Incastonato nel complesso e variegato
sistema socioculturale del
Rinascimento italiano, il caso bresciano è non solamente degno di
menzione, bensì meritevole di un approfondimento specifico che in
questa sede cercheremo abbozzare ed al contempo incoraggiare visti i
molteplici punti d'interesse emersi nel tentativo di tirare le fila
di un discorso che, iniziato da una ricognizione del fondo
archivistico della famiglia
Averoldi, è volto
a fare luce sulla nebulosa figura di Bartolomeo Averoldi, uomo di
chiesa ma anche di politica appartenente all'antica casata bresciana
di origine longobarda di notevole peso nel consolidato sistema
oligarchico bresciano. L'Averoldi, che all'apice della sua carriera
ecclesiastica fu abate benedettino di un monastero millenario e
successivamente arcivescovo di una diocesi dalmata, viene però
ricordato soprattutto per aver fondato un'accademia umanistica di
matrice neoplatonica ed ispirazione pagana, l'Accademia dei Vertunni.
Le fonti la dicono esistente prima del 1479, data in cui l'abate
dovette lasciare Brescia per insediarsi come arcivescovo a Spalato,
ma di certo c'è che fu di poco successiva all'estinzione
dell'Accademia Romana di Pomponio Leto, avvenuta nel 1468 per volere
del Papa Paolo II. Quale che fosse la natura di questa accolita
erudita, se avesse forma e statuto come quella romana oppure fosse
“nulla più che
un'Adunanza, o una
regolata Conversazione letteraria”1,
la sua derivazione dal sodalizio raccolto solo pochi anni prima
attorno alla figura di Pomponio Leto è più che probabile, vista la
presenza in esso - l'Accademia Romana - di diversi personaggi di
origine bresciana, più o meno direttamente accostabili alla rete di
relazioni che compone e fa da substrato culturale al sodalizio
bresciano, legato inoltre agli ambienti umanistici dello studium
di Padova e di quello bolognese, alla corte mantovana ed influenzato
dai rapporti con gli uomini di cultura riuniti nella Milano
sforzesca.
Questo studio nasce
infatti dal tentativo di
riscoprire i legami costitutivi del sub-strato culturale che,
dipanandosi sulla direttrice Venezia-Roma e con numerose tappe
intermedie, sta alla base creazione della più famosa opera
letteraria del Rinascimento, l'Hypnerotomachia
Poliphili, il
cui autore, Francesco
Colonna, corrisponde, secondo la tesi del Prof. Stefano Colonna2,
al nobile romano Signore di Palestrina, i cui legami con l'ambiente
pomponiano, oltre che con una moltitudine di altri umanisti di
primissimo ordine, sono riconosciuti e sostenuti da numerose prove
documentarie. L'occasione di questa ricerca ci è data nella
fattispecie dal fatto che la famiglia Averoldi fu legata da frequenti
rapporti commerciali a quella veneziana dei Barbarigo, alla quale
appartenevano Filippo Barbarigo, protonotario apostolico che nel 1473
sottoscrisse la bolla di nomina di Francesco Colonna a protonotario
apostolico partecipante, e Pierfrancesco Barbarigo, socio e
finanziatore per l'edizione dell'H.P.
curata da Aldo Manuzio3:
a sua volta, il celebre tipografo, ebbe non di rado rapporti
professionali e culturali con la città lombarda stimandola
pubblicamente per l'impegno della scolarizzazione e nella
divulgazione delle humanae
littare,
ed in particolare fu in contatto con i titolari della tipografia più
accreditata all'epoca in Brescia4,
quella dei Britannico, famiglia di tipografi, grammatici ed eruditi,
che fu strettamente legata alla famiglia Averoldi.
Occorre quindi inserire
i dati raccolti (di
fatto non inediti) nel contesto appropriato della Brescia
rinascimentale al fine di carpirne il giusto valore: Brescia non
rivestì certo un ruolo dominante nell'Italia dell'epoca che hanno
interpretato centri come Milano e Venezia, politicamente,
economicamente e culturalmente. Fu al contrario la sua natura di
territorio eternamente conteso tra le due “capitali” del nord, di
territorio di passaggio e di scambio tra il centro dell'Europa, al di
là delle Alpi, e la fertile pianura padana e di qui al centro Italia
che le permise di arricchirsi anche culturalmente venendo sempre a
contatto con la profusione di correnti di pensiero filosofico
dell'epoca. Nondimeno la riscoperta delle proprie radici culturali
latine causò grande entusiasmo all'ombra della rinnovata stabilità
garantita dal dominio veneziano a partire dal 1426, la cui
manifestazione più evidente fu un vasto programma di
riqualificazione urbanistica durante il quale, in occasione di
abbattimenti e scavi per far posto a nuove mura, edifici e strade,
riemerse una notevole quantità di epigrafi ed elementi
architettonici di epoca romana: la diretta conseguenza fu
l'allestimento del così detto lapidarium
(nel 1482, storicamente la prima esposizione pubblica di reperti
archeologici), nell'ambito più ampio dell'edificazione,
significativa, della nuova Platea
Magna,
l'attuale Piazza della
Loggia, iniziata negli anni '30 del Quattrocento e conclusa solo un
secolo più tardi con la fine dei lavori del palazzo della Loggia.
Qui il recupero dell'antico divenne strumento politico trovando
espressione nell'architettura ispirata al modello greco dell'agorà
e nelle lapidi celebrative romane esposte integrandole nella facciata
del Monte di Pietà insieme ad altre realizzate ex-novo
a
celebrare i rappresentanti del
governo cittadino, il podestà ed i rettori veneti, ma soprattutto a
celebrare Brescia stessa nel paragone tratto dalla storia romana con
la città di Sagunto, che fu fedele a Roma contro i cartaginesi
proprio come Brescia lo fu verso Venezia contro i milanesi:
l'iscrizione a caratteri capitali tutt'oggi visibile recita infatti
SAGVNTINORUM ET / BRIXIANORUM / MIRANDA / CONSTANTIA . E' proprio
dalla cultura antiquaria della cerchia costituitasi intorno alle
figure dominanti di epigrafisti come il Ferrarino, il Vosonio ed il
Solazio ma anche Elia Capriolo, autore della prima opera a carattere
storiografico su Brescia (Chronica
de
rebus brixianorum,
1505), che sono
usciti gli ispiratori del primo lapidarium
realizzato
come delle epigrafi
ex-novo:
ne è testimone il carme dedicato alla città dall'umanista Vosonio
(Stefano Buzzoni) alla fine del Quattrocento che fa esplicito
riferimento proprio al lapidarium
appena realizzato 5.
Una
testimonianza ulteriore di
questa nuova sensibilità nei confronti dell'antico fu il decreto
datato 13 ottobre 1480 con il quale il comune
stabilì
all'unanimità che i marmi lavorati, scolpiti o incisi, ritrovati
nell'area dei Monti di Pietà (in corso di edificazione) o altri
luoghi, dovessero essere conservati per le pubbliche fabbriche e che
non potessero essere alienati6.
Ciò detto, se è vero che le pubbliche disposizioni mirano sempre a
correggere processi già in corso, si può verosimilmente dedurre non
solo che fosse d'uso comune l'appropriarsi di questi reperti ma anche
affermare l'esistenza delle prime collezioni bresciane. Il possesso
di queste “anticaglie” andava ad assumere un valore del tutto
intellettuale, considerato l'emergere di un certo senso “patriottico”
nell'erudizione locale, la quale sentiva sempre più forte l'esigenza
di giustificare in qualche modo l'interesse per l'antico con la
glorificazione del proprio passato e delle proprie origini. E' forse
riconoscibile in quel Genio di Brescia a cui dedica
un
capitolo delle sue Memorie bresciane nel 1616
Ottavio Rossi
nell'ambito di una cultura antiquaria che nel censimento dei marmi
antichi afferma la nobiltà della discendenza classica, facendone
anche strumento di dignità politica del patriziato locale sotto il
governo della Serenissima. Medesimo
discorso
motiva il forte interesse per la numismatica, “disciplina assai
praticata a Brescia, come confermano alcune fonti secondo le quali il
medagliere del re di Francia si sarebbe notevolmente arricchito dopo
che, nel febbraio del 1512, Gaston de Foix mise a ferro e fuoco la
città lombarda, portando in patria un copioso bottino di guerra”7.
In campo artistico tutto ciò fu fonte di ispirazione per elementi
decorativi di monumenti, edifici pubblici e privati: ne sono esempi
il monumento funebre del vescovo umanista Domenico de' Dominici
datato al 1478 ed i portali di palazzo Calzaveglia e della chiesa di
San Giovanni, ispirati agli archi trionfali romani ed attribuiti
entrambi a Filippo de' Grassi, già architetto del Monte Vecchio di
Pietà che ospita il lapidarium
e
successivamente direttore dei lavori della Loggia. Di attribuzione
più incerta, tra lo stesso Filippo de' Grassi ed il Gasparo
Cairano8,
è invece l'arco trionfale che inquadra l'altare di San Girolamo e
Santa Margherita di Antiochia nella navata destra della chiesa di San
Francesco, dove oltre ai busti clipeati di ispirazione classica
troviamo, scolpito in bassorilievo alla base delle due colonne
portanti, il motivo paganeggiante della Zuffa
di dei marini,
direttamente
riconducibile ad una matrice mantegnesca.
|
Fig. 1: Gasparo Cairano (?),
1506-1510 circa,
Zuffa di dei marini (da Mantegna), bassorilievo,
particolare dell’altare di San Gerolamo e
Santa margherita d’Antiochia, Chiesa di San Francesco d’Assisi,
Brescia.
|
Ricostruito
sinteticamente l'habitat
storico dentro al quale è inscritta la nostra ricerca è necessario
operare nello stesso modo anche per quanto riguarda l'ecosistema
Averoldi, al fine di circoscrivere il campo d'indagine intorno alla
figura di Bartolomeo, ovviando così (almeno in parte) alla mancanza
di documenti che lo riguardano direttamente. In assenza di studi
monografici sulla famiglia e detto anche della estrema lacunosità di
un fondo archivistico maltrattato dalle vicissitudini della storia
che, come evidenzia lo storico locale Paolo Guerrini in una nota del
1926, subì un duro colpo con la dispersione di gran parte del
materiale documentario durante la Grande Guerra9,
abbiamo comunque la possibilità di farci un'idea della storia della
famiglia in epoca tardo medioevale basandoci su di un manoscritto di
memorie risalente con buona certezza al secolo XVIII che ne tramanda
personaggi illustri ed imprese10.
|
Fig. 2:
Autore ignoto, XVI secolo, stemma della famiglia Averoldi
sormontato
da galero vescovile, affresco, ex palazzo Averoldi, via Odorici,
Brescia.
|
Qui
un'ampia descrizione ne attesta l'origine in epoca romana, sotto
l'Imperatore Vespasiano, accostando le vicende di alcuni suoi membri
a quelle dei Santi patroni della città, Faustino e Giovita, martiri
cristiani. Più verosimile è però la versione di Ottavio Rossi che
ne riconduce la comparsa a Brescia in epoca longobarda11.
