Per
Giovanni Korompay, ancora residente a Venezia, città passatista
sulla quale piove la condanna futurista nel 1911, l’impatto col
Futurismo fu precoce. Al 1922 risale l’incontro con la personalità
travolgente di Marinetti e l’adesione all’avanguardia fu
immediata e comprovata dalla tela Rumore di locomotiva, saggio
di solidificazione della forma applicato all’estetica della
macchina. Essa è pressoché l’unica a sopperire alla mancata
reperibilità di opere prodotte fino al 1933, anno del dipinto Bolidi
+ strada, arco temporale denso di operosità per Korompay, il
quale nel 1925 fu artefice della prima mostra del gruppo di futuristi
veneziani, che includeva Magda Falchetto, Francesco Korompay e Lorenzo
Tron.
Dal
1933 si fa, invece, iniziare la realizzazione di sculture futuriste
in legno e poi in bronzo, un esemplare delle quali, collocato nei
pressi della Scuola intitolata a Corrado Govoni, attesta la
prosecuzione dell’attività scultorea anche a Ferrara, dove si
stabilì dal 1936, con la moglie pittrice Magda Falchetto, lasciandola
per la vicina Bologna allo scadere del 1944. Al 1933 si data anche la
tela Simultaneità della Falchetto, esposta alla Fondazione
Bevilacqua la Masa.
Nella
città estense, patria di origine di Italo Balbo, Korompay giunse con
la moglie Magda nel 1936 assunto come collaboratore del «Corriere
Padano» con le mansioni di stenodattilografo. Insieme intrecciarono
relazioni con Quilici e gli intellettuali e gli artisti gravitanti
attorno al quotidiano ed assieme ad alcuni di questi, Korompay
strinse il sodalizio con il fondatore del Gruppo Futurista Savarè di
Monselice, Corrado Forlin.
Tanto
è vero che quando, nel gennaio del 1939, Forlin organizzò a
Cagliari la settima mostra di Aeropittura della corrente, Korompay e
Falchetto, autrice di Paesaggio aereo, vi aderirono ed
esposero con pittori e scultori futuristi della caratura di
Prampolini, Tato – a fianco di essi, Caviglioni e Dottori entrambi avevano partecipato
alla Biennale del 1938 nelle sale dei Futuristi Aeropittori di
Spagna e d’Africa –, Diulgheroff, Dottori, Tullio Crali,
Sante Monachesi e Umberto Peschi, come si ricava dalla lettera del 23
maggio indirizzata dal veneziano a Forlin a manifestazione conclusa
proprio mentre frequentava ancora la redazione del Padano:
Caro
Forlin, ho ricevuto la tua cartolina.
Sento
che sei stato ad Adria e ti sei incontrato con Zen.
Sento
pure con piacere che i nostri quadri sono al sicuro e che saranno
spediti per qualche altra manifestazione in Sardegna. Come ti avrà
detto anche Zen, della mostra non abbiamo saputo niente. Ho solo
saputo da S.e. Marinetti, durante una mia visita in dicembre a Roma,
che questa sarebbe stata inaugurata alla fine dell’anno scorso.
Dopo
tale notizia più nulla, sebbene mi fossi raccomandato a Pattarozzi
di inviarci qualche numero di Mediterraneo Futurista, nel quale
certamente si sarà parlato di essa.
Ora
avevo deciso, e sono ancora deciso, di aprire una mostra futurista
qui a Ferrara o a Venezia.
Naturalmente
per tale mostra sarà necessario che io possa raccogliere il maggior
numero di opere. Di questo ho anche avvertito Zen. Zen mi ha inviato
un articolo per il Giornale che sarà pubblicato fra non molto.
Sarebbe stato utile poter avere qualche articolo in tempo sulla
mostra di Cagliari che sarebbe stato pubblicato ben volentieri dal
nostro giornale.
Chissà
che adesso ci sia più facile tenerci in contatto.
Saluti
a te e agli amici futuristi e fatti vivo qualche volta
Giovanni
Korompay
Un
ulteriore documento inedito conferma il sodalizio di Korompay con i
ferraresi Ugo Veronesi e Antenore Magri nello stesso anno mentre
nell’autunno risultava già in cantiere il progetto della IX
Mostra di Aeropitture di Guerra del Savarè, poi tenutasi al
Castello Estense dal 27 dicembre 1940 al 10 gennaio 1941.
L’esposizione
intendeva commemorare la prematura scomparsa del Ministro
dell’Aeronautica, a sei mesi dalla tragedia di Tobruk.
