"Io mi propongo di vendere il frutto
del mio ingegno, presupponendo di avere
tale ingegno, e pertanto mi colloco nella
schiera di quei pennivendoli, cortigiani,
sicari, mercenari che sono la gloria delle
nostre lettere. Sono ambizioso o sono
pronto a degradarmi in ogni modo?"
GIORGIO MANGANELLI
INDICE
Pino Pascali come esperienza poliedrica:
un'introduzione? pag. 3
Pino Pascali come metafora dell'esistenza: non solo
cronologia. pag. 5
Pino Pascali come tentativo di capire e unificare le
arti: un fallimento inevitabile? pag. 11
Pino Pascali come bellezza dell'esperienza ludica:
favole, giochi e giocattoli. pag. 14
Pino Pascali come allegoria della natura: un legame
spirituale? pag. 18
Pino Pascali come gestione dello spazio: teatro e
teatralità. pag. 22
Pino Pascali come Pino Pascali: una conclusione?
pag. 24
PINO PASCALI COME ESPERIENZA POLIEDRICA: UN'INTRODUZIONE?
Chi è, cosa è stato, cosa significa oggi Pascali?
Queste domande sono estremamente legittime... Peccato che
si possa rispondere solo in modo approssimativo.
Avvicinarsi a delle risposte accettabili è comunque
possibile: questo lavoro mira alla creazione di punti di
riferimento che permettano, allo stesso tempo, di avere
una solida base di partenza e di creare uno stimolante
punto di arrivo. Si cercherà, inoltre, di scoprire il
rapporto che lega i dati oggettivi (?) e le esperienze
quotidiane, i rapporti umani e gli stimoli professionali,
in sostanza, tutto ciò che fa parte del "fenomeno"
Pascali.
In ultima analisi, non si deve dimenticare il
"personaggio". A titolo di esempio ecco una sua
dichiarazione (non ha importanza il contenuto, è sulla
"metodologia mentale" che bisognerebbe riflettere!): "Se
l'uomo americano usa la plastica è veramente uno spazio
- 3 -
nuovo, capisci? Un italiano che usa la plastica, a meno
che non viva in un paese dove si fabbrica solo plastica...
Che ti devo dire... Non è che voglio fare delle
polemiche."
Illuminante...
- 4 -
PINO PASCALI COME METAFORA DELL'ESISTENZA: NON SOLO CRONOLOGIA
La parabola artistica di Pascali comincia nel 1935 e
finisce nel 1968. Prendere come rigidi punti di
riferimento la nascita e la morte, delimitare
rigorosamente l'ambito di analisi, significa perseguire un
obbiettivo preciso: l'arte di Pascali non è nelle opere,
è
nell'idea, nel linguaggio, nella vita.
"Sono nato nel 1935. I miei primi giochi erano basati
sulla guerra. I miei giocattoli erano mucchi di oggetti
trovati in casa che rappresentavano armi. Un fagiolo
diventava una pallottola, una pentola un elmetto..."
Pascali, nell'infanzia, crea e sviluppa dei giochi (intesi
nel duplice senso di materiale e metodo) che saranno
rivisitati e ricostruiti nella fase di vera e propria
affermazione artistica; non a caso porterà avanti temi
desunti direttamente dalla (sua) psicologia infantile: il
fascino dell'ambiente primario (la natura, quindi, come
fonte di emozioni e stimoli), il gioco illogico e positivo
delle favole, il gusto reiterato per la contraddizione...
- 5 -
Cronologicamente queste tendenze sono difficilmente
collocabili; diventeranno serio oggetto di analisi in un
momento successivo: lo studio di itinerari tematici
attinenti l'esperienza "totale" di Pascali.
Nato in Puglia, in un paese della provincia barese, e
"vittima consapevole" di un ambiente fortemente
provinciale e primitivo (nell'accezione positiva del
termine) comincia a viaggiare: arriva a Napoli, ma la
svolta è a Roma quando si iscrive, nel 1955, all'Accademia
di Belle Arti. Comincia un periodo nel quale si sovrappone
ogni tipo di esperienza e di progetto: l'entusiasmo per il
corso all'Accademia tenuto da Toti Scialoja (non solo
scenotecnica, ma anche filosofia e arte contemporanea) si
congiunge ad una voglia, allo stesso tempo razionale e
sfrenata, di vivere l'arte, la città, il quotidiano stesso
"en bohème". Ecco, in un'intervista concessa nel 1967,
cosa dice in proposito: "Io cerco di fare quello che mi
piace, in fondo è l'unico sistema che per me va bene. Non
credo che uno scultore faccia un lavoro pesante: gioca,
come un pittore gioca, come qualsiasi persona che fa
quello che vuole gioca. Non è che il gioco sia solo quello
dei bambini, è tutto un gioco, no?"
