Il termine tarsia muraria indica una decorazione ottenuta
"componendo in un voluto e precostituito ordine estetico, elementi di pietre
murarie di vario colore, talvolta miste a laterizi, lavorati con tecniche
diverse" (1) : tali tecniche anadavano dall' utilizzo di un supporto di stucco,
sul quale era tracciata una sorta di "sinopia", o disegno preparatorio, allo
scavo diretto del blocco tufaceo, all' interno del quale venivano incastonati
materiali a pasta morbida o blocchetti di tufo colorato; "l' intreccio" vario
di tali materiali forniva il disegno finale.
La maggiore diffusione di tali motivi ornamentali appare in epoca normanna,
nei secoli compresi tra la fine dell' XI e la seconda metà del XIII (in
questo periodo le tarsie murarie fecero progressivamente la loro comparsa sulle
facciate dei palazzi, lungo le absidi delle chiese, sulle pareti dei
campanili), ma di non facile soluzione risulta, invece, il problema della
provenienza e dell' origine prima di tale decorazione.
Numerosi sono stati gli studiosi interessati a tale questione : da Bertaux
a Venturi, da De Angelis a Toesca, a Rosi, Bottari, Gambardella, Kalby (per
citare i più noti), e molte sono state le proposte (2). Tra esse
è sicuramente da sottolineare la tesi avanzata da Rosi, sebbene
attualmente parzialmente superata, la quale considerava la Sicilia araba il
luogo di creazione dei motivi ad intarsio murario, diffusi successivamente nel
meridione d' Italia attraverso l' azione mediatrice dei costruttori normanni;
durante gli anni '50, tuttavia, si è andata affermando una tesi opposta,
ad opera di Bottari, tendente a vedere nella Campania il luogo di origine e di
irradiazione di tale motivo ornamentale. Afferma infatti Bottari: "Di un
siffatto tipo di decorazione che gli studiosi, forse a sottolinearne il
carattere fantasioso, sogliono ... ritenere araba e di provenienza siciliana,
credo si possa più fondatamente fissare in Campania il centro primario
(non dico l' origine) di irradiazione. ... In Campania - dalle prime modeste
applicazioni - ... a quelle più appariscenti ... è tutta una
successione che documenta, nel volgere di parecchi secoli, la continuità
di una tradizione ininterrotta e vitale " (3).
Qualunque sia la tesi accettata, bisogna comunque considerare il
contributo, nella decorazione a tarsie, della cultura classica : numerose sono
infatti le testimonianze, evidenziate, da Kalby, in particolare a Pompei e ad
Ostia antica, di motivi ad intarsio policromo : "questi che furono motivi
artigianali, virtuosismi o compiacimenti di muratore e di maestranze, che si
trasmettevano di padre in figlio come temi e sistemi di semplice abbellimento,
passarono direttamente nel bagaglio dei maestri lapicidi romani, che li
inserirono nelle loro opere con una grande varietà di motivi derivanti
dalle tante possibilità di unione dei singoli elementi" (4). Da tale
bagaglio di forme, colori e materiali provengono le splendide creazioni
visibili lungo la facciata del palazzo Veniero di Sorrento, sul campanile della
chiesa di S. Nicola al Vaglio a Lettere, nel quadriportico della cattedrale di
Salerno, nella zona absidale del Patirion di Rossano Calabro, ed in moltissimi
altri monumenti dell ' Italia meridionale .
In tale contesto deve essere, a ragione, inserita la fabbrica di S.
Giovanni a mare di Gaeta, che presenta un tamburo la cui evidente
ornamentazione policroma risulta, attualmente, completamente inedita: infatti,
fino alla seconda metà degli anni '70, il tamburo della chiesa risultava
coperto da un pesante rivestimento ad intonaco, testimoniato da rilievi e
fotografie conservate presso la Soprintendenza ai Beni Ambientali ed
Architettonici del Lazio, riferibili ad un restauro degli anni
1965-1970.
In questo modo, si avrebbe un termine post-quem per datare il
ritrovamento della decorazione policroma del tamburo .
