Nella
dedica del suo libro Tweeting Da Vinci (Twittando da Vinci nell’edizione
italiana), Ann Pizzorusso, geologa ed esperta del Rinascimento italiano, si
riferisce a Leonardo Da Vinci, ai Sacerdoti Etruschi, Virgilio e Dante come La
Squadra dei Sogni. Ma soprattutto, dedica il libro a sua madre per aver
instillato in lei un grande amore per la Terra. Sicuramente, sin da quando era
bambina, Ann Pizzorusso era amante della Natura, e non ci sorprende che sia una
geologa a 360 gradi. Prima di indirizzare la sua esperienza da geologa verso
Leonardo Da Vinci, ha dedicato anni alla ricerca in campo petrolifero, poi a
cacciare gemme e soprattutto a ripulire l’inquinamento nel suolo e nelle falde
acquifere. Viene poi attratta dalle rocce di uno dei dipinti più magnetici del
Rinascimento italiano: La Vergine delle rocce. La "passeggiata" tra
quelle rocce l’ha portata a conoscere ancora meglio il genio italiano, che,
scrive Ann, se fosse vivo oggi, non sarebbe solo all’avanguardia nella scena
artistica; sarebbe anche in prima linea nella rivoluzione tecnologica, in
Internet, così come in campo scientifico e medico. Ma c’è un aspetto meno noto
di Leonardo: era un raffinato geologo. Non soltanto aveva già compreso molto
riguardo alla formazione delle rocce, ma era anche riuscito a descriverle con
precisione al punto, scrive Ann, che possiamo usare la geologia come strumento
diagnostico per determinare l’autenticità delle opere create da lui. Siamo
contenti quindi di avere questa conversazione con Ann che ha dimostrato un grande
amore per il nostro paese e per uno dei geni più riconosciuti al mondo.
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Fig. a: Dipinto del Louvre
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Fig. b: Dipinto della National Gallery di Londra
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Ann,
prima di tutto, a parte geologia e cultura, c’è qualcosa di personale che ti
lega all’Italia?
Sono
italo-americana al 100 per cento. I miei genitori erano entrambi nati in Italia
e arrivati negli Stati Uniti quando erano ancora bambini. Mia madre è nata a
Pratola Peligna in Abruzzo e mio padre ad Amalfi. Quindi ho la combinazione
perfetta di “mare e montagna”. Mia madre si è innamorata della natura
proprio in Abruzzo. Quando ero bambina, mi portava a raccogliere funghi nei
boschi, vongole e granchi in riva al mare e ogni tipo di vegetazione che
cresceva. Per gli Stati Uniti a quei tempi, questo era davvero insolito perché
proprio tutti mangiavano fast food, cibo pieno di zucchero e trattato
chimicamente. Quando tornavo a casa da scuola, mamma invece aveva quasi sempre
preparato una “bell’insalata” per me. Ero molto imbarazzata di fronte
ai miei amici perché nessuno mangiava cose del genere. Questo modo di mangiare
ora è di moda anche in America e io sono in salute anche grazie al meraviglioso
cibo fresco che mia madre ha raccolto, cucinato e preparato per me. Per quanto
riguarda l’acqua, sapeva dove si trovavano le sorgenti e andavamo a prenderla
con le bottiglie. Era una cosa che tenevamo per noi. Non facevo altro che
notare quanto apprezzasse questa meravigliosa e salutare acqua che sgorgava
dalla terra. La sua conoscenza e il rispetto per la natura mi hanno in seguito
molto influenzato.
C’è
qualche sorgente di acqua minerale che ti attrae in particolare?
