1.La
proporzione armonica in architettura
1.1
La Musica come “Scienza” Matematica e come fatto Cosmologico.
Nel
Rinascimento, la relazione tra gli accordi udibili e le proporzioni visibili
non costituiva solo argomento per le speculazioni teoriche, ma, soprattutto,
testimonianza dell’organizzazione matematica di tutto il creato. La musica
indicava non esclusivamente brani vocali e strumentali, ma anche la teoria dei
rapporti, in quanto classificata come “scienza” matematica che “applica” una
serie di operazioni algebriche ad un oggetto di studio.
Sostiene
Zarlino: “musico esser colui che nella musica è perito, si ha facoltà di
giudicare, non per il suono: ma per ragione di quello, che in tale scienza si
contiene…”.
Infatti,
l’aritmetica, studio dei numeri, la geometria, studio dei rapporti spaziali,
l’astronomia, studio dei moti dei corpi celesti, e la musica, studio dei moti
colti dall’orecchio, formavano il Quadrivium
delle “arti” matematiche.
Pertanto,
trascurando gli studi attinenti alla pratica musicale, relegata in posizione
secondaria, anche il filosofo e politico M. T. Severino Boezio (480-525), con
altri pensatori del V-VII secolo (tra cui S. Agostino e Isidoro di Siviglia),
contribuì alla diffusione, nel Medioevo, della teoria musicale greca, dividendo
questa in tre branche:
1.
Musica
mundana;
2.
Musica
Humana;
3.
Musica
quae quibusdam constat instrumentis.
La
prima definisce le relazioni costituenti il Macrocosmo, cioè l’Universo e la
Terra,
i corpi celesti e il loro movimento.
Secondo
la teoria aristotelico-tolemaica, il cosmo è strutturato in una serie di sfere
concentriche costituite da una miscela gassosa, chiamata etere, con la terra
disposta al centro e i pianeti (sole e luna compresi) che le girano intorno
ancorati su tali sfere invisibili. A completamento ci sono le stelle fisse che
ruotano sull’ultima e più grande sfera. L’attrito che viene generato da questi
movimenti produce una musica, inudibile per l’orecchio umano per la lentezza
delle sfere e la distanza che le separa dalla terra.
La
musica Humana riguardava le influenze che l’uomo subiva confrontandosi con il
mondo esterno, che si manifestavano nell’armonioso rapporto tra le sue componenti
fisiche e psichiche.
L’ultima,
la musica instrumentalis, aveva relazione con il mondo dei suoni reali e poteva
essere riallacciata alla musica mundana: essa sarebbe un pallido ed imperfetto
riflesso dell’armonia cosmica.
Esisteva,
quindi, una notevole differenza tra il musicista teorico-matematico e il
compositore-esecutore:
il “Musicus” consacrava i suoi studi alla problematica di conferire ai suoni
proprietà matematiche, con particolare attenzione ai fenomeni oscillatori delle
corde.
Le
sperimentazioni sul monocordo, strumento a corda, richiamano, senz’altro, le
osservazioni dei “martelli” e le idee di Pitagora
e Platone.
I
filosofi pitagorici ritenevano che il moto degli astri fosse regolato
armonicamente da proporzioni numeriche. Poiché anche gli intervalli musicali
erano determinati da simili rapporti matematici,
la potenza del numero coordinava in un unico insieme astri e musica.
Inoltre
la ricerca di proporzionalità utilizzava anche la sezione aurea,
legge matematica semplice, teoria del medio proporzionale,
esteticamente piacevole: alcune indagini realizzate su opere di Leon Battista
Alberti ne hanno evidenziato l’uso benché il grande teorico non abbia mai
rivelato il metodo per ottenere costruzioni dotate di quell’aspetto così armonioso
ed equilibrato.
A
partire dal Quattrocento queste concezioni riacquistarono un’importanza tutta
nuova: per poter essere nobilitate al livello delle arti liberali, infatti,
anche la pittura, la scultura e l’architettura, considerate attività manuali, dovevano
ricevere un saldo fondamento teorico, cioè matematico.
