Gustave
Caillebotte, nato a Parigi nel 1848, fu un artista particolarmente
attento alle novità del suo tempo e pertanto promotore di una
modernità non immediatamente apprezzata dai suoi contemporanei e a
fatica esaltata anche negli anni successivi, se non da artisti
animati da grande sensibilità, tanto da essere definito ancora oggi
in alcuni manuali un “impressionista minore”, sottovalutato per
la sua rivoluzione pittorica, essendo considerato più un ricco
mecenate che un vero e proprio pittore. Il suo nome è infatti
associato al celebre lascito che fece al più noto museo parigino, il
Louvre, a cui donò la sua raccolta di dipinti realizzati da artisti
a lui contemporanei, tra i quali si ricordano Monet, Renoir, Pisarro,
Cezanne.
Gustave Caillebotte non fu immediatamente apprezzato neanche
per questo suo nobile gesto: fu necessario attendere il 1897 e
l’intercessione di Renoir affinché trentotto dipinti della sua
collezione venissero acquistati dal museo sopracitato, mentre altri
trenta capolavori vennero venduti a musei stranieri e collezionisti.
Tali opere però furono esposte solo nel 1937 al Museo del Jeu de
Paume, «appendice impressionista del Louvre», prima di essere
trasferite definitivamente al Museo d’Orsay.
Nella
sua breve, seppur intensa esistenza, Gustave Caillebotte non amò
soltanto collezionare dipinti, francobolli
e altri manufatti artistici, ma osò lui stesso dipingere,
influenzato, o meglio, letteralmente colpito dalla pittura di De
Nittis che scoprì durante un soggiorno in Italia. La scoperta di
quelle tele lo esortò, una volta tornato a Parigi, ad abbandonare la
carriera giuridica e a seguire un corso di pittura, divenendo così
allievo di Leon Bonnat, per poi essere ammesso all’Ecole des
Beaux Arts. Dal maestro apprese la tecnica del disegno, lo studio
accurato del supporto, un accademismo dunque che era ormai rigettato
dagli Impressionisti, o perlomeno da alcuni di essi. Questo studio
preliminare che si esplica talvolta nella realizzazione di numerosi
disegni preparatori, ha chiaramente una matrice accademica che si
intreccia anche con il costante riferimento alla pittura di Degas
che, come è noto, non ha dipinto con quella foga che invece spingeva
Monet a far scivolare velocemente il pennello sulla tela per
catturare l’impressione in un preciso momento e in un determinato
luogo.
Tuttavia
la pittura di Caillebotte è alquanto eclettica, non classificabile
in un movimento artistico specifico: non è né accademica né
impressionista, ma è l’una e l’altra e forse anche qualcosa in
più nel momento in cui si prende in considerazione che egli non
rimase indifferente dinanzi alla fotografia e al contempo dinanzi al
Realismo di Courbet. La fotografia giocò un ruolo determinante e non
è da sottovalutare il fatto che nella sua collezione vi fossero
anche molti scatti fotografici, purtroppo oggi andati perduti. Si
conservano però le fotografie in parte acquistate e in parte
realizzate da Martial Caillebotte, fratello minore di Gustave, con
cui quest’ultimo condivideva la grande passione per le arti. È
appurato che tra i due vi fosse uno scambio reciproco: Gustave si è
spesso servito della fotografia del fratello per realizzare alcuni
suoi dipinti (si pensi alle lastre fotografiche utilizzate per la
resa dei canottieri) e Martial, soprattutto
dopo la precoce scomparsa del fratello avvenuta nel 1894 all’età
di quarantacinque anni, a causa di una congestione polmonare, sembra che si sia
ispirato alle inquadrature e ai punti di vista, talvolta alquanto
insoliti, scelti da Caillebotte per le sue tele.
