La vedutistica della città di Roma è stata fonte d'ispirazione
artistica e letteraria attraverso i secoli. Nè poteva essere altrimenti,
stante la Fama Urbis, sia per motivi storici e politici che per la
ricchezza e bellezza dei suoi monumenti civili e religiosi.
Le citazioni proponibili sarebbero oltremodo numerose, basti ricordare le molte
" guide " medioevali redatte ad usum peregrinorum illustranti le
meraviglie dell'antichità pagana e quelle cristiane, corredate da
miniature delle piante della Città, che ne presentavano in modo
schematico, ma essenziale, i profili salienti o alcuni noti affreschi
tre-quattrocenteschi, come quello di Taddeo di Bartolo nel Palazzo Pubblico di
Siena del 1414 o sullo sfondo del masoliniano Miracolo della neve.
Una delle raffigurazioni più interessanti, realizzata nel periodo in cui
il Tardo-Medioevo volge all'Umanesimo, è rappresentata nel pannello
inserito nella porta bronzea della Basilica costantiniana di San Pietro in
Roma, eseguita da Antonio Averlino tra il 1433 ed il 1445, su commissione di
Papa Eugenio IV Condulmer (f. 1).
Questo pannello rettangolare (cm. 98 x cm. 93), che fa da pendent
all'altro con la Decapitazione di San Paolo, ha come tema il Martirio
dell'Apostolo Pietro, (f.2), risultando iconograficamente e contenutisticamente
la sezione più complessa del portale. Per una più agevole lettura
può essere suddiviso orizzontalmente in tre piani attraverso i quali si
snoda la vicenda.
Nel primo e da sinistra appare (f. 3): una costruzione fortemente scorciata
identificabile come Piramide Cestia, cui segue la personificazione di Roma in
vesti d'amazzone seduta su di un elmo e numerose armi-trofeo sparse sul terreno
erboso. Quasi centralmente, è scolpita una ricostruzione fantasiosa e
rovesciata della Mole Adriana, che mostra l'ingresso, con il fiume alle spalle
e dalla cui porta dischiusa appare l'animula dell'Imperatore. Sulla
sommità dell'edificio è una seconda figura virile, nuda e voltata
verso il Tevere. Segue il simbolico albero del terebinto, e, all'estrema
destra, un secondo edificio piramidale, la cosiddetta Meta Romuli.
Al di là di questi monumenti, scorre il fiume Tevere, sulle cui rive,
all'estrema destra, si trova una carcassa equina delle cui viscere si ciba un
cane, mentre alla stessa altezza sull'altro lato, un cavaliere lanciato al
galoppo tra i flutti si volge indietro come a rifuggire dalla scena cruenta.
All'estrema sinistra, nello spazio tra la cornice esterna e la piramide Cestia,
compare una serie simbolica di animali: un rapace stringe nel rostro un
coniglio, un leone ghermisce una scimmia ed un lupo, seminascosto da un tronco,
osserva; scene che si ritrovano simili nel corrispondente pannello paolino
ov'è anche visibile un emblematico volo d'uccelli
1 (ff. 4,
5).
Nell'ultimo campo, alla sommità del colle (f. 7), è raffigurato
il sacrificio: due carnefici inchiodano i piedi del martire dall'alto di scale
appoggiate alla estremità del lato lungo della croce capovolta, venendo
a formare un perfetto schema triangolare che riprende e conclude quello delle
due mete in basso, mentre altri due scherani inginocchiati fissano le mani
dell'apostolo, rivestito di perizoma e dal capo nimbato che sfiora il terreno.
Ai lati due centurioni, di cui quello a sinistra a cavallo, impartiscono
direttive e, sulla destra, un drappello di soldati conclude la scena.
Il pannello poggia su una cornice sbalzata, ornata alle estremità da
grifoni alati, affrontati e poggianti le zampe anteriori su un virgulto al cui
apice è una testina virile; centralmente, due putti, anch'essi alati,
sostengono un medaglione su cui si legge OPVS ANTONII.
E' rimarchevole come Filarete abbia sintetizzato efficacemente il profilo
dell'Urbe e reso il tracciato delle anse del fiume che la traversa, presentando
alcuni dei monumenti più rappresentativi, sbalzati secondo il proprio
gusto e sensibilità compendiaria quattrocentesche che rinviano a
rappresentazioni topografiche precedenti nelle quali, come accennato, gli
edifici compaiono sovente. Sono ben visibili, ad esempio, nella miniatura di
Paolino da Venezia, datata 1320 e conservata alla Biblioteca Marciana e nella
Bolla d'Oro di Ludovico di Baviera del 1328
3.
Va sottolineata anche la rassomiglianza con le molte costruzioni il più
delle volte immaginifiche e fantasiose, ma palesemente tratte
dall'antichità e segnatamente dall'influenza del Mausoleo adrianeo, che
si ritroveranno nel Trattato d'Architettura, composto dallo stesso
Averlino tra il 1460 ed il 1464: ad esempio col Castello posto sull'altura
presso il Porto del fol. 109r, o il corpo centrale del Duomo di
Bergamo, fol. 123r (f. 9).
