Basilio Cascella
nacque a Pescara il 2 ottobre 1860 e, dopo aver
trascorso l'infanzia a Ortona (CH), decise ancora
giovanissimo di trasferirsi a Roma: qui collaborò come
apprendista presso lo stabilimento di Luigi Salomone e
imparò precocemente i rudimenti della tecnica
litografica, inventata circa settant'anni prima
dall'austriaco Alois Senefelder. Nel 1879 è a Napoli
dove assimila le esperienze veriste dei suoi
conterranei abruzzesi Francesco Paolo Michetti e i
fratelli Palizzi. Nel 1881 a Milano aprì un proprio
laboratorio litografico in corso di Porta Vittoria,
sperimentando al contempo varie tecniche artistiche
legate al mondo delle arti visive.
Sono anni in cui il
giovane Basilio rielabora l'esperienza della “scuola
napoletana” e fa tesoro degli incontri con il pittore
Vincenzo Irolli, conosciuto a Pavia nel 1880 durante
il servizio di leva, dello scultore Medardo Rosso e
del padre del Divisionismo italiano, quel Gaetano
Previati con cui entra in contatto presso
l'associazione “Famiglia Artistica Milanese” fondata
da Vespasiano Bignami. Pur assimilando la lezione
delle innumerevoli correnti culturali che la moderna e
dinamica Milano gli offriva, Basilio se ne tenne
fondamentalmente distante, rivendicando una formazione
da autodidatta e un temperamento istintivo e del tutto
personale nel suo fare artistico.
Tra il 1884 e il
1894 partecipa a numerose mostre di arte contemporanea
in tutt'Italia, riscuotendo un notevole successo con
la tela di impronta simbolista Il suono e il sonno
esposta prima a Napoli e poi all'Esposizione Triennale
dell'Accademia di Brera di Milano. Nel 1895 tornò
definitivamente in Abruzzo: ottenuto dal Comune di
Pescara un piccolo appezzamento di terreno in un'area
allora considerata periferica rispetto al centro
cittadino, vi fondò un laboratorio cromolitografico
che ben presto divenne, oltre che studio-abitazione
per sé e per la sua famiglia, anche un centro
culturale crocevia di intellettuali, poeti e musicisti
attivi in Abruzzo tra la fine del XIX secolo e la
prima metà del XX secolo, tra cui gli scrittori
Vincenzo Bucci e Luigi Antonelli e i pittori Vincenzo
Alicandri e Italo De Sanctis.
Oggi la casa-bottega di
un tempo, a poche centinaia di metri dalla casa natale
di Gabriele d'Annunzio e da quella di Ennio Flaiano, è
diventata un Museo Civico per volere del primogenito
Tommaso che, nel 1968, donò all'Amministrazione
Comunale della città l'immobile con l'ingente
patrimonio artistico ivi contenuto. Ed è proprio il Museo
Civico Basilio Cascella il punto di partenza per
effettuare un'analisi dello straordinario corpus
di opere di Basilio, un artista inquieto, poliedrico e
duttile, un indefesso sperimentatore, un intellettuale
generoso e intraprendente ancora oggi troppo poco
conosciuto e studiato.
Il Museo custodisce circa 600
opere tra tele, ceramiche, bozzetti, cartoline,
disegni, posters e sculture realizzate in quasi un
secolo da Basilio e dai suoi discendenti: ben cinque
generazioni di artisti che, caso forse unico in
Italia, hanno prodotto arte senza soluzione di
continuità e con risultati sempre elevatissimi dalla
seconda metà dell'Ottocento fino ai nostri giorni.
Presso lo stabilimento paterno appresero infatti le
tecniche artistiche più disparate i tre figli di
Basilio - Tommaso, Michele e Gioacchino - e da queste
radici partirono alla conquista di traguardi
internazionali i due figli di Tommaso, gli scultori
Pietro e Andrea. Nel Museo continuano oggi ad affluire
le opere dei figli di Pietro, Tommaso Cascella jr e
Jacopo, e quelle dei componenti della quinta
generazione, figli di Tommaso jr: Matteo Basilè, che
nel nome d'arte ha voluto rievocare il capostipite di
questa grande famiglia, e Davide Sebastian.