Continuando la lettura si incontrano numerosi Averoldi ecclesiastici,
politici e militari che nel corso dei secolo lasciarono memoria
tramite le proprie imprese; sul finire del medioevo, nell'ambito
degli scontri tra guelfi e ghibellini, abbiamo i primi dati
significativi per delineare un profilo storico-politico dell'antica
casata utile alla nostra ricerca, allorché un Girardo (Gherardo)
Averoldi guidò la scacciata della fazione ghibellina da Brescia
nell'anno 1311. La fedele appartenenza degli Averoldi alla fazione
guelfa è un dato da tenere sempre in considerazione poiché li lega
nel corso dei secoli alla politica filo-veneziana, che
dell'appartenenza a questa fazione fece il principale strumento di
indipendenza dall'Impero. A conferma di questo, un secolo dopo, nel
1426, un altro Gherardo Averoldi è protagonista assieme a Pietro
Avogadro, esponente di un'altra potente famiglia aristocratica
bresciana, della cosiddetta Congiura
di Gussago,
evento dal quale presero
le mosse la rivolta antiviscontea ed il conseguente atto di
sottomissione alla Repubblica di Venezia. Da questa data la ricerca
si può avvalere dei primi dati genealogici certi: la suddivisione
della casata in numerosi rami avvenuta successivamente alla
spartizione dell'eredità di Giovanni quondam
Gherardo
Averoldi è riportata in
maniera precisa in due manoscritti12
di provvisioni e concessioni riguardanti soprattutto il ramo dei
Patengoli che aveva possedimenti nel territorio limitrofo al Lago di
Garda, in particolar modo il Castello di Drugolo, tuttora esistente,
dove crebbe e venne educato Altobello Averoldi, il più noto
esponente di questa famiglia, nipote di Bartolomeo. In calce a questi
due volumi sono due identici alberi genealogici di pregevole
esecuzione che partono appunto dalla figura di Gherardo quondam
Ioannes de Averoldis padre di tre fratelli, Bartolomeo, Cristoforo e
un altro Giovanni, il cui ramo ci interesserà particolarmente.
Figlio di Giovanni è il nostro Bartolomeo (da non confondersi con
l'omonimo e di poco successivo vescovo di Calamona), il quale ebbe
altri quattro fratelli tra i quali è bene ricordare Giovan Paolo (i
manoscritti in questione lo riportano però come Gio.
Petrus) padre
del celebre Altobello,
uomo politico e soprattutto grande mecenate. Un'altra ricostruzione
più recente della genealogia Averoldi, limitatamente al ramo di
Bartolomeo, è nel resoconto biografico redatto dal Fé d'Ostiani13
che, tolte alcune discordanze, combacia con la fonte precedente,
anche nel mutamento di Giovan Paolo in Giovan Pietro. A questo punto
credo sarà utile soffermarsi sulle figure di Giovan Paolo Averoldi e
del figlio Altobello, non solo in quanto molto significative da un
punto di vista culturale e molto vicine al soggetto della nostra
ricerca, del quale ricostruiremo successivamente un profilo
biografico, ma anche perché evidentemente parte integrante della
rete di legami umanistici prossima al sodalizio vertunno. Della
personalità di Giovan Paolo Averoldi deduciamo il peso in ambito
politico ed economico grazie alla notevole quantità di materiale
documentario conservato in archivio e notiamo l'intenso rapporto in
affari con l'ambiente veneziano e spesso la sua diretta presenza a
Venezia: in particolare il legame con la famiglia Barbarigo è
testimoniato da una missiva di carattere commerciale indirizzata ad
Andrea Barbarigo da me visionata all'interno dell'Archivio Averoldi14.
Dallo stesso archivio in passato sono emersi numerosi documenti15
che testimoniano l'intensa attività di mecenate del nobile
bresciano, volta all'arricchimento delle residenze private, delle
proprie collezioni e delle maggiori chiese cittadine, e che vide
all'opera i più noti artisti lombardo-veneti dell'epoca: a Vincenzo
Foppa, Giovanni Girolamo Savoldo, Agostino da Lodi ed Alessandro
Bonvicino detto il Moretto corrispondono commissioni di Giovan Paolo
Averoldi. Tra le più significative ed interessanti per cronologia e
per valore filosofico-culturale troviamo l'edificazione della
cappella Averoldi all'interno della Chiesa di Santa Maria del
Carmine, all'epoca uno dei cantieri cittadini più importanti. Al suo
interno troverà sepoltura proprio Giovan Paolo Averoldi, per volontà
del figlio Altobello e della moglie Lucrezia Caprioli o Capriolo
(sorella di Elia Capriolo)16.
Per l'esecuzione degli affreschi nel 1477 fu richiamato da Milano
Vincenzo Foppa, il più noto degli artisti bresciani dell'epoca,
esponente e divulgatore di quel gusto proto-rinascimentale ancora
intriso di gotico floreale caratteristico dell'area lombarda sul
finire del XV secolo ma già influenzato dagli apporti rinascimentali
toscani introdotti a Milano da Filarete, Bramante e Leonardo da
Vinci, che troverà a Brescia, in particolare nel bramantesco
cantiere della nuova Platea
Magna
(attuale Piazza della Loggia), la propria maturità stilistica.
|
Fig. 3:
Veduta generale della cappella Averoldi, dal 1477, Santa
Maria del
Carmine, Brescia.
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Non
meno interessante la commissione nel 1504 di un'opera della quale
purtroppo non ci è noto il soggetto al pittore Agostino da Lodi,
ormai universalmente riconosciuto nello pseudo-Boccaccino, artista
itinerante e tra i maggiori responsabili della diffusione delle
novità milanesi a Venezia ed in rapporti con Bramantino e Leonardo
da Vinci a Milano, con Giovanni Bellini, Giorgione e Dürer a
Venezia: il documento di spesa a lui riferito fa parte di una serie
di pagamenti effettuati da Giovan Paolo Averoldi proprio nella città
lagunare. Medesimo discorso per la commissione (nel 1527, stavolta
riferibile con buona probabilità al San Girolamo oggi custodito alla
National
Gallery di
Londra) a Giovanni Girolamo Savoldo “bressano,
pictore in Venezia ”,
la cui
biografia lo vuole documentato in giovane età tra Parma e Firenze, e
successivamente operante tra Milano e la laguna. Sono soprattutto
queste commissioni a darci la misura dell'inclinazione culturale e
del gusto verso le più moderne tendenze artistiche e, come
escluderlo, filosofiche di una personalità come quella di Giovan
Paolo Averoldi, che con ogni probabilità non dovette essere isolata
nell'elaborazione del proprio pensiero ma, più probabilmente, fu
partecipe di un ambiente e di un contesto ben più ampio. Prova della
viralità della diffusione di tale tensione umanistica è da
riscontrarsi nella figura del figlio di Giovan Paolo, Altobello
Averoldi, prosecutore accanito del mecenatismo averoldiano.
Nato nel
1468, secondo le fonti
trascorse l'infanzia nel castello di Drugolo, possedimento storico
della famiglia nei pressi del Lago di Garda17
e fu educato dallo zio Bartolomeo Averoldi18
che fu suo precettore e con buona probabilità lo introdusse alla
carriera ecclesiastica; sappiamo però anche della presenza di
Giovanni Britannico tra i familiares
Giovan Paolo Averoldi, stipendiato come precettore dei figli
giovinetti19:
la compresenza di Bartolomeo Averoldi e Giovanni Britannico
nell'educazione del giovane Altobello è un elemento di particolare
interesse visti i molteplici legami del Britannico con i maggiori
umanisti locali dell'epoca, molti dei quali relazionabili o
appartenenti al circolo vertunno. Laureatosi Dottore in legge presso
lo studio di Padova Altobello fu immediatamente accolto a Roma dal
cardinale Raffaele Riario, nipote dell'allora pontefice Sisto IV,
eventualità questa che è bene sottolineare in quanto testimone di
un possibile rapporto di interessi tra la famiglia Della Rovere e
quella degli Averoldi. L'amicizia tra Altobello e Riario sarà
duratura: alla morte del cardinale, nel 1521, Altobello farà erigere
un monumento funebre comune per sé e per l'amico nella chiesa
bresciana intitolata ai S. Nazaro e Celso, storica prepositura della
casata bresciana che fu presieduta per un periodo di tempo allo
stesso Riario. In seguito alla distruzione della chiesa per lo
scoppio della polveriera nella vicina porta San Nazaro nel 1726 e
alla conseguente ricostruzione, la sepoltura Riario-Averoldi fu
smembrata e ricollocata maldestramente impedendone una visione
unitaria (mescolata anche ad un altro monumento funebre, quello di
Ottavio Ducco, di qualche decennio più antico). Altobello dovette
godere di buona fama anche presso i successivi papi: Alessandro VI lo
investì del prestigioso vescovato di Pola e da Giulio II, “amico
e parente del Riario” e
ricevette
l'incarico di “Prefetto
e
Correttore degli Archivi e Referendario”20;
sotto Leone X fu nunzio apostolico a Bologna e successivamente a
Venezia, ricevendo nel frattempo la prepositura di Ss. Nazaro e Celso
a Brescia che dotò di notevoli capolavori artistici tra i quali come
detto spicca il celebre Polittico
Averoldi ad
opera di Tiziano, del
quale era “amicissimo”21,
come pala dell'altare principale22.
|
Fig. 4: Tiziano Vecellio, Polittico Averoldi,
1520-1522, olio su tavola,
Collegiata dei Santi Nazario e Celso, Brescia.
|
Tra gli
affini all'Averoldi è poi doveroso citare un altro nobile
bresciano, Mattia Ugoni, ordinato vescovo di Famagosta nel 1504
sempre da Giulio II. In un recente studio proposto da Vittorio Zani
sullo scultore ed architetto Gasparo Coirano, è stata ricondotta
all'Ugoni la commissione dell'altare dedicato a San Girolamo nella
chiesa di San Francesco a Brescia, di ispirazione bramantesca
nell'architettura e indubbiamente derivante nella decorazione a
bassorilievo alla base delle colonne marmoree dall'incisione
intitolata “Zuffa
degli dei Marini”
di Mantegna (databile tra il 1458 e il 1480, Collezioni del Duca di
Devonshire e Chatsworth Settlement Trustee, Chatsworth): sia l'Ugoni
che il Mantegna figurano curiosamente tra i dedicatari della
rarissima raccolta di Epigrammi
del Vosonio23,
insieme a molte altre figure di primo livello in ambito politico,
religioso ed anche artistico, tutti accomunati da profondo spirito
umanistico espresso di caso in caso con l'inclinazione alle lettere,
al collezionismo di “anticaglie”
o all'attività di mecenati che permette la creazione quelle opere
che costituiranno lo stile rinascimentale (ne incontreremo numerosi
altri nel corso della ricerca). Da notare inoltre che la matrice
architettonica del Coirano, attivo peraltro nel cantiere della Loggia
(vedi Zani), è facilmente riconoscibile in almeno due luoghi
“averoldiani” come il portale laterale della Chiesa di Ss. Nazaro
e Celso (unico elemento residuo della struttura rinascimentale
dell'edificio andata distrutta all'inizio del XVIII secolo) e nella
facciata della vicina Chiesa di Santa Maria dei Miracoli (legata
amministrativamente alla prepositura nazariana), per l'esecuzione
della quale è certo l'intervento, in qualità di supervisore, di
Giovan Paolo Averoldi insieme a Mattia Tiberino, grammatico
insegnante a Brescia e presente anch'esso nel suddetto elenco
dedicatorio vosoniano.
Restando nel campo del mecenatismo di Altobello è da ricordare un
suo ritratto eseguito da Francesco Raibolini detto il Francia ed
attualmente conservato presso la National Gallery of Art di
Washington24.
|
Fig. 5: Francesco Raibolini detto
“Francia”, Ritratto di Altobello
Averoldi, 1505 circa, olio su tavola, National Gallery of Art,
Washington.
|
Questa
commissione, non documentata ma ripetutamente nominata dalle
fonti con varie e presunte attribuzioni, ha una propria
verosimiglianza vista la reiterata presenza del prelato bresciano a
Bologna e inoltre si lega strettamente ad un'altra commissione del
vescovo riportataci ancora una volta nel breve resoconto del Fè
d'Ostiani allorché parlando della sua opera di mecenate ci informa
del fatto che “Trovandosi
al
reggimento di Bologna ebbe un distinto lavoro dell'Urbinate Timoteo
Vite che regalò alla chiesa di S. Giovanni sua Parrocchia paterna”.