Mentre, nell'immagine della figurina alla sommità del Mausoleo, da
un'indagine comparativa che si sta sviluppando tra l'iconografia, il testo
filaretiano e quello polifilesco, si può cogliere assonanza figurativa
con i puttini segnavento posti alla sommità di alcune costruzioni che
saranno immaginate da Francesco Colonna, nell'Hypnerotomachia
Poliphili: si veda ad esempio il putto con tuba che sovrasta
l'edificio ottagono delle Terme (f. 10) ed ancora la figura maschile situata
in cima al Mausoleo della regina Artemisia (f. 11), nonchè quella della
Fortuna collocata alla sommità dell'obelisco alzato sull'omonimo
Tempio
6 (f. 12).
Strettamente collegati alla crocifissione dell'apostolo, i monumenti romani
erano rappresentati anche nei perduti affreschi del vecchio San Pietro, come
testimoniato dai disegni del Grimaldi
8.
Filarete mostra di essere un attento conoscitore dei reperti antiquariali anche nella presenza della figura simbolica di Roma seduta presso la piramide, la cui identità è iterata nelle numerose iscrizioni ROMA e SPQR incise sugli scudi posti sul terreno circostante; l'abbigliamento, la posa e gli attributi che la caratterizzano infatti, sono desunti da tipi monetali romani, riconducenti l'iconografia averliniana a quella di almeno sei emissioni di conio, databili complessivamente dal 104 al 189 a.C., raffiguranti simbolicamente Roma o gli dei Marte e Minerva, confusi, però con essa
9: il tipo più rispondente sembrando il denarius
anonimo con l'augurium Romuli (104-92 a.C.).
Il tempietto che inquadra l'imperatore è dimensionato a dominare la scena: al di sopra della mensola in primo piano è ben visibile la figura sdraiata di un dormiente completamente avvolto in un lungo mantello che ricorda un disegno del Grimaldi, raffigurante tra gli affreschi del vecchio San Pietro, la figura dell'imperatore Costantino che giace nella medesima posa
10.
L'aquila ad ali spiegate sorreggente il festone nello spazio inferiore del
timpano del tempietto, esattamente sotto Nerone, inoltre, risulta simile al
classico rapace della Basilica dei Santi Apostoli
11 o a quello
dell'ara del dio sole conservata a Roma nei Musei Capitolini
12 (f.13). Mentre l'iconografia imperiale può essere accostata a quella del Traiano che consegna ai valorosi la ricompensa ricevendone
l'omaggio
13 e all'imperatore dei perduti affreschi del San Pietro
costantiniano
14.
Il corteo di fanti e cavalieri che conducono via l'apostolo è simile a
scene presenti ancora nella Colonna Traiana, soprattutto per il senso di
circolarità ed avvitamento ascensionale, qui dato per raggiungere la
sommità del Gianicolo
15. La stessa immagine del Santo ricorda
quella dei prigionieri manibus victi rappresentati sul fusto della
stessa colonna
16 ed il cavaliere e gli appiedati che suonano lunghe
tube richiamano la scena della presa del tempio di Gerusalemme nell'arco di
Tito e i rilievi visibili già nel XV secolo, presso la chiesa di Santa
Maria in Trastevere
17, confrontabili anche per la selva di lance e
il drappo rettangolare con le insegne.
Lo schema seguito dal Filarete nell'illustrare la crocifissione riprende,
infine, con qualche variante, il medesimo usato nelle pitture del sacello di
Giovanni VII in San Pietro
18.
Tra la folta schiera dei militi che salgono al monte parrebbe individuarsi un
(auto)ritratto dell'Averlino, riconoscibile dal volto, di tre quarti, posto
quasi perpendicolarmente alla testa di San Pietro, che rivolge lo sguardo al di
fuori, estraniandosi dal continuum narrativo (f. 14).
Se in questa immagine e nell'altra omologa del riquadro del Martirio
paolino corrispondente sul battente sinistro (f. 15), posta centralmente tra i
militi a cavallo in primo piano
19 (f. 16) si riconoscesse ancora
un'effigie filaretiana, potrebbe evidenziarsi come il ruolo assegnatosi nelle
due scene fosse apparentemente quello dell'artista immerso suo malgrado negli
eventi con l'obbligo di narrarli obbiettivamente, ma, in questi casi, anche
criticamente, attestando la coscienza del proprio ruolo e l'importanza della
propria funzione. E ciò collocherebbe l'Averlino nella scia delle
maggiori personalità culturali ed artistiche dell'epoca, che stavano
emancipandosi dal ruolo subalterno di artifices, rivendicando la propria
autonomia intellettuale.
Considerazioni iconografiche
Il racconto, l'ambientazione e quindi l'iconografia prescelta dall'autore per
il Martirio mostrano attenta cura nel rispetto delle fonti e della tradizione
letteraria; e la stessa collocazione topografica degli elementi e dei monumenti
appare, ancora una volta, studiata al mantenimento della storicità degli
eventi.