Negli ambienti che
costituiscono le attuali sale espositive del museo,
Basilio ha dato vita a un'eclettica produzione di
stili e generi che spaziano dalla pittura alla
ceramica, dalla fotografia alla grafica pubblicitaria
e all'editoria d'arte. Ed è proprio nel campo
dell'editoria che prese forma, sia pur tra mille
difficoltà economiche, uno dei più ambiziosi e
raffinati progetti cascelliani, ossia la nascita della
rivista letteraria da Basilio ideata e realizzata Illustrazione
Abruzzese nelle due serie del 1899 e del 1905,
seguite, tra il 1914 e il 1915, dalla nuova edizione
de La grande Illustrazione: un numero
complessivo di venticinque fascicoli di uno dei
prodotti editoriali più innovativi del primo
Novecento, vuoi per i contributi letterari di chi vi
partecipò (Luigi Pirandello, Gabriele d'Annunzio,
Tommaso Marinetti, Marino Moretti, Umberto Saba,
Grazia Deledda, Clemente Rebora, Guido Gozzano,
Sibilla Aleramo...), vuoi per la ricchezza dell'apparato
iconografico opera di Basilio e dei suoi figli, vuoi
per l'amore con cui ogni particolare fu da Basilio
meticolosamente curato, dalla qualità artigianale
della carta alla raffinatezza grafica dei caratteri
all'originalità del formato (fig. 1).
Fig. 1: Basilio CASCELLA, "Illustrazione abruzzese"
copertina, Serie II, Anno I, Fascicolo I, 1905
Pescara, Museo Civico Basilio Cascella
Se pur inserita
nel filone dell'Art Nouveau delle Secessioni
viennese e monacense, la rivista, che si avvale in
alcuni numeri anche della collaborazione di Umberto
Boccioni, Armando Spadini, Italico Brass e Arturo
Dazzi, presenta nelle traduzioni grafiche di
componimenti in prosa, versi e articoli di cultura topoi
ricorrenti nell'intera produzione cascelliana, come la
celebrazione della bellezza muliebre tipicamente
abruzzese, la descrizione pittorica dell'artigianato
artistico regionale, il senso panico della natura, che
si snodano dalle copertine alle tavole di grande
formato fino ai fregi decorativi. L'attaccamento
all'Abruzzo è reso ancora più esplicito
nell'editoriale di apertura della seconda serie,
finanziata dai fratelli Pascale di Popoli, produttori
del Centerbe, tipico liquore locale a base di
erbe: «Nella forza e nella semplicità della nostra
terra rimasta così profondamente italica, nella
bellezza del suo suolo, nella solennità dei suoi riti,
nella rudezza dei suoi costumi, il nostro ideale di
arte si integra e si esprime. Come è alta e nevosa la
sua montagna, azzurro e selvaggio il suo mare e
bianchi e forti sono i buoi che arano le sue zolle e
dolce è l'odore del suo spigo, così l'arte che noi
vogliamo è forte, semplice e pura».
Le donne di Basilio, immerse nel fogliame di cui sono
diretta emanazione in una fusione panica con la
natura, si offrono spavalde al sole, adorne di monili
dalle valenze propiziatorie e apotropaiche: le cannatore,
corti girocolli di globuli aurei granulati chiamati
préscìne che rimandano ai chicchi dell'uva
spina, simbolo di fertilità ma anche potente
protezione contro i malefici delle megère; e poi le sciacquajje,
grandi orecchini semilunati muniti di piccoli elementi
oscillanti, e ancora
pettorali e pendenti in oro, metallo in grado di
attrarre le valenze plutoniche del dio sole e di
garantire così un raccolto abbondante, o in corallo,
considerato galattoforo e particolarmente indicato a
puerpere e balie. Il taglio compositivo, l'uso del
primissimo piano, il sapiente disegno a tratteggio
minuto che crea chiaroscuri e volumetrie conferiscono
alle immagini di questo innovativo periodico di arte e
letteratura uno straordinario senso del movimento e
una potente forza espressiva. Il successo da Londra a
Parigi, da Monaco a Vienna, così come il supporto
economico dell'imprenditore e amico Andrea Pascale,
non aiutarono Basilio a superare gli annosi problemi
legati alla mancanza di mezzi finanziari, problemi che
poi lo condurranno alla dolorosa decisione di
interrompere la realizzazione della terza serie della
rivista alle soglie della Prima guerra mondiale.
La tecnica
litografica - con la quale i disegni incisi sulla
matrice di pietra calcarea venivano poi impressi su
carta attraverso un torchio a stella - è il mezzo
grazie al quale Basilio realizza anche manifesti,
locandine ed etichette commerciali, intuendo in
anticipo sui tempi lo straordinario potere
comunicativo della grafica pubblicitaria e avvalendosi
di sponsorizzazioni industriali ante litteram.
