Le
cose che giungono attraverso l'orecchio
muovono meno l'animo di quelle
poste sotto gli occhi i quali si sa sono ben attendibili»
Quinto Orazio Flacco, Ars Poetica.
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Fig. 01 - Giuseppe Sanmartino, Cristo velato, 1753.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Massimo Velo, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Considerato
un testo di fondamentale importanza per tutti gli artisti volti a
rappresentare concetti astratti sotto forma di personificazioni,
l'Iconologia fu scritta da Cesare Ripa nel 1593 .
Nonostante
la scarsità di notizie biografiche circa l'autore ,
il testo ebbe grande fortuna tanto da vantare svariate edizioni che
nutrirono d'immagini allegoriche l'intera Europa per oltre due secoli
divenendo un vero e proprio prontuario d'immagini.
Tra queste,
vi è quella edita a Perugia nel 1764 nella stamperia di Piergiovanni
Costantini, scritta da Cesare Orlandi, patrizio di Città della
Pieve, accademico augusto.
Differentemente
dalle altre edizioni che replicavano lo schema alfabetico scelto dal
Ripa nella redazione delle varie voci con l'intento di rendere la
ricerca di esse più facile, in questa si assiste ad una novità;
ogni allegoria viene accompagnata dall'inclusione di un exemplum,
un fatto tratto dalla storia, dalla religione e dal mito ,
in cui emerge in modo chiaro il vizio o la virtù sopra descritta
rendendo l'opera un prontuario subito utilizzabile come un vero e
proprio dizionario.
Le voci
redatte dal Ripa vennero così inserite all'interno di un contesto
morale da cui trarne esempi. L'opera, in cinque volumi, contiene al
suo interno 377 illustrazioni, acqueforti eseguite da Carlo Spiridore
Mariotti artista molto importante per quel che riguarda il panorama
artistico perugino del Settecento .
Al suo interno vengono inserite delle nuove voci, assenti nelle
edizioni precedenti, frutto della mente geniale dell'abate Orlandi.
Nel
frontespizio dell'opera è possibile leggere il nome di colui a cui
viene dedicata, il finanziatore di essa: Raimondo di Sangro (fig. 2) .
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Fig. 2 - Cesare Ripa, Iconologia, edizione curata da Cesare Orlandi, Perugia, 1764-67, Frontespizio.
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Fig. 3 - Giuseppe Sammartino, Cristo velato, 1753.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Massimo Velo, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero
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Personaggio
di grande ingegno, sue sono moltissime invenzioni quali la pittura
olioidrica e la stoffa impermeabile, dedicò la sua vita a molte
passioni tra cui l'attività tipografica alla quale diede molto
spazio allestendo, nei sotterranei del suo palazzo sito in Piazza San
Domenico Maggiore a Napoli, una tipografia che divenne il primo
nucleo della stamperia borbonica reale dopo la donazione al re Carlo
di Borbone, del quale era amico e consigliere.
Questo
interesse lo spinse ad avvicinarsi anche al testo ripano del quale
decise di finanziare l'edizione del 1764.
In quello
stesso periodo il VII principe di Sansevero stava portando a termine
una delle sue più importanti committenze: l'arredo scultoreo della
Cappella Sansevero quel «Magnifico
tempio sepolcrale»
il cui programma iconografico venne stabilito dal principe e da
Antonio Corradini ,
artista di fama internazionale.
Conosciuta
ai più come il nome di Pietatella, o Santa Maria della Pietà, la Cappella affonda le sue origini in un
episodio leggendario descritto da Cesare D'Egenio Caracciolo nella
sua opera Napoli Sacra del
1623.
In
questo racconto la costruzione della piccola cappella ad unica navata
viene fatta risalire al 1593, anno coincidente per caso con l' editio
princeps dell'Iconologia .