Se le sperimentazioni "accademiche" su materiali nuovi
- 6 -
(sabbia, polvere di marmo), i primi lavori in campo
pubblicitario (Incom, Agip) e alcuni bozzetti di
scenografie continuano a risentire dell'influenza di
Scialoja, Pascali comincia, seguendo un itinerario più
personale, a sperimentare tecniche di chiara ascendenza
americana: crea, modifica e distrugge plastiche bruciate e
lamiere crivellate convinto del "carattere privato" di
questi esperimenti.
Nel 1963 comincia a lavorare per la televisione.
Significativo il rapporto di lavoro che aveva instaurato:
più che consegnare dei veri e propri lavori finiti, creva
degli spunti che venivano poi liberamente gestiti dai
laboratori televisivi e adattati alle più svariate
esigenze (sarebbe troppo facile, nonché sterile,
polemizzare con l'ottusa sacralità dell'opera d'arte che
opprime la maggior parte degli artisti; peraltro questa
sarebbe tutta un'altra storia...)
Tra il 1964 e il 1965 Pascali comincia a esporre con
frequenza in alcune gallerie romane: sono di questo
periodo il "Colosseo", i "Ruderi su prato", i "Pezzi
anatomici di donna". Analizzeremo in dettaglio alcune di
queste opere successivamente, per adesso è importante
sottolineare come siano sempre più frequenti i tentativi
di collocare il "fenomeno" Pascali in restrittivi ambiti
- 7 -
di studio: superamento dell'Informale, rivisitazione Pop,
Action Painting mediterranea oppure Living Theatre non più
dinamico? Ileana Sonnabend aveva notato,
intelligentemente, come il contrassegno specifico dei pop
italiani fosse la mancanza di surrealismo, rinunciando
così a qualsiasi collocazione specifica e fuori luogo.
Verso il 1966, con la serie dei "Cannoni", Pascali
affronta anche il problema di un'arte che "sfonda" i
limiti dello spazio espositivo. Nello stesso tempo elabora
l'idea di costruire una nuova arca di Noè con animali
preistorici e marini: le successive "Finte sculture".
Da notare che rinuncia a diverse commissioni pubblicitarie
e di scenografie per lavorare a questo progetto. Alla fine
dell'anno avviene la definitiva consacrazione (anche al di
fuori dei confini nazionali) dovuta soprattutto alla
stretta collaborazione con la galleria L'attico di Fabio
Sargentini.
Di Pascali, a distanza di anni, ha scritto: "[...] Era
contagioso, endemico, travolgente: attraversava una
stanza, [...] cavalcava una motocicletta con la stessa
presa di possesso dello spazio, vitale ma non arrogante;
anzi, venata di una fragilità e di una dolcezza
impensabili in una forza della natura così [...]
- 8 -
dirompente".
Dal 1967 comincia a cercare un'integrazione sempre più
difficile e stimolante tra cultura agraria (nel senso di
primaria) e civiltà industriale.
Inizia a studiare la "struttura intima" degli elementi
base: l'acqua, la terra. Questi esperimenti porteranno
alle opere sul mare e alle "Pozzanghere".
Il 1968 rappresenta un anno particolare: da un lato la
presenza di un nuovo fenomeno culturale, l'arte povera
"di" Germano Celant, favorisce nuove collocazioni
(rispetto alle quali Pascali, peraltro, si mantiene sempre
laterale); dall'altro la contestazione generale
dell'estate interviene pesantemente sui suoi progetti: non
riesce a realizzare l'annunciata Antibiennale veneziana e
interrompe un progetto che avrebbe dovuto interessare
alcune città italiane: le "Attività immaginarie".
11 settembre 1968. Pascali muore in un incidente
motociclistico: facile cadere nell'iconografia squallida
del mito che vive di sé e muore per sé.
Significative
sono, allora, le parole di Cesare Brandi in occasione del
quindicesimo anniversario della morte: "C'era qualcosa di
inesauribile, in Pascali, c'era il gusto dell'avventura e
la certezza della riuscita, la mossa della fantasia e
l'arresto di ogni volgarità... Di colpo gli oggetti
- 9 -
parlavano, i monti si muovevano, Maometto aveva finalmente
accettato il colloquio".