«Con il controllo dell'intero processo del lavoro, dal
disegno alla stampa, l'artigiano e l'artista diventano
tutt'uno: il mestiere e la manualità, che in pittura
lo portano ad una pesantezza di volumi e materie,
assurgono a un piano di raffinatezza estetica moderna».
Frutto della maestria grafica dell'Artista è anche il
nutrito corpus di cartoline illustrate
realizzate tra il 1899 e il 1910, diventate presto
ricercatissime presso gli amanti del genere
soprattutto dopo l'esposizione, nel 1902, di cinquanta
esemplari alla Mostra Internazionale d'Arte Decorativa
Moderna di Torino. Si tratta di circa
trecentocinquanta pezzi tra singoli, d'occasione e
raggruppati in serie tematiche: le serie spaziano dai
temi iconografici più cari all'Art Noveau (Frutti
e Fiori, L'Edera, Nudi con piante,
Le Farfalle, Donne musiciste) a quelli
prediletti dal collezionismo di gusto internazionale (Une
parti eau biliard), a metà tra l'erotismo
tardo-romantico e il preraffaellismo, a quelli di
connotazione più specificatamente etnografica (Napoli,
Tipi regionali, Innamorati in costume abruzzese,
Le mietitrici italiane), «splendide per quella
particolare tecnica di coloritura, che riesce a
rendere la luminosità del pastello e le trasparenze
dell'acquerello, già sperimentata dall'Artista nelle
tavole della Illustrazione Abruzzese ».
Tra queste, le cartoline dedicate alla terra natìa
sono le più numerose, con ben sei serie denominate Abruzzo:
piccoli capolavori di dimensioni ridotte che per
l'originalità dei motivi e la perfezione della tecnica
esecutiva si affermarono presto non solo come veicolo
postale di saluti ma anche come strumento
efficacissimo per diffondere nel resto del mondo la
conoscenza di un ricco patrimonio di tradizioni e
cultura locale. Scorrendo le cartoline esposte nel Museo
Cascella insieme alle rispettive matrici
litografiche, ammiriamo i costumi tradizionali, gli
strumenti del mondo domestico femminile, i rituali
scaramantici legati alla superstizione, il corredo dei
pastori in partenza per la transumanza narrati con
straordinaria sintesi visiva mentre i nudi femminili
sull'arenile della costa o le strutture fortificate
medievali che orlano il profilo delle montagne
abruzzesi, colti nella varietà delle ore del giorno e
delle stagioni, sono resi con il tipico tratteggio
filamentoso e uno straordinario senso della luce e del
colore. Il realismo dei soggetti di ispirazione
regionale supera anche qui i limiti di un
descrittivismo di costume e si trasfigura per
assurgere a una dimensione immutabile e assoluta della
condizione umana legata al duro lavoro,
all'inesorabilità del tempo, al legame intrinseco con
la terra e con la natura, ora dispensatrice di vita,
ora matrigna foriera di inganni e distruzione.