Dopo
un primo fermento cinquecentesco circa la costruzione della Cappella
i lavori vennero abbandonati; di questa prima fase rimane solo
l'impianto perimetrale che consta di un esiguo spazio formato da un
unica navata. Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, riprese
i lavori occupandosi della decorazione scultorea. Purtroppo
dell'aspetto seicentesco non rimane quasi più nulla, tranne le
quattro opere tenute per volontà di Raimondo di Sangro .
Dalle fonti emerge che queste erano di grande prestigio,
riconducibili alla scuole fanzaghiana del Landini e del Mencaglia ,
come citato dell'opera di Pompeo Sarnelli Guida
de' forestieri, curiosi di vedere , e d'intendere le cose più
notabili della regal città di Napoli, e del suo amenissimo
distretto, dove,
parlando della cappella, la descrive come «Gradatamente
abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le
statue di molti degni personaggi di essa famiglia co' loro elogi».
Si dovrà
aspettare il 1750 per assistere ai nuovi lavori che daranno alla
Cappella l'aspetto attuale.
Il
committente, Raimondo di Sangro, decise di ornare la Cappella
gentilizia di famiglia unita una volta al palazzo attraverso un
ponte, con delle statue, poste davanti ai pilastri che immettono alle
cappelle laterali, raffiguranti allegorie riferite al defunto a cui
si riferiscono.
A
dare forma a questo vasto panorama iconografico, volto a glorificare
gli appartenenti della famiglia Di Sangro, venne chiamato Antonio
Corradini che in soli due anni di lavoro riuscì concepire il corpus
scultoreo.
Alla
sua morte, lasciò in eredità ben 36 bozzetti in terracotta dei
quali solo uno è tutt'ora conservato al Museo di Sanmartino a
Napoli; quello del Cristo morto, meglio conosciuto come velato (fig. 3). Dai
documenti è emerso come inizialmente questa statua doveva trovarsi
al di sotto della cappella, nella cavea sotterranea che ora ospita le
famose macchine anatomiche, frutto
degli studi portati avanti dal principe di Sansevero con l'aiuto del
chirurgo palermitano Giuseppe Salerno.
Il
Corradini concepì delle splendide opere raffiguranti le virtù che
caratterizzarono le persone alle quali sono dedicate.
Morto
dopo solo due anni di lavoro lasciò il progetto incompiuto; sue sono
le statue della Pudicizia,
dedicata alla madre del committente, morta dopo la sua nascita,
Cecilia Gaetani D'Aragona,e quella del Decoro dedicata
alle consorti del principe Giovan Francesco: Isabella Tolfa e
Laudomia Milano.
Mancato il
maestro veneto vennero chiamati altri artisti a portare avanti il
progetto iconografico.
La maggior
parte delle notizie circa l'attribuzione di esse e la datazione certa
provengono dall' Istituto Banco di Napoli, che durante i secoli ha
conservato nell'archivio storico tutte le polizze di pagamento ed i
contratti stipulati tra committenza ed artisti.
Nell'équipe
chiamata a portare avanti l'eredità lasciata dal Corradini spiccano
i nomi di molti artisti importanti tra cui Francesco Queirolo ;
sue sono le statue del Disinganno
dedicato
al padre di Raimondo, Antonio di Sangro, la Sincerità
dedicata
alla moglie di Raimondo, Carlotta Gaetani,
la
Liberaltà
dedicata
a Giulia Gaetani dell'Aquila d'Aragona, moglie del quarto principe di
Sansevero,
e
l'Educazione,
destinate
ad onorare la memoria della due mogli di Paolo di Sangro, Girolama
Caracciolo e Clarice Carafa di Stigliano.
più
le statue dei santi appartenenti alla famiglia: San
Oderisio e
Santa
Rosalia. Francesco
Celebrano ,
eseguì le statue del Sepolcro
di Cecco di Sangro, il
Dominio
di se stesso (fig. 4), composizione
dedicata alla nonna di Raimondo Geronima Loffredo, e la pala d'altare
con il bassorilievo della Deposizione
di Cristo. A
Giuseppe Sanmartino
si deve la realizzazione della statua che più di tutti colpisce i
visitatori: il Cristo
velato. Massima
espressione di virtuosismo artistico rappresenta il momento più
intenso della passione, la deposizione, il corpo disteso dell'uomo
sembra quasi ancora respirare al di sotto di quel sottilissimo velo
che lo avvolge.