Nel
Rinascimento il proporzionamento armonico dell’architettura, tutto orientato
sul principio generale dell’uso di piccoli numeri interi, organizzava la distribuzione e la
disposizione delle varie parti dell’edificio: l’architetto non è in alcun modo
libero di applicare all’edificio uno schema casuale di rapporti. Questi devono
conciliarsi con un sistema di ordine superiore: c’è rapporto proporzionale tra
l’altezza delle colonne e l’apertura dell’arco, tra il diametro medio della
colonna e la sua altezza, tra base, fusto e capitello, tra i piani
dell’edificio, tra vuoti e pieni, tra larghezza e altezza delle superfici…
Pertanto
l’educazione artistica comportò la familiarità con la teoria musicale.
Nella
vita di Brunelleschi attribuita ad Antonio di Tuccio Manettisi
legge un’espressione: “fece pensiero di ritrovare el modo de’ murarsi
eccellenti e di grand’artificio degli antichi, e le loro proporzioni
musicali…”.
Questa
osservazione, scritta nel 1471, sotto l’influenza dell’Alberti, mostra come il
problema fosse particolarmente sentito dalla sua generazione, come illustra
anche la famosa ammonizione dell’Alberti a Matteo De’ Pasti durante la
costruzione della Chiesa di San Francesco a Rimini, che, riguardo l’alterazione delle
proporzioni dei pilastri, “si discorda
tutta quella musica” e la tavoletta inserita da Raffaello nell’affresco
della Scuola d’Atene che raffigura
gli intervalli musicali pitagorici, designati anche con i nomi (diapason,
diatessaron, diapente).
Le
proporzioni corrispondenti agli intervalli musicali vengono così trasposti
nella progettazione degli edifici diventando la base di veri e propri reticoli
modulari: il sistema delle proporzioni armoniche si basava sugli stessi
rapporti che costituiscono le consonanze musicali (ottava=1:2; quinta=2:3;
quarta=3:4; terza maggiore=4:5; sesta minore=3:5; terza minore=5:6; sesta
maggiore=5:8; seconda=8:9).
1.2
I Trattati
Per
la valutazione esatta della diffusione di tali opinioni, possono contribuire i
numerosi trattati, fonti principali che denunciano il frequentissimo rapporto
tra accordi musicali e arti visive.
Già
alla fine del Quattrocento, Luca Pacioli, matematico, scrisse un intero libro
dedicato alla sezione aurea, illustrato da Leonardo da Vinci, in cui fece
un’analisi delle caratteristiche architettoniche e del corpo umano
convincendosi che la proporzione di Euclide si trovasse nelle opere umane e
naturali più belle. Il titolo consiglia l’uso ai teorici, agli artisti di arti
figurative e ai musicisti: “Divina
proporzione; opera a tutti gli ingegni perspicaci e curiosi necessaria ove
ciascun studioso di prospettiva, pittura, architettura, musica e altre
matematiche soavissima sottile e ammirabile dottrina conseguirà e dilettarassi
con varie questioni di segretissima scienza”.
Pomponio
Gaurico, nel 1503, scrisse il De Scultura,
che ha per oggetto l’armonia del corpo umano. Egli cita più volte il Timeo,
che gli appare come il libro della sapienza, dove è rivelata l’armonia mistica
dell’universo.
Lomazzo,
nel Trattato dell’Arte della Pittura (1584),
analizzò le proporzioni del corpo umano, traducendole in termini musicali. In
una opera successiva, Idea del tempio
della pittura (1590),
dichiarò che i maestri come Leonardo,
Michelangelo e Gaudenzio Ferrari “pervennero alla cognizione della proporzione
armonica per via della musica”.
Per
sottolineare ulteriormente l’analogia tra le armonie e le proporzioni
architettoniche, Lomazzo racconta un evento: l’architetto Giacomo Soldati aveva
aggiunto ai tre ordini greci e ai due romani un sesto ordine “che egli chiamava
armonico, e col suono facilmente lo fa sentir a l’orecchie, ma agli occhi
stenta rappresentarlo, volendo in questo imitar gl’antichi che non meno
sonando, che disegnando, e fabbricando fecero conoscere al mondo l’armonia dei
suoi cinque ordini”.uali organizaqualiququququ
Effettivamente
trovare un sesto ordine che riassumesse le qualità degli altri e che esprimesse
più chiaramente le armonie fondamentali dell’universo, era l’obiettivo di tutti
gli architetti.