Difatti se per le modalità dell'esecuzione tutte le fonti sembrano
concordare, pure divergono circa il sito nel quale avvenne. Gaio, che visse al
tempo del vescovo Zefirino (199-217), pur non parlando dei luoghi nei quali i
due apostoli vennero martirizzati, indica i loro trofei nella zona vaticana per
Pietro, sulla via Ostiense per Paolo; così anche il Cronografo del
354, San Girolamo
20 ed il redattore del martirologio
gerosolimitano del V secolo. Nel Liber Pontificalis,
risalente al 500 circa, si parla anche del luogo ove San Pietro fu
crocifisso
21, ed uguali indicazioni si leggono nella Notitia
Ecclesiarum urbis Romae
22. Ancora più preciso sembra
essere nei suoi Cataloghi Cencio Camerario dell'XI secolo, che nomina
sia l'obelisco che la meta Romuli
23, ripreso tra il 1159 e il
1181 da Pietro Mallio nella Descriptio Basilicae Vaticanae
che aggiunge dati particolarmente interessanti: "In Naumachia iuxta
Ecclesiam Sanctae Mariae in Traspontina, est sepulchrum Romuli, quod vocatur
Meta [_] ex quibus opus graduum Sancti Petri peractum fuit"; continua
ricordando come: ''haec habuit quoque circa se Therebintum
Neronis tantae altitudinis, quantam et castellum Hadriani imperatoris
miro lapide tabulatum. Quod aedificium rotundum fuit cum duobus geronibus sicut
castrum [_]. Et iuxta hoc aedificium crucifixus fuit beatus Petrus
apostolus"
24
Nel XV secolo, notizie simili riportano l'Anonimo Magliabechiano e
Poggio Bracciolini, che nel De varietate Fortuna nomina i luoghi
non mettendoli, però, in relazione con la crocifissione.
Per quanto concerne l'iconografia del pannello filaretiano, risultano
fondamentali le due teorie espresse, pressoché contemporaneamente, da
Flavio Biondo e Maffeo Vegio a tale proposito e circa l'esistenza e la
localizzazione topografica precisa dei monumenti, citati anche dall'Averlino,
che sembra aver tenuto conto di entrambi i loro scritti nella sua
raffigurazione della scena.
Il Biondo nella Roma Instaurata
25 si dilunga a
descrivere il monte vaticano reputando false le notizie che situano in questa
zona il palazzo neroniano
26 mentre, nel capitolo XLIIII, ribadisce
come in quella parte dell'area vaticana denominata Naumachia, fosse
stata costruita la chiesa di San Pietro. Lo studioso affronta poi la
controversa questione del Locus martirii Beati Petri Apostoli,
accreditando l'ipotesi che fosse avvenuto "ad therebintum inter duas metas
[_] in Vaticano", nella zona appunto usata da Nerone per i giochi ed i
supplizi dei cristiani
27.
Il Vegio nel De rebus antiquis memorabilibus Basilicae Sancti Petri
Romae del 1455 si contrappone a questa teoria collocando gli eventi
nella zona del Montorio sul Gianicolo, ove attualmente sorge il Tempietto
bramantesco intitolato a San Pietro
28. Per comprovare le sue
affermazioni, si appoggia all'autorità di Eusebio e Gaio, notando come
al tempo di Nerone la Mole Adriana non potesse esistere poiché
cronologicamente molto posteriore e riporta, inoltre, che delle due mete una
"in Vaticano est, altera iuxta montem Aventinum: inter quas verum est dicere
montem aureum in quo vere is crucifixus est positum esse"
29.
Da quanto succintamente riportato risulta più che certo, quindi, che il
Filarete conoscesse bene la topografia della Roma imperiale, ove era avvenuto
il martirio, e delle sue rovine ed avesse attentamente esaminato le
architetture romane che costituiscono lo sfondo alla scena durante il suo
soggiorno in città, tanto che nel Trattato le ricorderà
più volte.
Spiegando ad esempio allo Sforza l'aspetto e la funzione dell'anfiteatro,
nomina quello di Nerone
30; ancora, disquisendo sul modo di costruire
i ponti, di sfuggita cita quello che è sotto la sepoltura di Adriano,
cioè Castel Sant'Angelo, "il quale oggidì si chiama ponte di San
Pietro"
31; infine, analizzando la forma geometrica della piramide,
prende ad esempio proprio la Cestia
32.
Osservando il pannello bronzeo (f. 17) si può notare una sorta di
sintesi visiva tra le due teorie riportate dal Biondo e dal Vegio: vi sono
infatti sbalzati i monumenti romani citati dal primo (meta, terebinto, Mole
Adriana); ma la crocifissione vera e propria è situata sull'altura
facilmente individuabile con quella del Monte Aureo, come riteneva il secondo
umanista
33. Tale accostamento e la dislocazione degli elementi
compiuta, rivestono un valore che trascende quello paesaggistico e topografico
ed assumono una valenza nettamente simbolica e politica. Nella sequenza
scenica, da destra a sinistra, si susseguono visivamente, infatti: il sepolcro
di Remo e del fratello Romolo; la personificazione allegorica di Roma e dei
suoi successi militari
34; il sepolcro di Adriano, imperatore vissuto
e morto posteriormente agli eventi narrati (e monumento divenuto poi fortino e
baluardo di difesa per la città cristiana e pontificia), la cui presenza
perciò non può che assumere significato insieme allegorico,
storico ed appunto politico, in una sorta di continuità provvidenziale
tra la prima e la seconda Roma. Ruolo figurativamente non secondario è
assegnato al fiume Tevere.
La tipologia iconografica adottata dall'Averlino o a lui suggerita risulta
perciò vicina, soprattutto ideologicamente, alle illustrazioni dei
medioevali Mirabilia urbis, che proponevano nelle loro
ricostruzioni monumenti e topografie a volte adattate e rese funzionali agli
intenti didattici ed esplicativi del testo. Quanto scolpito dal Filarete,
infatti, sembra racchiudere alcune delle caratteristiche sintetizzate da Silvia
Maddalo
35 a proposito delle vedute compendiarie di Roma quasi sempre
riprese da un punto di vista non zenitale, qui con Castel Sant'Angelo e la zona
Vaticana che poco mantengono della realtà geografica, rendendo, ad
esempio, il Gianicolo frontale alla Mole (quindi sversato di 90deg.) e al di
là dal Tevere, mentre in realtà i Colli Gianicolensi si elevano
alle sue spalle, lungo il corso destro del fiume.