La relazione di discepolato che lega i due artisti (Timoteo Vite è
allievo del Francia, ce ne informa già il Vasari25),
attesta ulteriormente la frequentazione dell'Averoldi con questa
bottega di artisti, ma risulta ancor più importante alla luce del
fatto che il Francia, che prima che pittore fu apprezzato orafo e
medaglista, fu affiliato alla bottega di Squarcione, artista cultore
dell'antico e soprattutto collezionista di antichità a Padova, la
stessa in cui apprese l'arte il già citato Andrea Mantegna. Altro
scultore, orafo e medaglista nell'orbita Averoldi fu Maffeo
Olivieri, autore per Altobello di due medaglie “all'antica” con
la sua effige26
e di due candelabri per la basilica di San Marco a Venezia
attualmente ai lati dell'altare della Cappella della dei Mascoli,
donati dallo stesso Altobello.
|
Fig. 6: Maffeo Olivieri, Medaglia per Altobello Averoldi
(recto), 1517-1521
circa, Museo Civico Archeologico di Bologna.
|
Evidenziati i legami
dei familiari, almeno
delle personalità più affini al soggetto della ricerca, con alcuni
umanisti ed artisti che sembrano costituire una cerchia abbastanza
definita e definibile attorno all'idea del recupero dell'antico
spendiamo in questa sede alcune parole (troppo poche per l'importanza
dell'argomento) anche sulla testimonianza pervenutaci a riguardo
dell'antica biblioteca Averoldi. Smembrata e dispersa anche questa
(come l'archivio di famiglia) durante la Grande Guerra, ha lasciato
traccia di sé tramite due elenchi parziali fortunosamente recuperati
e successivamente pubblicati dal Guerrini27,
uno anteriore al 1487 (la data compare in calce in una nota
riguardante volumi dati in prestito) e l'altro recante le date 1526 -
1529 – 1538. Nel primo dei due inventari, intitolato
significativamente, Inventario
de
libri de humanità
sono presenti,
insieme a molti classici greci e latini, alcuni testi di illustri
umanisti contemporanei all'Averoldi, come nel caso delle Elegantie
di
Lorenzo Valla, testo celebre in
cui il letterato romano si prodiga in una difesa della purezza della
lingua latina e in un'esaltazione del ruolo della grammatica e della
retorica in funzione antiscolastica e antiaristotelica; medesime
istanze, volte a celebrare l'utilizzo della filologia e della critica
storiografica come mezzi per una più ampia comprensione dell'uomo e
come mezzo di trasmissione dei più alti valori dell'epoca classica,
sono perseguite da Marco Antonio Sabellico, presente anche lui
nell'elenco, ma maggiormente significativo in quanto affiliato
all'Accademia Romana di Pomponio Leto insieme al Platina, sempre
nell'elenco, che accusato di paganesimo da Paolo II e processato per
eresia, ebbe miglior fortuna quando salì al soglio pontificio Pio
II, il papa umanista, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Anche
quest'ultimo è presente nell'inventario averoldiano con la dicitura
Li
comentari de Caesaro [e la asia de
papa pio]:
l'accostamento dei
Commentarii
di
Giulio Cesare e del De
Asia di
Pio II (iniziata nel 1461 ed ultima delle sue opere a carattere
storico-geografico), non è casuale visto che lo stesso Piccolomini
fu autore di un'opera intitolata Commentarii
rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt
(I Commentari
delle cose memorabili
che accaddero ai suoi tempi),
notoriamente ispirata a quella dell'imperatore romano (come
quest'ultima era scritta in terza persona, espediente atto ad
enfatizzare il carattere autocelebrativo dell'opera nei confronti
dell'autore stesso); si può anzi pensare che l'identificazione con
l'opera di Giulio Cesare sia addirittura erronea ed in realtà il
volume indicato fosse proprio quello di mano del Piccolomini,
altrimenti non si spiegherebbe l'accorpamento dei due volumi. La loro
presenza risulta ancor più significativa alla luce del fatto che i
Commentari
furono pubblicati solo un secolo più tardi e l'Asia
non lo fu mai, quindi si parlerebbe di copie manoscritte e giunte
nella biblioteca Averoldi non molto tempo dopo la loro stesura. E'
noto che l'approccio storiografico del Piccolomini fosse desunto
almeno in parte dai modi di Flavio Biondo, suo segretario papale,
storiografo umanista per eccellenza, studioso delle antichità
romane, vero e proprio archeologo nonché autore di varie opere tra
le quali riconosciamo nel nostro inventario il De
Roma triumphante,
narrazione storica
della Roma pagana come modello di governo e di civiltà da imitare.
Un'altra dicitura che merita di essere evidenziata in questo primo
elenco riporta semplicemente il nome Igino,
ma ne abbiamo maggiori informazioni in quanto verrà ripetuta anche
nel secondo elenco come Higinus,
de
signis celestibus.
Vissuto in epoca
romana Igino è ricordato come autore di un trattato astronomico (De
astronomia o
Poeticon
astronomicon)
che tratta in quattro
libri di nozioni generali sulla terra e lo zodiaco, di miti
riguardanti il cielo e le costellazioni, della posizione e
composizione delle stesse e di nozioni riguardanti il moto ed il
percorso degli astri; anche quest'opera doveva essere una copia
manoscritta essendo stata data alle prime stampe presso Gianbattista
Sessa nei primi anni del '500. Nel secondo documento riportato dal
Guerrini, stralcio di un inventario databile agli anni venti del
Cinquecento, troviamo altri testi che confermano il carattere
neoplatonico nella scelta dei testi con la presenza di un altro
trattato astronomico, l'Al
manach,
altri volumi di filosofi e umanisti contemporanei come Erasmo da
Rotterdam (dal quale l'umanista bresciano Emilio Emilii ricevette
l'imprimatur
per la pubblicazione della sua traduzione in lingua volgare
dell'Enchiridion
che uscì per Ludovico Britannico nel 1531 con dedica ad Altobello
Averoldi), Marsilio Ficino, Mario Filelfo e di nuovo compare Pio II
con un epistolario. Vi troviamo inoltre una teoria musicale di
Franchino Gaffurio che egli elaborò nel 1492 sui principi armonici
dell'astronomia e dell'architettura e diede alle stampe presso i
fratelli Britannico nel 1502 e nel 1508 (il Gaffurio era peraltro
solito commissionare traduzioni degli autori latini per le sue
composizioni ad umanisti come Lorenzo Valla e l'accademico vertunno
Valguglio). Infine troviamo testi cardine del pensiero cinquecentesco
che ebbero poi larga fortuna come un Meschino
vulgare,
poema cavalleresco di
ascendenza neoplatonica molto vicino al pensiero ficiniano e
soprattutto un poliphylo
vulgare,
in riferimento chiaramente all'Hypnerotomachia Poliphili che è il
soggetto primo da cui prende le mosse anche questa ricerca.
L'importanza di queste notizie è veramente notevole, tanto più se
pensiamo che nel quattro e cinquecento la prima istruzione dei
rampolli delle famiglie nobili veniva loro impartita all'interno
delle mura domestiche e, detto che in seguito si recavano presso i
centri universitari delle città limitrofe per laurearsi, la loro
educazione umanistica si basava sui volumi presenti nella biblioteca
di famiglia: nel nostro caso la presenza di Bartolomeo Averoldi e
contemporaneamente quella di Giovanni Britannico nell'educazione di
Altobello Averoldi ci dà la certezza che Bartolomeo fosse almeno in
parte responsabile della selezione di questi testi oltre ad averne
certamente subito il fascino.
Ripercorriamo ora la
biografia del nostro
ecclesiastico dal forte ascendente umanistico, costituita unicamente
da notizie di carattere ufficiale ed incentrate quindi sulla sua
carriera professionale; anche da queste possiamo farci un'idea di
quali possibilità possa realmente aver avuto di entrare in contatto
con ambienti umanistici e personaggi di rilievo della sua epoca.
Bartolomeo Averoldi nasce nel 1413 da Giovanni Averoldi e da Regina
de' Conti di Martinengo della Pallata28.
Dopo una prima istruzione domestica, come da uso comune all'epoca,
completò gli studi nella Bologna liberale dei Bentivoglio, allievo
del filosofo, teologo e predicatore francescano Francesco Piazza29.
Nel 1437 ricopre già la carica di Preposto della Casa di S.
Bartolomeo in Contignaga30:
ce ne informa lo storico settecentesco Zaccaria che deduce
l'informazione da una Bolla di Eugenio IV secondo la quale l'Averoldi
denunciò al Papa (si ricorda come l'ordine degli umiliati non
rispondesse alla diocesi vescovile ma direttamente alla Sede
Apostolica) l'abate Jacopo del monastero di S. Eufemia per
indisciplina, suggerendone la rimozione con la speranza, suggerisce
lo Zaccaria, di prenderne il posto, cosa che non avvenne per
l'opposizione “de'
principali
Signori di Brescia”
che
scagionarono l'accusato31.
E' necessaria qui una riflessione sulla significativa appartenenza
dell'Averoldi all'ordine umiliato che, per quanto in quegli anni
versava già in una situazione di decadenza morale sopravvivendo solo
fino al secolo successivo, vantava comunque una posizione di notevole
rilievo essendo principalmente volto all'espletamento di funzioni
politiche, economiche e commerciali quasi fosse una branca
dell'amministrazione comunale (nella fattispecie gli umiliati di San
Bartolomeo ebbero l'incarico dal Consiglio Generale della custodia
del grano e dell'ufficio del sale, nonché di massari per il
controllo del bilancio comunale e per la supervisione sulle mercanzie
in ingresso ed uscita dalla città). E' inoltre importante ricordare
che da un punto di vista spirituale questa congregazione non si
allineò mai con una visione dogmatica del cattolicesimo, tanto più
che finì spesso con l'essere accostata ai molti movimenti evangelici
radicali allora diffusi anche a Brescia, che sfociarono poi
nell'eresia come quello degli Arnaldisti: da ciò derivò la loro
istanza di rispondere unicamente alla sede papale, senza nulla dovere
al potere territoriale dei vescovi. Comincia quindi a delinearsi una
personalità, quella dell'Averoldi, sicuramente ben integrata nel
sistema beneficiale del tempo
ma
forse non totalmente inquadrato in esso. La traslazione nel 1440
nella principale sede bresciana della congregazione cioè nella domus
di Santa Maria Maddalena di Gambara32,
che nelle gerarchie seguiva per importanza le sedi di Milano,
Viboldone e Como, avviene contemporaneamente ad un importante
incarico politico
allorché
[…]
fu uno dei sette ambasciatori
mandati dalla città al Serenissimo nostro principe di Venezia, dal
quale impetrarono diverse immunità et essencioni alla città
medesima l'anno 144033.
Aggiunge
il Faino che “giunto
alla virilità fu così grato, et stimato dalla Patria, che lo
sonstituì uno delli Riformatori delli Decreti, o Statuti di Brescia;
nel qual cas(ic)o fece valere le qualità del suo dotto, e peregrino
ingegno”: è
ipotizzabile che il
fatto avvenne più o meno in questo periodo, quanto l'Averoldi doveva
avere circa ventisette anni e già una considerazione tale da
ricevere incarichi pubblici. Sette anni dopo, nel 1447, viene eletto
Vicario Generale degli Umiliati da parte del Consiglio Generale
dell'ordine34,
entrando così in rapporto diretto con la sede apostolica presieduta
dal neoeletto Niccolò V, al secolo Tommaso Parentucelli.