Del resto l' intera fabbrica di S. Giovanni a mare, non solo la sua
decorazione esterna, risulta poco studiata ed ancor meno nota, anche a causa
del relativo silenzio delle fonti documentarie, scarse e tarde : la prima
citazione della chiesa è infatti in un documento del Codex
Diplomaticus Cajetanus, relativo all' anno 1277 (5), mentre testimonianze
successive, ma di importanza relativa per il nostro studio, sono evidenziabili
nei manoscritti delle visite pastorali dei vescovi gaetani . Anche la
letteratura relativa all' edificio non è particolarmente soddisfacente :
la fabbrica risulta studiata, nel corso degli anni, da Schulz, Bertaux,
Venditti, Fiengo, ma in modo poco approfondito e non privo di inesattezze (6).
Tali studiosi sono stati attratti soprattutto dall'elemento più
evidente dell' edificio, e cioè dall' emergenza di una cupola su quattro
colonne, "staccando" quest' ultima dal contesto basilicale-longitudinale su cui
essa sorge ; così facendo, si è genericamnte attribuita all'
edificio una "bizantinità" di cui la fabbrica è solo parzialmente
partecipe . Inoltre, si è tenuta in minima considerazione la decorazione
policroma del tamburo, fondamentale, invece, ai fini di una corretta
collocazione temporale dell'edificio.
Analizzando nel dettaglio il tamburo cilindrico (Figg. 1-2), risulta
immediatamente evidente la cortina di laterizi che lo ricopre, interrotta da
quattro aperture per finestre. La decorazione è molto ricca e ben
leggibile . Partendo dalla zona inferiore, una fascia decorativa con losanghe
bianche su fondo nero (una sorta di opus reticolatum in tufo policromo),
piuttosto sbiadita in alcune parti, ruota intorno al tamburo nel suo piano di
imposta. Sopra tale fascia si aprono le quattro finestre, ciascuna contornata
da una ghiera con losanghe, alternatamente bianche e nere. Nello spazio
intercorrente tra ciascuna finestra è posta una coppia di tondi (per un
totale di otto tondi), decorati all' interno con motivi stellari, di foggia
diversa, giocati sull' alternanza cromatica del bianco e del nero. Ancora
più in alto, archi ciechi aggettanti, anch' essi decorati a losanghe,
percorrono l' intera circonferenza del tamburo, il quale termina con una fascia
a frecce bianche su base nera. A sottolineare il punto in cui gli archetti si
saldano tra loro sono poste alcune cavità che originariamente dovevano
essere riempite da bacini maiolici, successivamente asportati o perduti : la
decorazione a bacini maiolici verrà in seguito ripresa nella decorazione
del campanile del duomo e nella chiesa della SS. Annunziata di Gaeta.
Interessante è notare come sia stato possibile riscontrare la
presenza di quattro frammenti provenienti, con molta probabilità, da un'
ornamentazione policroma in calcare e pietra lavica, nella cortina del muro di
cinta dell' ex convento di S. Caterina (Fig.3), situato nella parte più
alta della città di Gaeta, corrispondente al nucleo abitato originario.
Questo muro, che oggi versa nel degrado più assoluto (considerando l'
abbandono del complesso monastico, già soppresso nel 1809 e poi adibito
ad usi militari), meriterebbe uno studio più accurato, poichè si
mostra come una sorta di "palinsesto": l' avvicendarsi dei secoli ha lasciato,
infatti, incorporati nella cortina una serie di "pezzi" di grande valore
storico-artistico, individuabili in due brani semicircolari stellati e due
fogliette bianche su base nera, di squisita fattura . Interessante è,
inoltre, la tessitura della cortina muraria, in cui fasce di laterizi di
diverse dimensioni si alternano a blocchi lapidei, con andamento irregolare ;
il tutto è intervallato da larghi strati di malta, usata in modo da
accentuare l' elemento coloristico. Il cromatismo che ne deriva ricorda quello
delle chiese italo-greche della Calabria e della Sicilia.
I ritrovamenti nel muro di cinta dell' ex convento di S. Caterina
testimoniano l' esistenza di altre costruzioni a Gaeta, oltre alla chiesa di S.
