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L'antica pietà paleocristiana nelle ‘Istruzioni architettoniche' di Carlo Borromeo
Francesco Del Sole
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 06 Novembre 2025, n. 988
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00988.html
Articolo presentato in data 15 Ottobre 2025, accettato in data 01 Novembre 2025 e pubblicato in data 06 Novembre 2025
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Abstract

Le Istruzioni architettoniche di Carlo Borromeo rappresentano l'unica applicazione pratica dei decreti tridentini in architettura. Tuttavia, nel corso del tempo gli storici hanno dato poco peso all'opera, la quale è stata considerata per lo più un semplice prontuario da parrocchia a causa della natura pratico-funzionale utilizzata per trattare lo spazio sacro. Nuove ricerche sull'opera letteraria dimostrano che le Istruzioni sono legate al contesto storico e alle esigenze spirituali della Chiesa post-tridentina, che ha coniato il concetto di autenticità per tradizione. Questo saggio intende focalizzare l'attenzione sul “revival” paleocristiano proposto da Borromeo nel suo trattato, inteso non solo come riferimento a un passato letto in chiave mitica, ma come modello vero e indiscutibile su cui impostare il prototipo della chiesa ideale della Controriforma. Fondendo parti selezionate di edifici della tradizione paleocristiana e le innovazioni proposte di volta in volta dagli architetti, si instaura una vera e propria dinamica operativa, che si riflette anche nella necessaria commistione che deve avvenire tra i compiti del vescovo e quelli dell'architetto. Questo nuovo approccio all'opera letteraria permette di includere le Instructiones tra le fonti normative attraverso le quali è possibile studiare l'architettura religiosa nel XVII e XVIII secolo, considerando anche la massiccia diffusione del volume soprattutto nell'Italia meridionale, che molto spesso produce interessanti varianti locali delle norme di San Carlo adattate alle esigenze specifiche.


Fin da quando, alla metà del secolo scorso, lo storico Hubert Jedin ha proposto di affiancare, al termine Controriforma, la nozione di Riforma cattolica, il profondo rinnovamento dell'ideale di vita cristiana è stato legato, negli studi, a una maturazione dottrinale intrinseca al mondo cattolico scoppiata dopo lo scisma luterano 1.

Il più grave attacco dei protestanti alla Chiesa di Roma è stata la messa in discussione della purezza dell'ecclesia primitiva e della gerarchia delle fonti sacre, affidando la dottrina solo alla nuda parola dei Padri. Riunitisi a Trento fin dal 1545, i cardinali sentono la forte esigenza non solo di proporre politiche censorie contro le ingannevoli interpretazioni delle fonti, ma di riappropriarsi in primo luogo della storia del Cristianesimo e della Chiesa delle origini. Un ruolo decisivo nei ragionamenti conciliari lo gioca il continuo ricorso alla patristica, a quei capisaldi del Cristianesimo che da un lato potevano permettere precise verifiche dottrinali 2, dall'altro consentivano di modellare il concetto di autenticità della fede, da più parti considerato il più innovativo assunto della religiosità controriformata. Non è autentico solo ciò che è proprio della fonte stessa, come predicava Lutero; vi è anche una autenticità per tradizione, perché inserita in una continuità di fede che è essa stessa garanzia di verità 3.


Una nuova classicità

Andando di pari passo con le questioni dottrinali, la compagine protestante arriva persino a rigettare il valore storico dei manufatti architettonici della Chiesa di Roma. In tal senso, i cardinali del Concilio riprendono le antiche argomentazioni, applicate fin dal Concilio Niceno II (787), relative all'uso della materia per avvicinare l'uomo a Dio 4. Viene modellato il concetto di una ecclesia semper renovanda, di un Cristianesimo concepito come elemento fondante una nuova cultura moderna, in cui la conoscenza delle prime architetture cristiane risulta essenziale per opporsi «alle favole contro il papato» 5 diramate dai novatori religiosi. Storici di rilievo, come Carlo Sigonio (1520-84), contaminano l'eredità dell'Umanesimo con le necessità cultuali controriformate, arrivando a plasmare i primi rudimenti di quella che si potrebbe definire l'archeologia cristiana 6. Siamo di fronte a una nuova disciplina che mira a rivalutare le antiquitates cristiane in funzione apologetica, per dimostrare la supremazia del Cristianesimo anche sotto il profilo storico-artistico 7.