Riconosciuto dalla storiografia come prototipo del papa umanista,
questo pontefice diede un grosso contributo all'Umanesimo capitolino,
controvertendo la percezione e la ricezione dei nuovi studi
umanistici fino ad allora considerati come possibili fonti di eresie
ed inclini al paganesimo; costituì una consistente raccolta di
codici che divenne il primo nucleo della Biblioteca Apostolica
Vaticana e promosse la traduzione in latino della letteratura greca
sia pagana che cristiana avvalendosi della collaborazione di numerosi
umanisti conosciuti nel suo periodo bolognese (contemporaneo al
periodo di studi universitari a Bologna dell'Averoldi) al seguito
dell'Albergati, poi a Firenze dove si trasferì la Corte pontificia
di Eugenio IV in seguito alla rivolta dei Romani: tra questi alcuni
nomi illustri che incontriamo analizzando le opere presenti nella
biblioteca Averoldi prima del 148735
come Lorenzo Valla, Niccolò Perotti, Falvio Biondo, Francesco
Filelfo ed il futuro Pio II Enea Silvio Piccolomini, a cui il
Parentucelli fu legato da profonda amicizia. Tornando
alla
biografia dell'Averoldi si assiste ad un successivo balzo in carriera
col raggiungimento della carica abbaziale (conferita dalla Sede
Pontificia) in una data compresa tra il 18 aprile 1451, ultima
attestazione del predecessore, ed il 12 aprile 1452, quando è
presente secondo lo Zaccaria in uno stromento
in questo giorno fatto dall'Abate Averoldo,
l'Averoldi è traslato dagli umiliati ai cassinesi e insignito del
titolo di Abate del monastero benedettino di Leno, struttura di
fondazione longobarda legata storicamente a quella di Montecassino e
da sempre dotata di un ingente patrimonio fondiario. Non è noto come
e per quali motivi Bartolomeo Averoldi fu insignito di tale carica,
ma qualcosa si sa dei legami tra l'ordine umiliato bresciano, molto
vicino (se non in qualche modo affiliato) a quello benedettino e
questo monastero che all'ordine benedettino apparteneva per
tradizione36.
Lo studioso gesuita (Zaccaria) è anche l'unica
fonte che si
sbilancia in un accenno di racconto dell'operato del nostro
Bartolomeo nell'abbazia benedettina: “Finalmente
verso la fine del MCCCCLI o certo innanzi il dì 12 d'Aprile
dell'anno seguente fu creato Abate di Leno. In questa dignità
costituito Bartolommeo pensò a vantaggi della Badia. Gli stava a
cuore principalmente la regolare disciplina, al qual fine nel
MCCCCLXXI trattò d'aggregare alla celebratissima Congregazione di S.
Giustina di Padova il suo Monastero. Ma convien dire, che per insorte
difficoltà malgrado le convenzioni stabilite non se ne facesse
nulla”37.
Per
quanto riguarda il fallito
tentativo da parte dell'Averoldi di aggregare l'abbazia leonese alla
potente congregazione di Santa Giustina di Padova ben poco si sa, se
non che probabilmente doveva essere l'unico modo per risollevare le
sorti del cenobio benedettino da tempo in decadenza; il fallimento
della trattativa, quando ormai il contratto era già stipulato (in
data 29 agosto 1471, nel monastero di Santa Eufemia, già aggregato a
Santa Giustina dal 1457) avvenne in coincidenza con la morte di
Paolo II e la salita al soglio papale di Sisto IV, il quale però non
si dimostrò mai ostile ad essa durante il suo operato, confermando
anzi i privilegi concessi dai predecessori38.
Vi è poi da annotare un altro episodio biografico interessante,
significativo soprattutto per farci un'idea della fama raggiunta
dall'ecclesiastico bresciano nella sua città natale, riportato
unicamente dalla storiografia sei-settecentesca39:
nel 1474 si sparse la voce della morte dell'allora vescovo di Brescia
Domenico de' Domenici e con grande entusiasmo della popolazione,
stanca di vescovi assenteisti, il Consiglio Generale della città
propose la candidatura di Bartolomeo Averoldi; verificata però la
falsità della luttuosa notizia il tutto venne vanificato. L'Averoldi
mantenne così ancora per alcuni anni la molto remunerativa carica
abbaziale finché gli venne offerta la possibilità di permutarla con
l'arcivescovato di Spalato, allora ricoperta dal cardinale veneziano
Francesco Foscari, compiendo un ulteriore passo in avanti nella
propria carriera ecclesiastica seppur in una diocesi periferica; al
contempo Venezia riuscì a dotare di una rendita degna il proprio
cardinale di fiducia e forse impossessarsi con la concomitante messa
in commenda dell'istituzione ecclesiastica del suo ingente patrimonio
fondiario, sul quale peraltro godeva già di un privilegio dal 1426,
anno dell'annessione di Brescia. Unica testimonianza pervenutaci
sull'operato dell'Averoldi nella sede dalmatica (peraltro indiretta
in mancanza di studi sul luogo) è ancora dello storico seicentesco
Faino che ci informa dell'impegno concreto in un riassetto
dell'intera diocesi iniziato con la convocazione dei vescovi a lui
sottoposti in un Sinodo generale, con conseguente plauso della
popolazione locale40.
Senza dilungarsi oltre su un argomento di cui sappiamo ben poco,
annotiamo a questo punto come alcune delle fonti cioè il Rossi e,
sulle sue orme, il Mazzucchelli ed il Peroni dichiarino il decesso
dell'ormai Arcivescovo Averoldi nel 1480, l'anno successivo
all'investitura. Ancora lo Zaccaria, preciso, annota prima la
testimonianza del Faino, che vuole il decesso di Bartolomeo sotto il
papato si Leone X, salito sul trono pontificale nel 1513, mettendo in
evidenzia in secondo luogo che in ogni caso l'Averoldi non possa
dirsi scomparso prima del 7 agosto 1480, giorno in cui si svolse a
Roma un aggiornamento degli accordi stipulati l'anno precedente tra
lui ed il Cardinal Foscari. Mentre c'è disaccordo sulla cronologia,
sulle cause di morte tutte le fonti concordano adducendo come
spiegazione il morso di un cane a Verona mentre si recava a Brescia,
proveniente da Spalato o da Venezia. C'è però prova che nel 1485
fosse ancora vivo visto che il 16 febbraio è tra gli iscritti alla
proba
per l'episcopato di Treviso eseguita il 26 dello stesso mese41.
Non fu questo l'ultimo tentativo di ottenere
un nuovo
importante incarico che lo avvicinasse alle sue terre d'origine (il
che farebbe peraltro pensare che risiedesse a Spalato più di quanto
si possa immaginare). Il secondo personale tentativo di accedere al
seggio vescovile di Brescia avvenne nel 1500 allorché Paolo Zane,
successore del de' Dominici, chiese al Papa di poter scambiare la
sede bresciana con il remunerativo arcivescovato di Spalato. Questa
informazione è stata dedotta da noi come dal Fè d'Ostiani dal
manoscritto del mons. Faino, il quale aggiunge che sapendo
dell'approvazione ottenuta presso la Santa Sede, il 5 febbraio 1500
il consiglio cittadino si apprestò a mandare “oratori al
Ser.mo
Prencipe, acciocchè si compiacesse di questa permuta”
(ipotizzo in riferimento all'allora Doge Agostino Barbarigo); anche
stavolta si risolse in un nulla di fatto “per le contingenze
che
occorsero” senza specificarne però la natura. Bernardino
Faino
chiude poi la sua biografia del prelato bresciano informandoci che
quest'ultimo, ormai centenario, dovette ottenere da Leone X
(1513-1521) il permesso di licenziarsi dal seggio arcivescovile di
Spalato per far ritorno nella città natia, dove bramava di “rigodere
positivamente nel Convento di S. Francesco in Brescia i suoi
dolcissimi studii della Sacra Scrittura”.
Ora,
è da sottolineare che ci sfugge completamente il legame tra
l'Averoldi ed il monastero di San Francesco a Brescia, allora molto
potente dopo il periodo sotto la guida di Francesco Sanson, ministro
generale dell'ordine francescano dal 1475 e grande mecenate42,
ma quest'ultima frase del Faino lascia forse supporre che per
l'Averoldi si potesse trattare di un ritorno in quel luogo. Esclusa
quindi con certezza la data del 1480 in riferimento alla scomparsa
dell'ecclesiastico bresciano, la data di morte più probabile è
quella proposta dal Fè d'Ostiani del 1503, ad un età di circa 90
anni (nello stesso anno è nominato Arcivescovo di Spalato Bernardo
Zane), ma credo si debba tenere comunque conto dell'informazione del
Faino, il più preciso dei biografi fin qui considerati e conosciuti,
che motivando come detto in precedenza con la rinuncia al titolo
arcivescovile e il successivo ritorno a Brescia, ne ascrive la morte
intorno al 1514, sotto il pontificato di Leone X. Tutte le fonti
concordano poi sul luogo del decesso, cioè la città di Verona,
dalla quale l'Averoldi transitava recandosi definitivamente nella
città natia. Effettivamente è conosciuta la sepoltura di un
Bartolomeo Averoldi in Verona, nella ex-chiesa di Santa Maria della
Ghiaia facente parte anticamente dell'omonimo monastero umiliato, ma
questa corrisponde ad un nipote del nostro Bartolomeo Averoldi, che
fu vescovo di Calamona e morì nel 1538 come riporta l'iscrizione
sepolcrale. Singolare è la notizia che questo secondo Bartolomeo sia
titolare di una ulteriore sepoltura che si trova a Brescia nella
chiesa di San Lorenzo e riporta anch'essa nell'iscrizione la stessa
data43.
Resta quindi ad oggi ignota la sepoltura di Barolomeo Averoldi
Arcivescovo di Spalato. Ulteriori notizie emergono soprattutto dalla
biografia tracciata dal Rossi nella sua raccolta di vite di bresciani
illustri. Queste riguardano l'altro aspetto della personalità
dell'abate, quello dell'umanista e dello studioso che meritò già
molto giovane di far parte, come detto, dei Riformatori degli Statuti
della città, che si applicò agli studi delle Sacre Scritture e,
soprattutto, che fu “splendidissimo inventore”
dell'Accademia dei Vertunni, circolo di umanisti e letterati a lui
“familiarissimi” (nell'accezione latina di familiares,
cioè di famiglia allargata, di amicizie quasi parentali) coi quali
“spendeva egli quel talento delle Virtù, che aveva imparato co
isquisita diligenza da Frate Francesco Piazza dell'ordine di San
Francesco Teologo & Predicator di gran nome, come testificano
il
suo libro delle Restituzioni e altre opere”. In ultimo il
Rossi
aggiunge in seguito al suddetto elenco (pur senza specificarne
un'eventuale appartenenza al sodalizio accademico) che l'Averoldi
fosse poi in ottimi rapporti “con quel nostro Cardinale da
Chiari, che morì in Buda essendo secretario del Ré d'Ungheria”
riferendosi, per quanto ho potuto riscontrare, al Cardinale clarense
Gabriele Rangone (1410 – 1486, creato cardinale diacono da Sisto
IV, come Altobello Averoldi e il cardinale Riario, nipote del Papa
Sisto IV, nel 10 dicembre 1477 col titolo dei Santi Sergio e Bacco al
Foro Romano) personalità di spessore nel contesto
politico-religioso, attivo nell'Europa orientale, morto però a Roma
(e non a Budapest come sostiene il Rossi) e sepolto nella cappella di
San Bonaventura nella basilica di Santa Maria in Aracoeli44.