- 10 -
PINO PASCALI COME TENTATIVO DI CAPIRE E UNIFICARE LE ARTI:
UN FALLIMENTO INEVITABILE?
Rispondiamo subito: l'artista non può fallire
perché
non agisce in funzione di un obbiettivo palpabile e
commensurabile... L'artista immagina, prova, sperimenta,
raggiunge delle "conclusioni" che non sono altro che punti
di partenza per nuovi, ulteriori percorsi futuri.
"Un'evoluzione, se determina un fatto conoscitivo, penso
che vada bene. Importante è fare sempre delle cose nuove,
non nuove per gli altri, nuove per se stesso."
Pascali si evolve artisticamente in modo tutt'altro
che uniforme: è come se attraversasse in modo trasversale
(forse casuale?) tutte le correnti culturali del tempo;
ogni opera ha certamente innumerevoli e innegabili
riferimenti, ma credo sia più utile (e soprattutto
più
interessante) soffermarsi sull'approccio e sul rapporto
che Pascali ha con il concetto "filosofico" della
creazione artistica.
Dire che le opere (cioè la manifestazione effettiva,
- 11 -
la realtà palpabile) contano relativamente poco non vuole
essere una provocazione: Pascali ha una visione
estremamente complessa e sfaccettata del mondo, vive in
perenne contraddizione (ludica, mai drammatica) con se
stesso, agisce (anche) in funzione di una coscienza
collettiva che tutti abbiamo dentro di noi.
Un esempio: alcune opere richiamano, semanticamente,
lavori di Brancusi, Warhol e Burri; Pascali risponde così:
"La struttura di quella specie di serpentone poteva anche
sembrare qualcosa di Brancusi. Mi è venuta così
proprio
perché anche Brancusi fa parte di un mondo che chiamiamo
quasi naturale, no? Brancusi fa parte ormai di una specie
di immaginazione già compiuta. Non che mi interessi una
partenza formale da Brancusi, Brancusi già esiste e
già è
la scultura... Forse mi faceva solo comodo risolvere in
quella maniera..."
Pascali è stato scultore, pittore e scenografo, ha
lavorato in pubblicità e per la televisione, si
è
interessato al teatro, ha ideato e interpretato un vero e
proprio happening e ha lasciato scritti, disegni, poesie.
Non essendosi mai particolarmente interessato a
un'esasperata e discriminante ricerca formale, ha
realizzato sculture che "hanno un'anima", che si
- 12 -
trasformano in scenografie, in architetture, che bucano
(ma l'operazione è ancora più violenta: i limiti,
le
pareti vengono letteralmente annientati) i confini del
rigido spazio espositivo entrando direttamente nello
spazio mentale (l'immaginario?) del pubblico. E' ancora
Pascali che si spiega (?) perfettamente da solo: "Io penso
di non essere uno scultore, ho questa impressione verso me
stesso: è una cosa che potrebbe anche essere grave, ma
chissà se è grave, per me anche quello è
divertente.
Quando facevo i cannoni dicevo "che bello mettere un
cannone in un posto degli scultori", riuscire a metterlo
veramente, in quel mondo così sacro, così finto..."
Concludendo, l'eventuale intreccio, l'ipotetica
compromissione tra espressioni artistiche diverse non
rappresenta che un problema marginale... La "soluzione"
forse si trova in quella sua volontà costante di
trasfigurazione fantastica del reale ossia, in parole
povere, il rapporto di interscambio per cui la vita è un
gioco, ma il gioco più divertente rimane la vita... Ma
questo è l'argomento del prossimo paragrafo...
- 13 -
PINO PASCALI COME BELLEZZA
DELL'ESPERIENZA LUDICA:
FAVOLE, GIOCHI E GIOCATTOLI.
Maurizio Calvesi, per la presentazione di una mostra
di Pascali nel 1966, affronta la questione dell'arte come
gioco: "Pascali non vuole farvi giocare con questi
presunti balocchi; tutto è già fatto, ci si
è già
baloccato lui, la sua favola se l'è già costruita e
vuole
soltanto portarvene al cospetto". Quindi propone
un'ipotesi: "Opere come giocattoli, allora, più che arte
come gioco".