Devo
ammettere che amo soprattutto le acque vulcaniche dell’isola di Ischia. Ci sono
molte ragioni per questo. La prima è che spesso mi fanno molto male le
ginocchia e quando vado a fare i trattamenti termali il dolore sparisce. Ho
fatto tutti i trattamenti possibili, il fango, l’inalazione, la sauna, le
grotte e ogni volta il mio corpo torna in perfetta forma. Anche per questo, ho
scritto molto su queste acque, che sono state apprezzate sin da quando i Greci
arrivarono sull’isola nel 750 a.C. Uno degli ingredienti segreti, che rende le
acque così efficaci è il basso grado di radioattività, scoperta da Marie Curie
quando arrivò sull’isola nel 1918. A parte Ischia, vado nelle terme di tutta
Italia perché sono luoghi rigeneranti sia per il corpo sia per l’anima.
Prima
di parlare di Leonardo, raccontaci qualcosa di particolare sugli altri membri
della squadra: Virgilio, Dante e gli Etruschi...
La
Squadra dei Sogni mi ha attirato perché ognuno di loro aveva una connessione con
la Terra. Ad esempio, ho scritto molto sulla conoscenza che Dante aveva in
Gemmologia. Ha usato le gemme come metafore nella Divina Commedia. La sua
conoscenza era così profonda che gli umanisti non realizzarono la portata della
sua conoscenza. Scrissi un primo trattato sull’uso delle gemme di Dante nella
Divina Commedia e aprii le porte ad ulteriori studi da parte di gemmologi e
geologi.
Per
quanto riguarda Virgilio, usò il paesaggio vulcanico dei Campi Flegrei,
vicino Napoli, come modello per gli
Inferi. Ancora una volta, i critici letterari pretesero che il mondo
sotterraneo descritto da Virgilio fosse frutto della sua immaginazione. In
realtà non lo era, tutti i luoghi sono reali e visibili ancora oggi. Virgilio
camminava in mezzo alle fumarole, ammirava il lago Averno, l’Antro della
Sibilla, Cuma e Miseno. Ancora oggi, si può entrare in una grotta e vedere il
fiume sotterraneo che ha ispirato lo
Stige.
I
sacerdoti etruschi erano estremamente consapevoli dei segnali che la natura
inviava: fulmini, tuoni, tempeste, uccelli, ecc. Dovevano interpretare questi
segni per potere comprendere i messaggi divini. Usavano la geografia sacra per
tracciare le direzioni nord-sud, est-ovest (cardo-decumano) prima che una città
potesse essere sviluppata. C’erano anche sacerdoti specializzati
nell’interpretazione dei fulmini. Gli Etruschi compilavano cataloghi
dettagliati sulle dimensioni, forme e colori dei lampi. Ora sappiamo che questi
tipi di fulmini esistono e sono particolarmente diffusi nelle aree vulcaniche
come l’Etruria.
Il
tuo libro è un gioiello nella mia biblioteca e credo nella biblioteca di molti
altri. Twittando Da Vinci ha vinto numerosi premi, tra cui quello per la copertina
disegnata da un giovane italiano di Napoli, Francesco Filippini. Come è nata l’idea
di scriverlo?
Ho
iniziato a scrivere vari articoli su geologia e cultura per divertimento. Era
il mio professore di studi su Dante, il grande professore John Freccero, che mi
ha incoraggiato per diversi anni a pubblicare i miei studi, perché nessuno
aveva mai fatto nulla di simile prima e gli articoli erano molto utili a
studiosi di diverse discipline.
Nel
tuo libro, Leonardo Da Vinci è la tua guida nel nostro bel paese, come Virgilio
lo era per Dante nella sua Divina Commedia. Perché l’hai scelto?
Leonardo
è il mio idolo. Era, tra le altre cose, il padre della Geologia, anche se
ancora non è riconosciuto in tal senso (ci sto lavorando). Ha viaggiato in
molte zone d’Italia osservandone la geologia, scrivendo, disegnando e facendo
mappe di ciò che vedeva. Ho seguito le sue orme, andando (con la mia guida
alpina, il grande Fulvio Casari) sui luoghi visitati da Leonardo nelle Alpi. È
stata un’esperienza gioiosa e mi sento vicino a Leonardo quando faccio le mie
ricerche in Geologia, ma anche quando faccio ricerche in campo artistico.