È stato Sisto V il più grande artefice del restauro del culto cattolico negli anni post-conciliari 8. Se da un lato, con la fondazione della Tipografia vaticana (1587), contribuisce in modo determinante a rilanciare in chiave cattolica le visioni patristiche (tutte in divina concordanza fra loro), dall'altro riorganizza la città di Roma partendo da quel sistema di basiliche (S. Maria Maggiore e la corona delle altre sei) già esistente nel Medioevo e ripristinato in syderis formam 9. Roma torna ad essere fulcro di un nuovo centralismo papale, inaugurando un moderno concetto di classicità. Sfogliando le pagine dei trattati composti in quegli anni, è evidente la tendenza ad annoverare fra i monumenti ‘classici' della capitale anche gli edifici di culto paleocristiani; è sul finire del Cinquecento che, per la prima volta, le “trecento chiese” della Roma cristiana sono poste sullo stesso piano dei monumenti della Roma antica 10. In questa ottica, mirata alla produzione di una «maniera anticamente moderna, e modernamente antica» 11, vanno interpretate, ad esempio, le affermazioni del Serlio che propone agli architetti di “mescolare”, “mischiare”, “comporre” 12, perché talvolta, per dirla con Daniele Barbaro, «la bella mescolanza diletta, et le cose che sono tutte ad un modo vengono in fastidio» 13.


La necessaria “mescolanza” nella costruzione degli edifici sacri

Scriveva nel 1975 James Ackerman che Carlo Borromeo, con le sue Instructionum Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae (1577), non aveva fatto altro che adeguare all'edilizia ecclesiastica «l'usanza stabilita nel decennio dopo il 1560 dai più importanti architetti di quella generazione» 14. (Fig. 1)

Fig. 1 – Frontespizio della prima edizione delle Instructionum Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae di Carlo Borromeo (1577). Cortesia di Francesco Del Sole
Fig. 1 – Frontespizio della prima edizione
delle
Instructionum Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae
di Carlo Borromeo
(1577)
Cortesia di Francesco Del Sole

Anche se lo studioso ha poi in parte rettificato la propria posizione 15, è utile sottolineare che quel concetto di mescolanza, presente nei coevi trattati di architettura come pratica di contaminazione, è anche la chiave per comprendere l'innovatività del trattato carolino. Il prototipo della Chiesa ideale immaginata dal cardinale milanese si basa proprio sulla fusione fra le parti selezionate di edifici della tradizione paleocristiana e le innovazioni di volta in volta proposte dagli architetti. Si tratta di una vera e propria dinamica operativa che si riflette anche nella necessaria mescolanza che deve intercorrere fra i compiti del vescovo e quelli dell'architetto. Al primo compete la funzione di tenere ben presenti le finalità spirituali dell'edificio 16; al secondo spetta il compito di fornire soluzioni architettoniche in cui unica “unità di misura” è il fedele nella sua condizione di fruitore 17. Questo dualismo ricorre frequentemente nei capitoli delle Instructiones, dove il vescovo conclude la trattazione affidandosi al «di lui parere». Per dirla con il Borromeo, quando si costruisce (o si restaura) un edificio religioso è necessario fare riferimento «alle valutazioni di architetti esperti in materia» e, al tempo stesso, «all'antica pietà e religione dei fedeli […] che ben si palesarono nella costruzione degli edifici sacri» 18 (Fig. 2).



Fig. 2 - San Carlo e i principali edifici sacri costruiti negli anni del suo episcopato (Milano, Biblioteca Ambrosiana). Cortesia di Francesco Del Sole
Fig. 2 - San Carlo e i principali edifici sacri
costruiti negli anni del suo episcopato