La Beinecke Library è inoltre in possesso di una lettera indirizzata a Marinetti dall'aeropoeta ferrarese Ugo Veronesi datata 13 novembre 1940 con un'appendice del pittore Giovanni Korompay che ne chiarisce il ruolo di promotori dell’iniziativa:
Caro
Marinetti,
sono
stato molto spiacente di non aver potuto intervenire alla
manifestazione padovana, ma erano i primi giorni della mia assunzione
al “Padano” e non volevo indisporre il Direttore
Ho
lavorato l’ostico Istituto di Cult. F. ottenendo per voi lire
mille –altre mille le metteranno a disposizione per la Mostra
(nell’atrio del Comunale)
Ravegnani
ha promesso un’intera pagina (la III) per il nostro movimento.
Chiede un vostro scritto sull’aeropittura (introduttivo alla
mostra), fotografie di opere che saranno esposte e un breve cenno
sugli artisti che interverranno.
Mi
metto in comunicazione con Forlin e con Caviglioni.
Forlin
mi parlò precedentemente che la Mostra verrebbe inaugurata nella
prima quindicina di dicembre.
Attendo
i vostri ordini. Alalà
Ugo
Veronesi
Ho
sentito che presto sarà tra noi. Manderò anch’io qualche quadro
alla Mostra. Intanto la saluto e invio sinceri auguri.
Korompay
|
Fig.1 Giovanni Korompay, Colonizzazione della Libia, 1938, coll. priv.
|
Alla
mostra Korompay era presente con l’olio Colonizzazione della
Libia (Fig. 1). Pubblicato dal “Corriere Padano” tra le opere
inviate da artisti residenti a Ferrara alla III Quadriennale romana
e, in capo a poco più di un anno, sulla terza pagina del quotidiano
nel nucleo delle opere esposte alla mostra Savarè allestita al
Castello Estense, l’olio si colloca nel solco delle tematiche
incensatorie della politica bellica promossa dal regime. Nell’ambito
dell’evento espositivo ferrarese, inoltre, la tela si riallacciava
all’apoteosi di Balbo, nominato Governatore della Libia dal 1934
dopo essere stato destituito dall’incarico di Ministro
dell’Aeronautica. Memoria evidente della vocazione al volo
sapientemente costruita e mitizzata attorno alla figura del gerarca
ferrarese si può cogliere nelle squadriglie aeree libratesi sul mar
Mediterraneo, la cui distesa liquida solcata da imbarcazioni militari
occupa la metà inferiore della composizione, sovrastata dalla
vastità incombente del cielo. In lontananza, sul lato destro, si
intravede la terraferma, mentre una silhouette maschile quasi
sovrapposta in trasparenza sulle acque, forse quella dello stesso
Balbo, si erge di profilo. La resa pittorica è largamente vincolata
a presupposti figurativi, anche se il confronto stilistico con altre
opere coeve e perfino anteriori – si pensi ad Aeroplano allo
specchio (1934), Aeropittura del 1935 e la successiva
Aeropittura del 1938 - rivela il progressivo evolvere del
registro formale di Korompay verso soluzioni di estrema sintesi e poi
astratte, le quali tuttavia sarebbero risultate poco adeguate al
contesto apologetico predisposto nelle sale della mostra ferrarese.
Né
il catalogo della manifestazione, né la pubblicistica del tempo
recano purtroppo traccia della partecipazione di Magda Falchetto.
Tuttavia, dalla stampa periodica si evince come, oltre ai nomi di
Forlin, Fasullo, Zen, Caviglioni e Menin, altri artisti, quali il
sardo Baldo Morgana, vi avessero aderito. Non è dunque azzardato
ritenere che una tela datata al 1937 – risalente al periodo
ferrarese – fosse stata inclusa nel nucleo delle opere esposte.
|
Fig. 2 Magda Falchetto, Aeropittura (Ali tricolori), 1937-38, coll. priv.
|
La
scelta di inserire Ali tricolori di Magda Falchetto (Fig. 2)
nella disamina delle opere afferenti a una produzione futurista sorta,
oppure transitata in sedi espositive ferraresi si motiva, inoltre, al
di là dell’evidenza indiziaria di una effettiva presenza in città,
per via della sua consistenza paradigmatica con i coevi esiti
aeropittorici di Magda Falchetto. La data di esecuzione, a metà fra
il 1937 e il 1938, consente un termine di raffronto con il restante
repertorio coevo futurista licenziato dall’artista in stretto
dialogo con i fondamenti stilistici elaborati dal marito Giovanni
Korompay, la cui tela dispersa Ali legionarie datata 1935
costituisce un probabile termine di raffronto per questo dipinto.