La
mietitrice (Abruzzo) appartiene alla serie
denominata Le mietitrici italiane costituita
da dodici cartoline in cui il motivo della figura
femminile raffigurata tra le abbondanti messi, spesso
con la falce per la mietitura, si ricollega ai miti
agresti della rinascita e agli antichi riti
propiziatori per la fertilità della Dea Terra, tema
caro al popolo abruzzese composto in prevalenza da
pastori e contadini, e si ripropone quale sorta di leit
motiv in periodi differenti e con tecniche
diversificate. Ne sono un esempio la rigogliosa Maternità
tra le spighe (fig. 2),
Fig. 2: Basilio CASCELLA, Maternità tra le spighe, 1945
olio su tela, cm. 99 x 64 Pescara, Museo Civico Basilio Cascella
archetipo della Grande
Madre, divinità primordiale dispensatrice di vita
assimilata anche iconograficamente sin dall'epoca
medievale ai culti mariani, o le numerose formelle in
maiolica Madonna del Grano (fig. 3)
Fig. 3: Basilio CASCELLA, Madonna del grano, 1926
mattonella in maiolica, cm. 20,5 x 31
Pescara, Museo delle Genti d'Abruzzo
che, se
pur commissionate a partire dal 1926 dalla
Confederazione Nazionale Fascista degli Agricoltori a
sugellare la campagna legata alla Battaglia del Grano,
acquisirono presto un carattere devozionale: «La Madonna
del grano, seduta in trono sul grano, ripete
ancora una volta il rito della fecondità e Gesù
Bambino diventa Spiga Divina destinata a
morire con la mietitura per poi risorgere e riprodurre
nuove messi come segno di rinascita. La Madonna in
Maestà rappresenta inoltre un tramite tra Dio e
l'uomo ed è circondata da angeli inginocchiati e
adoranti che seguono un andamento ogivale configurando
la vesica piscis o mandorla mistica
che come seme della vita richiama nuovamente il tempo
ciclico della rigenerazione. I miti agresti
prevedevano la continua presenza di dee femminili,
ecco perché nei culti mariani del territorio abruzzese
la Vergine Maria si sovrappone nell'immaginario
collettivo a Demetra, Cerere, Ceria Giovia o alla
marsa Angizia sviluppando un sincretismo che dà luogo
a un'iperdulia celebrata con pratiche all'aperto
presenti in tutto l'Abruzzo che dimostrano un
sentimento religioso celebrato anche da Tommaso
Cascella». Un pannello
ceramico di proporzioni monumentali (cm 220x300) con
lo stesso soggetto mariano fu inoltre realizzato nel
1928 per il Salone della Provincia di Frosinone.
Tutta l'arte di
Basilio trae dunque la sua ispirazione più pura dalla
cultura etnografica abruzzese: un patrimonio
agro-pastorale plurisecolare fatto di miti e riti
pagani assimilati dal cristianesimo in una
straordinaria forma di sincretismo culturale, un
microcosmo di saperi tecnici e cultura materiale che
affondano le proprie radici in un passato atavico,
ancestrale, solenne e selvaggio rimasto immutato per
secoli. Di tale passato e dei suoi valori Basilio si
fa custode e cantore grazie anche alla profonda
conoscenza che ha del territorio e della sua storia:
trascorre lunghe giornate viaggiando tra borghi e
montagne del suo Abruzzo e immortala volti, luoghi e
scene di vita quotidiana con la macchina fotografica,
un mezzo di riproduzione del reale ancora agli esordi
che consentiva di eliminare le lunghe sedute di posa
dei modelli.
Basilio intuì subito che l'uso
dell'obiettivo fotografico non era solo una novità
tecnologica, ma avrebbe avuto una portata comunicativa
rivoluzionaria stravolgendo anche i codici linguistici
dell'arte figurativa e utilizzò tale materiale come
supporto per riprodurre nella solitudine del suo
atelier quelle scene di vita quotidiana di cui era
stato spettatore. Eppure,
nonostante le sue programmatiche intenzioni, le
fotografie in bianco e nero di Basilio travalicano i
limiti di una semplice, meccanica riproduzione del
reale e, oltre alla funzione documentale assai
preziosa per gli studiosi di antropologia, si
caratterizzano per un valore espressivo di
straordinaria intensità e autonomia estetica. I motivi
ricorrenti nella sua poetica sono presenti nelle
fotografie e nelle cartoline, nei bozzetti e nelle
creazioni pittoriche, trasfigurazione lirica non solo
dell'esperienza di vita ma anche degli studi di grandi
demologi del suo tempo come Gennaro Finamore, Giovanni
Pansa, Antonio De Nino. Il duro lavoro nei campi, le
pratiche contro il malocchio, i pellegrinaggi
devozionali con lo sfondo di paesaggi primordiali,
agresti e montani, sono raffigurati con l'utilizzo
delle tecniche più svariate, dalla matita
all'acquerello, dal pastello all'olio, con i tratti
tipici di quella pittura verista di marca napoletana
che fino alla fine degli anni '80 sembra essere alla
base della sua ispirazione.