Alberto Boatto fa riferimento alle opere.
Sulla serie dei "Cannoni": "L'arma in Pascali manca alla
sua funzione, il perfetto ordigno bellico soffre della
grave imperfezione di non sparare; l'aggressività non
arriva al suo fine".
Sulla serie delle "Finte sculture": "Se il grosso calibro
è privato della sua potenza di fuoco, il dinosauro, il
rinoceronte, le giraffe sono privi di gambe, corna,
teste".
Sulla serie dei "Pezzi anatomici di donna": "I rilievi di
- 14 -
donna sono anatomie, parti del corpo uscite dalle mani
gentilmente sadiche di un Jack lo Squartatore il cui
teatro d'azione resta l'immaginario".
Boatto infine propone un riferimento alla Pop Art
americana: "La testa della Monroe e della Taylor di Warhol
non rimanda al corpo delle dive, ma all'apparecchio
fotografico e all'impaginazione tipografica che taglia,
inquadra e monta. [...] Invece le labbra-vulva di Pascali,
il petto, il mons veneris appartengono al mondo compatto
dell'inconscio, [...] e non sono, come l'effigie
riprodotta della star, una proiezione di anonimi
desideri".
Il problema, quindi, non è tanto capire se Pascali
gioca, ma come gioca, secondo quali presupposti e con
quali obbiettivi.
Personalmente non condivido l'opinione di chi legge, ad
esempio, nei "Pezzi anatomici di donna", ancestrali
riferimenti alla "Grande Madre Mediterranea"; molto più
probabile un gioco (ma non un giocattolo!) erotico che
esalta la fantasia inesauribile di che si diverte a
"scoprire" cose che già conosce. I "Seni" non potrebbero
rappresentare semplicemente l'esaltazione di una forma
perfetta? Oppure non potrebbero riferirsi ad una memoria
- 15 -
divertita che guarda compiaciuta a se stessa ?
Anna D'Elia esplicita chiaramente questo "gioco
erotico": "Al gioco può essere paragonato solo l'eros.
Entrambi posseggono la medesima forza di liberazione,
l'unica che può sostenere la volontà
creatrice
dell'artista". Ma è di nuovo Pascali stesso che spiega (?)
il suo punto di partenza: "Io fingo di fare delle
sculture, ma che non diventino quelle sculture che fingono
di essere, io voglio che diventino una cosa leggera, che
siano quello che sono, il che non spiega proprio niente,
le ho fatte così, è andata così".
La creatività di Pascali non nasce solo dall'istinto.
Una "problematicità congenita" lo porta ad intraprendere
un estenuante lavoro di ricerca che, secondo Boatto, si
svolge lungo tre direzioni concomitanti: sul piano
autobiografico in direzione dell'infanzia; sul piano
antropologico in direzione del selvaggio; sul piano
materico in direzione degli elementi che sostengono
l'impalcatura del mondo. "Pascali apre e chiude in fretta
cicli tematici e creativi; lascia che il tempo lo consumi
al suo interno con la febbre che lo muove a fare, a
manipolare, a costruire".
La favola. I giochi. I giocattoli.
L'aspetto ludico non rappresenta semplicemente
- 16 -
un'interpretazione, ma il vero e proprio oggetto
dell'esperienza artistica di Pascali; è la favola, con la
sua "elaborata semplicità", che invece esprime il mezzo
tramite il quale Pascali comunica. Dunque, la metodologia
della favola (cioè i suoi schemi mentali) porta ad una
visione del mondo come gioco (cioè la sua stessa vita) che
genera dei giocattoli "già giocati" (cioè le sue
opere
d'arte).
E la "realtà" della natura? Ecco di cosa ci occuperemo
nel prossimo paragrafo...
- 17 -
PINO PASCALI COME
ALLEGORIA DELLA NATURA:
UN LEGAME SPIRITUALE?
"Quello che mi piacerebbe è di essere il più
naturale
possibile, ma non naturale... Boh, non lo so spiegare mica
questo fatto del naturale io".
Che sia questo il vero Pascali? Oppure siamo di fronte
ad una delle tante sfaccettature dell'insondabile e
inesauribile "fenomeno" Pascali? Difficile rispondere con
certezza, ma sicuramente non si può liquidare questo modo
di affrontare le cose come puro e semplice divertimento.