Si può anche notare come il Filarete pur avendo per primo scritto degli
esperimenti brunelleschiani in relazione alla riscoperta della prospettiva ed
esemplificato nel Trattato
36 il procedimento dell'Alberti (il
De Pictura risale al 1435), nel rappresentare l'edicola neroniana
nei due Martirii, adotta uno scorcio prospettico che va all'inverso della
'legittima' albertiana, mentre nella rappresentazione sintetica dei monumenti
del pannello petriano, ad esempio, la parte superiore del Mausoleo è
disegnato come arco di cerchio, rivelando ancora un'indecisione nel metodo
prospettico da adottare
37.
La passione, chè tale si dimostra, nella resa storica, filologica e
figurativa del pannello del Martirio di San Pietro (e dell'altro paolino), con
l'aggiunta di quella mitologica nei girali abitati nella cornice della porta,
evidenzia l'interesse che la cerchia di consiglieri-programmatori presenti
nella Corte pontificia insieme all'Artista: Biondo Flavio, Poggio Bracciolini,
Leon Battista Alberti, Maffeo Vegio etc., portavano nel riscoprire, analizzare
e trasferire in lettere o in plastica il sapere umanistico, alla luce di un
neo-platonismo, venato di epicureismo, che nel prossimo Rinascimento
configurerà un modo totalmente nuovo di sentire l'uomo e la sua
immersione nella natura.
NOTE
(1)
Tale scena torna ad esempio nella tomba della caccia e della
pesca di Tarquinia, nella Cynegetica di Oppiano, risalente al X
secolo, nell'Octateuco della Biblioteca Laurenziana di Firenze del
XII secolo e in alcune scene miniate del De arte venandi cum
avibus [M. Salmi, La miniatura italiana, Milano cit., f. 44, p.
34 e tav. III. Più tardi, invece, è rappresentata in vari episodi
degli affreschi della cappella Sistina: nella Circoncisione del figlio di
Mosè, nella Chiamata degli apostoli del Ghirlandaio, nel Discorso della
montagna di Cosimo Rosselli; e, infine, nell'Incendio della Foresta dipinto da
Piero di Cosimo nel 1500 c. a., certamente influenzato dalla conoscenza della
sezione superiore del mosaico di Palestrina, utilizzato anche nelle iconografie
polifilesche; si cfr. a tal proposito, Calvesi M., La <<Pugna d'amore
in sogno>> di Francesco Colonna romano, Roma 1996, pp. 307/8.
(2)
Ad iniziare dall'attico troviamo, posti angolarmente a suddividere
due pannelli rettagolari, tre figurine di armati. Nel primo riquadro è
rappresentata una scena di sacrificio; nel secondo il carro di Cibele (mutata
in figura maschile), trainato da leoni e preceduto da satiri che suonano. La
parete visibile dell'edificio è ricoperta anch'essa di rilievi
alternativamente circolari e rettangolari: dall'alto il primo tondo circoscrive
l'immagine di un cavaliere che caccia con la lancia il cinghiale; segue un
rettangolo con sbalzata la figura di un satiro sdraiato su una lettiga dotata
di ruote e trascinata da putti alati; un secondo rettangolo di dimensioni
minori con un altro satiro trasportato da amorini. La serie ricomincia con il
secondo tondo in cui si scorgono tre figure di cui una, inginocchiata, rende
omaggio (verosimilmente) al personaggio seduto, mentre un terzo, sembra alzare
il braccio; nel rettangolo successivo, satiri seduti suonano; in quello
maggiore, un ennesimo satiro trascina una lettiga su cui sono di nuovo puttini
alati. A chiudere è il secondo tondo con la figura, speculare alla
prima, di cacciatore.
(3)
AA. VV., Memoria dell'antico, I, Torino 1984, f. 272 e f. 56.
(4)
Tale rappresentazione o anche edifici con porte serrate, sono note
dall'antichità soprattutto attraverso sarcofagi e rilievi: ad esempio,
quello degli Haterii [S. Settis, A. La Regina, V. Farinelli, La
colonna traiana, Torino 1988, f. 37], il sarcofago con le immagini di
Mercurio che esce da una porta, conosciuto nel medioevo, tra gli altri dal
Boccaccio, già conservato nel battistero fiorentino, oggi nel Museo
dell'Opera del Duomo [P. Pray Bober, R. Rubinstein, Renaissance artists and
Antique sculpture, Londra 1987, f. 11 e p. 58]; quello a porta chiusa
databile al 249-250 d.C. noto nel Cinquecento, presso il Palazzo dei
Conservatori [Ibid., f. 56] e l'altro da Velletri con Ercole e Alcesti [R.
Bianchi Bandinelli, Roma, la fine dell'Arte Antica, Milano 1988, p. 47,
f. 41]; infine, compare in un reperto del Museo Pio Vaticano del IV secolo
(Fasola U. M., Pietro e Paolo a Roma, Roma 1980, p. 94) e nella cassetta
di Samagher a Pola [C. Galassi Paluzzi, La basilica di San Pietro,
Bologna 1975, f. 46].
(5)
Memoria dell'antico, cit., I, f. 273 e f. 278.