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Fig. 4 - Francesco Celebrano, Dominio di se stesso, 1767.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Riguardo
ad esso è nata con il tempo la leggenda, accreditata dalla nota fama
alchimistica di Raimondo, secondo la quale il velo è frutto di un
processo alchemico di “marmorizzazione” del tessuto compiuto dal
principe. Questa tesi viene accreditata dalla ricetta di questo
processo scoperta di recente e conservata nell'Archivio Storico del
Banco di Napoli .
Leggendo
attentamente le fonti emerge come la statua fu ricavata da un unico
blocco di pietra. Nel documento datato 16 dicembre 1752 il principe
Raimondo scrive esplicitamente: «E per me gli suddetti
ducati 50 gli pagherete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto
della statua di Nostro Signore coperta di un velo ancor di marmo».
Informazione
che trova supporto anche nelle lettere scritte dal principe ed
indirizzate al fisico Jean-Antoine Nollet dove
il sudario viene descritto come: «Realizzato dallo stesso
blocco della statua»,
affermazioni, queste, che screditano coloro i quali vogliono
rintracciare escogitazioni alchemiche nel velo che risulta il frutto
del solo ispiratissimo scalpello di Sanmartino.
A
Paolo Persico
venne affidata la realizzazione del gruppo Soavità
del giogo coniugale dedicata
a Gaetana Mirelli moglie di Vincenzo di Sangro, il figlio di Raimondo
e
gli Angeli
piangenti.
Per
ultimo, ma non per questo meno importante, Fortunato Onelli
si occupò del gruppo Zelo
della religione gruppo
dedicato alle due mogli di Giovan Francesco di Sangro, primo
fondatore della Cappella, Ippolita del Carretto e Adriana Carafa
della Spina
e quello
dell'Amor
divino eseguito
in onore di Giovanna di Sangro, moglie del quinto principe di
Sansevero Giovan Ferancesco.
Osservando
attentamente il corpus scultoreo
della cappella si è notato come ci sia una grande somiglianza tra le
statue e le corrispondenti voci descritte nell'Iconologia del 1764.
Lo
stesso Ripa, nel proemio della princeps
scriveva
«Le
imagini fatte per significare una diversa cosa da quella che si vede
con l'occhio, non hanno ne più certa ne più universale regola che
l'imitazione delle memorie che si trovano nei libri »,
frase
che interpreta a pieno modo lo spirito con il quale si è voluta
portare avanti la ricerca volta a dimostrare il forte connubio tra
arte figurativa e letteraria presente nella Cappella Sansevero.
Leggendo le
varie voci a cui si riferiscono le statue si è notato come molte di
esse derivino, nelle loro caratteristiche iconologiche, dalle voci
descritte nell'Iconologia alcune delle quali accompagnate anche dai
disegni del Mariotti.
Alcune
opere hanno come referente iconografico una sola voce del Ripa: il
Decoro (fig. 5)
riprende dal testo iconologico la scritta posta al di sopra del rocco
di colonna SIC
FLORE! DECORO DECUS, la
scelta di una soggetto di giovane età perché come dice il Ripa
«giovane
e di bello aspetto perché la bellezza rifulge per decoro »,
e
i diversi calzari che indossa il ragazzo, un cuturno ed un sandalo,
antiche rappresentazioni di classi sociali, per dimostrare che ad
ogni estrazione sociale si riferisce un determinato tipo di decoro;
si legge, difatti, riguardo ad esso: «trattiamo
ancora del Decoro circa l'andare , camminare, e comparir sinora tra
le genti, che perciò alla gamba delira abbiamo dato il grave
cuturno, e alla sinistra un semplice socco » (fig. 6).