E'
evidente nella lettura di tutte le altre fonti biografiche a
nostra disposizione che solamente il Rossi è in grado di fornirci
queste informazioni dalla consultazione di fonti dirette; in tutti
gli altri casi emerge appunto l'opera del Rossi come principale fonte
comune di riferimento e sulla scorta di questa proseguiamo in
un'analisi biografica dei profili di quei personaggi che lui ci
indica come appartenenti all'Accademia dei Vertunni.
I
primi elencati sono Lanfranco e Paolo Oriani (da Oriano o de
Ariadno, possedimento dei Martinengo nella bassa bresciana)
ed è
nella stessa opera del Rossi dalla quale traiamo l'elenco che
troviamo un sintetico racconto della personalità dei due più
celebri componenti di questa nobile famiglia bresciana. Per ciò che
riguarda Lanfranco Oriani il Rossi si limita a lodarne la produzione
di opere civili, tanto da meritare, superati i novanta anni,
sepoltura nel Duomo di Brescia: ne cita l'epitaffio scritto in lingua
greca, unico indizio di adesione al pensiero umanistico. L'archivio
di stato di Brescia offre un frammento del suo documento di laurea
presso l'Università di Padova45,
informazione comunque già riportata da F. Roggero nel catalogo
Treccani46
il quale ne approfondisce la carriera giuridica e politica: nel 1455
fu brevemente a Trento per ricoprire la carica di Podestà; subito
dopo si recò a insegnare nello Studio di Ferrara che, dopo un lungo
periodo di decadenza, conobbe un nuovo impulso grazie all'opera di
Leonello d'Este e in seguito di Borso, suo fratello e successore.
Sappiamo dunque che, tra il 1456 e il 1457, Lanfranco Oriani fu a
Ferrara docente straordinario di diritto canonico. Fu suo figlio o
nipote Paolo, dedito oltre che al diritto civile a quello canonico e
alla filosofia; ancora più ridotte le notizie sul suo conto:
l'episodio su cui si concentra il Rossi ruota attorno alla sua
redenzione sulla questione dell'immortalità dell'anima (“per aver
incontrato un fantasma”, dice il Rossi) e alla successiva
composizione di un trattato sul tema: questa informazione sembrerebbe
niente più che un aneddoto piuttosto inconsueto se non fosse che la
stessa esperienza viene curiosamente attribuita dal Rossi anche a
Carlo Valguglio, altro accademico Vertunno, e se non fosse che lo
stesso argomento fu oggetto di studio e di pubblicazioni anche da
parte di Bernardino Gadolo e Teofilo Bona, entrambi accademici
Vertunni47.
Le
due nebulose figure di “Frate Antonio Dominicano inquisitore”
e di“Antonio Locadello Frate Domenicano”
sono
descritte dal Rossi l'uno come “famoso inquisitor generale
della
Lombardia, del Genovesato, e della Marca, Predicator di gran credito
e scrittore lodato di sermoni quadragesimali e di alcuni discorsi del
Tempo de' Santi” , l'altro come “Frate Dominicano,
chiaro
non solamente per dottrina e per Santità di vita, quanto per il dono
dello spirito profetico, col quale evidentemente predisse il sacco di
Brescia”. Scarsissime notizie si ricavano dalle fonti locali
sui due domenicani vissuti a Brescia sul finire del XV secolo, anzi
nessuna a parte la citazione del Capriolo sul secondo frate: “Et
fu conosciuto per certo Profeta il Beato Antonio Locadello nostro
Cittadino dell'Ordine de Predicatori”48,
sempre in riferimento alla profezia del sacco di Brescia ad opera
delle truppe di Gaston de Foix nel 1512. Qualche informazione in più
ci viene invece fornita nel saggio di Giancarlo Pedrella intorno alla
Descrittione di tutta l'Italia del
domenicano Leandro
Alberti49,
che cita Antonio Locadello “elegante e fruttuoso predicatore
dell'Ordine dei Predicatori” e dove si distingue tra due
Antonius de Brixia: il primo, probabilmente Antonius de Pezzotellis,
fu inquisitore della provincia di Lombardia dal 1483 al 1497, anno
della sua morte; il secondo, del quale non si cita il cognome, è un
Antonio da Chiari noto per le sue qualità di predicatore; uguale
distinzione in Mazzuchelli50
che distingue ugualmente un Antonio da Brescia domenicano inquisitore
ed un altro predicatore indicandone la provenienza di Chiari. Il
cognome di Locadello è verosimilmente ricavato dall'Alberti dalle
Historie del Capriolo, fonte da lui
usata per la descrizione
del territorio bresciano.
La
figura del bresciano Cristoforo Barzizza51
è invece stata fraintesa per molto
tempo a causa
dell'omonimia col Barzizza Cristoforo medico bergamasco e professore
all'Università di Padova, figlio di Gasperino, erudito in contatto
con umanisti come Filelfo, Flavio Biondo e Sabellico. E' possibile
rintracciare il profilo del nostro grazie alle antiche fonti locali:
nei “Chronica de rerum Brixianorum” (Brescia, per Rondo de'
Rondi, 1505) il Capriolo lo ricorda per un'opera di
cui lui
stesso fu dedicatario: “E Cristoforo Barzizio nostro Municipe
letteratissimo dedicò a me un'operina arguta del fine dell'Oratore”;
fu proprio su esortazione di Elia Capriolo che il Barzizza compose
l'opera a cui deve maggiormente la sua fama cioè il “De fine
oratoris”52:
lo testimonia la lettera prefatoria dedicata proprio al Capriolo53
e intrisa di un tono scherzoso ed amichevole. Daniele Cereto,
letterato bresciano autore del "De foro et laudibus Brixiae ad
Magnificum Ludovicum Martinengum libellus", pubblicato dal
Mazzuchelli (Brescia, p. Vescovi, 1778) dopo aver tessuto le lodi
della città e messo in evidenza la sua fedeltà a Venezia, lo cita
tra i giovani dotti della città insieme a Giovanni Calfurnio54,
Marco Picardi, Carlo Valguglio, Ubertino Posculo, Elia Capriolo,
Teofilo Bona, Bartolomeo Partenio e Marco Civile, fornendo una
preziosa testimonianza sulla vita culturale del tempo. Il panegirico
in lode a Brescia, riportato interamente dal Rossi nei sui “Elogi”55,
è inoltre aperto da alcuni versi di Pilade
Boccardo. Daniele
Cereto è fratello di Laura Cereto, autrice di un epistolario diretto
ad alcuni umanisti e personaggi influenti dell'Italia
settentrionale56;
i due fratelli compaiono tra i dedicatari degli Epigrammata del
Vosonio.
Il
Barzizza fu tra i maestri di grammatica e oratoria, appartenente alla
folta schiera di umanisti insegnanti insieme a Giovanni Calfurnio,
Giovanni Taberio57
e Giovanni Britannico. Non siamo a conoscenza dei suoi rapporti con
gli altri maestri ma sappiamo che fu suo allievo Marino Becichemo, a
sua volta maestro di grammatica ed oratoria a Brescia. Ebbe rapporti
con le maggiori famiglie bresciane come i Bornati, i Martinengo e
soprattutto gli Emilii, a testimonianza della grande considerazione
di cui godette. Si data la sua morte attorno al 1496. Noto fino al
seicento, almeno in ambito locale, viene confuso con il suo celebre
omonimo bergamasco dal Mazzuchelli58
e da tutta la trattatistica successiva.
Bernardino
Gadolo, nativo di Pontevico, nell'agro bresciano, iniziò gli studi
umanistici a Brescia prima di laurearsi allo studium
di
Padova. Presi i voti e cambiato il nome da Pietro a Bernardino, fu
protagonista di una notevole carriera all'interno dell'ordine
camaldolese, il che gli permise di viaggiare tra Venezia, Roma e
Firenze, e di intrattenere rapporti con diversi umanisti
contemporanei come il Bembo, il Poliziano e Pico della Mirandola.
Nell'ambito bresciano invece è citato dal Rossi59
come dedicatario della traduzione dell'Historia di
Tucidide ad
opera di Bartolomeo Partenio60.
Compilatore di una raccolta di una cinquantina di epistole latine
inedite ed attualmente conservate all'Archivio del sacro eremo di
Camaldoli (mss. 734-735)61,
risultano disperse sia l'opera satirica Bembis o Bembeide
(come vuole il Rossi) contro il bresciano
Bonifacio Bembo
colpevole di avergli indirizzato alcune invettive, sia di un
compendio sul problema della natura dell'anima, argomento
curiosamente caro ad altri esponenti del circolo vertunno (come detto
in precedenza, si parla di Paolo Oriani, Stefano Valguglio,
Bernardino Gadolo e Teofilo Bona) e a Girolamo Donati, Podestà di
Brescia che compare tra i dedicatari degli epigrammi latini del
Vosonio. Fu inoltre in contatto col cardinale Francesco Todeschini
Piccolomini, futuro Papa Pio III (nipote di Enea Silvio Picclomini,
Pio II), protettore dell'ordine Camaldolese62,
come anche Carlo Valguglio. Quest'ultimo (1434-1517), anche lui
accademico vertunno secondo il Rossi, compare nell'opera di Daniele
Cereto tra i valenti uomini di cultura bresciani nel De foro
et
laudibus Brixiae come Cristoforo Barzizza. Sempre secondo il
Rossi fu maestro di Andrea Marone63,
personaggio di notevole interesse nel panorama umanistico (un suo
epigramma è premesso alla Hypnerotomachia Poliphili,
uscita
dai torchi di Aldo Manuzio nel dicembre 1499), del quale si sa ancora
pochissimo. Rivestì l'importante carica di protonotario apostolico64
e segretario del tesoriere papale Falco Sinibaldo ed inseguito
divenne segretario personale di Cesare Borgia dal 1493. In occasione
di un soggiorno a Firenze compilò un Methodus linguae grecae
dedicato a Francesco e Giovanni de' Medici, figli di Cosimo65.
E' nota una traduzione latina del De Musica dal
testo greco di
Plutarco curata dal Valguglio e stampata a Brescia da Angelo
Britannico (fratello di Giovanni, familiares degli
Averoldi)
il 1 aprile 1507, eseguita su esortazione teorico musicale ed
umanista Franchino Gaffurio (del quale, come detto, è testimoniata
un'opera nella biblioteca Averoldi). Fu inoltre in contatto con
Angelo Poliziano, che gli dedicò un epigramma66.
Curiosamente secondo il Rossi morì di spavento
per aver visto un
fantasma (sempre in riferimento al dibattito sull'immortalità
dell'anima già affrontato parlando di Paolo Oriani), mentre secondo
fonti più certe si a che fu assassinato nei pressi della sua
abitazione da un certo Filippo Sala67.
Amico del Valguglio, oltre che consodale accademico vertunno, fu,
sempre secondo il Rossi, Teofilo Bona, monaco benedettino cassinese
presso la sede bresciana di S.Eufemia. Fu legato al Capriolo il quale
lo incoraggiò a pubblicare nel 1496 quella che fu la sua opera
maggiore, il dialogo in esametri intitolato De vita solitaria
et
civili dedicato a Guidobaldo I della Rovere duca d'Urbino,
cui
pure si rivolge anche nel Carmen Erotematicon.
Pubblicò anche
una lettera indirizzata da Elia Capriolo ad Agostino Emilii (altro
dedicatario degli Epigrammata del Vosonio,
fratello
probabilmente dell'Emilio Emilii in contatto con Erasmo da
Rotterdam68).