(6)
Si veda Borsi S., Polifilo Architetto, Roma 1995, pp. 143 e 153;
Colonna F., Hypnerotomachia Polifili, a cura di Pozzi G, Ciapponi
A. L., Padova 1980, p. 72 e ss,; Calvesi M., La Pugna d'amore in sogno f. ndeg. 5. Si cfr.anche Averlino A., Trattato di Architettura, a cura di Grassi L.,
Finocchi A. M., Milano 1972, I, pp. 37 e 137; e Colonna F., Hypnerotomachia Polifili , cit., pp. 72 e 445. Dalla Bolla
Pontificia datata al 5 maggio 1473, rinvenuta dal Dott. Stefano Colonna
nell'Archivio Colonna-Sciarra di Palestrina, si è a conoscenza che il
Colonna polifilesco già Canonico di San Giovanni in Laterano lo fu
successivamente anche della Basilica di San Pietro, Stefano Colonna
Anteprime documentarie polifilesche, in Calvesi M., La <<Pugna
d'amore in sogno>> , p. 313 e ss. e Borsi S., Polifilo
Architetto, cit., p. 203.
Posteriori al pannello filaretiano risultano alcune raffigurazioni della
città che si riportano quali esempi di continuità
rappresentativa: quella nella miniature di anonimo realizzate nel 1450 ed oggi
nella Biblioteca Reale di Torino [cod. 102, in Memoria dell'antico, cit;, I, f.
276; C. Scaccia Scarafoni, Le piante di Roma, cit.] e di Pietro del
Massaio nel codice della Cosmografia di Tolomeo del 1472, conservata nella
Bibliotheque National di Parigi; nel dipinto anonimo del Palazzo Ducale di
Mantova del XVI secolo [G. Tardini, La basilica Vaticana ed i borghi,] e
nella più tarda pianta panoramica di Roma del 1550 [Tipo
Bergomensis, derivata da quella di Münster: C. Scaccia Scarafoni,
Le piante di Roma, cit., cat. 127].
(7)
G. Grimaldi, Descrizione della Basilica antica di San Pietro,
p. 169, cod. Bbr. Lat. 2733 e note a cura di R. Niggl, Roma 1972. E ancora lo
erano in quelli di Cimabue nella crociera che ospita la figura di San Marco
nella volta centrale del transetto della Basilica di San Francesco ad Assisi
del 1280 c. a., E. Sindona, Cimabue ed il momento figurativo
pre-giottesco, Milano 1975, nn. 17-18, e tav. XV.
(8)
M. Calvesi, Le arti in Vaticano, Milano 1980, p. 19.
(9)
La prima moneta confrontabile è il denarius di C. Cornelius
Lentulus Marcellinus, rappresentante appunto il dio della guerra con alcuni
putti di somiglianza con la figura di Averlino: ha infatti testa coperta da un
elmo, corta tunica, alti coturni, poggia la destra ad un'asta ed ha aspetto
naturalmente militare [L. Cesano, La figura di Roma sulle monete romane,
in "Atti del I congresso Nazionale di Studi Romani", Roma 1929, p. 54]. Simili
risultano ancora le figure di Marte sul denarius di Q. Lutatius
Cerco (effigie femminea, ciocche di capelli che fuoriescono dall'elmo a
calotta sferica, leggenda ROMA) [Ibid., p. 54] e della prima, seconda e terza
emissione di conio con Minerva, con elmo arrotondato, crestato, con visiera a
diadema e ciocche che fuoriescono dal paranuca.
(10)
G. Grimaldi, Descrizione, cit., p. 177. Inoltre confrontabile con
il Giacobbe di una miniatura di Bibbia medioevale a Catania [AA. VV., L'Arte
degli Anni Santi Roma 1300-1875, Milano 1984, f. VII.24, p. 322] e del
Queen Mary's Psalter, di Samuele [N. H. J. Westlake, W. Purdue, The
illustrations of the old Testament History in Queen Mary's Psalter, Londra
1865, tav. CXVI] e dello Jesse sognante nel Gorleston's Psalter [S. Cockerell,
The Gorleston's Psalter, Londra 1907, f. 8, tav. IV, e di alcuni
dormienti, tav. XCIII], nel Saint Omer Psalter [Ibid., f. 7], nel Douai
Psalter [Ibid., f. 1] e nel Omersby Psalter [Ibid., f. 96]. Nella
sola positura ricorda la ninfa dormiente risalente al II secolo e conosciuta in
varie copie, in Vaticano e nella casa Galli al Parione [P. Pray Bober, R.
Rubinstein, Renaissance artists, cit., f. 62, p. 98].
(11)
Ib., f. 186.
(12)
La cui iconografia sembra testualmente ripresa ancora nel Polifilo,
si cfr. Calvesi M., La <<Pugna d'amore in sogno>>, cit., ff.
40 e 41.
(13)
S. Settis, A. La Regina, V. Farinelli, La colonna traiana, cit., 67
(XLIV-XLV, 115-117), p. 325. E alla figura scolpita nella zona superiore del
sarcofago Ludovisi attualmente nel Museo Nazionale Romano [E. Bairati, A.
Finocchi, Arte in Italia, Torino 1984, p. 201, f. 418]. O quella di
Pilato nel sarcofago di Giunio Basso [C. Galassi Paluzzi, La basilica di San
Pietro, cit., f. 76]. Simile è anche l'iconografia dell'Erode del
dittico eburneo risalente alla seconda metà del V secolo conservato a
Milano [C. Shug-Wille, L'arte bizantina, Milano 1989, p. 61]; e di
quello in una scena tessuta sul camice con medaglioni a storie sacre,
appartenuto a Bonifacio VIII [C. Galassi Paluzzi, La basilica di San
Pietro, cit., f. 84].