All’origine
si pensava che questo ordine fosse stato ispirato direttamente da Dio quando
aveva chiesto a Salomone di costruire il Tempio di Gerusalemme, divenuto
archetipo delle teorie cosmologico-estetiche della proporzione.
Queste
idee furono poi sviluppate dal gesuita spagnolo, teologo della Controriforma,
Giovan Battista Villalpando, la cui influenza, sugli architetti, fu durevole.
La sua famosa ricostruzione del Tempio espone, impeccabilmente, le proporzioni
armoniche dell’intero edificio riferendosi continuamente alla teoria musicale:
le sue speculazioni affondavano le radici nelle opere dell’Alberti, Francesco
Giorgi, Barbaro, e altri.
L’allievo
di Palladio, Scamozzi scrisse un trattato architettonico in cui espose il
sistema tradizionale delle arti liberali, dividendo la musica in “theoricale” e
“naturale”, in cui sosteneva che gli architetti dovevano conoscere la musica
perché dovevano comprendere le ragioni delle consonanze e dissonanze sonore, in
cui discute dei numeri platonici, ecc…
L’analogia
tra proporzioni musicali e architettoniche ritorna nell’introduzione alle Regole delli cinque ordini (1562) del
Vignola: egli cerca di sistematizzare gli ordini cercando di trovare “certa
corrispondenza et proporzione de’ numeri insieme”. Poiché convinto, come
Gioseffo Zarlino, della componente scientifica della musica, superiore che
nell’architettura, nel suo Dimostrazioni
armoniche, diede a quest’ultima una organizzazione di rapporti come nella
prima.
Anche
Franchino Gaffurio, teorico musicale del Rinascimento, ne parlò nei frontespizi
del De
Harmonia Musicorum Instrumentorum del 1518 e del Theorica musice del 1492: egli poneva il principio “Harmonia est
discordia concors” a fondamento del macrocosmo, del microcosmo, del corpo e
dell’anima, della pittura, architettura e medicina, illustrando le consonanze
musicali e la scoperta delle armonie musicali da parte di Pitagora.
A
sottolineare ancora la familiarità degli artisti con queste idee e la loro
predisposizione ad adottarle in pratica, intervengono gli scritti di Francesco
Giorgi che pubblicò, a Venezia, nel 1525, l’opera De Harmonia mundi totius e che fondò tutte le proporzioni
dell’edificio di San Francesco alla Vigna sulla filosofia pitagorico-platonica
dei numeri armonici e che, presentando il suo promemoria al pittore Tiziano,
all’architetto Serlio e all’umanista Fortunio Spira, questi non mostrarono
sorpresa.
Sembra
certo che anche Palladio conoscesse le speculazioni di Giorgi: egli frequentava inoltre il circolo trissiniano
dove apprese lo spirito dell’Accademia Platonica, mentre Daniele Barbaro
facilitò la sua penetrazione nel pensiero filosofico antico come i suoi amici
umanisti verso lo studio di Platone e Aristotele.
Anche
molti pensatori del Seicento e del Settecento riaffermarono la concezione di un
universo matematico, soggetto alle leggi dei rapporti armonici.
La
ritroviamo nella Harmonia mundi di
Keplero (1619), in Galileo e, più tardi, in Shaftesbury, per il quale le leggi
dell’armonia musicale agiscono anche nella natura umana, in Inigo Jones, Henry
Wotton, Reynolds…
Ma
già a partire dal primo Seicento, l’ordine e l’armonia che pervadevano ogni
cosa cominciò a disgregarsi: mentre Blondel
continuava ad occuparsi delle proporzioni musicali in architettura, richiamando
le disquisizioni di Alberti e gli edifici palladiani, C.Perrault
riteneva che gli accordi musicali non potevano tradursi in proporzioni visuali.
Nel
XVIII secolo, con l’affermarsi dell’empirismo, le proporzioni armoniche vennero
sostituite da metriche dettate dal gusto personale: la disputa vide
contrapporsi diversi studiosi.
Francesco
Mattia Preti credeva ancora nell’applicabilità degli accordi musicali
nell’architettura: riallacciandosi a Zarlino, sosteneva che la bellezza
risiedesse nelle proporzioni basate sulla progressione musicale
1,2,3,4,5,6,(ottava, quinta, quarta, terza maggiore o minore) perché le stesse
consonanze “che dilettano l’orecchio, dilettano anche la visione”.