Nel 1495 dà alle stampe il suo opuscolo sulla vita di Bernardo di
Chiaravalle presso la tipografia di Angelo e Giovanni Britannico, che
ricordiamo essere stato familiares di Giovan Paolo
Averoldi,
fratello di Bartolomeo fondatore dei Vertunni. Tra le sue opere ne
vengono ricordate due non pervenuteci: un'elegia sul valore dei
bresciani, nell'occasione di una rivolta stroncata dal fratello
podestà a Salò ed il già citato Discorso del vagare, e della
certa sede dell'anime de' morti, che richiama ancora una
volta
nell'ambito vertunno la diatriba sull'immortalità dell'anima
particolarmente accesa in quegli anni69.
Al
fine di completare l'ordito di relazioni che si è analizzato, è
necessario presentare qui brevemente i dati di alcuni altri umanisti
non citati dal Rossi nel gruppo di appartenenti al sodalizio vertunno
ma comunque ad esso molto prossimi. Si ricordi innanzitutto come
Elia Capriolo70
e la sua famiglia condivisero con gli Averoldi il forte legame con la
Chiesa di Santa Maria del Carmine, nella quale lo stesso Capriolo
ebbe sepoltura come anche Giovan Paolo Averoldi, fratello di
Bartolomeo e padre di Altobello, peraltro come detto sposato a
Lucrezia Caprioli, sorella di Elia. Nell'ambito delle relazioni
umanistiche si noti che, nella sua produzione minore, è conosciuta
una sua Epistola ad Ioannes Taberium71
datata 2 dicembre 1496, pubblicata da Battista Spagnoli detto
Mantovano72
nei suoi De patientia aurei libri III (Brixiae
1497); lo
stesso Battista Mantovano è presente con l'epigramma di apertura ai
Chronica del Capriolo (Baptistae
Mantuani carmelitae poetae
celeberrimi in Heliae Capreoli de rebus Brixianorum Chronica);
ancora Battista Mantovano indirizza al Capriolo un carme in lode al
Vosonio: De Stephano Vosonio Benacensi ad Eliam Capreolum er
Joannem Ruatum cives Brixiensis, Carmen ex tempore73.
Alla già citata Epistola ad Augustinum
Aemilium (scritta
sempre dal Capriolo) inserita dal vertunno Teofilo Bona nel De
vita solitaria et civili (Brixiae 1496), possiamo aggiungere
che
fu proprio su esortazione di Agostino Emilii che il Capriolo compose
l'opera per la quale maggiormente è ricordato cioè i Chronica
de
rebus brixianorum, ed all'Emilii lui la dedicò. E' inoltre
dedicatario del De fine oratoris (Brixiae 1492)
del vertunno
Cristoforo Barzizza e delle Adnotationes in Alexandrum
grammaticum
de Villa Dei pro eruditione puerorum (Brixiae) di Pilade
Boccardo. Se il Capriolo, per quanto prossimo ai vertunni, ebbe
fortuna e fama proprie come storico e letterato, il Boccardo è
invece a mio parere molto più integrato ed integrabile all'interno
dell'accolita fondata dall'Averoldi. A partire dall'appellativo
ellenistico col quale è conosciuto e col quale si firmava, cioè Pylades
(il nome di nascita è Gian Francesco Boccardo),
notevoli sono gli elementi a favore della nostra tesi: il suo
commento a Plauto (per Britannico Brescia, 1506) è introdotto da una
epistola dedicatoria dello stesso Giovanni Britannico che fu mentore
di Altobello Averoldi e che ne parla in questi termini “Cum
sit
che dappoi la morte del q. Pilades Academico olim Professor de studj
de humanità a Salò ”. L'appellativo “Academico”
lascia qui ben poco spazio all'immaginazione. Fu inoltre amico del
Vosonio74
e di Daniele Cereto75;
fu compagno di viaggio e guida del patrizio veneziano Marin Sanudo
(nipote di Marco Sanudo, entrambi dedicatari degli Epigrammata
vosoniani) in alcune escursioni archeologiche ad
Oderzo ed
Aquileia76.
Infine è stato segnalato da Bowd un foglio firmato da Pilade ed
indirizzato a Marco Antonio Sabellico (affiliato di Pomponio Leto e
presente con un opera nella biblioteca Averoldi, come detto) per
richiedergli una copia della sua opera De vetustate
aquileiensis
patriae (1482-1483) a favore di Sanudo, volume nel quale si
trova
il primo testo a stampa firmato dal Boccardo77.
Altra
figura molto prossima ai vertunni è Stefano Buzzoni, conosciuto come
Vosonio, le cui relazioni culturali con una moltitudine di
personalità dell'umanesimo “lombardo-veneto” sono già state
citate in maniera precisa da Colonna78
nell'ambito della ricerca sulle origini culturali
dell'Hypnerotomachia Polophili e da
Tosetti Grandi79
in connessione alla figura di Giovanni Marcanova nell'ambito di una
escursione archeologica sul Lago di Garda svoltasi tra il 23 ed il 24
settembre 1464 che vide la partecipazione di alcuni umanisti
antiquari tra i quali, oltre al Marcanova, figurano gli artisti
Andrea Mantegna e Samuele da Tradate, e l'epigrafista Felice
Feliciano. Lo spunto comune per questi due approfondimenti arriva
dal lungo elenco di dedicatari dalla raccolta di epigrammi del
Vosonio: vi compaiono molti dei nomi incontrati durante la nostra
ricerca che, una volta di più, testimoniano la fitta rete di
relazioni che fece capo al circolo vertunno di Bartolomeo Averoldi e
che la rinforzano ulteriormente. Tra i già citati Mattia Tiberino,
maestro di grammatica e retorica a Brescia, che fu scelto come
responsabile insieme a Giovan Pietro Averoldi, fratello di
Bartolomeo, per la costruzione del Santuario civico della Vergine dei
Miracoli80;
Panfilo Sassi, umanista modenese residente a Brescia, il quale dedica
al Vosonio un epigramma contenuto in Pamphili Saxi
Epigrammatum
Libri quatuor, stampato a Brescia per Angelo Britannico81:
il profilo del Sassi è inoltre meritevole di approfondimento in
quanto se da un lato è accostabile ai vertunni per essersi schierato
contro il concetto dell'immortalità dell'anima, subendo anche un
processo per eresia, dall'altro compare in uno studio ottocentesco
sull'Accademia Romana di Pomponio Leto come possibile partecipante.
Sempre nell'elenco dedicatorio del Vosonio troviamo Domenico Grimani,
cardinale che offrì ad Altobello Averoldi la prepositura della
Collegiata San Nazaro e Celso, e Mattia Ugoni, amico fraterno di
Altobello Averoldi e committente nella chiesa di San Francesco di un
altare recante fregi eseguiti su disegni di Mantegna, anch'esso tra i
dedicatari e inoltre partecipante alla gita archeologica sul Garda;
Agostino Emilii, più volte incontrato in relazione ad Elia Capriolo;
con Baptista carmelita. Theologu & poeta il
Vosonio si
riferisce poi a Battista Spagnoli detto Mantovano, di cui sopra;
Bartolomeo Partenio e Giovanni Calfurnio, umanisti riconducibili
all'Accademia Romana di Pomponio Leto, e Pomponio Leto stesso; di
Elia Capriolo e Pilade Boccardo si è detto poc'anzi.
Lo
studio e l'analisi di questi insiemi di dati (in riferimento
all'elenco dedicatorio vosoniano come agli appartenenti alla gita sul
Garda, agli umanisti bresciani come a quelli riconducibili
all'Accademia Romana, fino agli autori dei volumi della biblioteca ed
ai veri e propri accademici vertunni secondo la memoria del Rossi) e
la loro intersezione e sovrapposizione ci permette di considerare
raggiunto l'obiettivo di questa ricerca, cioè di circoscrivere ad un
numero relativamente limitato i profili relazionabili tra di loro e
di verificare l'inerenza ed il significato stesso delle relazioni,
mai casuali e sempre documentate.
NOTE
1 Chiaramonti G. B., Dissertazione
istorica delle accademie bresciane detta da Gianbattista Chiaramonti,
Brescia, 1762, pp.16-17.
2
Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie
euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore,
Roma, 2012.
4
Passamani B., Il culto dell'antico e gli studi antiquari a
Brescia tra i secoli XV e XVI, in Arte, economia,
cultura e religione nella Brescia del XVI secolo, Società
Editrice Vannini, Brescia, 1988, pp. 341-353; per il legame fra Aldo
Manuzio e l'amico Francesco Taverio, insegnante di greco e latino a
Brescia, al quale dedica l'editio princeps del
repertorio De urbibus di Stefano da Bisanzio, vedi
Signaroli S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519):
l'impresa editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura
umanistica nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole,
Travagliato (Brescia), 2009, p.56-57.
5
Buzzoni S., Epigrammata, per Battista Farfengo, 1498. Da notare che alcuni distici del Vosonio
sono scolpiti in pietra lavorata sull'ingresso della chiesa di Carzago
Riviera consacrata in data 1502 in onore dell'architetto Magnocavallo
autore della stessa. Per approfondimenti sulle vicende edilizie di
Piazza della Loggia cfr. Frati, Gianfranceschi, Robecchi, La loggia di Brescia e la sua
piazza: evoluzione di un fulcro urbano nella stria di mezzo millennio, Grafo, Brescia, 1993.
6 Captum
fuit nemine discrepante, quod lapides lavorati super sub terra reperti
et inde estratti apud domum communi nostri, in qua sal venditur
conservati debeant pro fabbricis pubblici communitatis nostrae; et quod
aliquo modo donati vendi vel alienari non posino et quod pars aliqua
poni non posti de donando vendendo vel alienando aliquem ex dictis
lapidibus, misi prius volens ponete partem huiusmodi depositaverit
ducato duo pro quolibet lapide, qui deveniant in comune, sive capta
sive reprobata fuerit. [Frati V., Gianfranceschi I.,
Robecchi F., La loggia di Brescia e la sua piazza: evoluzione di un
fulcro urbano nella stria di mezzo millennio, Grafo, Brescia, 1993, pp.
140-141].
7
Piazza F., Quattro secoli di collezionismo a Brescia, in
Moretto, Savoldo, Romanino, Ceruti. Cento capolavori dalle collezioni
bresciane, catalogo della mostra (Brescia 2014) a cura di D.
Dotti, Milano 2014, pp.29-41.
8
Gasparo da Cairano,
altra grande personalità artistica, peraltro da poco riscoperta grazie
ai recenti studi di Vito Zani, è l'autore del mausoleo Martinengo a San
Cristo (oggi all'interno del complesso del museo Santa Giulia) e
dell'apparato ornamentale di forte impronta bramantesca del Palazzo
della Loggia, nel quale sono notevoli la serie clipei con teste di
imperatori ed il portale d'ingresso allo scalone adiacente la Loggia
stessa, anch'esso di ispirazione classica.
9
ASC 178, Famiglie diverse, Averoldi.
10
ASBs, Archivio Averoldi, b.17, fasc. 18, Memoria sulle
origini della famiglia, XVIII secolo.
11
Elogi Historici
di bresciani illustri,
per Bartolomeo Fontana, 1620, in Brescia, ad vocem “Altobello Averoldo
Vescovo”; ciò
è confermato dalla notizia di un documento riportato dal letterato
Giulio Antonio Averoldi in un carteggio del 1696 col Muratori dove
l'autore informa che “Averoldi
ab Averoldo Longobardorum heroe originem duxere tempore Desiderio”.
12
ms. 157; ms. 158, Biblioteca della Fondazione Ugo da Como, Lonato del
Garda, Brescia.
13
Fé d'Ostiani L.F., Bartolomeo Averoldi ultimo abate di Leno
ed arcivescovo di Spalatro: cenni storici, Tip. Pio Istituto
di S. Barnaba, Brescia, 1869.
