Le sale della Galleria Giulia, che di solito sembrano così grandi
e ariose, appaiono in questi giorni molto più anguste. E' come se queste
dodici sculture si fossero impossessate dello spazio, e fossero cresciute, come
delle grandi piante metalliche.
Le sculture di Lorenzetti rendono lo spettatore cosciente dello spazio, delle
vibrazioni dell'aria. Non si tratta di oggetti dalla forma bloccata, di statue;
sono presenze che entrano in rapporto dialettico con lo spazio, e rendono vivo
quello che noi erroneamente chiamiamo "vuoto". Sono presenze che si insinuano
nell'aria con le loro eleganti volute e i loro armoniosi tentacoli metallici:
non invadono, ma avvolgono carezzevolmente.
Sembrano perennemente in bilico, un equilibrio precario eppure inesorabile,
immutabile, fissato nel ferro. Sono segni- scrive nel bel testo del catalogo
Luigi Lambertini- segni, che, usciti dal foglio hanno trovato una loro
"incarnazione" nel ferro. Del segno hanno il rigore, ma anche la leggerezza, la
rapida fuggevolezza.
L'aspetto segnico della scultura di Lorenzetti risulta chiaro se si vedono i
disegni e i collages esposti in una sala a parte: tracce veloci ma perentorie
di grafite, quasi degli ideogrammi, con tocchi di acquerello che fanno
dialogare il nudo segno con lo spazio vuoto del foglio bianco. Nei collages,
quasi crisalidi delle sculture più grandi, entrano in scena altri
materiali: batuffoli di cotone, fili metallici, cartoncini... che si piegano su
se stessi a seguire i rigorosi capricci del segno. Regola e capriccio, due
parole che rimandono al titolo che Lorenzetti ha scelto per una delle sue
sculture: L'estro armonico. Vivaldi aveva così intitolato la
raccolta di concerti che lo proiettò sulla scena europea. Un titolo
scelto perché suonasse barocco, italiano, ma anche moderno: Estro
Armonico non vuol dire altro che bizzarria barocca controllata e illuminata
dall'occhio vigile della Ragione.
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