(14)
G. Grimaldi, Descrizione, cit.; E della scena di fronte a Simon
Mago negli affreschi di Cimabue ad Assisi [E. Sindona, Cimabue e il momento
figurativo giottesco, cit., f. 37], mentre, per il dettaglio dello scranno
su cui siede, quello con il San Martino che rinuncia alle armi di nuovo ad
Assisi di Simone Martini [G. Contini, M. C. Gozzoli, Simone Martini,
Milano 1970, tav. XXIV].
(15)
Ad esempio quella con i cavalli che si abbeverano [scena 126, LXXIV-LXXV,
190-192, p. 384; scena 266, CXLIV-CXLV, 382-385, p. 524; scena 267, CXLV,
383-386, p. 267].
(16)
Scena 128, LXXV, 193-195, p. 386; scena 129, LXXV, 194-196, pp. 386-387.
Ancora, cavalieri in atteggiamento simile possono ritrovarsi sulla base della
colonna Antonina [R. Bianchi Bandinelli, Roma, l'arte romana al centro del
potere, Milano 1985, ff. 322-323, p. 28], sul sarcofago di Elena nel Museo
Pio Clementino [F. Negri Arnoldi, Storia dell'arte, I, Milano 1985, p.
345, f. 594] e nei perduti affreschi di Santa Maria Maggiore, come testimoniano
i disegni di Seroux d'Agincourt [AA. VV., Memoria dell'antico, cit., I,
f. 131].
(17)
Come riporta un disegno di Francisco de Hollanda [P. Pray Bober, R.
Rubinstein, Renaissance artists, cit., p. 196]. Ancora, sono presenti
nell'episodio con il trionfo di Marco Aurelio nel palazzo dei Conservatori [AA.
VV., Memoria dell'antico, cit., I, f. 204].
(18)
C. Galassi Paluzzi, La basilica di San Pietro, cit., f. 57. E in
quelle di Cimabue ad Assisi [E. Sindona, Cimabue e il momento figurativo
pregiottesco, cit., tav. XXXII] e da Giotto nel polittico Stefaneschi [M.
Calvesi, Le arti in Vaticano, cit., p. 31]. Il particolare delle due
scale appoggiate alla croce si ritrova nel Seppellimento di Firenze di Taddeo
Gaddi del 1340-1345 [P. Donati, Taddeo Gaddi, Firenze 1966, f. 67]. E'
dipinta nel mosaico nel duomo di Anagni [E. Lavagnino, L'arte
medioevale, Torino 1949, p. 437, f. 507] e sul dossale di San Pietro, di
anonimo senese dell'ultimo quarto del XIII secolo [F. Bologna, La pittura
italiana dalle origini, Roma 1962, f. 88]. Si riscontra anche in alcune
miniature, quale quella del Liber ystoriarum Romanorum ancora
della fine del XIII secolo, che vede la crocifissione avvenire tra le due mete
ed il terebinto [AA. VV., L'arte degli anni santi, cit., f. 1b, p. 24],
quella nel miracolo di San Nicola di Bari alla Laurenziana [cod. Conv. soppr.
457, in P. D'Ancona, La miniatura fiorentina, secc. XI-XVI, Firenze
1914, I,] della metà del Quattrocento, e l'altra, posteriore al pannello
filaretiano, del francese Fouquet nel Livre d'heures d'Etienne
Chevalier a Chantilly [L. Réau, Iconographie de l'art
Chretiènne, Paris 1959, p. 1098]. Per i rapporti tra Filarete e
Fouquet a Roma, cfr. A. Cianfarini, Incontro tra il fiorentino Averlino e
l'Olremontano Jean Fouquet alla corte di Eugenio IV, di prossima
pubblicazione.
(19)
La figura scortata tra i due a cavallo dai profili schiacciati e quasi
perfettamente sovrapponibili, è quella di un uomo maturo, dai corti e
ricci capelli che lasciano scoperti gli orecchi. Due profonde rughe segnano la
fronte, gli occhi sono incassati sotto l'evidente arcata sopraccigliare e le
palpebre risultano leggermente rilevate. Il naso è pronunciato ma
sottile e la bocca atteggiata in una smorfia che ne rialza l'angolo superiore,
creando un'evidente ruga, mentre il mento è appuntito e sfuggente.
L'uomo indossa una camicia che termina superiormente con un collo arrotondato e
chiuso. Queste caratteristiche fisiognomiche sembrano coincidere con quelle
risultanti dall'esame contestuale dei cinque autoritratti averliniani
accertati, tutti di profilo: due di essi sono scolpiti sul portale, uno nel
retro; infine due nella medaglia autocelebrativa, probabilmente risalente agli
anni '60 del XV secolo. L'ipotesi che questa possa essere un'altra
(auto)presentazione di tre quarti dell'Averlino, al di là di tali
riscontri iconografici oggettivi e plausibili, sembrerebbe avvalorata dalla
ubicazione e positura preminente e centrale che l'immagine assume nel pannello.
