Scrivere di un artista esordiente è un rischio. Ma vale la pena di
correrlo, è anzi il sale della vita.
Diceva infatti Pascal che la Fede è una scommessa: se la si perde,
pazienza, ma, se si vince, si acquista la vita eterna. E per uno storico
dell'Arte l'apertura alle forze nuove della creatività è un po'
come la conquista della vita eterna...
Sonia Grossi, giovane collaboratrice del BTA - Bollettino Telematico dell'Arte,
mi ha presentato Giovanni Termini rispondendo all'appello che io avevo lanciato
tempo fa agli studenti dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università
degli Studi di Roma "La Sapienza". Dicevo: "Non rimanete fermi alle logiche di
mercato, o ai rituali delle mostre, cercate di trovare, almeno voi, qualche
nuovo artista, o qualche artista vecchio che abbia qualcosa di nuovo da dire !
".
La mia presenza nello studio di Giovanni Termini è nella prospettiva di
un Osservatorio del divenire della nuova arte contemporanea. E' un artista che
sta ancora elaborando la propria estetica ed io, con l'umiltà necessaria
a chi si avvicina ad un territorio nuovo e in parte inesplorato, di chi compie
un servizio alla comunità dell'Arte, io dico soltanto che Giovanni
è un'"utopista empirico" che riflette molto bene la situazione sociale e
spirituale dei nostri tempi. Uno spirito apparentemente contraddittorio sia
nel linguaggio che nei contenuti. Uno che lavora continuamente sulle lastre,
come se fossero composte di materia organica, viva.
(figg.
1
e
2
)
Fa quasi fatica ad abbandonarle, la stampa è una nascita-morte perchè fissa e blocca il processo creativo. Il suo colore preferito ed esclusivo è il nero,
il segno contorto, ma quando è necessario è molto preciso.
I suoi maestri ? secondo lui sono Ettore Colla, Emilio Vedova, De Kooning.
Si definisce un seguace della pittura gestuale espressionista.
Ma a me ricorda più il nostro Burri, con quel valore aggiunto della
moralità dell'arte. Una moralità tutta laica e protesa alla
continua dissoluzione dei perbenismi accademici, dei formalismi rassicuranti di
certa apparente tranquillità pittorica.
Una protesta urlata nella pittura attraverso quell'ormai ben sperimentato
vocabolario dell'astrattismo empirico, che si concretizza nell'uso di tanti
strumenti manuali. E' il segno che conta, prima di tutto, e le idee corrono sui
segni, nella materia. Eppure questa non è opera d'arte casuale, ma
esprime, forse inconsciamente, una serie di concetti ben precisi, anche se
difficilmente individuabili nell'opera singola e più evidenti, invece,
ad un attento confronto di opere diverse.
Parte dell' "io" di Giovanni è ancora sdoppiato. Un'incisione mostra una
sorta di arpia,
(fig.
3 )
forse autobiografica, incatenata a...che cosa ? Difficile
dirlo. A forme organiche e vitali, ovoidali, uterine o testicolari a seconda
dei casi, forme che ricorrono in quasi tutte le incisioni di Giovanni. Ad una
lettura frediana un poco frettolosa rivelerebbero un complesso edipico latente.
(fig.
4 )
No, niente di tutto questo, il problema è sì sessuale, ma
relativo ad una sfera profonda. Io penso che Giovanni capti un disagio della
società contemporanea e lo traduca in immagini. Le retinature, le
goffrature, le linee sottili e quelle corpose che ricordano il filo di ferro,
trascinato sulla pietra a lasciare un solco, assumono incredibilmente una
grande vitalità, sì che talvolta pare di scorgere l'occhio
attento di Klee, che scandagliava la natura con un microscopio alla ricerca
dell'origine della vita. Ma un Klee senza colori ! Un nero severo,
classicista, ma anche di lutto. I troppi problemi irrisolti, il rifiuto della
vita e della creatività e dell'individualità nella società
di oggi. Ma la constatazione di una vitalità mancata e mortificata
è comunque segno di riscatto, a sua volta istinto vitale.
La reazione del pubblico è soggettiva. Chi ha uno spirito critico
apprezzerà l'impegno, chi si aspetta la proposta allegra di un mondo
migliore rimarrà deluso. Le incisioni di Giovanni sono difficili da
capire e anche da "digerire", perchè presuppongono una presa di
posizione ben precisa, una scelta di valori, un segnale d'allarme.
Altre incisioni, altro linguaggio, che arriva anche al fumetto "dark" nel
minotauro, con le braccia aperte, tese a novanta gradi, e un'altra bestia dagli
occhi di lucertola, esperienze minori, ma che testimoniano la
ricettività verso un mondo magico, misterioso, mitologico, che riaffiora
nel vuoto dei valori come valore alternativo, ma non assoluto. E ancora, un
paio di incisioni molto plastiche, giocate sul chiaroscuro più che sul
segno materico di superficie.
Alla fine le forme ovoidali si schiacciano e diventano due pezzi di pane
(fig.
5 )
che, non a caso, poggiano su una superficie quadrata, solida, rettangolare, pietra
di paragone tra il magma vitale indistinto e la vita vera.
Il messaggio di Giovanni mi pare questo: proporre Termini ... di paragone tra
la vitalità e la vita constatando l'attuale decadenza della
società. L'Arte ha ancora una missione, un compito, la forza viva di
smuovere le coscienze.
Questo messaggio però non è strillato, ma urla di nascosto per
chi sa ascoltare.
L'informale di Giovanni non cade quindi nell'Accademia, è quel bel velo
che nasconde un messaggio, la lotta contro la semplificazione dei valori.
Giovanni ha paura del figurativo, sì paura, non è un
neo-iconoclasta, ma vuole a tutti i costi evitare l'impoverimento dei
significati, la banalizzazione della lettura.
Vista così, l'opera di Giovanni diventa inquietante e piace poterci
riflettere. Uno strumento di contemplazione.
Ma è soltanto l'inzio: c'è molta strada da fare: buon lavoro,
Giovanni !
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