Giovanni a mare, dotate di decorazione a tarsie policrome, e documentano, di
conseguenza, la diffusione di un gusto analogo a quello dei già citati
monumenti campani di Sorrento, di Lettere, di Salerno .
Tra tali monumenti, il quadriportico della cattedrale di Salerno (Fig.4)
è sicuramente il più interessante per il nostro studio,
poichè presenta una decorazione a dischi policromi, unita a fasce con
motivi geometrici e losanghe, quasi sovrapponibile a quella della fabbrica
gaetana (7). Tale identità può condurci non solo ad una datazione
dell' edificio alla seconda metà dell' XI secolo, supportata da valide
ragioni, ma anche ad un nuova lettura della fabbrica, tendente a proporre una
forte influenza benedettino-normanna, di contro al pur riconosciuto apporto
bizantino.
Infatti, riconducendo come oramai sembra accertato il modello dell' atrio
salernitano a quello dell' abbazia di Montecassino, nella riedificazione voluta
dall' abate Desiderio (1058-1087), si potrebbe legittimamanete collegare la
presenza delle tarsie murarie ad una diretta irradiazione di modelli cassinesi
: sappiamo, infatti, che l' abate Desiderio fece venire da Costantinopoli
maestri intarsiatori e mosaicisti con il duplice scopo di ornare l' abbazia e
di realizzare una sorta di cantiere-scuola per l' ammaestramento dei giovani .
Secondo Bottari gli intarsi policromi, incastonati nei monumenti campani (ma
non solo!), furono utilizzati come "incastri preziosi, come citazioni dotte,
allo stesso modo dei versi degli antichi poeti che Alfano inserisce nei suoi
carmi e della metrica classica che rinnova con meticoloso impegno" (8). L'
utilizzo dell' ornamentazione ad intarsio murario, visibile nella chiesa
gaetana, come i monumenti campani e calabresi, sembrerebbe dunque essere il
risultato della ripresa di tecniche classiche, conservatesi in vita a
Costantinopoli, ad opera di monaci benedettini, per volontà di Desiderio
: tali tecniche si sarebbero successivamente diffuse nel meridione d' Italia ad
opera dei conquistatori normanni, nell' ambito di un preciso progetto politico
volto ad ottenere la supremazia su territori da sempre soggetti all' influenza
bizantina .
Di conseguenza, l' attività edilizia dei Normanni si inserisce in un
noto processo di "latinizzazione" (9) che, per dirla con le parole di Occhiato,
porterà l' Italia meridionale ad "una svolta decisiva che, debolmente
avvertita sulle prime dalla generalità della popolazione, nel corso di
un cinquantennio condurrà ad uno spostamento zenitale all' interno della
struttura politico-ecclesiastica e registrerà un completo viraggio dall'
orbita di Bisanzio a quella latina e occidentale" (10).
La stessa fabbrica di S. Giovanni a mare, evidenziante la fusione di una
spazialità di tipo orientale (tesa a sottolineare l'
ascensionalità dell' edificio sacro come immagine della chiesa
celeste), e di una monumentalità latina, occidentale (volta invece a
magnificare la chiesa terrena), si pone come chiara testimonianza dei forti
influssi "occidentali", dovuti all' atteggiamento di protezione dei Normanni
nei confronti della chiesa latina, venutisi ad innestare su di un sostrato
ancora pregno di cultura bizantina .
NOTE
(1) G. Kalby, Tarsie ed archi intrecciati nel romanico meridionale ,
Salerno 1971, p. 9.
(2) E. Bertaux, L' art dans l' Italie meridionale , Paris 1904; A.
Venturi, Storia dell' arte italiana , Milano 1901-1902; G. De Angelis D'
Ossat, Le influenze bizantine nell' architettura romanica, Roma 1942; P.
Toesca, Storia dell' arte italiana: il medioevo, Torino 1927; G. Rosi,
L' atrio della cattedrale di Salerno , in "Bollettino d' Arte", s. IV,
a. XXXIII (1948), pp. 225-238; S. Bottari, I rapporti tra l'architettura
siciliana e quella campana del Medioevo, in "Palladio" V (1955), pp. 7-28;
A. Gambardella, Il Palazzo Pernigotti ed il problema delle tarsie murarie in
Salerno medievale, in "Napoli Nobilissima", vol. VI, fasc. V-VI,
settembre-dicembre 1967, pp. 227-232.