Leonardo mi aiuta in diverse discipline.
Leonardo
ha scritto: «Pittore dovresti sapere che non puoi essere considerato abile
se non sei un maestro nell’imitare con la tua arte ogni tipo di forma
naturale». Sono queste parole di grande ispirazione quando guardiamo la
Vergine delle Rocce?
Uno
dei metodi per determinare un’opera di Leonardo è l’accuratezza geologica.
Leonardo stesso ha scritto sulla sua importanza criticando altri artisti come
Botticelli per i loro “brutti paesaggi”. Leonardo trasmise ai suoi
studenti l’importanza dell’accuratezza geologica. Non ha mai cambiato il suo
stile, quindi quando vedi un dipinto attribuito a lui con geologia e botanica
precise, sai di avere per certo un’opera autentica di Da Vinci.
Per
favore Ann, aiutaci a “leggere” le rocce dietro la Vergine nella
versione del Louvre...
Rimandiamo
allo Schizzo in Fig. 1
Che
mi dici delle rocce nella versione londinese?
Rimandiamo
allo Schizzo in Fig. 2
Hai
anche preso in considerazione la botanica in entrambe le versioni e sei
supportata da un grande orticoltore, il Prof. John Grimshaw...
Sì,
cito direttamente lui: «e per me c’è una differenza sorprendente se non
scioccante nelle piante e nel paesaggio. Nel quadro francese le piante sono disegnate
con singolare maestria, con la precisione che ci si aspetterebbe da un grande
pittore di botanica quale Leonardo fu: un iris, un polemonio e un’aquilegia
sono chiaramente riconoscibili. Nella versione londinese, l’iris è sostituito
da un cespuglio fatto di un ciuffo di Narcisus tazzetta, ma non si tratta di un
normale narciso selvatico. I fiori sono facilmente riconoscibili, ma crescono
su rami di bracteate, da un ammasso di piantagione simile a foglie del
plantain. Accanto a questo sono due piante completamente fantastiche che non
possono essere identificate, e ci sono altre stranezze altrove nel paesaggio.
Sembra che qui Leonardo, incauto scarabocchiatore e inventore, abbia creato
fiori immaginari paradisiaci, e che nell’evoluzione del dipinto abbia
trasformato la scena da terrena in un luogo celeste. È bello pensare che abbia
immaginato i narcisi proprio lì».
Se
la versione di Londra non è stata dipinta da Leonardo chi l’ha fatto, e quali
sono le argomentazioni a supporto di tale ipotesi?
La
storia dei due dipinti ha sconcertato gli storici dell’arte per anni e il
dibattito riguardo l’attribuzione della Vergine delle Rocce che si trova nella
National Gallery a Leonardo da Vinci è tutt’ora acceso. Questo mistero, che
ancora oggi dobbiamo sciogliere, va avanti nonostante ci siano numerose
testimonianze riguardo una causa che durò 25 anni.
Secondo
alcuni documenti storici, la Confraternita dell’Immacolata Concezione, commissionò
a Leonardo e ai fratelli Ambrogio ed Evangelista de Predis la creazione di una
pala da collocare sull’altare della loro cappella nella chiesa di San Francesco
il Grande, a Milano nel 1483. Il preventivo per la realizzazione di tale
progetto venne stimato in circa 800 lire. La caratteristica centrale della pala
d’altare doveva essere un ritratto della Vergine Maria con Bambino circondati
da angeli, per rappresentare l’Immacolata Concezione. Leonardo doveva preparare
il dipinto e i fratelli de Predis dovevano completare il quadro. Anche se da
Vinci completò l’opera nel 1486, non venne installata per circa quattro anni
perché i fratelli De Predis lavorarono a lungo per completare l’elaborata
cornice.