(Milano, Biblioteca Ambrosiana)
Cortesia di Francesco Del Sole

Le Instructiones caroline possono essere lette come una gigantesca opera di smontaggio della fabbrica religiosa nelle sue parti, scendendo progressivamente di scala 19. Legandosi al recupero che il Concilio fa dell'esperienza proto-cristiana, gli esempi ai quali guarda il Borromeo sono innanzitutto le basiliche di Roma e Milano. Nel capitolo dedicato alla posizione dell'edificio, il cardinale invita a scegliere un sito isolato «nel modo stabilito dagli antichi istituti» 20, per evitare la contiguità con gli edifici civili. Poco oltre, nei paragrafi dedicati all'impianto planimetrico della chiesa, afferma che il vescovo dovrà affidarsi alla maestria dell'architetto, anche se «a onor del vero, la pianta da preferire risulta quella cruciforme, che ci viene tramandata sin dal tempo degli Apostoli, così come è possibile vedere nelle principali Basiliche romane» 21, mentre quella circolare era stata adoperata in antico «per i templi pagani; molto meno per il popolo cristiano» 22. Che il Borromeo veda nell'architettura paleocristiana la concretizzazione della nuova devozionalità controriformata lo confermano alcune annotazioni come quelle usate a proposito delle coperture, laddove afferma che «come l'impiego nelle Basiliche Romane ci insegna, così la suggestione mistica ci porta a costruire nelle chiese tetti a lacunari» 23. Va precisato che le parole del cardinale non intendono essere precetti da seguire rigidamente, ma riferimenti mediati, sperimentati con successo nella diocesi milanese e indicati come modello. Proprio a proposito del tetto della chiesa, nonostante l'invito a preferire la soluzione a lacunari, aggiunge che «tuttavia non verrà visto come inopportuno il costruire coperture voltate, prendendo spunto dalle consuetudini del luogo» 24.


Soglie reali e simboliche

Scelto il sito e la pianta della chiesa, il portico antistante l'edificio e i portali d'accesso sono le prime soglie che introducono il fedele nel grandioso palcoscenico liturgico. Dietro le frasi dedicate al portico nelle Instructiones (proporzionato all'ampiezza della chiesa, eretto su colonne di marmo o pilastri di pietra o laterizio) 25, si leggono fra le righe figure e tipi propri dell'architettura paleocristiana, chiamati in causa per dare al portale principale il necessario rilievo, in quanto tramite «che introduce all'aula in penombra» 26. I portali devono essere architravati «come si vedono nelle Basiliche più antiche […] dal momento che devono distinguersi da quelli civili» 27. Il Borromeo rimanda ancora allo «splendore delle sacre Basiliche» affermando che «le imposte delle porte devono mostrare piuttosto la solidità che l'ornamentazione». Aggiunge che «nella parte superiore si può inserire una cornice decorosamente lavorata […] così come è possibile apprezzare nelle antiche e più insigni Basiliche milanesi» 28. Il riferimento può essere anche ai portali delle basiliche romane, «realizzati non in bronzo, bensì in argento, o almeno laminati d'argento» 29. Quanto al numero degli accessi, deve essere multiplo e possibilmente dispari. La scelta di un numero corrispondente a quello delle navate si giustifica con l'originaria funzione che prevedeva la separazione dell'ingresso degli uomini da quello delle donne. Questa separazione dei ruoli, che riguarda più in generale quella fra il clero e i fedeli, si riverbera nella ripartizione degli spazi ed è una delle maggiori eredità di matrice paleocristiana presenti nell'edificio controriformato. Prima fra tutte, è bene ricordare la necessità di prevedere l'assito per dividere la chiesa, descritto minuziosamente in un intero capitolo 30. Collocato sull'asse principale dell'edificio, è da impostare a partire dalla porta principale sino all'ingresso della cappella maggiore «in modo che la chiesa sia divisa a metà […] secondo un'antica consuetudine, testimoniata dal beato Crisostomo, che vede gli uomini separati dalle donne» 31. Doveva essere alto circa cinque cubiti e avere sezioni abbassabili in corrispondenza del pulpito (o dell'ambone) e ove fosse necessario seguire una parte della cerimonia che si svolge nel set­tore opposto.

