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Lucia Signore
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    Lo spirito rivoluzionario di Gustave Caillebotte

      Sfogliando le pagine dei manuali di storia dell’arte, il nome di Gustave Caillebotte, qualora compaia, è sempre ricordato, in maniera alquanto riduttiva, con l’etichetta di “impressionista minore”. Il suo nome è piuttosto associato al lascito che fece al più noto museo parigino, il Louvre, ma neanche questo nobile gesto servì, perlomeno inizialmente, a far crescere la sua fama. I suoi interessi spaziavano in diversi settori, dal canottaggio alla filatelia, da ogni genere di collezionismo alla pittura, per cui accanto agli oggetti e alle tele acquistate vi erano anche alcuni dipinti da lui realizzati. Queste opere non sono classificabili in un movimento artistico ben preciso, poiché influssi diversi, di natura accademica e non, con riferimento all’Impressionismo e al Realismo, si mescolano in esse. La sua produzione pittorica, come del resto tutta la pittura a lui coeva, esige un confronto con la produzione fotografica da cui inevitabilmente dipende, soprattutto osservando alcune fotografie scattate dal fratello minore Martial con cui condivise l’amore per la cultura. Ma, se da un lato Gustave Caillebotte mise la fotografia a servizio della pittura per una maggiore resa realistica, come del resto fecero anche i suoi colleghi, dall’altro diede egli stesso impulso alla fotografia con particolari inquadrature che si riscontrano nella produzione fotografica del secondo decennio del XX secolo, a partire dalla Nuova Visione di Lászlò Moholy-Nagy fino agli anni Cinquanta, passando inevitabilmente per il Surrealismo. Il contributo offerto da questo artista dunque è notevole, non solo perché ancora oggi possiamo osservare, raccolti in una stessa struttura, dipinti da lui collezionati, ma perché ha favorito inconsapevolmente lo sviluppo della fotografia intesa come prodotto artistico, dando il suo contributo nel risolvere l’annosa questione inerente questa nuova pratica artistica.

    Jüdisches Museum Berlin: una “metafora architettonica”

      Il Museo Ebraico di Berlino è stato costruito da Daniel Libeskind (architetto ebreo, nato da genitori scampati alla morte nei gulag) a partire dal 1989, anno in cui cadde il Muro e si incominciò ad accettare la triste storia del passato tedesco e a finanziare strutture per commemorare il popolo vittima dell’Olocausto. L’edificio è stato eretto significativamente accanto al Kollegienhaus, antico tribunale progettato da Philipp Gerlach nel Settecento e divenuto successivamente sede del Museo di Storia della città, ma non è stato reso autonomo. Il visitatore deve entrare nell’edificio prospiciente e scendere nel sottosuolo per percorrere i tre Assi: due di essi, quello dell’Esilio e quello dell’Olocausto, terminano rispettivamente con un giardino e con una torre, il terzo, quello della Continuità, riporta in superficie dopo l’infernale percorso catartico per mostrare che alcuni ebrei si sono salvati dalla follia umana. Un erudito simbolismo connota gli interni e la superficie esterna, nonché la pianta zigzagante che altro non è che la scomposizione della stella di David, stella che compare, sempre destrutturata, anche sulla coltre zincata dell’edificio. Particolarmente interessante è anche l’impianto architettonico che si confà alla rivoluzionaria concezione dello spazio museale, introdotta ormai già da diversi decenni. Tale struttura non è una semplice “scatola”, ma è essa stessa una “scultura architettonica” che comunica messaggi con le sue forme non più appartenenti alla geometria euclidea, ma a quella frattale che ben si confà ad un’architettura liquida che è il frutto di una nuova concezione spazio-temporale affermatasi con l’avvento del Cyberspace e del World Wide Web, il mondo virtuale labirintico e caotico. Il disorientamento è, del resto, una caratteristica di questa architettura traumatica, in cui sia la struttura con la sua fluente forma zigzagante e le sue ostruzioni interne (i voids), sia l’allestimento, consentono di raccontare la storia “tortuosa” e drammatica degli ebrei.



	
 
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    LUCIA SIGNORE ha conseguito la laurea triennale, con lode, in Storia dell’Arte nel 2014 presso l’Università “La Sapienza” di Roma con Stefano Colonna, presentando una tesi sul Jüdisches Museum realizzato da Daniel Libeskind a Berlino.

    Il 16 giugno 2014 ha pubblicato sul Bollettino Telematico dell’Arte l’articolo Jüdisches Museum Berlin: una “metafora architettonica”, poi tradotto in lingua inglese con il titolo Jewish Museum Berlin: an “architectural metaphor” e pubblicato sul BTA nel marzo del 2015.

    Nel medesimo arco temporale ha collaborato alla revisione del testo di Ettore Janulardo, “Kounellis – L’immagine l’ideologia”, GBE, Roma, 2015 all’interno del quale figura anche una sua trascrizione inerente una conversazione dell’autore con Bruno Corà e sempre sul BTA ha pubblicato l’articolo Lo spirito rivoluzionario di Gustave Caillebotte.

    A settembre 2015 ha preso parte al Corso propedeutico “Cercando Canova”, in quanto assegnataria di
    una borsa di studio elargita dall’Istituto Internazionale degli studi su Canova e il Neoclassicismo presso Bassano del Grappa.
    Ha preso parte ad una serie di tirocini formativi:

    tra dicembre 2014 e marzo 2015, in collaborazione con la Sapienza Digital Library, si è occupata della digitalizzazione di parte dei documenti dell’archivio di Franca Rame e Dario Fo; tra ottobre 2015 e novembre 2015 ha preso parte all’allestimento di alcune opere presentate alla mostra Transformers (11 novembre 2015- 28 marzo 2016) presso il MAXXI – Museo nazionale delle Arti del XXI secolo e conseguentemente ha svolto la mediazione culturale in sala; tra novembre 2015 e dicembre 2015 si è occupata anche dell’allestimento di una mostra su Irene Brin e la Galleria L’Obelisco presso il MLAC (Museo Laboratorio di Arte Contemporanea), gestito dall’Università La Sapienza di Roma, in collaborazione con la GNAM (Galleria Nazionale d’Arte Moderna).

    Ha aderito al progetto promosso dalla Professoressa Antonella Sbrilli per la partecipazione ad attività di mediazione, guida, laboratori, eventi e reperimento di materiali in occasione della mostra che si terrà al MACRO, 24 ore nell’arte contemporanea.

    Al momento fa parte, in qualità di tirocinante, anche di un progetto di ricerca promosso dalla Sapienza Università di Roma - Centro di Ricerca e Servizio – Digilab e da una serie di musei partner per l’applicazione della VTS – Visual Thinking Strategy, metodo americano che si serve della Storia dell’arte come strumento per il miglioramento di competenze in ambito scolastico e la creazione di attività educative museali.

    Nell’ambito del progetto “Cassino si mostra”, mediante il quale viene promossa l’arte contemporanea, si occupa della stesura di saggi, recensioni o testi critici da leggere o esporre in occasione delle inaugurazioni. Fino ad ora ha analizzato il lavoro di Alfredo Rapetti Mogol, Viviana Faiola, Athos Faccincani e Giorgio Celiberti.

    L’ultima pubblicazione è un articolo inerente l’attività di un esordiente artista, dal titolo L’horror vacui cronologico di Federico Galeotti sul blog diconodioggi (www.diconodioggi.com) curato dalla Prof.ssa Sbrilli.

    Attualmente è iscritta al corso di laurea magistrale in Storia dell’Arte presso l’Università “La Sapienza” di Roma.


 

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