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Fig. 5 - Antonio Corradini, Decoro, 1751.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Fig. 6 - Carlo Spiridore Mariotti, Decoro, acquaforte da Cesare Ripa, Iconologia, edizione curata da Cesare Orlandi, Perugia, 1764-67, vol. II, p. 125.
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La
Liberalità
(fig. 7) trova
presenti gli attributi del compasso e della cornucopia recanti in
mano, accompagnati dalla raffigurazione dell'aquila che viene messa
ai piedi della donna, tutti elementi citati nel testo ripano dove si
legge: «sarà
vestita di bianco con un'Aquila in capo, e nella destra mano una
Cornucopia ed un compasso, e col la cornucopia versi gioie, denari,
collane, et altre cose di prezzo (fig. 8) ».
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Fig. 7 - Francesco Queirolo, Liberalità, 1754-55.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Fig. 8 - Carlo Spiridore Mariotti, Liberalità, acquaforte da Cesare Ripa, Iconologia, edizione curata da Cesare Orlandi, Perugia, 1764-67.
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La
Sincerità
(fig. 9) si
esprime attraverso il suo attributo per antonomasia la colomba. In
mano reca un cuore, simbolo di purezza. Il Ripa, descrivendo questa
voce, la cita così: «Donna
vestita d'oro che con la destra tenghi una Colomba bianca, e con la
sinistra porghi in atto grazioso e bello un cuore ».
Nel gruppo scultoreo non solo vengono rappresentati tutti gli
attributi del testo iconologico, ma si trova corrispondenza anche nel
modo in cui vengono disposti, a sinistra o a destra come descritto
dal Ripa.
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Fig. 9 - Francesco Queirolo, Sincerità, 1754-55
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Sandro Fogli, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Lo
Zelo
della religione ha
come attributo la lanterna, il lume che rischiara la mente
allontanando il fedele dalla minacciosa eresia. Il Ripa lo descrive
così: «Uomo
in abito di Sacerdote, che nella destra mano tenga una sferza, e
nella sinistra una lucerna accesa (fig. 11) ».
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Fig. 10 - Fortunato Onelli, Francesco Cebrano, Zelo della religione, 1767.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Fig. 11 - Carlo Spiridore Mariotti, Zelo della religione, acquaforte da Cesare Ripa, Iconologia, edizione curata da Cesare Orlandi, Perugia, 1764-67.
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L'
Educazione
(fig. 12) riprende
dalla voce ripana la rappresentazione di una donna seduta con il seno
in mostra, simbolo di amore materno, intenta ad insegnare la lettura
ad un fanciullo che, nonostante sia rappresentato di giovane età, è
abbigliato con costumi da adulto a sottolineare il grande ruolo
svolto dell'educazione che forma i costumi dei giovani. Egli tiene in
mano un libro, il De
officiis di
Cicerone, considerato, fin dall'antichità testo di fondamentale
importanza per la formazione dei fanciulli. L'Orlandi la descrive
come: «Donna
di età matura / mostrerà le mammelle che sono piene di latte / starà
a sedere / L'educazione è insegnare la dottrina e ammaestramenti di
costumi ».
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Fig. 12 - Francesco Queirolo, Educazione, 1753-54
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Sandro Fogli, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Importante
è la scritta che ricorre alla base del gruppo: Educatio et
disciplina mores faciunt (l'educazione
e la disciplina formano i costumi), la stessa che troviamo alla voce
Educazione descritta
dall'abate Orlandi il quale, attraverso l'espediente del citazionismo
del passato, la riprende dai versi di Seneca scritti nell terzo libro
del De ira.
Anche
l'Amor
divino, (fig. 13) con
il suo sguardo rivolto verso il cielo e il cuore ardente in mano
deriva dalla voce del Ripa. Esso si riferisce alla voce Amore
verso Dio: «Uomo
che stia riverente con la faccia rivolta verso il Cielo / e con la
destra mostri il petto aperto ».