L'aula è delineata come un percorso che «scandisce l'itinerario dell'anima» 32 con l'obiettivo di dar vita a un uomo nuovo, inteso come tempio di Dio, «chiesa di pietre vive» 33. Questa visione, alla base delle Instructiones, va ricercata nella strutturazione complessiva dello spazio liturgico, nel rapporto dialettico tra navata e presbiterio, tra chiesa e piazza, tra esterno e interno. Lo spazio sacro deve essere una linea di tensione verso il sacrario. Gli altari, che fino ad allora erano stati posti «sotto pulpiti o cantorie, dove si suoni l'organo o si legga il Vangelo, […] tra pilastri e colonne» 34, devono essere eliminati del tutto, per realizzare «un percorso rettilineo che non sopporta interruzioni» 35. Sfogliando le pagine delle Instructiones, ci si accorge che gli elementi architettonici dell'intero edificio sono descritti secondo una precisa gerarchia, scandita dall'utilizzo di vere e proprie soglie - reali e simboliche - che guardano alla tradizione medievale. Il fedele è un semplice spettatore; deve partecipare alla celebrazione eucaristica dal basso e da lontano, limitato da barriere fisiche e studiati rialzi dei piani. Elementi di forte rilevanza liturgica come l'altare, il tabernacolo e il battistero diventano luoghi quasi inaccessibili, protetti da cancelli che permettono la sola visione da parte del fedele, sempre a debita distanza. Le cappelle, compresa quella maggiore, devono essere protette con inferriate o balaustre in marmo o in pietra 36. Lo stesso dicasi per il coro che deve essere «separato dalla parte della chiesa dove stanno i fedeli e chiuso da cancelli, come da antico costume e per ragioni di disciplina» 37. Qualora lo spazio non dovesse permetterlo, il vescovo dovrà fare in modo «di tenere la folla a una certa distanza dal sacerdote che celebra» 38.

Queste soglie fisiche rispondono non solo all'esigenza pratica di mettere ordine all'interno dell'assemblea liturgica, ma di sottolineare le differenze gerarchiche, riabilitando il ministero sacerdotale profondamente messo in discussione dalla dottrina protestante. In questa stessa ottica va interpretata l'attenzione riservata ai gradini e ai diversi piani nei quali si articola lo spazio sacro, riflesso della struttura piramidale in cui è organizzata l'intera societas christiana.

Fin dal capitolo dedicato all'ubicazione della chiesa, il Borromeo ricorda quanto sia importante che l'edificio sorga «in una posizione alquanto elevata […] così che vi si acceda per meno di tre gradini, cinque al massimo» 39. Il nono capitolo è interamente dedicato a quest'argomento. Egli chiede all'architetto di realizzare una gradinata esterna «ampia in proporzione alle dimensioni della chiesa» prevedendo, ogni tre o cinque gradini, un piano di calpestio più largo per una salita comoda. Anche nel capitolo relativo all'altare maggiore sono fornite indicazioni sul pavimento che «sarà più alto rispetto al suolo della chiesa […] di otto once almeno e al massimo di un cubito» 40. Emblematica, sotto questo aspetto, è la risistemazione operata da Pellegrino Tibaldi, l'architetto di fiducia del Borromeo, nel Duomo di Milano 41. In linea assiale, la basilica tibaldiana presenta la navata riservata ai fedeli; più in alto, il coro senatorio riservato alle autorità civili; infine, ancor più elevato, il presbiterio con l'altare 42 (Fig. 3).



Fig. 3 – Foto storica della zona presbiteriale del Duomo di Milano realizzata secondo le istruzioni di Carlo Borromeo. Cortesia di Francesco Del Sole
Fig. 3 – Foto storica della zona presbiteriale
del Duomo di Milano realizzata
secondo le istruzioni di Carlo Borromeo
Cortesia di Francesco Del Sole

La netta divisione del presbiterio, su un piano più elevato rispetto alla navata, è l'accorgimento che, più di ogni altro, è lo specchio dell'intera riforma carolina. La liturgia, da sempre condizionata dal rapporto fra navata e presbiterio, è stata profondamente innovata dal Borromeo nelle modalità di ripartizione degli spazi, che influenzano profondamente «la norma e la forma, in maniera che siano conformi ai criteri indicati dai Padri circa la costruzione […] dell'edificio» 43.

Fra norma ed erudizione

A partire dal 1577 le Instructiones si diffondono nel mondo cattolico e le ristampe si susseguono almeno fino alla fine del Seicento 44. L'attenzione riservata dal Borromeo all'architettura delle basiliche paleocristiane sarà un tema centrale anche nelle varianti periferiche del trattato carolino. L'esempio forse più eclatante sono i due volumi che, fra il 1686 e il 1688, sono dati alle stampe per volere del vescovo di Benevento Vincenzo Maria Orsini, futuro papa Benedetto XIII: la Antica Basilicografia di Pompeo Sarnelli e il Rettore ecclesiastico di Marcello Cavalieri.

La Antica Basilicografia tenta di ricostruire idealmente, tramite un uso ‘spericolato' delle fonti, gli spazi dell'edificio-chiesa primitivo rifacendosi alla basilica di età paleocristiana. Nella chiesa delle origini, di cui l'autore propone una ricostruzione grafica 45, Sarnelli individua l'unico modello proponibile per un edificio sacro, opponendo alla «sconcertante mutevolezza delle forme la sicura uniformità del tipo» 46 (Fig. 4).