La "natura" rappresenta un campo di indagine
incredibilmente vasto: concezione filosofica, riferimento
ancestrale, tentativo di estraniarsi, oppure, più
semplicemente, analisi delle proprie origini? La frase di
Pascali, che avrebbe dovuto risolvere la questione, non fa
altro che complicare un panorama già alquanto confuso.
Il riferimanto alle opere, per quanto necessario, non è
sufficiente dato che risulta incomprensibile il
presupposto di partenza: anzi, il problema è in una
compresenza (davvero troppo numerosa!) di presupposti
- 18 -
ugualmente significativi.
Sentiamo ancora Pascali: "[...] Un punto che gira in un
foglio senza fermarsi mai; lo si può riempire tutto, ma
senza aver fatto neanche un'immagine. [...] Questo è un
lungo percorso, si possono creare incroci in quella
maniera, però alla fine, non lo so, rimane un punto o una
linea. Poi uno può vederci, in questo foglio, una specie
di planimetria, tirar fuori altre storie, ma non è il mio
modo di... Non sono talmente introverso in questo senso".
Se si volesse concludere in modo elegante e distaccato
sarebbe facile dire che Pascali gioca con la natura
(unendo, quindi, le due tematiche più importanti della sua
esperienza), ma significherebbe fermarsi ad uno stadio
superficiale di analisi.
Le opere che fanno parte di questa ipotetica "sezione
naturale" sono tutte appartenenti ai suoi ultimi anni:
"Cascate", "32 mq di mare circa", "Campi arati", "Balla di
fieno", "Bachi da setola" e "Liane" vanno infatti dal 1966
al 1968. L'apparizione nel film "SKMP2" di Luca Patella
sarà affrontata in chiusura di paragrafo.
Cosa rappresentano, alla radice del significato, le opere
citate? Un dato è subito evidente: la forte contraddizione
tra la tematica naturale del mare, dell'agricoltura e la
- 19 -
messa in scena con materiali che non hanno nulla di
primario (a meno che non si voglia ipotizzare che anche la
civiltà industriale ha avuto un suo "ancestrale
primario").
Un esempio: il mare (il mare dei suoi ricordi
infantili...) viene brutalmente decontestualizzato dai
suoi significati abituali attraverso l'immissione
dell'acqua in vaschette tutte uguali, attraverso l'uso di
materiali "industriali" (l'alluminio, lo zinco) che,
seguendo forse il vero scopo dell'artista, ricreano non un
nuovo mare, bensì una nuova "idea" di mare.
Brandi ne parla così: "Pascali torna indietro alla
più
bassa forma di analogia, quella di rappresentare una cosa
con la stessa cosa".
Un altro esempio: nei "Campi arati", ad un'imponente
presenza della natura, fa da riscontro una significativa
presenza umana senza tempo, perché uguale da sempre. A
lasciare segni "sulla" natura non è un uomo qualunque, ma
l'uomo-agricoltore delle civiltà primitive.
Vittorio Rubiu propone un'interpretazione interessante:
"La natura che Pascali amava è quanto di meno ovvio e
romantico si possa immaginare. [...] La natura non ha per
lui nessun significato se non dentro un ordine umano".
L'ultima "opera" da considerare è un film (azione
- 20 -
pura?) che Patella ha girato nel 1968: "SKMP2".
Pascali interpreta (o meglio, rivive) il ciclo biologico
della natura: nascita, morte e rinascita.
D'Elia propone, personalmente, una visione particolarmente
ristretta: "Il recupero dell'agricoltore ha un significato
preciso nel lavoro di Pascali: riportare nella cultura
industriale di matrice nord-europea, i valori e i modelli
del mondo agricolo e mediterraneo".
Si potrebbe parlare all'infinito delle scene in cui
Pascali taglia il mare con le forbici o pianta dei
filoncini di pane nella sabbia... Rinuncio volentieri, in
questo caso, ad un'improbabile interpretazione critica...
E' semplicemente straordinario entrare in contatto con la
dolce impotenza umana manifestata dal "gesto divertente e
divertito" di chi vuole tagliare il mare...
- 21 -
PINO PASCALI COME
GESTIONE DELLO SPAZIO:
TEATRO E TEATRALITA'.
"A me piace partire proprio dal materiale perché nel
materiale c'è il limite stesso. Se uno sceglie un certo
materiale proietta le proprie possibilità dentro dei
limiti ben precisi. Io non penso che con un certo
materiale si può far tutto, si può fare solo una
cosa e
questa sola cosa è un'idea di se stesso [...]".