Il
taglio fotografico, spesso menzionato nelle dissertazioni sui quadri
di Degas, o anche degli altri Impressionisti, è presente anche
nell’opera di Gustave Caillebotte, ma non solo perché, come già
detto prima, si ispira all’amico pittore, ma perché sente quanto
sia importante, anzi obbligatorio, il confronto con questo nuovo modo
di proporre la realtà attraverso non più una rappresentazione, ma
mediante la sua diretta presentazione. Che sia un gesto artistico o
meno, è ancora da decidere e trascorreranno molti anni prima che la
battaglia tra pittura e fotografia possa dirsi conclusa. Nonostante
ciò, Caillebotte, con il suo spirito pionieristico, avverte la
grande potenzialità e la concorrenzialità di questo nuovo strumento
meccanico che può essere posto al servizio della pittura, come del
resto è accaduto dal momento che molti artisti hanno utilizzato le
fotografie, talvolta anche tacitamente, in un «ambiguo silenzio»,
per poter creare dipinti caratterizzati da un elevatissimo grado di
realismo.
Ma
ciò che distingue Caillebotte da Degas, che tra l’altro scattava
egli stesso fotografie, e da i numerosi altri artisti che ne fecero
uso, è dato dal fatto che egli oltre ad ispirarsi ai suoi
contemporanei, guardando le stereoscopiche o le cronofotografie,
anticipa egli stesso la fotografia degli anni Venti del Novecento: il
rapporto con la Nuova Visione è ormai manifesto. La veduta
dall’alto, dal balcone della sua abitazione da cui si affacciano
amici e parenti e da cui si può vedere il boulevard
sottostante, gli scorci e addirittura il filtro di una balaustra Art
Nouvau interposta tra il suo, anzi il nostro sguardo e lo spazio
circostante, non possono non rievocare alcune opere fotografiche del
massimo esponente e teorico della Nuova Visione, Lazlò Mohly Nagy (figg. 1, 2).
Quest’ultimo recupera quelle inquadrature “sbagliate” (veduta
dall’alto, dal basso, di scorcio) già praticate dagli amatori, per
favorire, dopo «cento anni di fotografia e due decenni di film»,
«una visione ottica senza pregiudizi»,
ossia un uso corretto della fotografia che ai suoi tempi, mediante un
rovesciamento rispetto alla fase vissuta da Caillebotte, era
pittorialista: ora era la pittura ancella della fotografia e non
viceversa.
Allora
i possibili collegamenti con i fotografi degli anni Venti si
moltiplicano, dato il grande successo che Nagy ha riscosso: si potrà
conseguentemente citare Rodchenko, Kertész (figg. 3, 4), fino ad arrivare anche
ai Surrealisti, tra i quali si ricorda il celebre Man Ray.
Parallelismi molto pertinenti tra la pittura ottocentesca di Gustave
Caillebotte e la fotografia non solo a lui coeva, ma soprattutto del
Novecento, e principalmente quella dei primi due decenni del XX
secolo, sono stati presentati tanto in mostra, quanto nel relativo
catalogo, nel 2013, alla Schirn Kunsthalle, a Francoforte, ove
l’evento espositivo a cura di Karin Sagner e Max Hollein in
collaborazione con Ulrich Pohlmann è stato particolarmente
importante ai fini della riscoperta di questo artista ingiustamente
poco studiato e “sotto-classificato” nei manuali. Gli stessi
organizzatori della mostra hanno evidenziato questo aspetto:
pochissimi sono stati gli eventi espositivi a lui dedicati,
pochissimi sono i testi monografici (e per di più quasi
esclusivamente in lingua francese) a lui intitolati. Il fatto di
averlo portato fuori dalla sua patria ha sicuramente permesso di
rivalutare Caillebotte, perlomeno in terra tedesca, e soprattutto di
farlo conoscere ai più, riunendo, per quanto possibile, le sue tele
disperse tra musei e collezioni private per metterle a diretto
confronto con i lavori fotografici delle varie epoche, per recuperare
la sua fama che si è dispersa nel tempo come gli oggetti della sua
collezione: «many of the vestige of Gustave Caillebotte’s passions have now
disappeared. The house in Petit Gennevilliers was sold after Martial
died in 1910, his boat no longer exist, his stamp collection was
sold».
