singhiozzando” (p. 376).
Non è particolarmente
entusiasmante neanche il groviglio di equivoci che si viene a creare nella
parte conclusiva della vicenda (totalmente assente nel breve racconto) e che
contribuisce in maniera determinante al tragico epilogo. Bruno che si convince
erroneamente che la donna gli abbia proposto una pausa di riflessione poiché
segretamente innamorata di Gennazzani. Il fatto che il ragazzo assista poi a un
incontro tra i due, che in realtà avviene solo per motivi di lavoro ma che
consolida il suo convincimento. Ancora, proprio nelle ultime battute, Vanda che
fraintende le dure parole che la madre di Bruno le rivolge, che in realtà sono
solo l’inizio un po’ brusco del discorso di una suocera affettuosa, ma che la
ragazza scambia per atto di avversione nei suoi confronti. Tutto ciò rende
ancora più disperata la sua situazione psicologica (i suoi familiari sono stati
arrestati da poco) e genera l’epilogo, che anche nel soggetto è presentato in
maniera indiretta, attraverso uno scambio di battute tra alcuni passanti che
guardano l’Arno:
“Si è buttata di qui”, dicono.
“Un bel volo”.
“Era una donna”.
“Era una ragazza, l’avevo vista
pochi momenti prima, l’avevo invitata a rifugiarsi nel ricovero più vicino [c’è
stato un allarme aereo]”dice la guardia.
Sul fiume, con le bambe, dei renajoli cercano il corpo di Vanda. hanno
una lampada con loro.
“Via quella luce!” gli grida
dalla spalletta il milite dell’UNPA. “tanto, non c’è più nulla da fare. Ci
penseremo domattina”. (p. 376).
Il progetto di Pratolini e Zeffirelli di portare
sullo schermo la vicenda non andò dunque a buon fine. Tuttavia il regista
Sergio Capogna si ispirò liberamente al racconto e al soggetto in due diversi
momenti. Innanzitutto nel 1954, quando realizzò il cortometraggio Roma 1938 come
saggio di diploma in regia presso il Centro sperimentale di cinematografia.
Pratolini lo vide e lo apprezzò profondamente. Quindi nel 1972 con il
lungometraggio Diario di un italiano, con Mara Venier e Donatello nei
due ruoli principali e la prestigiosa partecipazione di Alida Valli nella parte
dell’anziana madre del ragazzo. Il risultato è stato però giudicato dalla
critica abbastanza modesto.
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