La
Falchetto, al pari di Korompay e diversamente dalla maggioranza degli
aeropittori, non esplorò le potenzialità derivanti dalla visione
aerea in termini di proiezione prospettica o mobilità dello sguardo
che si allarga a comprendere distese inimmaginate. Anzi, l’aeroplano
– di volta in volta incensato nel suo vigore metallico, oppure
assunto a strumento di percezione moltiplicata e dominatrice della
realtà terrestre – è qui sminuito nella sua presenza fisica
essendo visualizzato in forma di sagoma colorata nell’atto di
librarsi in distanza a rincorrere le traiettorie dinamiche tracciate
da altri velivoli. Posta l’ineludibilità del significato
patriottico, accreditato dal titolo della tavola, la pittrice vi
trasferisce l’intensità di un’esperienza psichica del volo. Pur
se osservato da terra, il passaggio delle macchine volanti suscita un
evento percettivo comunque ampliato e, nel contempo, precario
trovandosi lo sguardo dello spettatore costretto a spostarsi nella
distanza e in direzioni differenti per ascendere verso altezze
vertiginose.
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Fig. 3 Giovanni Korompay, Paesaggio sintetico di Capri, s.d. (1938), coll. Veronesi, Ferrara
|
Mentre
soggiornava a Ferrara, Korompay mantenne saldi i rapporti con Marinetti,
esponendo tre opere di soggetto aeropittorico alla Biennale del 1936
e una a quella del 1938 da Marinetti intitolata ai Futuristi
Aeropittori d’Africa e di Spagna.
Tuttavia,
la presenza in città della china intitolata Paesaggio
sintetico di Capri
(Fig. 3),
donata personalmente all’aeropoeta Ugo Veronesi, è emblematica di
un filone parallelo della ricerca del futurista, che potrebbe avere
avuto origine proprio durante il soggiorno ferrarese. Esso si esplica
nella rappresentazione di paesaggi in cui il dato oggettivo è punto
di partenza per figurazioni definite dalla critica precedente «di
sapore surrealista» , dialogando in modo stringente con le chine Venere spaziale
del 1939 e Sintesi
di Paesaggio,
quest’ultima datata dalla Nalini Setti
al 1930.
Parallelamente,
alle suggestioni ricevute dall’isola partenopea Korompay rese
omaggio, in quel medesimo torno d'anni, negli aniconici Atmosfera
di Capri
e Capri,
entrambi datati 1938 da Franco Solmi .
La fortuna del paesaggio caprese presso l’immaginario futurista è
ormai nota e nel 1932 anche la stampa ferrarese aveva riservato
spazio alla interpretazione del mito di Capri dal futurista siciliano
e poi teorico della destra estrema Julius Evola, in termini che
paiono attagliarsi alla trasposizione futurista in chiave cosmica
elaborata da Korompay:
La
natura di Capri ha una caratteristica fondamentale: quella della
aerità.
Vi
è, costante, un senso strano di aereo, di mattutino, quasi di
senza-peso in questa chiarezza diffusa che si direbbe non conoscer
l’ombra, che si addolcisce e smaterializza ogni tinta e ogni forma
sino alla parvenza di qualcosa di sospeso nell’atmosfera e di
sostanziato d’atmosfera.
…Capri,
sospesa nell’unica massa vaporosa mare-cielo: sagoma appena
differenziata, senza terza dimensione, lontana e vicina ad un tempo
come una apparizione, un sogno, un ricordo .
Per
parte nostra, proponiamo una datazione attorno al 1938 per la
mancanza di altre opere analoghe provviste di data nel catalogo dell'opera di
Korompay, anche tenendo conto della marcata propensione alla
dinamizzazione delle forme che ancora nel 1933 si riscontra in Bolidi
+ strada.
Korompay
ha qui accantonato i parametri meccanicistici del Futurismo seppure
riletti attraverso un’ottica visionaria e astratta, attratto
piuttosto dal versante prampoliniano delle «architetture
spirituali» ,
cromatiche e successivamente evolute nella dimensione cosmica.
Non
necessita di prove ulteriori la consuetudine del veneziano con il
futurista modenese, autore tra l’altro nel 1932 di un Paesaggio
di Capri in collezione M. Carpi a Roma, saggio di forme aperte e
biomorfiche, indubbio retaggio della conoscenza delle composizioni di
Jean Arp a Parigi.
Nel
caso di Prampolini questo nuovo corso disvela ampi spiragli verso
esiti astratti, a cui Korompay non si mostra indifferente
sperimentando squarci paesistici, fondati su profili di valenza
biomorfica e piani dal taglio curvo dall’incanto primigenio, nei
quali vita materiale e atmosfera spirituale convivono in totale
armonia.
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Fig. 4 Giovanni Korompay, Venere Spaziale, 1939 (distrutta)
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Anche
Venere
Spaziale (Fig.