Durante l'ultimo decennio
del XIX secolo la sua pittura si caratterizza per una
virata sempre più esplicita verso l'arte simbolista:
il mondo agro-pastorale si fonde col mito, con
l'allegoria, con l'elemento onirico e fantasmagorico,
e gli scorci rocciosi, i fondali e i campi si popolano
di satiri, di fauni, di ninfe e di creature mostruose,
gli elementi vegetali assumono sembianze zoomorfe e
corpi sinuosi di donne sbocciano tra grappoli e foglie
con i volti delle contadine dall'incarnato arso dal
sole, in una sorta di vitalismo che riconduce ad un
neopaganesimo di sapore dannunziano. Sono forse gli
anni migliori di Basilio quelli del decennio tra il
1890 e il 1900, anni in cui il Maestro raggiunge la
piena maturità artistica e comincia ad accarezzare
l'idea di una grande tela di ambientazione
bucolico-pastorale che vedrà definitivamente la luce
tra il 1899 e 1900: considerato da alcuni il suo
capolavoro pittorico, Il bagno della
pastora (fig. 4)
Fig. 4: Basilio CASCELLA, Il bagno della pastora
(particolare), 1899-1900
olio su tela, cm. 165 x 257
Pescara, Museo Civico Basilio Cascella
è un olio su tela di grandi
dimensioni apparentemente di impostazione verista:
sullo sfondo di un paesaggio roccioso disseminato di
riferimenti al corredo pastorale - alcune pecore del
gregge, la zampogna, i tipici calzari estivi in cuoio
detti chiochie - la giovane coppia in primo
piano è in procinto di abbandonarsi alla complicità di
un bacio. La luce proviene da sinistra e
illumina il corpo nudo della donna che poggia il
ventre teso sul greto di un torrente, seguendo le
direttrici orizzontali della composizione costituite
dal profilo dello sperone roccioso digradante oltre i
suoi piedi; gli abiti rossi, bianchi e blu, in
primissimo piano, sono abbandonati disordinatamente
sui sassi insieme ai calzari e a una zucca che,
secondo la tradizione agro-pastorale, fungeva da
borraccia dopo essere stata svuotata ed essiccata. La
fanciulla, coi capelli legati in due lunghe trecce, si
porge voluttuosamente verso l'uomo e inarca la schiena
sotto le gocce di acqua gelida che lui versa dal cavo
di una conchiglia, i volti si sfiorano con le labbra
socchiuse in un momento di intensa, raffinatissima
sensualità. Ma ad uno sguardo più attento, sotto i
calzoni in pelle di pecora del pastore l'osservatore
scorge inquietanti arti con zampe uncinate, sotto il
berretto rosso gli orecchi ferini: un satiro, dunque,
un figlio di Pan. L'apparente idillio pastorale si
carica di tensione, calato in un'atmosfera ricca di
attesa e di mistero. La pittura è scura, materica,
tipica del verismo napoletano. I piani della
composizione, costruiti sulle direttrici orizzontali
accentuate dal formato rettangolare della tela, legano
insieme gli elementi della natura, i corpi, gli
oggetti, in un andamento ascensionale culminante, a
destra, nei due volti degli amanti, punto focale di
tutto il dipinto. Voluto, implicito o semplicemente
evocato nella mente dell'osservatore è il richiamo
alla novella Terra Vergine che un giovanissimo
Gabriele d'Annunzio aveva pubblicato nel 1882 a Roma
presso l'editore Sommaruga:
«Fiora si accostò
avida e bevve. China sul greto, con il seno balzante,
con la lingua all'acqua, nella curva della schiena e
de' lombi rassomigliava una pantera; Tulpestre la
involse tutta d'uno sguardo torbido di libidine.
-Baciami! - e il
desiderio gli strozzava la voce in gola.
-No.
-Baciami...».
La bellissima moglie
del pittore, Concetta Palmerio, nativa di Guardiagrele
(CH) e sposata nel 1889, posò come modella per il
quadro e l'amico Vincenzo Bucci, scrittore, si prestò
come modello. Racconta il figlio Michele in una delle
gustosissime pagine dell'autobiografia Forza zio
Mec «...mio padre aveva iniziato a lavorare a
Pescara ad un quadro di dimensioni grandiose dal
titolo “Il bagno della pastora”. Mia madre
posava nuda per lui, protetta da un recinto che mio
padre aveva fatto appositamente costruire accanto alla
litografia. Vincenzo Bucci, scrittore abruzzese,
grande amico di mio padre, posava nelle vesti di
pastore; era un pastore di stile greco-napoletano,
michettiano-morelliano, bruciato dal sole, con tanto
di “chiochie” e zampogna. Nel quadro refrigerava la
testa e le spalle di mia madre con l'acqua di uno
stagno, aiutandosi con una grossa conchiglia; sullo
sfondo una grotta, nella quale si rifugiavano alcune
pecore». Il dipinto
presenta due datazioni: una in basso a sinistra
accanto alla firma del pittore, ed è la data del 1899.