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Fig. 13 - Francesco Queirolo, Amor divino, seconda metà XVIII secolo
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Sandro Fogli, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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La
Soavità del giogo coniugale (fig. 14) presenta
della caratteristiche molto importanti che derivano proprio dalla
descrizione di Cesare Orlandi.
L'allegoria
viene rappresentata da una donna in piedi con il ventre rigonfio,
simbolo evidente di maternità, finalità primaria del matrimonio.
La
sua testa è cinta da una corona in cui è possibile vedere
l'intrecciarsi di foglie di vite e di ulivo che rappresentano fin
dall'antichità, secondo la descrizione fatta dall'Orlandi, l'unione
tra uomo e donna .
Il putto
presente in basso al gruppo scultoreo, tiene tra le braccia un
uccello che la critica ha sempre identificato con un pellicano,
animale usato anticamente come simbolo sia del sacrificio di Cristo
sia dell'amore che si prova per la propria prole.
Osservando
attentamente l'animale si nota come sia assente del tutto la sua
caratteristica principale: il becco a sacco. Il volatile presenta si
il collo lungo ma il suo becco è piccolo, caratteristica che si
trova in un altro animale marittimo, l'alcione, che viene descritto
proprio in questa voce a sottolineare l'amore che si prova verso
l'amato.
L'animale,
difatti, trova la sua origine nel mito di Alcione, donna che per
salvare il proprio amato, Ceice, dall'annegamento si tuffa nel mare
muovendo la pietà degli dei che decisero di trasformarla in uccello
per non farla morire .
Riporto
qui una sintesi dei passi più importanti della voce Benevolenza
et unione matrimoniale che, come
pervenuti da fonti, viene citata così anche nel contratto di
pagamento stipulato tra l'artista, Paolo Persico ed il mecenate,
Raimondo di Sangro.
Nell'Iconologia
l'allegoria viene descritta come: «Donna
che tenga in testa una corona di Vite intrecciata, con un ramo
d'Olivo in mano; verso il seno un'Alcione Augello Maritimo / L'alcione
è un Augello poco più grande di un Passero / ha il collo sottile e
lungo (fig. 15) ».
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Fig. 14 - Paolo Persico, Soavità del giogo coniugale, 1768.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Sandro Fogli, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Fig. 15 - Carlo Spiridore Mariotti, Benevolenza et unione matrimoniale, acquaforte da Cesare Ripa, Iconologia, edizione curata da Cesare Orlandi, Perugia, 1764-67.
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Altri
gruppi scultorei presenti nella cappella hanno invece nella loro
raffigurazione, l'unione di più voci allegoriche come nel caso delle
due statue dedicate ai genitori del committente: la Pudicizia
ed il Disinganno.
La
prima, eseguita da Antonio Corradini nel 1750 (fig. 16), raffigura una donna
avvolta in un velo trasparente che ne cinge il corpo dalla testa ai
piedi enfatizzando la sua sensualità. L'uso del velo non solo è un
espediente riscontrabile nella maggior parte dei lavori corradiniani,
ma anche un referente iconografico derivato dalla voce Pudicizia
del
Ripa dove si legge «Donna
con velo trasparente che le cuopra la faccia » (fig. 17).
Ai
suoi piedi è presente un vaso bruciaprofumi appartenente alla voce Orazione, dove si legge « L'incensiere fumicante è simbolo dell'orazione», accanto al quale spunta un elemento arboreo, la quercia, descritta come
pianta che fin dagli antichi aveva una valenza di vita, alla voce Amor di fama «La corona civica era di Quercia, e gl'antichi coronavano di quercia quasi tutte le statue di Giove, quasi che questa fusse segno di
vita», Facendo riferimento, a questa citazione molto probabilmente, la
quercia viene inserita in maniera preponderante all'interno
dell'opera come la volontà da parte del figlio di donare vita eterna
al ricordo della madre morta precocemente.