Pure se immersa in un flusso narrativo continuo, la figura, volgendosi
all'indietro lo interrompe, spiccando inoltre per l'espressività
emergente anche nell'esiguità dello spazio, che viene come a
ritagliarsi, colmandolo. Lo sguardo del personaggio è diretto alla volta
di Paolo, partecipa del suo dramma e, quasi disapprovando, corruga la fronte
accentuando la smorfia delle labbra atteggiate a disgusto. Si anticipa qui, per
assonanza iconografica, come nel successivo martirio petriano, sembri apparire
un ulteriore (auto)ritratto averliniano.
(20)
"Sepultus Romae in Vaticano iuxta viam Triumphalem totius orbis
veneratione celebratur", in L. Duchesne, Naumachia, obelisque,
tèrèbinthe, dissertazione letta alla Pontificia Accademia
Romana di Archeologia il 16 genneaio 1902, p. 138.
(21)
"Sepultus est in via Aurelia in Templum Apollinis, iuxta locum ubi
crucifixus est, iuxta Palatium Neronianum in Vaticanum, iuxta territorium
Triumphalem", in Codice topografico, cit., p. 221; J. M. Huskinson,
The crucifixion of st. Peter: a fifteenth century topographical problem,
in "Journal of the Warburg and Courtauld Institutes", 32 (1969), pp. 135-161;
U. M. Fasola, Pietro e Paolo, cit., p. 116.
(22)
625-638 ca. Codice topografico, cit., p. 94: "Via Cornelia et
sic intravis Via Vaticana donec pervenies ad Basilicam Beati Petri [_]
eminentem super omnes ecclesias et formosam in cuius occidentali plaga beatum
corpus eius requiescet" e ivi, p. 106: "primum Petrus in parte
occidentali civitatis iuxta Via Corneliam [_] requiescit".
(23)
"Proficisciens ante obeliscum Neronis intrat per porticum iuxta
sepulchrum Romuli, ascendit ad Vaticanum in Basilica Beati Petri Apostoli",
Ibid., III, p. 218 ss.
(24)
Ibid., p. 431; nel periodo medioevale, inoltre, si diffusero due leggende
basate sugli scritti dello pseudo-Lino e dello pseudo-Marcello: il primo
riteneva che il Santo avesse subito il martirio "iuxta obeliscum Neronis in
monte", non interessandosi al luogo di sepoltura; il secondo, che il
supplizio fosse comune per Paolo e Pietro, e che questi fosse stato crocifisso
nella Naumachia e seppellito "sub therebintho",Duchesne L.,
Naumachie, cit.).
(25)
AA. VV., "Codice topografico", cit., p. 247 e ss. qui
(26)
"Quod quidem falsissimum esse non dubitamus", ibid., p. 271.
(27)
"Etiam habetur ecclesiam Scti Petri extructam fuisse apud
Naumachiam", ibid., p. 271 e: "Nam cum ad therebinthum", J. M.
Huskinson, The crucifixion, cit., appendice 1, pp. 158-159.
(28)
Vedi anche U. M. Fasola, Pietro e Paolo a Roma, cit., p. 66: "In
monte aureo, ubi templum Apollinis erat, nunc Sancti Petri ex nomine eius ubi
et crucifixus est [_] quod beatus Petrus passus fuerit in monte aureo sive
ianiculo", in J. M. Huskinson, The crucifixion, cit., appendice 1,
p. 160. Si cfr. anche P. Luigi Vannicelli, San Pietro in Montorio e il
tempietto del Bramante, Roma 1971, pp. 11/12, ove si riassumono le notizie
relative alla topografia dei luoghi gianicolensi e vaticani fin dai tempi di
Cesare, Augusto e Nerone nonchè alla terminologia di Mons Aureo,
come originato da Aura (ventoso) e non Aureo (d'oro) e Calvesi M., La
<<pugna d'amore in sogno>>, cit., pp. 226/7, nota ndeg. 1. A
proposito dell'attività romana di Donato Bramante, si vedano anche
Calvesi M., Il sogno di Polifilo prenestino, cit., pp. 62/65; Calvesi
M., La <<pugna d'amore in sogno>>, cit., pp. 70/73, 95/6,
103, 150, 225; Borsi S., Polifilo Architetto, cit., pp. 95, 215/228.
(29)
Ibid., p. 161 e Codice topografico, cit., pp. 377 e ss.
Molti altri umanisti e scrittori italiani e stranieri si sono interessati alla
vicenda che si può dire non abbia a tutt'oggi trovato ancora piena
soluzione e tutti si sono posti sulla scia dei primi studiosi, già
analizzati, occupandosi della storia del sito, del martire e della basilica.
Così Leon Battista Alberti nella Descriptio Urbis
Romae, scritta tra il 1432 e il 1434; il viaggiatore tedesco
Nicolas Muffel nel Beschreibung der stadt Rom ("Codice topografico",
cit., IV, p. 359) scritto nel 1452 ed il Rucellai nel De Urbe Roma
("Codice topografico", cit., IV, p. 456). Ancora, il palatium Neronianum, il
mons Vaticanus, il sepulchrum Romuli et il terebinthum Neronis "tantae
altitudinis quantum monumentum Hadriani", sono nominati nella Graphia
aurea urbis Romae, redatta alla seconda metà del XV secolo
("Codice topografico", cit., IV, pp. 85-86), dall'Albertini ("Codice
topografico", cit., p. 473 e ss.) nell'Opusculum de mirabilibus novae et
veteris Urbis Romae del 1510; e dal successivo Eiusdem itinerarium
liber due, Basilea 1551 del Fabricius. A lungo, ma non apportando
sostanziali novità, ne dissertano l'Alfarano nel De Ecclesiis
Christianorum, del 1600 e Torrigio nelle Sacre Grotte
vaticane, Roma 1639. Colloca la crocefissione di San Pietro nel Vaticano
ove erano il circo ed il tempio di Apolline anche C. Fontana Templum
vaticanum et ipsius origo, Roma 1694, seguito dal successivo
De secretariis veteris Basilicae Vaticanae libri quattro,
Roma 1768 di Francesco Cancellieri, e, ormai nell'800, dall'Armellini nelle
Chiese di Roma dalle loro origini fino al 1887. Al Marucchi si deve nel
1900 l'articolo riassuntivo I Santi Pietro e Paolo a Roma, mentre L.