Gustave
Caillebotte con il suo spirito versatile e rivoluzionario ha
esercitato un influsso notevole anche su molte personalità
artistiche del suo tempo: Munch, ad esempio, si ispirò ai dipinti
ambientati sul balcone per l’opera Rue Lafayette (figg. 5, 6) a cui si è
a sua volta rifatto Constant Puyo nel 1900 con Montmartre; in
una lettera inviata al fratello Theo, Van Gogh espresse il desiderio
di poter guardare una sua opera; i pittori del Nord Europa, come
Krohg, forse facendo una crasi tra le figure sempre voltate di
Friedrich, alcune delle quali raffigurate dinanzi ad una finestra, e
quelle di tergo su un balcone del pittore parigino, hanno replicato
tali soggetti. La sua produzione pittorica, dunque, esercitava un
fascino profondo credo proprio per il rapporto dialettico tra
accademismo e Impressionismo, tra meditazione e sensazione, tra
classica pittura e rivoluzionaria fotografia, tra Realismo e
fotografia. Tuttavia ai più Gustave Caillebotte non appariva che un
eccentrico milionario, un mecenate che cercava di attirare su di sé
la propria attenzione attraverso queste bizzarrie e queste novità.
La sua posizione economica e sociale non gli impediva certo di osare,
era «un milionario che dipingeva a tempo perso».
Lui
non doveva essere necessariamente apprezzato dal pubblico; poteva
vivere anche senza il suo denaro e il suo compiacimento. Non era
disperato come Monet che, pur portando avanti la sua battaglia
impressionista, doveva cercar di compiacere un possibile acquirente
per poter vendere le sue tele, per ricavarne denaro, per poter
sopravvivere. Del resto sono noti episodi in cui Caillebotte aiutò
finanziariamente l’amico Monet: pagò l’affitto del suo studio e
acquistò molte sue opere, di certo non spinto da un senso di pietà,
ma interessato a quella nuova concezione pittorica che anch’egli
sperimentò accantonando, seppur provvisoriamente, il disegno
preparatorio per poter disegnare colorando. L’unione dello stile
accademico appreso nel periodo di formazione e l’espressione
individuale, la tradizione e la contemporaneità, sono i poli in cui
si colloca la sua produzione pittorica.
Ѐ
soprattutto la fase urbana quella in cui il rapporto con
l’Impressionismo diventa particolarmente intenso: «The
cityscapes of Caillebotte and other Impressionists were thus a
product of the new Paris and grew from the need to develop a form of
perception appropriate to this new city transformed by Baron
Haussmann. Of all the Impressionist painters, Gustave Caillebotte
came nearest to the Haussmannesque aesthetic. He had lived from 1867
in one of the model new districts, which he captured between 1875 and
1882 in pioneering cityscapes, whether from the perspective of a
pedestrian or a slightly raised standpoint - from a window or a
carriage».
Il
balcone, al pari della finestra, è uno dei punti privilegiati per
poter ritrarre dall’alto la città imponente, tanto che spesso è
rappresentato anche il davanzale o la balaustra (fig. 7), e la predilezione
per questa inquadratura è in parte ereditata da Monet, il cui
Boulevard des Capucines viene messo a confronto da Aaron
Scharf e Alfredo De Paz con le numerose vedute dall’alto realizzate
da Caillebotte.
Con questa impostazione, il pittore parigino se da un lato tiene
conto della fotografia stereoscopica di Jouvin, dall’altro
anticipa, come detto poc’anzi, l’opera di Moholy Nagy, il quale
sosteneva che «il fascino dell’immagine non risiede nell’oggetto,
ma nella vista dall’alto e nei rapporti ben ponderati».
Attraverso queste tele Caillebotte ha celebrato la novità, lo
sviluppo delle arti e della tecnologia, rendendo protagonisti dei
suoi dipinti boulevard, lampioni, ponti, panchine e
quant’altro ornava la città, sull’esempio di ciò che realizzava
Charles Marville. Quest’ultimo fu incaricato di fotografare Parigi
prima e dopo la ristrutturazione ad opera del Barone Haussmann per
mantenere memoria di quanto era stato edificato nel passato e per
celebrare la modernità attraverso la trasformazione: nelle sue
fotografie non vi sono presenze umane, ma singoli lampioni presentati
nella loro diversità formale, chioschi, i primi orinatoi pubblici,
panchine. In un certo qual modo Eugene Atget documenterà anche lui
la sua Parigi, ma con un atteggiamento differente da quello di
Marville, nonostante le affinità che ci sono per l’assenza, ad
esempio, nella maggior parte delle sue fotografie, di figure umane.