14
ASBs, Archivio Averoldi, busta miscellanea Conti, fatture,
ricevute.
15
Boselli C., Nuovi documenti sull'arte veneta del secoloXVI
nell'archivio della famiglia Averoldi di Brescia, in “Arte
Veneta”, A26, 1973.
16
L'iscrizione sepolcrale recita IO. PAVLO AVEROLDO Q. CHRIST.NE VIXIT /
LVCRETIA CAPREOLA VXOR / ET FILII CVM LACRIMIS POS. / XIII. KL. OCT.
M.D.XLII.
17
Fé d'Ostiani L. F., Altobello Averoldi vescovo di Pola e la
chiesa di Ss. Nazaro e Celso in Brescia: cenni storici, Tip.
Pio Istituto di S. Barnaba, 1868, Brescia.
19
Giovanni Britannico è, intorno all'ultimo ventennio del Quattrocento,
insegnante di grammatica e retorica a Brescia; autore di traduzioni e
commenti di autori classici, per tutto il secolo XVI il suo Persio e il
suo Giovenale furono preferiti a quelli di altri noti umanisti ed
insieme ai fratelli diede vita ad una azienda tipografica tra le più
vivaci del periodo, integrando la traduzione dei classici nonché la
produzione di opere originali e l'insegnamento con l'attività
tipografica. Sui rapporti tra attività scolastica pubblica e tipografia
nella Brescia umanistica, in particolare sui Britannico vedi: Signaroli
S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519): l'impresa
editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura umanistica
nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole, Travagliato
(Brescia), 2009.
20
Fé d'Ostiani L. F., 1869.
22
Il capolavoro di Tiziano andò a sostituire sull'altare maggiore della
chiesa dei Ss. Nazaro e Celso un preesistente polittico di mano del
Foppa, identificabile nella Natività presente oggi
nella località di Chiesanuova (Bs) e nei due pannelli raffiguranti i Santi
Battista ed Apollonia della Pinacoteca
Tosio Martinengo e databile al 1492 circa. La cronologia e la locazione
fanno ovviamente pensare anche in questo caso ad una commissione da
parte di qualche esponente della famiglia Averoldi per l'opera
dell'artista bresciano che nel frattempo stava lavorando alla Cappella
Averoldi nella chiesa di Santa Maria del Carmine, ma nessuna prova
documentaria ci è pervenuta al riguardo.
23
Sui rapporti tra Mattia Ugoni ed Altobello Averoldi vedi anche Bowd S.,
Venice's most loyal city: civic identity in
Reinassance Brescia, Harvard University Press, Cambridge
(Massachussetts), London (England), 2010, p.110, 187;
per quanto riguarda i dedicatari degli Epigrammata
di Vosonio (Buzzoni S.) vedi Colonna S., Hypnerotomachia
Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento,
Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129 e seg.; Tosetti Grandi, Giovanni
Marcanova in San Giovanni di Verdara a Padova, in Atti
delle Giornate di studio LABS, Sulle pagine, dentro la Storia,
Padova, 2005; Barbara Bettoni, I beni dell'agiatezza. Sili di
vita nelle famiglie bresciane dell'età moderna, Franco
Angeli, Milano, 2005.
24
Scheda dell'opera:
http://www.nga.gov/content/ngaweb/Collection/art-object-page.41679.html
25
Vasari G., Le vite de' più eccellenti pittori scultori ed
architettori scritte da Giorgio Vasari pittore aretino con nuove
annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, in Firenze, G. C.
Sansoni Editore, 1906, tomo IV p.493, nota 1.
27
Guerrini P., La biblioteca privata degli
Averoldi di Brescia nel Cinquecento, in Archivio
storico lombardo: giornale della Società storica lombarda – A.61, Brescia, 1934.
28
Fé d'Ostiani L.F., 1869; la genealogia corrisponde a ms. 157;
ms. 158, della biblioteca della Fondazione Ugo da Como. La
famiglia Martinengo, anch'essa di origine longobarda come quella degli
Averoldi, fu probabilmente ancora più influente e numerosa: intorno al
XIV secolo infatti si suddivise in vari rami cadetti, tra cui quello
nominato appunto “della Pallata”, per via della residenza situata nei
pressi dell'ancor visibile Torre della Pallata; raggiunse il massimo
splendore nel XV secolo, uno dei rami più impostanti ebbe origine dal
matrimonio tra Tisbe Martinengo ed il condottiero Bartolomeo Colleoni,
capostipite della casata che maggiormente favorì da un punto di vista
artistico e culturale oltre che politico, lo sviluppo in chiave
rinascimentale della città di Bergamo, avvalendosi di artisti ed
esecutori dal medesimo linguaggio di ascendenza bramantesca e
mantegnesca presenti sul cantiere della Loggia di Brescia e producendo
capolavori architettonici come la Cappella Colleoni che sintetizzando
la lezione romano-fiorentina e quella veneziana danno luce ad una
“terza via” del Rinascimento italiano.
29
Faino B., 1670; nessuna notizia emerge purtroppo sulla figura del
francescano Francesco Piazza.
30
Su S.Bartolomeo in Contignaga: Guerrini P., Gli Umiliati a
Brescia, in Miscellanea Pio Paschini, Studi
di storia ecclesiastica, Vol. I, 1948, Roma; Manieri E., San
Bartolomeo di Brescia. Da “doums” degli umiliati a caserma militare:
sette secoli di storia del palazzo dell'arsenale, Grafo,
1990, Brescia.
31
Zaccaria F. A., Dell'antichissima badia di Leno libri tre,
per Pietro Marcuzzi in Venezia, 1767, p. 47; la bolla recante
testimonianza del fatto è riportata a pp. 243-245, cioè Libro II, n.
LXII.
32
Fè d'Ostiani L. F., 1869.
33
ASBs, Archivio Averoldi, b. 17, fasc. 18, Memoria sulle
origini della famiglia, XVIII secolo.
34
Lo Zaccaria trae questa informazione indirettamente dagli scritti del
Luchi: “ciò si trae da una carta autentica presso il P. Luchi
pag. 90 nella quale il Vescovo di Brescia Bartolomeo Malipiero investì
in detto anno a' 7 di Ottobre Praepositum domus sancti Bartholomaei de
Cemmo (?) in praesentia, consensu, & auctoritate ven. &
religiosi viri domini fratris Bartholomaei de Auroldis de Brixia
praepositi domus sanctae Mariae Magdalenae de Gambara nuncupatae
brixiensis ordinis Humiliatorum, ac vicarii generalis dicti ordinis”;
anche il Fè d'Ostiani la riporta, datata, ma senza approfondire la
fonte.
35
Guerrini P., La biblioteca privata degli Averoldi di Brescia
nel Cinquecento, in Archivio storico lombardo:
giornale della Società storica lombarda – A.61, Brescia,
1934.
36
Già nel secolo
precedente veniva sancita tramite un documento datato 9 aprile 1349
l'unione dei frati e sorelle della casa umiliata di secondo ordine
detta di San Marco de Medio (in quanto situata esattamente tra le due domus di Santa Maria Maddalena e di San Luca) con
i monaci della badia benedettina di Leno. La testimonianza più
significativa riguarda però una convenzione stipulata tra la domus humiliata di Santa Maria Maddalena in Gambara e il
monastero benedettino nel 1464, per la quale all'abate spettava il
pagamento, da parte della congregazione stessa, di una pensione annua
relativa a redditi della domus, da Manieri E., pp. 23 e seg., 1990;
Archivio di Stato di Milano, Fondo Religione, cartella n. 3452 (che
comprende 5 libri), Libro E, carta 31, in Strinati M. B., Fondazione e sviluppo in età
medioevale del Cenobio umiliato di Santa Maria Maddalena di Brescia
detto di Gambara (secolo XIII-XV), 1991, Brescia
37
Zaccaria F. A., Dell'antichissima badia di Leno libri tre,
per Pietro Marcuzzi in Venezia, 1767, p. 48. La copia del documento
della Convenzione nel 1479 stabilita tra il Cardinal Foscari
e l'Abate Averoldi, dal libro XXXII si trova alle pagine 255
e seg.
38
Tagliabue M.,
Leno in commenda: una caso di mancata unione a Santa Giustina 1471-1479,
in L'abbazia di San
Benedetto di Leno: mille anni nel cuore della pianura Padana: atti
della giornata di studio, Leno, Villa Seccamani, 26 maggio 2001,
Associazione per la storia della chiesa bresciana, Brescia, 2002.
39
Notizia riportata sia in Faino B., Vita delli Santi Fratelli
Martiri sacrati à Dio Faustino, e Giovita primi Patroni, &
Protettori di Brescia venerati in S. Faustino Maggiore: con
l'inventioni, translationi, & elevationi de i loro venerandi
corpi, per Giacomo Turlino, 1670, in Brescia; sia in Fé
d'Ostiani L.F., 1869: ciò rende evidente la presenza di una fonte
comune ai due studiosi, a noi non pervenuta.
40
ASBs, Archivio Averoldi, busta 51, nella quale è riportata una copia da
uno scritto di B. Faino intitolato “Di Bartolomeo Averoldo
Abbate Benedettino et Arcivescovo di Spaltro” e datato 1677,
con postilla che precisa che tale scritto è stato prodotto sulla base
degli scritti di Ottavio Rossi e dei Libri pubblici dela
città di Brescia.
41
Tagliabue M., Leno in commenda: una caso di mancata unione a
Santa Giustina 1471-1479, in L'abbazia di San
Benedetto di Leno: mille anni nel cuore della pianura Padana: atti
della giornata di studio, Leno, Villa Seccamani, 26 maggio 2001,
Associazione per la storia della chiesa bresciana, Brescia, 2002, p.
217, nota p.231.
42
Il convento cittadino di S.Francesco riprese la sua funzione di
importante centro devozionale nella seconda metà del XVI secolo, grazie
soprattutto alla figura carismatica di Francesco Sanson (1414-1499)
che, anche dopo essere stato eletto ministro generale (1475), continuò
a risiedere nel convento urbano di San Francesco, dove convocò il
capitolo generale dell'ordine nel 1482 ed avviò importanti lavori di
ampliamento e l'arricchimento artistico dell'intero complesso. Si sa di
una sua commissione per l'esecuzione, purtroppo mai avvenuta, della
pala dell'altare maggiore a Leonardo da Vinci.
43
Questa singolare situazione è stata esaminata in Yoni Ascher, The
Two Monuments of Bishop Bartolomeo Averoldi, Deutscher
Kunstverlag GmcH Munchen Berlin,
2002.
44
Sulla figura del Cardinale Rangoni vedi Guerrini P., Cardinale
bresciano in Ungheria nel Quattrocento: Gabriele Rangoni,
Edizioni del Moretto, Brescia, 1987.
45
ASBs, 72. Carte famiglie diverse, Fasc. 93 Oriani (alias Benadussi).
46
Roggiero F., Lanfranco da Oriano, Dizionario
Biografico degli Italiani – V. 63, 2004.