La
stessa opinione avevano Alessandro Barca, Bernardo Antonio Vittone…
Tommaso
Temenza, invece, riteneva che le consonanze musicali non potevano essere
applicate all’architettura perché relative all’angolo di visibilità sotto il
quale è osservato l’edificio,
e perchè non assolute, così anche Guarino Guarini
e, più tardi, Francesco Milizia che subordinava ogni cosa alle leggi della
prospettiva.
Fu,
però, soprattutto in Inghilterra che la struttura dell’estetica classica venne
rovesciata.
Hogarth
rigettava qualunque parallelismo tra matematica e bellezza: “…certe divisioni
uniformi e proporzionali su una corda producono all’orecchio armonia…distanze
simili prese sulle linee della forma visibile dovrebbero produrre, in maniera
analoga, delizia per l’occhio. Del che si è dimostrato vero esattamente il
contrario…eppure questa specie di nozioni
fin’ora è prevalsa, al punto che le parole armonia
delle parti sembrano applicabili tanto alla forma figurativa che alla
musica”.
Ancora
Hume: “…bellezza e deformità, più ancora del dolce o dell’amaro, non sono
qualità inerenti agli oggetti, ma appartengono interamente alla sensibilità…”,
quindi “ciascuna mente percepisce una bellezza diversa…”.
Burke
sostenne, addirittura, che la bellezza avesse “nulla a che vedere con il
calcolo e la geometria”.Egli
non credeva potesse esistere una relazione fra il corpo umano e l’architettura:
“So che si afferma da lungo tempo e si rimanda da uno scrittore all’altro
migliaia di volte, che le proporzioni di un edificio debbono essere riprese da
quelle del corpo umano. Per rendere completa e perfetta questa forzata analogia,
essi rappresentano un uomo con le braccia alzate e tese, e poi intorno ad esso
descrivono una specie di quadrato, quale si forma facendo passare delle linee
lungo le estremità di questa singolare figura. Ma, quanto a me, sembra chiaro
che la figura umana non ha mai offerto all’architetto nessuna di questa idee.
Poiché, in primo luogo, raramente gli uomini si vedono in questa stranissima
posizione…e certamente nulla potrebbe apparire più straordinariamente
fantastico di un architetto che prendesse a modello delle sue opere la figura
umana, poiché non esistono due cose che siano meno somiglianti o analoghe fra
loro, che un uomo e una casa o un tempio”.
Lord
Kames, non credendo nella possibilità di tradurre gli accordi musicali in
architettura, sosteneva: “…per rifiutare la nozione di una rassomiglianza fra
proporzioni musicali e architettoniche, basterebbe osservare che le une si
dirigono all’orecchio, le altre all’occhio; e che oggetti che fanno capo a
sensi diversi non possono rassomigliarsi, né può esservi alcuna relazione
dell’uno rispetto all’altro”.
La
posizione settecentesca è esemplificata, tra gli altri, da Alison:
egli riteneva che qualunque norma, astratta o ideale, distrugge la funzione di
un’opera d’arte in quanto solo gli stimoli spontanei dell’immaginazione
rendevano un’opera bella e sublime.
Riallacciandosi
a Alison, Richard Payne Knight
dichiarò che la proporzione “dipende interamente dall’associazione delle idee,
e niente affatto da qualsivoglia ragione astratta o sensazione organica; altrimenti,
come l’armonia nel suono e nel colore, risulterebbe ugualmente dalle stesse
relazioni comparative in tutti gli oggetti; il che è tanto lontano dall’essere
in realtà, che le stesse dimensioni relative, che rendono un animale bello,
fanno un altro assolutamente brutto… ma le stesse combinazioni armoniche di
suoni, che producono l’armonia di un violino, la producono in un flauto o in
un’arpa”.
Pertanto
molti architetti acquistarono una piena libertà dai vincoli dei rapporti
matematici: la proporzione divenne espressione della sensibilità individuale
dell’artista e tale atteggiamento si è protratto fino ai nostri giorni.
2.L’interpretazione
armonica dell’ architettura.