Atget non riceve alcun incarico dal governo, ma è spinto dalla
necessità di conservare nella sua memoria la sua città, pur dando,
inconsapevolmente, un contributo fondamentale alla collettività,
favorendo lo sviluppo del genere documentario.
Il
ponte è al centro dell’interesse del governo parigino che decreta
la costruzione di diverse strutture di collegamento delle sponde
della Senna: Auguste Hippolyte Collard viene nominato fotografo
ufficiale del Dipartimento Municipale Strade e Ponti tra il 1857 e il
1864.
Gustave Caillebotte nel 1876 dipinge il Pont de l’Europe (fig. 8),
celebre opera in cui vi è la rappresentazione della nuova Parigi: il
ponte, il boulevard, recenti costruzioni sullo sfondo che
testimoniano l’intervento di Napoleone III e Haussmann, il fumo
bianco che è il simbolo di una nuova attività economica.
In questo contesto si situano alcuni personaggi e un cane che è una figura di
cruciale importanza e casualità che risponde a un’accurata
costruzione del dipinto basato su un sapiente gioco di simmetrie ed
equilibri. Analisi a raggi infrarossi, ultravioletti e raggi X,
effettuate a Colonia nel 2011, hanno mostrato i ripensamenti di
Caillebotte che inizialmente aveva affiancato al suo autoritratto
emblematico
la figura della donna che oggi invece appare arretrata rispetto
all’uomo e che è stata, ed è ancora oggi, oggetto di svariate
interpretazioni: i più sostengono che sia una prostituta, la
minoranza sostiene che sia una semplice donna dai cui occhi traspare
sorpresa e paura piuttosto che accondiscendenza. Rimane tuttavia
ambigua la relazione tra i due personaggi dato che lo sguardo
dell’uomo è indirizzato oltre il ponte, come quello del flâneur
alla nostra destra che guarda nella stessa direzione, e la donna
non sappiamo se abbia o meno udito i suoi commenti; sicuramente,
però, nella prima fase di elaborazione i due personaggi erano messi
in relazione.
Ciò che risulta interessante per poter fare altri
collegamenti con gli sviluppi della fotografia, è il movimento, la
posizione di instabilità dell’uomo, che diviene simbolo del fluire
della vita parigina e che è presente in molte altre tele, tra cui si
ricorda Paris Street. Rainy Day (fig. 9),
importante anche per l’analisi del nuovo manto stradale che diviene
oggetto di interesse anche per i fotografi. La fotografia che
immortala, che pietrifica come «lo sguardo della Medusa»,
così come sostenevano i Futuristi, perlomeno nella prima fase, per
altri è, al contrario, il mezzo per poter studiare il movimento: in
quegli anni Muybridge analizzava il movimento degli animali
attraverso lo zoopraxiscopio, Marey introduceva la cronofotografia e
il «fucile fotografico» per studi di fisiologia, seguito da Londe
che sfruttava il cronofotografo per analisi patologiche. Essi, a
prescindere dall’uso che ne facevano, mediante una serie di scatti
consecutivi, analizzavano le singole fasi del movimento da vari punti
di vista, rivelando «fasi di locomozione che sono al di là della
soglia visiva».
Questo
riferimento alla cronofotografia è evidente soprattutto negli ultimi
dipinti realizzati da Caillebotte, quelli dei canottieri e dei
nuotatori, con cui si può creare un parallelismo anche per il tema
affine, oltre che, naturalmente, per l’attenzione rivolta al
movimento. Anche le scene di toilette presentano un
collegamento con quelle cronofotografate da Muybridge, nonché con
quelle dipinte da Degas, ma, come afferma Aaron Scharf, Caillebotte
«con la sua esuberanza talvolta oltrepassava persino le innovazioni
compositive di Degas, da cui traeva, indubbiamente, lo stimolo
iniziale».
Per quanto concerne questa tipologia di opere, si può evidenziare
una sostanziale differenza nel prediligere il sesso maschile anziché
quello femminile, scelta che ha portato alcuni studiosi a sostenere
che Caillebotte fosse omosessuale, ma una lunga relazione, durata ben
undici anni, con Charlotte Berthier, che non sposò mai, ma a cui
lasciò parte del suo patrimonio, sembra smentire il tutto.