(3) S. Bottari, op. cit., pp. 11-12.
(4) G. Kalby, op. cit., p.27.
(5) Codex Diplomaticus Cajetanus. Tabularium Casinense, II, Montis
Casini 1891, p. 396; altre citazioni sono sempre in C.D.C., III (I),
Montis Casini, 1958, pp. 12 e 19 (1306), 71 (1330), 79 (1333), 102 (1343), 258
(1375) ; III (II), Montis Casini 1960, pp. 41 (1384), 52 (1386), 75 (1390), 113
(1394).
(6) H. W. Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in
Unteritalien, Dresden 1860, II, pp. 135-144; E. Bertaux, op. cit.,
III, pp. 376-377; A. Venditti, Architettura bizantina nell' Italia
meridionale, Napoli 1967, II, pp. 675-680; G. Fiengo, Gaeta. Monumenti e
storia urbanistica, Napoli 1971, p.62.
(7) Cfr. G. Rosi, op. cit., pp. 225-238 ; si veda anche J. Raspi
Serra, Amalfi-Montecassino-Salerno. Un corso fondamentale nella
strutturazione e nel lessico dell' architettura "romanica", Salerno 1979,
in particolare le pp. 26-27.
(8) S. Bottari, Sul complesso monumentale di San Matteo in Salerno.
Rapporti tra l' architettura siciliana e quella campana del Medioevo, in
"Nel X centenario della traslazione di San Matteo a Salerno", Salerno 1967, p.
157.
(9) Sul fenomeno della "latinizzazione" si veda: H. Houben, I
Benedettini e la latinizzazione della Terra d' Otranto, in "Ad Ovest di
Bisanzio - Il Salento medioevale", Atti del Seminario Internazionale di Studio
(Martano 29-30 aprile 1988), a cura di B. Vetere, galatina 1990, pp. 73-89;
Idem, Medioevo monastico medievale, Napoli 1987, pp. 85-175.
Sul ruolo dei Normanni nello sviluppo del monachesimo meridionale cfr. L.R.
Menager, Les fondations monastiques de Robert Guiscard, in "Quellen und
Forschungen aus italienischen Archivien und Bibliotheken", 39 (1959), pp.
1-116; C.D. Fonseca, La prima generazione normanna e le istituzioni
monastiche dell' Italia meridionale, in "Roberto il Guiscardo e il suo
tempo". Relazioni e comunicazioni nelle prime giornate normanno-sveve (Bari,
maggio 1973), Roma 1975 (Fonti e Studi del Corpus di Studi normanno-svevi,
Università degli Studi di Bari, 1), pp. 135-146; Idem, Le istituzioni
ecclesiastiche dell' Italia meridionale e Ruggero il Gran Conte, in
"Ruggero il Gran Conte e l' inizio dello stato normanno", Relazioni e
comunicazioni nelle seconde giornate normanno-sveve (Bari, maggio 1975), Roma
1977, XII, pp. 43-66; G. Picasso, Il monachesimo nell' alto medioevo, in
"Dall' eremo al cenobio. La civiltà monastica in Italia dalle origini
all' età di Dante". Antica Madre, Collana di studi sull' Italia antica,
a cura di G. Pugliese Carratelli, Milano 1987, pp. 3-63.
(10) G. Occhiato, Robert de Grandmesnil: un abate "architetto" operante
in Calabria nell' XI secolo, in "Calabria bizantina, Testimonianze d' arte
e strutture di territori", VIII Incontro di Studi bizantini (Reggio
Calabria-Vibo Valentia-Tropea, 17-19 maggio 1985), 1991, pp. 129-208.
DIDASCALIE
(1) Gaeta. Chiesa di S. Giovani a mare. Veduta del tamburo da
nord-est.
(2) Gaeta. Chiesa di S. Giovanni a mare. Veduta del tamburo da sud.
(3) Gaeta. Muro di cinta dell' ex convento di S. Caterina.
Particolare.
(4) Salerno. Cattedrale. Particolare del quadriportico.
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