L’esempio
di artisti illustri: Brunelleschi, Alberti e Palladio
L’attività
di Brunelleschi
testimonia il nuovo orientamento degli architetti nella prima metà del
Quattrocento. Nonostante riaffermasse l’uso di antichi metodi di costruzione,
studiò e propose ulteriori progetti basati sulla modularità delle strutture e
la razionalizzazione geometrica delle piante e degli alzati. Pur sperimentando
nuove tecniche costruttive, riscoprì i canoni matematici su cui si basavano le
proporzioni e l’ornamentazione da cui dipendevano il valore e la bellezza
dell’opera.
Il
biografo Manetti
sostiene: “quantunque maestro Pagolo mattematico e medico, dal Pozzo
Toscanelli, che lo praticò di più di quaranta anni, secondo che diceva, gli
attribuiva questa virtù e pratica, con molte altre eccellenti, per la minore.
Perché invero di sì gran cose, come diceva detto maestro Pagolo, non può essere
atto né essere capace ogni artefice: ma bisogna molte elevate menti e molto
circospette e piene di diverse buone cose, e dove non sia punto né debole né
del presuntuoso”.
Il
Vasari
continua: “…Paolo dal Pozzo Toscanelli…prese tal familiarità con seco, che egli
imparò la geometria da lui; e sebbene Filippo, non aveva lettere, gli rendeva
sì ragione di tutte le cose con il naturale della pratica esperienza, che molte
volte lo confondeva. E così seguitando dava opere alle cose della scrittura
cristiana, non restando d’intervenire alle dispute e alle prediche delle
persone dotte; delle quali faceva tanto capitale per la mirabil memoria sua,
che M. Paolo predetto celebrandolo, usava dire che nel sentire arguir Filippo
gli pareva un nuovo S. Paolo. Dette ancora molta opera in questo tempo alle
cose di Dante, le quali furon da lui bene intese circa i siti e le misure, e
spesso nelle comparazioni allegandolo, se ne serviva ne’ suoi ragionamenti; ne
mai col pensiero faceva altro che macchinare e immaginarsi cose ingegnose e
difficili, né poté trovar mai ingegno che più lo satisfacesse che Donato, con
il quale domesticamente confabulando, pigliavano piacere l’un dell’altro, e le
difficoltà del mestiero conferivano insieme”.
Brunelleschi
introdusse una nuova concezione sintetizzata dal Benevolo:
“…l’idea della normalizzazione è sconosciuta prima del Brunelleschi…Il processo
della progettazione risulta scaglionato in diversi tempi: un certo numero di
elementi entrano nell’equazione progettistica come termini noti, e sono messi a
punto mediante piccole correzioni: si stabilisce così, su un terreno
predisposto e limitato, un'ideale collaborazione con gli antichi, che potrà
essere ripetuta altre volte e continuata da altri progettisti, i cui rapporti
risulteranno commensurabili ai precedenti. Impiegando una serie di termini
noti, il progettista può concentrarsi ogni volta sulle incognite peculiari al
suo caso; essendo definiti gli elementi, deve occuparsi del loro montaggio, e
questa operazione- che può essere definita facendo astrazione dalla forma degli
elementi- diventa il cardine del nuovo procedimento di progettazione”.
Pertanto
l’architettura è pensata in termini di proporzioni, ma agli schemi geometrici,
basati sul triangolo di lati 3,4,5 o sul triangolo equilatero, si sostituiscono altri
schemi basati sui rapporti numerici e sui rapporti armonici.
Ad
esempio di ciò interviene lo schema di proporzionamento di Palazzo Pitti che
ancora trova divisi gli storici dell’architettura sull’attribuzione.
Generalmente l’impianto architettonico rispetta il reticolo modulato su numeri
interi di braccia fiorentine (m.0,583). La “generazione di rapporti armonici”
si organizza in “maglie” che includono un certo numero di braccia (2,4,6,8,10),
le quali, a loro volta, generano le proporzioni geometriche accoppiandosi a due
a due, a tre a tre, ecc., rispettando i rapporti delle armonie musicali.
Brunelleschi,
pur ottemperando all’impiego dei numeri pitagorici ( 1,2,4,8,3,9, ecc.), mostra
l’ardire di sperimentarne altri volgendosi verso nuove esperienze.
Nascono
così i numeri undici ( usato nello Spedale degli Innocenti, in San Lorenzo, in
Santo Spirito) e tredici ( Palazzo Pitti).