Caillebotte
voleva presentare l’uomo moderno, messo letteralmente a nudo nella
sua quotidianità, esaltando la sua eroicità, una moderna eroicità
che non si esplicava più nella realizzazione di grandi imprese. Ѐ,
pertanto, alquanto interessante affiancare a questi dipinti
ambientati in interni di appartamenti borghesi, una tela molto
singolare per il suo schema compositivo, per la tecnica pittorica,
nonché, soprattutto, per il soggetto raffigurato: I rasieratori
di parquet del 1875 (fig. 10). L’opera presentata insieme ad altri sette
dipinti per il suo debutto nel 1876, in occasione della seconda
mostra impressionista, fu inizialmente molto criticata soprattutto
per il soggetto rappresentato, ossia degli operai - che qualche anno
dopo verranno fotografati per strada e in posizioni alquanto analoghe
da Atget (fig. 11) - i quali non erano presenti nella produzione pittorica
coeva ove, in contrasto con i ricchi borghesi, venivano raffigurati i
contadini con scarpe rotte, con i vestiti laceri e con le membra
madide di sudore.
Ma
in quest’opera, forse anche per la ragguardevole posizione
economica dell’artista, non ci sono rivendicazioni sociali, per
quanto non del tutto assenti nella sua produzione pittorica (si pensi
alle nature morte esposte nelle vetrine, pronte per essere
“acquistate” e mangiate, rappresentanti il cibo proibito per la
classe operaia),
ma c’è, al contrario, l’esaltazione del lavoro. Gli operai con
il torso nudo, in posizioni quasi ginniche, sono presentati in
maniera statuaria, quasi fossero antichi atleti greci dal corpo
perfettamente scolpito, simbolo di uno sforzo fisico che nobilita, al
contrario del lavoro contadino associato, nelle tele coeve, a una
condizione di estrema povertà. È un’opera ricca di significati
poiché è ambientata nel proprio studio – riconosciamo la
balaustra Art Nouveau spesso presente nei numerosissimi
ritratti di amici e parenti – e documenta una ristrutturazione del
suo appartamento realmente avvenuta, ma che simboleggia anche un
cambiamento di natura stilistica: «per Caillebotte la pittura nuova
fu una fede contro la mediocrità che lo circondava».
Agli
aspetti tecnologici della città si unisce il culto per lo sport
praticato nelle campagne, pertanto, accanto alle vedute urbane e agli
interni dei palazzi haussmanniani, vi sono le numerose tele
ambientate in campagna, molte delle quali legate al canottaggio (figg. 12, 13). Il
movimento degli arti umani, oggetto di studio anche in ambito
fotografico, via via viene sostituito da quello della natura che
diventa assoluta protagonista delle ultime tele da lui realizzate
prima del trasferimento a Petit-Gennevilliers dove riporrà
definitivamente i pennelli per dedicarsi esclusivamente al
giardinaggio. Laundry Drying. Petit Gennevilliers (1888) è
esemplare per mostrare l’ennesimo, ma questa volta ultimo mutamento
avvenuto nulla sua produzione pittorica all’insegna
dell’eclettismo. Caillebotte, che aveva raggiunto con il suo estro
un realismo fotografico a dir poco impressionante, termina la sua
carriera pittorica con una sorta di astrazione che ispirerà Man Ray
e i suoi colleghi surrealisti: «Here we see the approach of the
future Surrealist movement: isolated and freed from their context,
things metamorphose».
La forza del vento che gonfia la biancheria stesa nelle ultime tele
di Caillebotte, ritorna nelle fotografie di Man Ray (Moving
Sculpture or France, 1920) o di Herbert List (Laundry in the
Wind, Finkenwerder, 1934), nelle quali quei panni stesi si
caricano di significati reconditi del tutto estranei all’opera di
questo pittore francese che costituisce tuttavia il loro punto di
riferimento (figg. 14, 15).