Nel
1490, i fratelli de Predis pretesero un compenso maggiore, sostenendo che la
cornice da sola era costata l’intero importo che gli artisti avevano
inizialmente concordato. Chiesero dunque che la «pittura ad olio di Nostra
Signora» (Vergine delle Rocce) fosse detratta dal contratto poiché
“altri” si erano offerti di acquistarla, presumibilmente per piú
soldi.
Le
dispute legali continuarono per quasi un quarto di secolo. Le motivazioni non
sono chiare perché ci furono molti
reclami e contro-reclami. Leonardo e i fratelli De Predis volevano più denaro,
mentre la Confraternita sosteneva che il quadro non soddisfaceva la loro
richiesta di un dipinto che raffigurasse l’Immacolata Concezione della Beata
Vergine, e quindi dichiararono il dipinto “incompiuto” per rafforzare
la loro posizione in tribunale.
Forse
la Confraternita non accettò il quadro perché le condizioni di finanziamento
del progetto erano specifiche e non consentivano variazioni o sostituzioni in
corso d’opera. Ambrogio de Predis lo scoprì quando fece una petizione alla
corte nel 1503, poiché la Confraternita non era disposta ad accettare il
dipinto e Leonardo non era disposto a modificare drasticamente quello che aveva
completato, né a dipingerne un altro.
Charles
Hope, esperto di latino forense e direttore del Warburg Institute di Londra, ha
compiuto uno studio approfondito su questi antichi documenti giudiziari e ci
dice cosa è successo dopo. «Leonardo e i fratelli de Predis speravano di
ricevere almeno 400 lire, e inizialmente i committenti ne offrivano solo 100.
Nel 1506 la cifra arrivò a 200, a condizione che l’opera fosse completata. In
base a questi accordi, Leonardo avrebbe dovuto pagare di tasca propria
eventuali modifiche dettate dalla Confraternita. Soltanto dopo il 1506 Leonardo
e Ambrogio ricevettero effettivamente 200 lire. Anche se i documenti non
rivelano nulla a riguardo, sembra che i committenti abbiano alla fine accettato
il secondo quadro a una tariffa ridotta, restituendo l’originale a Leonardo,
che fu in grado di recuperare tutti i suoi soldi, inclusa la quota di Ambrogio,
vendendolo a un altro acquirente. Come e quando sia entrato nella collezione
reale francese è dibattuto da tempo. Ma potrebbe essere rilevante che nel 1508
Milano fosse sotto il controllo francese e che Leonardo lavorasse alla corte di
Luigi XII. Sebbene avesse proposto ad Ambrogio di vendere la copia e
condividerne il ricavato, è certo che la copia rimase in quella chiesa. Ed è
proprio questa copia che è stata successivamente acquistata dalla National
Gallery».
Una
volta risolta la questione legale, la copia, oramai nella National Gallery, fu
completata. Charles Hope afferma che «qualora Leonardo fosse stato
coinvolto nel dipinto abbia dato un contributo molto limitato». L’opinione
del Prof. Hope concorda con quella di molti altri studiosi che hanno discusso
sull’attribuzione di questa opera a Leonardo.
Negli
anni successivi, gli artisti presero strade diverse. I fratelli de Predis
rimasero a Milano e Leonardo visse i suoi ultimi anni come ospite del re di
Francia, Francesco I, presso il castello nella Valle della Loira. E così
ciascun quadro ha seguito una propria sorte. La versione del Louvre è
menzionata per la prima volta come parte della collezione reale di
Fontainebleau nel 1625. La versione londinese, che rimase nella chiesa di San
Francesco il Grande fino al 1781, fu portata all’ospedale di Santa Caterina a
Milano e venduta nel 1785 all’artista inglese Gavin Hamilton. Fu nella
collezione del marchese di Landsdown per poi passare al conte di Suffolk, per
quasi un secolo prima di entrare nella National Gallery nel 1880.
In
che modo gli esperti di arte hanno accolto le tue ipotesi sulle due Vergini
delle rocce?