L'altra datazione, 1900, e appena percettibile, incisa
sul braccio destro della pastora. L'opera, racconta
sempre Michele, fu spedita a Venezia per l'Esposizione
Internazionale di Belle Arti del 1903: «L'Imballaggio
fu una vera impresa, i vari ‘alto, basso, fragile',
gli indirizzi dei destinatari e del mittente
ripetutamente redatti; infine un fiasco di vino con le
pizzelle per augurare un buon viaggio e soprattutto
tanta fortuna all'opera in partenza».
Lo stesso Gabriele d'Annunzio intercede presso il
Segretario generale della Biennale, Antonio
Fradeletto, raccomandando l'opera del suo
concittadino. Ma per una serie di strane circostanze
ancora oggi poco chiare, la tela si smarrì lungo il
viaggio. Sempre Michele ricorda che improvvisamente
dopo settant'anni anni la cassa contenente il quadro
fu rinvenuta presso la stazione di Ancona, dove subito
viene inviato il primogenito Tommaso per il recupero:
«Il quadro non raggiunse mai la sua destinazione. Dopo
oltre settant'anni, la direzione di smistamento nei
pressi di Ancona chiese a mio fratello Tommaso per
ragguagli in merito a certa merce che risultava essere
spedita da Basilio Cascella. Tommaso ritrovò la cassa
perfettamente intatta». Molte
però sono le contraddizioni, soprattutto cronologiche,
che presenta questa ricostruzione, forse alterata dai
ricordi d'infanzia di Michele.
Franco Di Tizio,
nell'accurata biografia dell'Artista, grazie a una
puntuale ricostruzione e a un'analisi incrociata di
documenti, lettere e date, ipotizza invece un rifiuto
dell'opera da parte della Biennale a causa del ritardo
con cui la tela giunse a destinazione: rispedita a
Pescara, la Pastora rimase ferma ad Ancona per
poco più di un ventennio. Dopo il
recupero la tela appare subito lesionata e Basilio
procede immediatamente al restauro. Nel 1931, in una
mostra romana, viene esposta un'opera dal titolo Il
bagno della pastora, forse la tela stessa
recuperata e restaurata, o forse una sua
rielaborazione.
Nel 1905, dopo il
successo ottenuto a Torino nel 1902 nell'Esposizione
Internazionale d'Arte Decorativa Moderna, gli viene
dedicata a Chieti una mostra retrospettiva presso il
Palazzo Comunale: nella Mostra d'Arte Antica espone
schizzi, disegni e pastelli. Nel 1906 è presente alla
Mostra Nazionale di Belle Arti di Milano, l'anno
successivo all'Esposizione della Società degli Amatori
e Cultori di Belle Arti di Roma. Segue un periodo in
cui la produzione artistica rallenta: Basilio si
dedica prevalentemente alla formazione e alla
promozione artistica dei figli Tommaso e Michele,
collaborando sporadicamente alla rivista Natura e
Arte, prima della nuova partenesti editoriale de
La grande illustrazione. Sono anni frenetici in
cui soggiorna e si sposta da una città all'altra in
Italia e all'estero per organizzare mostre dei giovani
Cascella, ma l'Abruzzo rimane il suo riferimento
costante e, a distanza, ne segue le vicende politiche
e le profonde trasformazioni sociali ed economiche che
di lì a breve porteranno la regione ad aprirsi al
turismo e all'imprenditoria industriale.
Alla fine degli anni
'10 inizia una nuova avventura, quella della ceramica:
indefesso sperimentatore, interessato sempre a nuovi
mezzi di espressione, Basilio rimane incantato dalla
tecnica del fuoco e dei colori dopo aver visto
all'opera il maiolicaro Luigi Bozzelli ed è fermamente
convinto che, non essendoci differenza tra arti
maggiori, minori e decorative, l'artista doveva essere
prima di tutto un artigiano. «Senti Michele, ho
un'idea che non mi lascia dormire. Tu sai che noi, qui
in Abruzzo, abbiamo una tradizione di maiolicari, da
secoli però completamente abbandonata. Ebbene, noi
dobbiamo riprendere l'antica tradizione, anche se ne
siamo digiuni, e proprio con la maiolica a fuoco;
però, con una produzione diciamo popolare-artigiana,
come fanno i ceramisti di Rapino. Andrò a vedere di
persona, a Rapino, ma da solo (...). Torniamo
all'antico, rimbocchiamoci le maniche, figlio mio, e
diamo inizio a un rinnovato lavoro. Non seguiremo i
modelli dei Grue, Gentile, Cappelletti, ma daremo
un'impronta diversa, popolare, cercando di esprimere
un nostro stile genuino e personale, funzionale e non
solo decorativo».