È
sorprendente notare che il “triste destino” di Gustave
Caillebotte sia alquanto affine a quello del fratello Martial, la cui
fama di musicista e compositore è letteralmente svanita, in parte
sostituita da quella di fotografo. Anche l’opera musicale di
Martial è oggetto di studio e di rivalutazione, come mostra
l’estratto del seminario tenutosi nel 1999 alla Sorbona,
in cui si sottolinea l’affinità tra i due fratelli data non solo
dal grande gusto per l’arte (quella antica, ma anche e soprattutto
quella moderna), o dall’eclettismo, ma anche dal comune abbandono
della propria attività: Gustave, dopo il matrimonio del fratello, la
conseguente vendita del palazzo collocato nel Boulevard Haussmann in
cui aveva vissuto insieme a lui per trentaquattro anni e il successivo
trasferimento nella casa di Petit Gennevilliers, abbandonò
l’attività pittorica per dedicarsi al giardinaggio e Martial,
parallelamente, smise di comporre musica. Entrambi hanno avuto una
preparazione accademica, ma nonostante la loro formazione, i due
hanno sempre agito in base alla propria volontà creativa: «questa
libertà fondamentale era davvero la forza trainante», era il grande
pregio di due borghesi che guardavano il mondo con obiettività,
come l’obiettivo della macchina fotografica cattura senza artifici
la realtà schietta e talvolta anche “inconscia”, ma pur sempre
la realtà del proprio tempo.
NOTE
BIBLIOGRAFIA
CRICCO,
DI TEODORO 2005
Giorgio
CRICCO, Francesco Paolo DI TEODORO, Itinerario nell’arte.
Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, vol. 3, Bologna,
Zanichelli, 2005
DE
PAZ 1987
Alfredo
DE PAZ, L’occhio della modernità. Pittura e fotografia dalle
origini alle avanguardie storiche, Clueb Editrice, 1987
LISTA
2001
Giovanni
LISTA, Cinema e fotografia futurista, Milano, Skira, 2001
MOHOLY-NAGY
1925
Lázlò
MOHOLY-NAGI, Pittura Fotografia Film, Torino, Einaudi, 2010
SAGNER
2012
Karin
SAGNER, Max Hollein, Gustave
Caillebotte: an impressionist and photography,
Frankfurt: Schirn Kunsthalle; Munich: Hirmer Verlag, 2012
SCHARF
1979
Aaron
SCHARF, Arte e fotografia, Torino, Einaudi, 1979
VOLPI
2008
Marisa
VOLPI, L’occhio senza tempo: saggi di critica e storia dell’arte
contemporanea, Roma, Lithos, 2008
SITOGRAFIA
http://artchive.com/artchive/C/caillebotte.html
www.gustavcaillebotte.org
http://anacoledaalderop.free.fr/musicologie/
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Fig. 1
GUSTAVE CAILLEBOTTE, View through a Balcony Grille, 1880
Olio su tela, 64 x 54 cm.
Fig. 2
LÁSZLÒ MOHOLY-NAGY, Marseille, 1928
Fig. 3
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Le boulevard vue d'en haut, 1880
Olio su tela, 65 x 54 cm. Collezione privata
Fig. 4
ANDRÉ KERTÉSZ, Avenue de l'opéravue de haut, Parigi, 1929
Fig. 5
EDVARD MUNCH, Rue Lafayette, 1891
Olio su tela, 92 x 73 cm.
Oslo, The National Museum of Art, Architecture and Design
Fig. 6
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Homme au balcon, Boulevard Haussmann, 1880
Olio su tela, 117 x 90 cm.
Collezione privata
Fig. 7
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Boulevard Haussmann Snow, 1880-1881
Olio su tela, 65 x 82 cm.
Collezione privata
Fig. 8
GUSTAVE CAILLEBOTTE, The Pont de l'Europe, 1876
Olio su tela, 125 x 180 cm.
Musée du petit Palais, Genève
Fig. 9
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Paris Street. Rainy Day, 1877
Olio su tela, 212 x 276 cm.
Chicago, Art Institute
Fig. 10
GUSTAVE CAILLEBOTTE, The Floor Scrapers, 1875
Olio su tela, 102 x 146,5 cm.
Parigi, Musée d'Orsay
Fig. 11
EUGÈNE ATGET, Asphalt-Layers, Parigi, c. 1900
Fig. 12
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Oarsmen, 1877
Olio su tela, 81 x 116 cm. Collezione privata
Fig. 13
EADWEARD MUYBRIDGE, Athlete, Rowing, 1887
Fig. 14
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Laundry Drying, Petit Gennevilliers, 1888
Fig. 15
MAN RAY, Moving Sculpture or France, 1920
La Révolution Surréaliste, n. 6, 1 Marzo 1926
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