Tutti
i grandi studiosi di Leonardo sono d’accordo con me e si sono galvanizzati nel
vedere il mio approccio innovativo che non è “opinione” ma una metodologia
che può essere messa in pratica osservando il dipinto e validata leggendo gli
stessi appunti di Leonardo.
Possiamo
considerare il presente dibattito come simbolo di un più ampio dibattito tra
arte e scienza, nel senso che sarebbe auspicabile per certi versi tornare a
Leonardo perché in lui le due culture erano interconnesse, mentre oggi sono
separate?
Io
sono ottimista e penso che non ci siano già più le condizioni per un dibattito
tra arte e scienza, ma che anzi ci stiamo già avvicinando alla riunificazione
di questi due rami del sapere. Nel Rinascimento, arte e scienza venivano
studiate insieme. Oggi siamo pensatori unilaterali perché non facciamo molto
lavoro multidisciplinare. Eppure, anche nell’era dei computer, artisti,
designer e creativi sono indispensabili per lavorare a fianco degli ingegneri.
Walter Isaacson, nel suo meraviglioso libro, gli Innovatori, parla delle
innovazioni tecniche create da team multidisciplinari. Penso che ci stiamo
rapidamente riavvicinando all’ideale rinascimentale.
Infine,
dicci qualcosa sul Codex Hammer, uno dei codici Da Vinci meno popolari...
Il
Codex Leicester fu acquistato dall’uomo d’affari Armand Hammer che cambiò il
nome in Codex Hammer. Quando Bill Gates acquistò il quaderno nel 1994 per $ 30
milioni, ripristinò il nome in Codex Leicester (1508-10). Prima di prenderne
possesso, Gates lo ha esposto all’American Museum of Natural History di New
York. Sono stata onorata di essere fra i relatori del museo e di presentare
Leonardo come geologo. Il codice contiene annotazioni sulla geologia, studi
sull’acqua, fossili, aria e sulle aurore.
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Fig. 1: Dipinto del Louvre
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Spherically weathered sandstone = arenaria erosione sferoidale
Diabase sill (not exactly 900 ) = filone strato di diabase (non esattamente 900)
Erosional remnants = pinnacoli dell'erosione
Basal Contact = contatto basale
Sole mark = strutture erosive sedimentarie.
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Contact surface = superficie di contatto
Columnar mud cracks = fessurazione colonnare nel fango
Columnar joints = fratturazione colonnare
Spherically weathered sandstone = arenaria arrotondata
Bedded sandstone = arenaria stratificata.
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Fig. 2: Dipinto della National Gallery di Londra
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Diabase isolated = diabase isolato.
Discontinuous basal contact = Contatto basale dicontinuo
Fiord = Fiordo
Steep Drop-Off = sporgenza stretta
Not identifiable = non identificabile.
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Unnatural joint depiction = fessurazione innaturale
Lacks basal contact = manca contatto basale
Rock not identifiable = roccia non identificabile.
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Le
due versioni: discussione
La
Vergine delle Rocce del Louvre è un vero e proprio tour-de-force geologico per
via della precisione con cui Leonardo rappresenta le complesse formazioni
rocciose. Nella parte superiore della grotta, a sinistra, sono visibili
erosioni sferoidali di una roccia sedimentaria, l’arenaria. Sopra la testa
della Vergine una roccia si erge verticalmente. Questa è il diabase, una roccia
ignea iniettata come liquido fuso che si diffonde sopra l’arenaria, formando
una colonna di quasi un metro di altezza. La roccia si contrae mentre si
raffredda, formando giunture verticali (fratturazioni colonnari).
Immediatamente
sopra la testa della Vergine c’è una crepa orizzontale chiamata “contatto
basale” o inferiore. Questa è la linea di demarcazione tra il diabase sopra e
la roccia arenaria sottostante. La colonna di diabase si estende verso l’alto
fino a quando incontra un’altra superficie di contatto orizzontale, mentre, in
cima alla grotta, la formazione rocciosa si trasforma in arenaria.