Intorno
al 1917 matura dunque la decisione di trasferirsi con
tutta la famiglia a Rapino, pittoresco borgo del
chietino alle falde della Majella, per frequentare la
bottega di Fedele Cappelletti, erede di una nota
famiglia di ceramisti: Basilio trova nella ceramica
uno dei mezzi più versatili e adatti alle sue istanze
espressive e dà così inizio alla nuova avventura
figulina affermandosi con uno stile unico nel panorama
della ceramica italiana dell'epoca. Ispirandosi
all'arte antica dei maiolicari abruzzesi di Castelli,
coniuga la vocazione artigianale basata sul lavoro
manuale agli effetti pittorici propri dei dipinti a
olio e a pastello e, rientrato a Pescara, nel 1921
trasforma il laboratorio in bottega d'arte, la Bottega
Cascella, inaugurando una nuova stagione
creativa che lo vede protagonista indiscusso del
rinnovamento della ceramica d'arte in Abruzzo, con
collaborazioni anche presso importanti stabilimenti
fuori regione come la fornace Percossi e la fornace
Marcantoni. La produzione è vasta e variegata e
comprende ceramica decorativa, d'uso e monumentale. Il
campo di interesse di Basilio come pittore ceramista è
rivolto principalmente alle superfici piane come
piastrelle e piatti, ma non mancano esempi di forme
chiuse come vasi. I soggetti, mutuati dalla vita
quotidiana, decorano anfore, brocche, mattoni di
grande formato e piatti esornativi insieme con
elementi mitologi e allegorici, fauni, amorini, putti,
nudi femminili, riproponendo il repertorio grafico e
pittorico del Maestro, ma con una tavolozza di colori
ulteriormente arricchita di nuove gamme e sfumature
cromatiche. Pregevole è un gruppo di sei piatti in
terraglia realizzati, presso lo stabilimento Fabbriche
Riunite Civita Castellana fondata dai Volpato,
con la tecnica ‘a trasporto' mediante l'utilizzo di
matrici a stampa inchiostrate con colori ceramici: la
serie, che appartiene oggi a una collezione privata,
raffigura alcune scene tratte da La figlia di
Iorio, tragedia pastorale scritta da Gabriele
d'Annunzio nel 1903, e presenta un sapiente uso del
chiaro scuro, un'efficace resa del movimento dei corpi
e della psicologia dei personaggi.
Espose con successo
la sua produzione ceramica alle Biennali
Internazionali di Arti Decorative di Monza.
A questo periodo è da ricondurre la decorazione
della tomba dell'eroe abruzzese Andrea Bafile nel
sacrario della Majella con tre grandi pannelli di
ceramica policroma, la genesi dei grandi pannelli decò
realizzati per lo Stabilimento Termale Tettuccio di
Montecatini (1926-27) e dei monumentali lunettoni
ceramici raffiguranti vedute di città italiane per la
Stazione di Milano realizzati tra il 1930 e il 1931.
Divenuto parlamentare
ormai settantenne durante la XXVII legislatura, negli
Anni Trenta visse una seconda giovinezza in sintonia
con gli ideali di regime e creò quadri d'occasione e
arredi celebrativi, come i pannelli policromi per la
stazione marittima di Messina realizzati in
collaborazione con il figlio Michele. Continuando a
partecipare a mostre in diverse città italiane,
Basilio si battè in questa stagione per l'istituzione
di scuole e istituti d'arte dove attuare una didattica
innovativa incentrata sulla pratica e sul lavoro
manuale, come negli opifici di un tempo.
Morì nel 1950 a Roma,
città dove si era stabilito sin dal 1928. Così l'amico
Giorgio De Chirico, assiduo frequentatore del suo
studio romano in via Trionfale, scrisse nel 1946 nel
catalogo di presentazione della mostra del Maestro a
Roma presso la Galleria San Marco: «E' un instancabile
vegliardo, figlio di quel paese di bella gente che è
l'Abruzzo, che non è mai stato guastato dal modernismo
ed è rimasto fedele agli ideali della sua giovinezza e
della sua età matura».
NOTE
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