4), presumibilmente distrutta a seguito del bombardamento
dell’abitazione ferrarese del pittore avvenuto nel 1944, parrebbe
cadere nel novero dell’attività condotta nella città estense, che
si concluse nel 1940 con il trasferimento a Bologna. Il biennio
1938-39 è connotato dalla stringente sperimentazione di moduli in
cui elementi naturali e tensione surreale convivono. Nel disegno qui
riprodotto, una sagoma femminile si staglia in primo piano reclinata
contro uno scoglio. Il titolo dell’opera ne associa
l’identificazione con Venere, la dea condotta alla vita dal mare.
Priva di volto, dalle membra flessuose e in totale simbiosi con i
flutti e gli elementi naturali circostanti, la Venere di Korompay è
senz’altro memore delle evocazioni muliebri rintracciabili nelle
tele dei primi anni Trenta di Pippo Oriani e Prampolini, in cui il
tema della maternità era un rimando alle origini primordiali dell’uomo
e al suo anelito a ricongiungersi all’armonia dell’universo. La
sua essenza è eterea, parto della memoria o finzione alla quale si
sovrappongono come ricordi frammenti architettonici di sapore quasi
metafisico: delle arcate, una torre, un ponte. Poi dominano il mare –
immancabile in questi paesaggi ‘sintetici’ e allusione al mito
della nascita della dea -, i monti e un cielo denso e contrastato. È
ancora l’idealismo cosmico prampoliniano a suggerire questa
vibrante ridefinizione simbolica del dato di natura in perfetto
equilibrio «fra necessità strutturale e dilatazioni d’atmosfera
portate a sfaldare gli ordini geometrici» .
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Fig. 5 Giovanni Korompay, Danzatrice, 1938, coll. priv.
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Fig. 6 Giovanni Korompay, Ritmo femmina, 1938, coll. priv.
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Un registro analogo riaffiora nelle sculture in legno Danzatrice (Fig. 5)
e Ritmo femmina (Fig. 6), entrambe riconducibili al periodo
ferrarese pur senza il conforto di evidenze documentarie in tal
senso.
Dopo
un esercizio iniziale su soggetti desunti dall’immaginario
meccanico dei cantieri navali e dell’armamentario bellico,
l’artista si rivolgeva ora a uno dei temi privilegiati del repertorio
futurista - da sempre sfruttato per le infinite possibilità di resa
del movimento in esso racchiuse -, il quale peraltro non trova un
corrispettivo nella produzione pittorica coeva dell’artista.
Innegabile in entrambe il rimando a moduli
prampoliniani all’indomani della svolta cosmica di questi, della
cui serena armonia l’opera preserva integro lo spirito. In bilico
tra sintesi futurista, di matrice cosmica s’intende, e astrazione,
la danzatrice si caratterizza per la straordinaria «aerea»
leggerezza da indurre a credere che sia eseguita su materiale
metallico di lega leggera. Ancora una volta, Korompay mantiene le
distanze dalle tematiche illustrative degli ideali patrocinati dal
regime, quali l’aviazione, la glorificazione dell’impero, la
guerra o la ritrattistica mussoliniana, che contano rara trattazione
nel repertorio pittorico del veneziano. Il risultato è un
diafano volteggio, quasi bidimensionale di sapore arcaico tanto
quanto moderno, un distillato di forme, ma ancor più di essenza
percettiva della danza, come enuncia il titolo stesso. Dopo aver
sondato le pulsioni dinamiche dell’azione, tuttavia Korompay le
condensa in una sintesi fondata sull’arcano riecheggiarsi di forme
depurate dal contingente così da aprire, in tempo reale, a esiti
propri all’arte astratta già filtrati nell’ambiente ferrarese
attraverso l’apporto teorico introdotto da Carlo Belli.
Il
9 ottobre del 1937 la terza pagina del “Corriere Padano”
appariva, difatti, occupata per intero da articoli volti a chiarire
le ragioni della nascente arte astratta in Italia e all’estero. Vi
si riassumeva il percorso storico della pittura astratta in patria,
al quale si faceva seguire un profilo di Georges Braque e il
confronto tra le prese di posizione rispettivamente sostenute dallo
stesso Belli, Osvaldo Licini e il critico Giuseppe Marchiori
contrapponendole a quella più reazionaria di Carrà, avverso
all’astrattismo, la cui funzione egli riduceva a mero decorativismo.
A quell'epoca,
mentre il contingente degli scultori futuristi schierato in prima linea sul
palcoscenico delle esposizioni ufficiali, tra tutti Renato Di Bosso,
Regina, Rosso e Thayaht, si impegnava a eternare i vari cantabalilla,
aviatori, figli della lupa, guerrieri africani, Korompay si estraniava
dall’agone scegliendo di percorrere la via in fondo più duratura, quella del
dibattito formale più aggiornato.
NOTE
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