I
numeri 6,8,10,20 si ritrovano anche negli schemi delle architetture del Cronaca,
di Giuliano da Sangallo, di Giuliano da Maiano, e in altri ancora…
Continuando
le proprie ricerche, ispirate dall’esigenza di cercare sempre nuove formule,
Brunelleschi traspose la strutturazione proporzionale architettonica sul filone
della prospettiva: la costruzione
prospettica della vista del Battistero fiorentino costituì, in effetti, un
precedente di grande interesse proprio perché testimoniò la possibilità di
riportare, nel disegno, grandezze non solo misurabili con facilità, ma,
soprattutto, reciprocamente in relazione di commensurabilità e di proporzionamento,
secondo la “generazione albertiana dei rapporti armonici”. Infatti quella
generazione di rapporti armonici si conserva intatta mediante quelle operazioni
e in virtù di specifici principi matematici che solo in seguito verranno
definiti e dimostrati.
Probabilmente
la trasposizione delle armonie musicali in armonie di forme geometriche ha
origine nelle componenti sociali e intellettuali del Medioevo, successivamente
confluite nella cultura Rinascimentale: non si sa se, ad esempio, Filippo sia
stato influenzato dalla conoscenza del pensiero dantesco e dalle opere del
Poeta, che richiamava, spesso, i fondamenti geometrici di Euclide o, ancora, se
conoscesse l’anticipazione dell’organizzazione modulare contenuta nel Taccuino
di Villard de Honnecourt e mostrata dallo schizzo di una pianta di una chiesa
cistercense.
Inoltre
l’influenza delle culture orientali, l’interrelazione tra architettura e idee
cosmologiche, l’attività legata al simbolismo, il significato naturalistico o
esoterico attribuiti fin dall’antichità al numero, le influenze scientifiche, i
fisici, astronomi e matematici
, contribuirono alla formazione degli artisti, i quali sembrano aver assorbito
e filtrato tali stimoli culturali.
Leon
Battista Alberti
sostiene: “caveremo dunque tutta la regola del finimento da musici, a chi sono
perfettissimamente noti questi tali numeri: e da quelle cose oltra di questo,
da le quali la natura dimostri di se cosa degna et onorata”
, attestando la corrispondenza tra intervalli musicali e le proporzioni
architettoniche.
Egli
credeva effettivamente che nella musica si rivelavano i rapporti armonici
presenti in natura: gli architetti che usano tali armonie fanno uso di
quell’armonia universale che si manifesta proprio attraverso la musica: “
Certissimum est naturam in omnibus sui esse persimilem”.
Distinguendo
tre tipi di piante, pensava che a quella
piccola appartenesse il quadrato (2:2) e forme di uno ad uno e mezzo (2:3) e di
uno ad uno e un terzo (3:4); quelle medie raddoppiano i rapporti di quelle
piccole, cioè uno a due, uno al doppio di uno e mezzo, uno al doppio di uno e
un terzo. Per disegnarne la pianta si usa una unità di misura di riferimento.
Le
maggiori si ottenevano aggiungendo al doppio quadrato, 2:4, una metà, in modo
che da 2:4:6 si generi la proporzione 1:3; o aggiungendo al doppio quadrato,
3:6, un terzo, in modo che da 3:6:8 si generi la proporzione 3:8; oppure
raddoppiando il doppio quadrato in modo che da 2:4:8 si generi la proporzione
quadrupla 2:8. La doppia proporzione 1:2 (musicalmente un’ottava) è composta in base ai due rapporti 2:3:4 in
modo che essa è generata da 2:3:4 o da 3:4:6 (musicalmente dalla quinta e
quarta, o dalla quarta e quinta).
Ogni
numero, dunque, è visto come un’unità che ha in sé alcune potenzialità
armoniche: l’unità complessa si scomponeva in unità inferiori, cioè in
intervalli armonici semplici della scala maggiore, in sottorapporti consonanti.
Le modalità per farlo variavano di volta in volta.
Anche
Sebastiano Serlio , nel suo Primo libro dell’Architettura, illustrando uno
schema geometrico per la giusta costruzione della porta di una chiesa,
esplicita come i rapporti scelti per il portale siano stati determinati a
priori: la porta è un doppio quadrato, la larghezza e l’altezza di questo
stanno, con il lato del quadrato, nel rapporto di 1:3 e di 2:3, la cornice del
portale e l’altezza del timpano stanno con la larghezza dell’apertura nei
rapporti di 1:3 e di 1:2…ecc.