Fig. 4 - Modello di Basilica paleocristiana (da P. Sarnelli, Antica Basilicografia, 1686).. Cortesia di Francesco Del Sole
Fig. 4 - Modello di Basilica paleocristiana
(da P. Sarnelli, Antica Basilicografia, 1686)
Cortesia di Francesco Del Sole

L'architettura, in questo caso, non prende avvio dal dialogo fra il vescovo e l'architetto, ma solo dall'auctoritas del passato ricostruito pezzo per pezzo con grande ostinazione. Se i primi tempi dell'episcopato orsiniano a Benevento permettono una certa riflessione erudita sull'architettura religiosa, nel 1688 si avverte l'urgenza di passare alla cruda operatività dopo il terremoto che colpisce la città riducendo in macerie molti edifici sacri. Con un nuovo spirito l'Orsini si rivolge al padre Marcello Cavalieri commissionandogli la stesura del Rettore ecclesiastico che, al contrario della Basilicografia, si contiene «nei limiti di una nuda e letterale istruzione» 47. Non è necessario, secondo il Cavalieri, compiere ragionamenti eruditi sulla primitiva chiesa cristiana perché era stato proprio Carlo Borromeo ad aver «accomodato» le antiche pratiche alle «costumanze moderne» e ai «dettami dell'architettura».

Questi due volumi, stampati a due anni di distanza, sono la prova di quanto stava accadendo nella produzione letteraria post-tridentina, composta da opere che oscillano fra una ricerca erudita e la praticità del prontuario parrocchiale utile ad accomodare le «chiese diroccate e rimettere in piè la disciplina» 48. Proprio a metà strada fra queste due necessità si colloca il ‘revival paleocristiano' proposto dal Borromeo, che non è soltanto un richiamo a un passato letto in chiave mitica, ma un vero e proprio modello sicuro e insindacabile 49. A un primo approccio, le pagine delle Instructiones possono sembrare un astratto intendimento, frutto di ricerche erudite condotte nell'ambito delle ‘memorie della Santa Chiesa Romana'; lo studio approfondito delle norme caroline (e delle loro varianti locali) fa invece comprendere quanto il Borromeo abbia compiuto un'opera di demitizzazione delle antiche auctoritates cristiane, eliminando i complessi intrecci della simbologia medievale e riconducendo la pratica architettonica all'interno di una tradizione attenta alle funzioni pratiche dell'edificio sacro. Le Instructiones costituiscono dunque una delle fonti normative attraverso cui studiare l'architettura religiosa del XVII e XVIII secolo, che si nutre di non pochi rimandi medievali in un'ottica di ordine e disciplina della liturgia e dello spazio.




NOTE

1 Sull'argomento si veda PRODI 1980, pp. 85-98.

2 Si veda SACHET 2018.

3 Sul tema dell'autenticità si veda VARAGNOLI 2005.

4 Sul tema si veda almeno ASOR ROSA 1974.

5 VON PASTOR 1943, vol. IX, p. 191.

6 Su questi argomenti si veda il quadro storico delineato nelle prime pagine di RUSSO 2008.

7 Riguardo all'applicazione dei decreti tridentini in discipline affini all'architettura, come la pittura, si segnala BARBIERI 2018 e la bibliografia ivi riportata.

8 Sulla Roma di Sisto V si vedano i preziosi studi di Marcello Fagiolo. In particolare: FAGIOLO 1976; FAGIOLO MADONNA 1985; FAGIOLO, MADONNA 1993.

9 Lo stesso pontefice promuove, in quegli stessi anni, la forma di culto rappresentata dalla visita ad septem basilicas per la quale fu prevista anche la concessione di importanti indulgenze.

10 Si veda, a tal proposito, l'opera di Onofrio Panvinio dal titolo De praecipuis urbis Romae Sanctoribusque basilicis, quas septem ecclesias vulgo vocant liber (1570) e soprattutto il De antiquitatibus Romanis, cum variis figuris di Alfonso Chacon.

11 VASARI 1568, p. 55.

12 Sulla mescolanza e l'idea del bricolage nei trattati d'architettura di fine Cinquecento si veda PAYNE 1998 Creativity; PAYNE 1998 Mescolare.