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Fig. 16 - Antonio Corradini, Pudicizia, 1752.
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Sandro Fogli, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Fig. 17 - Carlo Spiridore Mariotti, Pudicizia, acquaforte da Cesare Ripa, Iconologia, edizione curata da Cesare Orlandi, Perugia, 1764-67.
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Il
secondo è dedicato al padre, Antonio di Sangro, uomo dalla vita
abbastanza turbolenta, tanto da vantare anche l'attribuzione di un
delitto passionale, che in età matura decise di tornare nella
sua città di origine, Napoli, dove si dedicò alla vita
pia.
La
statua a lui dedicata, il Disinganno, (fig. 18) affonda
le sue radici iconografiche nella medesima voce, del tutto assente
nell'edizione scritta dal Ripa e quindi introdotta dall'Abate
Orlandi.
Anche
qui è possibile riscontrare la fusione di vari elementi desunti
dalle voci del Ripa: la rete che avvolge l'uomo intento nell'atto di
districarsi proviene dalla voce Inganno: « In
mano tenga una reta con alcuni sarghi, dentro d'essa »,
il giovane alato che rischiara la vista dell'uomo attraverso la sua
luce si rifà alla voce Intelletto
dalla quale riprende gli attributi della corona fiammeggiante posta
sul suo capo, massima espressione anche di quell'età cara al
committente, l'Illuminismo che prevede il lume della ragione come
massima espressione di saggezza, e lo scettro che reca in mano,
attributi anche questi riscontrabili nella descrizione ripana:
«Giovinetto
vestito d'oro; in capo terrà una corana medesimamente d'oro / dalla
cima del capo gl'uscirà una fiamma di fuoco, nella destra mano terrà
uno scettro ».
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Fig. 18 - Francesco Queirolo, Disinganno, 1753-54,
Napoli, Museo Cappella Sansevero.
Foto di Sandro Fogli, cortesia © Archivio Museo Cappella Sansevero.
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Dai bozzetti corradiniani emerge come l'artista avesse concepito il gruppo scultoreo del Disinganno privo di quellìambientazione scenica che fu invece messa in opera dal Queirolo come dimostrano i particolari del tendaggio, del globo terrestre, delle rupi presenti nella parte inferiore della composizione e anche la variegata disposizione dei libri, alcuni aperti altri chiusi.
La
prima è una telo che, differentemente dal resto delle composizioni
presenti nella cappella caratterizzate da sottili panneggi che
esaltano le trasparenze ed i volumi sottostanti ispirate dalla
leggerezza dei bozzetti corradiniani, risulta molto pesante. Nella
sua estremità inferiore sono presenti della frange e nella zona
superiore vi è un fiocco fatto da una corda e terminante con delle
nappine che pendono. Caratteristiche queste che fanno sembrare il
telo simile ad un sipario che aprendosi lascia intravedere la scena.
Questo stesso tipo di panneggio pesante è presente ai lati della
tomba di Raimondo di Sangro eseguita da Francesco Maria Russo
posta nel vano antecedente la scala che porta alla cripta
sotterranea. L'opera è composta da una grande lapide in marmo rosa
dove campeggia l'elogio funebre del defunto inserita in una cornice
adorna di grappoli d'uva e motivi vegetali che corrono su tutto il
perimetro della lapide. Al di sopra si trova una cornice contenente
il ritratto del defunto, eseguito dall'artista partenopeo Carlo
Amalfi, sormontato da un grande arco decorato con armi, libri,
strumenti musicali e scientifici, oggetti volti a commemorare le
passioni e le glorie del principe.
La
voce Disinganno
si
apre difatti così «In
una vaga maestosa prospettiva di teatro con improvvisa mutazione di
Scena »
frase che supporta la sopracitata interpretazione.