Pascali, in queste poche parole, esprime una concezione
spaziale molto particolare: se si considera la parola
"materiale" in senso lato ecco che prende corpo una
tematica con cui siamo già entrati in contatto.
Pascali naviga (perdendosi?) all'interno di una ricerca in
cui, potenzialmente, tutto è possibile; è consapevole
dei
limiti oggettivi della sperimentazione, del gioco e della
natura, ma non per questo è sminuito il valore del
percorso verso il proprio intimo creatore. (Ho cambiato
definizione perché è desolante chiamare questo
percorso
sempre e solo ricerca... Troppo asettico!)
Lo "spazio" di Pascali non è un concetto vago e
- 22 -
indefinito: il riferimento al teatro è d'obbligo, ma
bisogna analizzare i presupposti attraverso i quali si
verifica l'avvicinamento ad una forma d'arte diversa.
Fondamentalmente, sperando di non banalizzare
eccessivamente, Pascali trasferisce nel "suo" teatro (cioè
l'happening) la staticità della scultura e inserisce nella
"sua" arte applicata il movimento (anche solo mentale)
tipico del teatro.
La critica, in genere, ha cercato di collegare a
Pascali tutte le influenze e correlazioni possibili e
immaginabili: si è parlato di teatro medievale, di Artaud,
di performances ai limiti della Body Art, di Grotowsky, di
antiteatro...
Giorgio Verzotti, in un breve saggio, è semplicemente
geniale: "Artaud è dovunque, ma non a teatro. [...]
Grotowsky, più modestamente, va in cerca di Dio. [...]
Tutto ciò non ha niente a che fare con Pascali, per il
quale il "teatro" si identifica con il distacco e la
finzione".
- 23 -
PINO PASCALI COME
PINO PASCALI:
UNA CONCLUSIONE?
L'orientamento di analisi, la struttura dei paragrafi,
non è particolarmente significativa.
Unàaltra
impostazione critica sarebbe stata ugualmente valida.
Pascali rappresenta il tipico "ambito culturale"
difficile da esemplificare: le stesse opere, se da un lato
sono "elementari", dall'altro sono insondabili nel loro
spirito più profondo e complesso.
In origine questo lavoro era nato con l'intenzione di
valutare il "caso" Pascali in funzione di importanti (e
diverse) interpretazioni estetico-artistiche: sembrava
interessante partire dalla teoria pura (la "filosofia"?)
per arrivare alla più semplice creazione artistica (la
"gestualità"?).
Adorno, Cézanne, Fiedler (...la scelta è
stata
sinceramente casuale e irrazionale) sembravano
incredibilmente adatti a leggere l'esperienza di Pascali,
sentiamoli:
Adorno: "Fare leva sul piacere estetico per interpretare
- 24 -
le opere d'arte significa porle al livello della
gastronomia e della pornografia. [...] Il borghese
desidera che l'arte sia voluttuosa e la vita ascetica; il
contrario sarebbe meglio".
Cézanne: "Prendo a destra, a sinistra, qui, là,
dovunque,
le tonalità della natura, i suoi colori, li fisso, li
accosto... Essi formano dei contorni. Divengono degli
oggetti, delle rocce, degli alberi, senza che io vi
pensi".
Fiedler: "L'attività artistica è un'attività
senza fine;
ogni risultato raggiunto apre all'artista la visione di
ciò che non è stato ancora raggiunto".
Il lavoro si è sviluppato in modo radicalmente
diverso. Non so se il risultato sia positivo (domanda
retorica...), ma è un dato innegabile il fatto che sia
stato lo stesso Pascali a trascinarmi verso quelle
posizione che ho, successivamente, sezionato e analizzato.
Un'ultima domanda (sempre retorica?): riferire tutto a
se stessi, all'esperienza personale, alla propria
concezione del mondo, rappresenta un reale problema per
chi persegue lo scopo dell'analisi oggettiva a 360 gradi ?
Il narcisismo e l'egoismo (artistico) non possono fornire
spunti finalmente originali? E, soprattutto, non
- 25 -
potrebbero essere qualità invidiabili?
Hanno collaborato Diana Raiano (per l'ambito
psicologico/creativo) e Gianni Fallacara (per
l'ambito emotivo/intellettuale)... Oppure si
è verificata una collaborazione trasversale
che non ho mai cercato e che mi ha costretto a
scrivere quello che ho scritto? Illuminante!
|