13 BARBARO 1556, p. 31.

14 ACKERMANN 1975, p. 465. Fra gli studi più importanti sul Borromeo e la sua idea di architettura sono da segnalare i preziosissimi scritti di Maria Luisa Gatti Perer. Fra tutti: GATTI PERER 1980; GATTI PERER 1986. Si vedano anche BENEDETTI 1984, pp. 105-131; SÉNÉCAL 2000. Una prima rivalutazione critica dell'opera come “trattato d'arte” è presente in BAROCCHI 1962. La studiosa ha avuto il merito di riaprire il dibattito attorno alle Istruzioni, considerate fino ad allora alla stregua di un semplice prontuario da parrocchia. Un approfondimento su queste questioni è in DEL SOLE 2022.

15 Nel 1984, lo storico parla delle Instructiones come di un'opera che propone “un cambiamento radicale nella concezione della pianta di cappelle e chiese di dimensioni grandi o modeste”; ACKERMANN 1986, vol. I, p. 573.

16 Il Borromeo, per far fronte a questa esigenza, arrivò a istituire una commissione di soprintendenza alle fabbriche delle chiese dal titolo “de fabrica et reparatione”. Si veda il riferimento in BENEDETTI 1984, nota 11, p. 127.

17 “Sarà perciò conveniente calcolare per ogni persona lo spazio di un quadrato che abbia un cubito e otto once per lato”; BORROMEO 1577, p. 13., p. 13.

18 Ibid., p. 7.

19 La meticolosità con cui si muove l'autore è dedita alla revisione della realtà fisica dell'edificio: la visibilità, le misure e le dimensioni delle parti, l'arredo e i paramenti. Lo scostamento dell'opera dai tradizionali trattati di architettura cinquecenteschi (sia nella struttura testuale che nel modo d'intendere la disciplina) ha fatto sì che il testo venisse considerato un semplice manuale della Controriforma, con precetti pratici da seguire rigidamente. Emblematica, a tal proposito, è l'esclusione del testo carolino dalla celebre Letteratura artistica (1924) di Julius von Schlosser. Sarà Antony Blunt, nel 1940, a definire Carlo Borromeo “l'unico autore che applichi al problema dell'architettura il decreto tridentino”; BLUNT 1940. La citazione è a p. 137.

20 BORROMEO 1577, cap. I, p. 11.

21 Ibid., cap. II, p. 13.

22 Ibidem.

23 Ibid., cap. V, p. 19.

24 Ibidem.

25 Ibid., cap. IV. Molte sono le realizzazioni di porticati che si segnalano in questo periodo controriformato. Fra tutte, sono da ricordare il celebre intervento romano di Martino Longhi (1575) davanti alla facciata di S. Maria Maggiore in sostituzione del vecchio nartece e i lavori di Pellegrino Tibaldi, architetto di fiducia del Borromeo. Si veda, fra tutte, la soluzione adottata nel progetto per il santuario di Rho descritta sapientemente da Liliana Grassi: GRASSI 1966, pp. 421-423.

26 GATTI PERER 1986, p. 620. Lo stesso portico rimanda alla funzione medievale di luogo di purificazione spirituale per penitenti e catecumeni.

27 BORROMEO 1577, cap. VII, p. 23.

28 Ibidem.

29 Ibidem.

30 Ibid., cap. XXIV.

31 Ibid., cap. XXIV, p. 119.

32 GATTI PERER 1986, p. 617.

33 Cfr. DOMINICI 1860, pp. 79-133.

34 BORROMEO 1577, cap. XV, p. 49.

35 GATTI PERER 1986, p. 620.

36 Il Borromeo fornisce informazioni dettagliate anche circa i materiali da utilizzare, le dimensioni e il posizionamento.

37 BORROMEO 1577, cap. XII, p. 35.

38 Ibid., cap. XV, p. 53.

39 Ibid., cap. I, p. 9.

40 Ibid., cap. X, p. 31.

41 Si veda sull'argomento BENATI, REPISHTI 2010.

42 Fu proprio a causa della rigida “separazione dei ruoli” imposta dalla nuova sistemazione che nel 1584, dopo la morte di Carlo Borromeo, scoppiò tra le autorità laiche spagnole e il nuovo arcivescovo una vera e propria “battaglia delle sedie”; il fulcro del dibattito si concentrava sull'opportunità che il governatore potesse sedersi all'interno della recinzione del coro superiore durante la messa e a quale altezza dovesse essere posta la sua sedia rispetto a quella dell'arcivescovo. Si veda MAINARDI 1931.