Inoltre
lo stesso concetto di Disinganno può essere assimilato al concetto
di farsa teatrale dove le bellezze, le gioie ed i piaceri della vita
e persino il modo stesso vengono paragonati ad una finzione che
dietro di sè cela la vera vita come dice lo stesso Orlandi «Non
può di certo, a mio credere, più espressamente spiagarsi l'esser
del Mondo, che col figurarlo un artificioso teatro ».
I
piedi dell'uomo posano su di un terreno brusco e scosceso,
volutamente realizzato così dall'artista per esaltarne la superficie
ruvida, particolare espresso anch'esso alla voce Disinganno,
dove
il
cambio
di scena apportato alla mistificazione
delle
apparenze ha immerso l'uomo nella vera realtà delle cose, scoprendo
«un'orrida
veduta di Selve, Monti, Rupi ».
Accostando
la descrizione letterale presente nel testo di Cesare Ripa alla
corrispondente statua si notano delle importanti analogie che
avvalorano la tesi secondo la quale il principe di Sansevero fu
illuminato dal simbolismo dell'opera non solo da finanziarne
un'edizione ma anche da prenderla come guida per la realizzazione
delle opere scultoree che ornano le tombe del tempio sepolcrale di
famiglia.
Si
può quindi affermare che il corpus scultoreo della
Cappella Sansevero non sia solo espressione della volontà del committente
di esprimere criptici messaggi massonici da lasciare ai suoi avi, ma
sia la trasposizione figurativa di un'opera letteraria e simbolica di grande
importanza diffusa nel tempo.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
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1957
Giuseppe
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Cristo velato nella Cappella Sansevero a Napoli, in
“ Bollettino d'Arte, Ministero della pubblica istruzione, Direzione
generale delle antichità e delle belle arti” , anno 42, n. 2
(apr.-giu. 1957), pp. 179-185.
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“ Arte veneta. Rivista di Storia dell'Arte”, 2 Venezia 1948.
CARACCIOLO
1624
Eugenio
CARACCIOLO, Napoli
Sacra: ove oltre le vere origini, e annotazioni di tutte le chiese,
monasterii...con più indici, Napoli,
per Ottavio Beltrano, 1624.
CATELLO
2004
Elio
CATELLO, Giuseppe
Sanmartino, 1720-1793, Napoli,
Electa 2004.
CAUSA
PICONE 1959
Marina
CAUSA PICONE, La
Cappella Sansevero, Napoli,
Arte Tipografica, 1959.
COGO
1996
Bruno
COGO, Antonio
Corradini scultore veneziano ( 1688-1752), Este,
Libreria gregoriana estense, 1996.
CROCCO
1967
Augusto
CROCCO, Breve nota
di quel che si vede in casa del principe di Sansevero D. Raimondo di
Sangro nella città di Napoli, a
cura di Augusto Crocco, Colonnese, Napoli, 1967.
NAPPI
1977
Eduardo
NAPPI, La
famiglia, il palazzo e la cappella dei principi di Sansevero dai
documenti dell'Archivio Storico del Banco di Napoli, Napoli,
Arte Tipografica, 1977.
ORLANDI
1764
Cesare
ORLANDI, Iconologia
del cavaliere Cesare Ripa Perugino, notabilmente accresciuta
d'immagini, di notazioni e di fatti dall'abate Cesare Orlandi. Abate
di Città della Piave Accademico Augusto, Perugia,
Giovanni Costantini, 1764.
RIPA
1593
Cesare
RIPA, Iconologia,
overo descrittione dell'imagini universali cavate dall'antichità et
da altri luoghi da Cesare Ripa Perugino, opera non meno utile che
necessaria à Poeti, Pittori, & Scultori, per rappresentare le
uirtù, i uitij, affetti, & passioni humane. Roma,
Giovanni Gigliotti, 1593.
SARNELLI
1788
Pompeo
SARNELLI, Guida
de' forestieri per la città di Napoli: in cui si contengono tutte le
notizie topografiche della città, nuovamente spurgata dalle suiste e
accresciuta di quanto si osserva in famosa città, Napoli,
a spese del librajo Nunzio Rossi, 1788.
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