47
La questione dell'immortalità dell'anima fu argomento di acceso
dibattito nell'ateneo padovano; uno dei suoi protagonisti fu Girolamo
Donati (Podestà a Brescia nel 1495) con la pubblicazione a Milano della
versione latina del primo libro del De anima di
Alessandro d'Afrodisia (Rigo P., Donà Girolamo,
Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 40, 1991); si ricorda la
presenza del Donà o Donati tra i dedicatari degli Epigrammata
del Vosonio. Di Bernardino Gadolo, altro
accademico Vertunno, si ricorda un'opera purtroppo dispersa sulla
natura dell'anima dal titolo Aurea Corona (Moro
G., Gadolo Bernardino, Dizionario Biografico degli
Italiani – Volume 51 (1998); secondo quanto riportato da Negri R., Bona
Teofilo, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 11
(1969) Teofilo Bona fu autore di un perduto Discorso del
vagare e della certa sede dell'anime de' morti. Anche per
l'umanista modenese d'origine, ma adottivo bresciano, Panfilo Sasso è
testimoniata l'adesione alla teoria che negava l'immortalità
dell'anima: fu motivo del processo per eresia da lui subito all'inizio
del Cinquecento. Da non sottovalutare la familiarità di questi
personaggi con uno dei concetti principe del pensiero rinascimentale,
cioè quello del viaggio iniziatico dell'anima verso la propria
redenzione e rinascita, principio cardine proprio dell'Hypnerotomachia
Poliphili.
48
Capriolo E., Delle historie bresciane, traduzione
Spini, appresso Pietro Maria Marchetti, Brescia, 1630, p. 180.
49
Petrella G., L'officina del geografo: La descrittione di
tutta Italia di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra
Quattro e Cinquecento, in Biblioteca Erudita, studi e
documenti di storia e filologia – 23, V&P Università, Milano,
2004, p. 243, nota 204.
50
Mazzuchelli G., Gli scrittori d'Italia, cioè notizie
storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati
italiani, presso Gianbattista Bossini, Brescia, 1753, II/4,
p. 2053.
51
La maggior parte delle informazioni sono tratte dall'unico studio
monografico sul Barzizza finora prodotto: Bargigia G., Cristoforo
Barzizza bresciano, in Profili di umanisti
bresciani, a cura di Carla Maria Monti, Torre d'Ercole,
Travagliato (Brescia), 2012.
52
Barzizza C., De fine oratoris pro Ciceronis et Quintiliani
assertione, Brescia, Battista Farfengo, 7 settembre 1492.
53
Anche Pilade Boccardo fu legato da simile rapporto al Capriolo, gli
dedicò infatti le Adnotationes in Alexandrum de Villa Dei
pro eruditione puerorum (Brescia, 1492).
54
Secondo Bargigia G. (Cristoforo Barzizza bresciano,
in Profili di umanisti bresciani, a cura di Carla
Maria Monti, Torre d'Ercole, Travagliato, Brescia, 2012) il B. fu
allievo di Calfurnio, soprannome accademico di Giovanni Perlanza dei
Ruffoni (1433-1503), di umili origini, nato in realtà nella bergamasca
si professò sempre bresciano e come tale viene ricordato dal Capriolo
negli Elogi, pp. 187-188. Chiamato allo studium
di Padova nel 1483 come lettore di retorica latina, preferito
nell'incarico all'umanista bergamasco Raffaele Regio, col quale ebbe
un'aspra polemica. Autore di numerosi commenti ai poeti classici,
lasciò la propria biblioteca al convento di S.Giovanni di Verdara a
Padova dove peraltro fu sepolto. Autore di un poemetto intitolato Simonidos
sulla vicenda del Santo Simonino da Trento per il
principe e vescovo di Trento Hinderbach (Cremona,
L’umanesimo
bresciano, in
Storia
di Brescia, 2: La dominazione veneta, (1426-1575), promossa e diretta da Giovanni Treccani
degli Alfieri, Morcelliana, Brescia 1963-1964, pp. 546-551). Fu
accademico romano e sodale di Pomponio Leto (De' Rossi G. B., La Roma sotterranea cristiana, Cromo-Litografia Pontificia, Roma, 1864).
55
Rossi O., Elogi Historici di bresciani illustri, per
Bartolomeo Fontana, in Brescia, 1620, p.194.
56
Palma M. Cereto Laura, Dizionario Biografico degli
Italiani – Vol. 23 (1979).
57
Giovanni Taberio, illustre grecista, insegnò a Brescia nel biennio
1501-1502 nella scuola superiore istituita dal comune. Del suo incarico
e della scuola si era compiaciuto Aldo Manuzio, che dedicò a Taberio
l'edizione del De urbibus di Stafano di Bisanzio
del 1502. Della sua attività di commentatore di classici rimane la
revisione al commento di Lucano allestito da Ognibene da Lonigo, in
difesa del quale rispose Calfurnio, già allievo di Ognibene (Brescia,
I. Britannico, 1486). Curò insieme a Pilade Boccardo l'edizione di
Macrobio del 1501 (Cremona, L'umanesimo bresciano, in
Storia di Brescia, pp. 556-557, 561-562).
58
Mazzuchelli G., Gli scrittori d'Italia, cioè notizie
storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati
italiani, presso Gianbattista Bossini, Brescia, 1753, pp.
496-98.
59
Rossi O., Elogi Historici di bresciani illustri,
per Bartolomeo Fontana, in Brescia, 1620, p. 190-191, ad vocem
Partenio, Gadolo, Bembo.
60
Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie
euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore,
Roma, 2012, p.133-134: Partenio è indicato come professore in Roma di
“belle lettere” e ricondotto alla qualifica di filo-ellenico in
relazione con l'umanista Lorenzo Valla; è anche indicato come affiliato
all'Accademia Romana di Pomponio Leto col nome di “MINUTIUS”; compare
inoltre nel codice Vat. Lat. 3274 come dedicatario col nome di
“Parthenius Minutius Paulinus” insieme a Francesco Diedo (Podestà a
Brescia), Stefano Buzzoni (detto Vosonio) e Pilade Boccardo, tutti
personaggi strettamente relazionabili all'Accademia dei Vertunni.
61
Moro G., Gadolo Bernardino, in Dizionario
Biografico degli Italiani – Volume 51 (1998).
62
Ibidem; Colonna S., Hypnerotomachia
Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento,
Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129-130.
63
Rossi O., Le memorie bresciane, per Bartolomeo
Fontana, in Brescia, 1616, p. 411; Andrea Marone, indicato dalle fonti
come “Brixianus” è autore di un epigramma che
introduce le Comoedie di Plauto (Venezia, S.
Bevilaqua, 1499, c. Iv) in lode agli autori del commento (Giovan Pietro
Valla, figlio di Giorgio, e Bernardo Saraceno. Autore di testi
esortativi in volgare bresciano sulle vicende politiche del suo tempo
che ne dimostrano la linea antisforzesca e filo francese, compare nel
1510 nel registro degli stipendiati dei Ippolito d'Este a Ferrara dove
strinse forti legami con umanisti locali come l'Ariosto. Alla morte di
Ippolito d'Este fu a Roma nella cerchia di Alessandro Farnese e divenne
celebre verseggiatore estemporaneo in latino alla corte di Leone X. Le
sue tracce si perdono poi nel tragico sacco di Roma nel 1527. (Calitti
F., Marone Andrea, Dizionario Biografico degli
Italiani – Volume 70, 2008); per Marone A. nell'Hypnerotomachia
Poliphili vedi Colonna S., Hypnerotomachia
Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento,
Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129-130.
64
Valentini A., Carlo Valguglio letterato bresciano, Brescia,
1903.
65
Cremona V., L'Umanesimo bresciano, in Storia
di Brescia, 2: La dominazione veneta (1426-1575), promossa e
diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, Morcelliana, Brescia,
1963-1964.
66
Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie
euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore,
Roma, 2012, p. 129-130.
67
Cremona V., L'Umanesimo bresciano, in Storia
di Brescia, 2: La dominazione veneta (1426-1575), promossa e
diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, Morcelliana, Brescia,
1963-1964.
68
Guerrini P., Due amici bresciani di Erasmo, in Note
Storico – Letterarie / Guerrini Paolo, a cura di Fappani A., Brescia,
Edizioni del Moretto, 1986.
69
Anche in Mazzuchelli G., Gli scrittori d'Italia, cioè notizie
storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati
italiani, presso Gianbattista Bossini, Brescia, 1753, p. 1528
la composizione del trattato sulla natura immortale dell'anima è messo
in relazione all'accidente avvenuto a Carlo Valguglio riferito dal
Rossi negli Elogi a pagina 211 e seguenti nella
biografia del Valguglio.
70
Giansante M., Capriolo Elia, Dizionario Biografico
degli Italiani – Volume 19 (1979).
71
Si ricordi il legame tra Giovanni Taberio e Teofilo Bona; il Taberio è
anche dedicatario del De urbibus di Stefano da
Bisanzio curato da Aldo Manuzio nel 1502 (Signaroli S., Maestri
e tipografi a Brescia (1471 – 1519): l'impresa editoriale dei
Britannici fra istituzioni civili e cultura umanistica nell'occidente
della Serenissima, Torre d'Ercole, Travagliato, 2009.
72
Battista Spagnoli, detto Mantovano: fu monaco carmelitano, fatto che
probabilmente favorì la sua amicizia col Capriolo; fu erudito e
compositore di versi di ispirazione ellenistica: in particolare lo
resero famoso le sue Egloghe, componimenti bucolici
di matrice virgiliana e petrarchesca. La sua vita si snoda tra Mantova,
Ferrara, Bologna e Roma per poi fare ritorno a Mantova dagli anni '90
del Quattrocento fino alla morte, nel 1516. Fu Vicario Generale del suo
ordine. Allo zelo religioso unì la passione per gli studia
humanitas stingendo amicizia con umanisti di primissimo piano
come Giovanni Pontano, Pico della Mirandola e con artisti quali Andrea
Mantegna (https://it.wikipedia.org/wiki/Battista_Spagnoli);
si evince l'informazione della sua presenza nel Santuario del Carmine
di San Felice del Benaco da
http://santuariodelcarmine-sanfelice.it/2016/08/29/esposizione-del-beato-battista-spagnoli/
, in occasione dell'esposizione del suo corpo nel santuario benacense
proprio in questi mesi in occasione del cinquecentenario della sua
morte. Da segnalare l'assenza di studi monografici approfonditi sulla
sua figura.
73
Brunati G., Dizionarietto degli uomini illustri della riviera
di Salò considerata qual era sotto la Rep. Veneta ciè formata dalle sei
quadre o distretti antichi di Gargnano, Maderno, Salò, Montagna,
Valtenese e Campagna, Tip. Pogliani, Milano, 1837, p. 147-148.
74
Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie
euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore,
Roma, 2012, p. 129
75
Rossi O., Le memorie bresciane, per Bartolomeo
Fontana, in Brescia, 1616, pp. 194-195: il Rossi riporta un suo
epigramma (mai stampato) che dice essere quello di apertura al
panegirico De foro, et laudibus Brixiae, stampato
nel 1778.
76
Signaroli S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519):
l'impresa editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura
umanistica nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole,
Travagliato (Brescia), 2009, p. 64 e seg.
77 Bowd
S., Venice's
most loyal city: civic identity in Renaissance Brescia, Harvard University Press, Cambridge
(Massachussetts), London (England), 2010, p. 89.
78
Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie
euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore,
Roma, 2012, p. 128 e seguenti.
79
Tosetti Grandi, Giovanni Marcanova in San Giovanni di Verdara
a Padova, in Atti delle Giornate di studio LABS,
Sulle pagine, dentro la Storia, Padova, 2005.
80
Ceriana M., Il santuario civico della Beata Vergine dei
Miracoli a Brescia, in Annali di architettura,
rivista del Centro internazionale di studi di
architettura Andrea Palladio, 2002.
81
Brunati G., Dizionarietto degli uomini illustri della riviera
di Salò considerata qual era sotto la Rep. Veneta cioè formata dalle
sei quadre o distretti antichi di Gargnano, Maderno, Salò, Montagna,
Valtenese e Campagna, Tip. Pogliani, Milano, 1837, p. 147-148.
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