Le
rocce che si estendono sotto il contatto basale vicino alla testa della Vergine
in primo piano sono arenarie, come quelle nella parte superiore della grotta.
La struttura dell’arenaria riportata nel disegno è quella arrotondata da agenti
atmosferici come nella parte superiore della grotta. Si può notare che
l’arenaria in primo piano non è molto erosa e, pertanto, ha mantenuto una
struttura stratificata ben definita. Lo strato di diabase al centro della
formazione è duro e meno incline all’erosione, quindi ha bordi spigolosi e
rilievi verticali. Leonardo è stato geniale nel catturare questo contrasto,
avendo una profonda conoscenza di come le rocce sono in natura e poi a
rappresentarle in maniera realistica tramite l’uso della luce e del colore.
L’uso dello “sfumato”, una tecnica di
ombreggiatura che Leonardo padroneggiava, è in grado di dare la sensazione
realistica di una grotta umida e ammuffita.
Le
rocce a pinnacolo in alto ammantate da una nebbia blu-grigia sullo sfondo sono
i resti di quei processi erosivi che hanno portato via lo strato superficiale
di roccia più morbida lasciando intatta quella più dura. Queste formazioni sono
state dipinte minuziosamente con cura, coerentemente con l’immancabile impegno
del Maestro per il realismo geologico.
Particolarmente
intrigante è l’ubicazione della vegetazione sia per l’effetto estetico, sia per
la fedeltà al luogo reale in cui ciascuna pianta sarebbe cresciuta. In cima
alla grotta, l’arenaria erosa a sufficienza avrebbe permesso alle radici di
attecchire. Questo vale sia per le piante in primo piano sia per quelle sullo
sfondo. Nessuna pianta può crescere nel diabase per la durezza e resistenza
della roccia ignea.
Un
osservatore anche con minime competenze geologiche può facilmente rendersi
conto che le formazioni rocciose rappresentate nel dipinto della National
Gallery non corrispondono alla realtà naturale, come invece accade nella
maggior parte dei disegni e dei dipinti di Leonardo. Tutto quanto sappiamo su
Da Vinci suggerisce che aveva troppo rispetto per la natura per ritrarla in
modo inaccurato. Le rocce nella versione National Gallery mancano di realismo
geologico. Guardando il dipinto, sopra la testa della Vergine, non vi è alcuna
differenza nella tessitura delle rocce per indicare la presenza dello strato di
diabase. Le giunture verticali continuano verso l’alto senza interruzioni. Le
rocce sono monotone e uniformi se confrontate a quelle variegate del dipinto
del Louvre. Le rocce in primo piano non sono ben stratificate e infatti non
sono identificabili. La scarsa conoscenza geologica dell’artista del dipinto
della National Gallery sembra escludere la possibilità che fosse Leonardo.
Se
ci spingiamo oltre prendendo in considerazione la cronologia delle tre opere di
Leonardo - La Vergine delle Rocce al Louvre, dipinta ca. 1483-86, la versione
della National Gallery ca. 1495-1508 e la Vergine e Sant’Anna del 1510 - appare
del tutto improbabile che Leonardo abbia cambiato il suo approccio geologico
per un solo dipinto - quello della National Gallery - considerando che la
Vergine e Sant’Anna, finita dopo il dipinto di Londra, è un quadro molto più
dettagliato e geologicamente complesso.
Alla
fine, la straordinaria conoscenza geologica di Da Vinci ci ha fornito un metodo
imparziale per distinguere il suo lavoro da quello dei suoi numerosi imitatori
e seguaci. L’accurata descrizione geologica è un indice di autenticità. Può
fungere da marchio inimitabile di Leonardo, perché nessun altro artista del suo
tempo ha compreso così bene la geologia.
Bibliografia:
PIZZORUSSO 2014
Ann C. Pizzorusso, Twittando Da Vinci, New York, Da Vinci Press, 2014 (VII, 232 p.)
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