43 BORROMEO 1577, p. 5.

44 Si veda la ristampa di Parigi del 1643, quella di Lione nel 1682 nonché il rilancio del 1747 per opera del cardinale Pozzobonelli che ne impose la lettura ai rettori delle chiese della diocesi.

45 “Ho ideato l'Antica chiesa; non l'ho situata in forma di architettura, acciocché una cosa non occupasse l'altra; male sue membra le ho volute distese, perché si veda tutto distintamente”; SARNELLI 1686, Ai lettori, Introduzione.

46 BASILE BONSANTE 1982, p. 214.

47 CAVALIERI 1688, p. 26.

48 Cfr. SARNELLI 1691, pp. 168-171.

49 Lo stesso Borromeo, in occasione del giubileo del 1575, “andava [in Roma] a molte chiese antiche dentro e fuori della città per riconoscere gli amboni, i battisteri, i campanili ed altre parti della chiesa per finire il libro che fece poi stampare dall'Istruttore delle Fabbriche ecclesiastiche”; Testimonianza di Ottaviano Abbiate Forerio (1603) in occasione del processo di santificazione del Borromeo. Manoscritto della Biblioteca Ambrosiana S.Q., II, 28 (fol. 423 v.).

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Maria Luisa GATTI PERER, Progetto e destino dell'edificio sacro dopo S. Carlo, in San Carlo e il suo tempo (Atti del convegno internazionale nel IV centenario dalla morte - Milano, 21-26 maggio 1984), Roma, Ediz.di Storia e Letteratura, 1986, vol. I, pp. 611-631.

GRASSI 1966

Liliana GRASSI, Provincia del Barocco e del Rococò. Proposta di un lessico biobibliografico di architettura in Lombardia, Milano, Ceschina, 1966.

MAINARDI 1931

Luigi MAINARDI, La contesa per la sedia dei governatori spagnoli nel presbiterio della nostra metropolitana, in «Ambrosius», 7, 12, 1931, pp. 348-354.

PAYNE 1998 Creativity

Alina PAYNE, Creativity and bricolage in architectural literature of the Renaissance, in «RES. Journal of Aesthetics and Anthropology», 1998, pp. 20-38.

PAYNE 1998 Mescolare

Alina PAYNE, Mescolare, composti and Monsters in Italian Architectural Theory of the Renaissance, in Disarmonia, brutezza e bizzarria nel Rinascimento, Firenze, Franco Cesati, 1998, pp. 271-89.

PRODI 1980

Paolo PRODI, Il binomio jediniano ‘riforma cattolica e controriforma' e la storiografia italiana, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento», VI, 1980, pp. 85-98.

RUSSO 2008

Valentina RUSSO, Architettura nelle preesistenze tra Controriforma e barocco. ‘Istruzioni', progetti e cantieri nei contesti di Napoli e Roma, in Verso una storia del restauro. Dall'età classica al primo Ottocento, Firenze, Alinea, 2008, pp. 139-206.

SACHET 2018

Paolo SACHET, La chiesa davanti ai Padri: Erasmo, gli umanisti riformati e la patristica cattolica romana fra Rinascimento e Controriforma, in «Rivista di Storia e Letteratura religiosa», 2018, n. 2, anno 54, pp. 389-420.

SARNELLI 1686

Pompeo SARNELLI, Antica Basilicografia, Napoli, Bulifon, 1686.

SARNELLI 1691

Pompeo SARNELLI, Memorie cronologiche de' vescovi ed arcivescovi della S. Chiesa di Benevento, Napoli, Roselli editore, 1691.

SÉNÉCAL 2000

Robert SÉNÉCAL, Carlo Borromeo's Instructiones Fabricae et Supellectilis Ecclesiasticae and its origins in the Rome of his time, in «Papers of the British School at Rome», vol. 68, 2000, pp. 241–267.

VARAGNOLI 2005

Claudio VARAGNOLI, Metamorfosi degli déi, metamorfosi del restauro, in Memoria e restauro dell'architettura. Saggi in onore di Salvatore Boscarino, , Milano, FrancoAngeli, 2005, pp. 291-300

VASARI 1568

Giorgio VASARI, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Giunti, 1568.

VON PASTOR 1943

Ludwig VON PASTOR, Storia dei papi, 1943


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