La grande mostra dedicata a Poussin non è soltanto una
straordinaria manifestazione della grandeur culturale parigina ma
anche una tappa imprescindibile per la conoscenza dell'artista. La
sua vasta produzione pittorica viene affiancata dagli
interessantissimi disegni, attraverso i quali si possono leggere
le fasi di preparazione delle opere presenti in mostra; ma,
soprattutto, i disegni offrono un'altra lettura della libertà
creativa e dell'essenzialità del linguaggio poussiniano. Ogni
quadro è accompagnato da una dettagliata didascalia informativa
del soggetto trattato, estremamente utile per conoscere tutti gli
episodi biblici e soprattutto mitologici che connotano la
produzione poussiniana. Ma proprio tanto zelo illustrativo fa
risaltare la mancanza di una sia pur minima spiegazione di tale
profusione di soggetti mitologici, che avrebbe meglio definito la
cultura del pittore e dei suoi mecenati.
Certamente la lezione dell'arte italiana, in un pittore
vissuto quasi sempre a Roma, si coglie in misura marcata in tutta
la sua opera. Decisivo è l'apporto di Tiziano, a cui rimanda la
brillantezza dei colori e delle luci che a sprazzi illuminano le
scene. E così si può dire per tutta la grande
tradizione pittorica italiana, con vere e proprie citazioni da Raffaello come
nel Giudizio di Salomone del 1649. Più singolari appaiono dunque
le affinità con un pittore come Beccafumi, le cui figure animate
da una drammatica forza interiore sembrano venir rievocate nella
Battaglia di Giosuè contro gli Amalaciti (1625). La tensione
interiore è l'elemento che caratterizza gran parte della pittura
di Poussin; una tensione essenzializzata in un movimento
contenuto. In un disegno raffigurante un Uomo che rapisce una
donna (1633) la ripresa del Ratto di Proserpina del Bernini è
palese; ed è qui, dunque, che emerge limpida l'eliminazione del
decorativismo barocco a favore della pura tensione dinamica
dell'evento. Questa tensione tradotta in termini di rigorosa
semplificazione formale, tendente alla schematizzazione di
verticali e orizzontali, verrà poi esaltata da David: esemplare
in tal senso è La morte di Germanico (1627). Ma di questo quadro
colpisce anche il contrasto fra il tono scuro uniforme che avvolge
la scena e le macchie di colori accesi che lampeggiano sulle
vesti, le armature.
La rigorosa struttura geometrica con cui viene costruita la
composizione è uno degli elementi centrali della celebre prima
serie dei Sacramenti realizzata per Cassiano dal Pozzo tra 1636 e
1642. Di fondo, è la classicità il motivo dominante della
serie.
In tutti i quadri risalta l'equilibrio compositivo, la sobrietà,
la squisita delicatezza cromatica, il senso di una superiore
armonia. Straordinariamente evidente risulta dunque il contrasto
con la seconda serie dei Sacramenti, eseguita per Chantelou fra
il 1644 ed il 1648. La disposizione delle due serie lungo due
pareti, l'una di fronte all'altra, fa balzare in evidenza le
profonde differenze che le distinguono. Alla chiarezza cromatica e
compositiva, all'equilibrio, alla limpida definizione delle forme
del ciclo commissionato da Cassiano del Pozzo si contrappone, in
quello destinato a Chantelou, un accentuato dinamismo, una
tavolozza varia ma dal timbro scuro e un disegno frastagliato, una
forte carica drammatica e un'intensa espressività e, infine, una
spiccata teatralità. In definitiva in questi ultimi dipinti si
respira decisamente un'atmosfera "nordica", nettamente
contrastante -e la disposizione speculare delle due serie risulta
in tal senso particolarmente stimolante- con quella
classicheggiante dei quadri di Cassiano. Oltre al marcato
carattere drammatico espresso attraverso una pittura quasi
"sporca" ed un dinamismo disordinato, l'impronta nordica dei
quadri emerge anche attraverso alcuni elementi estremamente
indicativi: in diverse composizioni si notano alcune figure
atteggiate in una maniera particolare (raffigurate a tre quarti di
spalle in un angolo della scena), la cui origine risale
direttamente alla tradizione iconografica fiamminga.
Subito dopo la prima serie dei Sacramenti si colloca un quadro
dalla struggente e contenuta carica emotiva, Il Testamento di
Eudamidas, del 1643-1644. La composizione sembra regolata da un
ritmo giocato sulle verticali e le orizzontali, e dominata da
pacata cupezza che, nella penombra avvolgente, si traduce in
accese note cromatiche nelle singole individualità delle figure.
Ed una bellissima, sapiente fusione di Michelangelo e Caravaggio
viene sublimata nella figura dello scrivente (che sembra ispirato
ai Profeti della Sistina) e nella illuminazione del gesto sommesso
ma eloquente del vecchio in secondo piano (che ricorda le
ambientazioni caravaggesche).
Fra i paesaggi voglio segnalare il San Matteo e l'angelo di
Berlino (1639-1640) che dispiega una splendida vallata intorno al
fiume. Il linguaggio essenziale, lineare, e la cromia opaca
rischiarata dal graduale passaggio del bianco delle nuvole fanno
pensare ai futuri paesaggi tenui ma solidi di Camille Corot.
|