Lo
stesso Palladio riteneva
che l’ordine razionale che permea la creazione divina dovesse essere imitato
nelle creazioni dell’uomo e che questa imitazione della natura non doveva
essere una semplice riproduzione quanto una ricerca di principi astratti. La
sua architettura, estremamente rigorosa nelle interconnessioni,mostra
legami con i contemporanei progressi della matematica.
Infatti,
Silvio Belli, amico di Palladio, nel
1573, pubblicò un’opera intitolata Della
Proporzione, et Proporzionalità, in cui enunciava alcuni principi aritmetici
che Palladio rispettava.
Secondo
Belli la proporzione era la fonte esatta per distribuzione corretta ed
esemplificazione della bellezza.
I
rapporti di proporzionalità acquistano un’importanza molto maggiore che non nel
primo Rinascimento: nonostante ciò, nei Quattro libri di Palladio, non viene
ricordata la relazione, teorica e pratica, tra le proporzioni architettoniche e
i rapporti armonici della scala musicale greca.
Quando
disegnava i suoi edifici, Palladio non trasferiva consapevolmente le proporzioni
musicali in quelle visive: secondo l’artista le proporzioni dei suoni e quelle
dello spazio erano in stretta relazione perché persuaso della validità
universale di un unico sistema armonico.
L’artista
non spiega il motivo della scelta di un rapporto piuttosto che un altro:
sostiene che gli ordini devono trovarsi in rapporto l’uno con l’altro “con
bella proporzione” rispetto all’intero edificio.
Le
sue regole pratiche, però, trovano sicuramente fondamento in regole matematiche
accettate e condivise: descrivendo i rapporti tra le tre dimensioni che
definiscono le forme degli ambienti, essi risultano tutti commensurabili e
semplici, in
virtù dell’uso di una “regola homogenea”.
Sostiene
nel Libro IV, al capitolo 5: “…in tutte le fabbriche si ricerchi, che le parti
loro insieme corrispondano, et habbiano tal proportione, che nessuna sia, con
la quale non si possa misurare il tutto, et le altre parti ancora”.
Le
proporzioni degli ambienti interni
vengono ricavate sulla scorta di procedimenti ben noti e, tradizionalmente, attribuiti
a Pitagora: la teoria dei tre medi proporzionali, medio aritmetico, geometrico
e armonico, probabilmente diffusi da Ficino,
acquistarono, nell’estetica rinascimentale, una notevole importanza.
Essi
vennero esaminati anche da Giorgi,
Daniele Barbaro…
E’
probabile che Palladio li avesse appresi tramite Alberti: le armonie visive,
sorte dai numeri che sintetizzavano armonie musicali applicati ai rapporti spaziali dell’architettura,
rivelavano una Forma universale, convalidando le teorie e l’importanza della
matematica come fondamento.
Il
rapporto di Palladio con le armonie musicali è rappresentato, ad esempio, dal
Palazzo per Iseppo Porto, descritto nei Quattro
Libri.
Le
dimensioni di alcune stanze formano un sistema di rapporti armonici molto
rigido: l’atrio misura 30 piedi per 30 ed è alto 24 piedi, con un ordine ionico
alto 15 piedi; la sovrastante sala è di 30 piedi per 40 ed è alta 30 piedi,
mentre le stanze laterali misurano 20 piedi per 30 e per 20 di altezza.
Anche
nella memoria relativa al nuovo progetto del Duomo di Brescia del 1567,
Palladio parla di proporzione richiamando proprio Giorgi: “…secondo che le
proporzioni delle voci sono armonia delle orecchie, così quelle delle misure
sono armonia degli occhi nostri, la quale secondo il suo costume sommamente
diletta, senza sapersi il perché fuori da quelli che studiano di sapere le
ragioni delle cose”.
Ciò
che contraddistinse la proporzione palladiana da quella degli architetti del
primo Rinascimento, tra cui Alberti, fu la concezione integrata e non aggregata
degli elementi compositivi:
un dominio armonico che coordinava la pianta agli alzati, l’interno
all’esterno, una stanza alla successiva…rivelando una gerarchia profonda delle
parti.
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