Duchesne col suo intervento già citato apre la serie di studiosi che
affrontano la questione dal punto di vista topografico ed archeologico.
Simili caratteristiche, ma maggiore rigore scientifico infatti ha l'articolo
dell'Huskinson, che si occupa a lungo proprio del pannello filaretiano.
(30)
"Signore, chi se lo facesse fare, neanche chi fusse l'architetto, altro
non ne so se non che si dice Nerone lo fé fare": Filarete,
Trattato, cit., I, p. 337.
(31)
Id., I, p. 357.
(32)
"Piramide si è una forma terminata da cinque punti [_] e da le
[rette] tirata da un posto all'altro [_] E se tu sei stato a Roma alla porta di
san Paolo in su le mura, ovvero che tramezza le mura, ch'è fatta di
marmo, dicono essere la sepoltura di Romolo", ibid., II, p. 649.
(33)
Tra gli studiosi che analizzando il pannello con il martirio di Pietro lo
mettono archeologicamente in relazione con il problema topografico dell'evento
storico è P. Ugonio, Historia delle Stationi, Roma
1588, p. 93, il quale si basa proprio sulla rappresentazione filaretiana per
ribadire come Pietro fosse crocifisso tra le due mete (p. 93). Lo seguono nel
1639 Torrigio (Le sacre grotte vaticane, Roma 1619, pp. 195-196) che,
dopo aver descritte accuratamente e riconosciuto la loro presenza sul pannello
avvicina l'intera struttura iconografica al polittico Stefaneschi di Giotto e
C. Fontana nel 1694 (Templum vaticanum, cit., p. 51 che si esprime
negli stessi termini. Nel 1802 riprende la questione il Cancellieri (De
secretariis, cit.) che, a proposito, cita il pannello col
martirio del ciborio di Sisto IV e su quello della Porta filaretiana ("etiam
in valvis aeneis Templi Vaticani sub Eugenio IV magnifice fabrefactis", p.
947, II); nel '900 Marucchi (I Santi Pietro e Paolo a Roma, Roma 1900)
il quale afferma tra l'altro dove le due mete siano forse rappresentate per la
prima volta quali sepolcri su un'opera monumentale, proprio sulle valve
vaticane (pp. 43-44) e A. Munoz e M. Lazzaroni, che analizzano minuziosamente
la scena nella sua totalità (Il Filarete scultore e architetto del
secolo XV, Roma 1908, p. 116). Fondamentale risulta essere l'articolo
dell'Huskinson che, partendo dalla base iconografica realizzata ritiene di
individuare quale possibile estensore del programma, se non dell'intera opera,
almeno della formella in esame, Maffeo Vegio del quale più che il
Biondo, sembra essersi seguita la ricostruzione storica degli eventi; infatti
la scena, contrariamente alle altre raffigurazioni del medesimo soggetto vede
la crocifissione collocata in altezza sulla collina del Gianicolo e vicino, non
tra le mete, e particolare attenzione viene data alla precisazione topografica
del luogo (p. 157). Nei suoi due interventi del 1986 e del 1988 Parlato vi ha
visto invece una fedeltà filaretiana alle preposizioni del Biondo, e
sottolinea il desiderio di continuità iconografica con esempi due-tre e
quattrocenteschi delle rappresentazioni dell'Urbe posta in relazione
"all'ideologia della renovatio urbis" (E. Parlato, Il gusto
all'antica in Filarete scultore, in AA. VV., Da Pisanello alla nascita
dei Musei Capitolini, Roma 1988, p. 118), individuando il punto di vista
della rappresentazione sul Monte Mario (pp. 115-123).
(34)
In tale immagine Huskinson vede simboleggiata la zona del Campo Marzio ove
le fonti affermano fosse un monumento funebre anch'esso di forma piramidale: J.
M. Huskinson, The crucifixion, cit., p. 144; E. Parlato, Il gusto
all'antica in Filarete scultore, cit., p. 48.
(35)
Vedi S. Maddalo, Roma nelle immagini miniate del primo Quattrocento.
Realtà, simbolo e rappresentazione fantastica, in "Da Pisanello",
cit., p. 53; S. Tumidei, recensione a S. Maddalo, In figura
Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990, comparsa
in "Roma nel Rinascimento", (1992), scheda n. 86, pp. 265-269.
(36)
Averlino A., Trattato, cit; Wakayama E. M. L., Filarete e il
compasso, nota aggiunta alla teoria prospettica albertiana, in ''Arte
Lombarda'', 38/39, (1973), pp. 161/171.
(37)
Mentre apparirà decisamente più moderno, allorchè,
inferiormente e superiormente ai due pannelli dei Martirii, inserirà le
storiette laudatorie di Eugenio IV, dichiaratamente cronachistiche per
tematiche ed avanzate per stile, si veda anche Cianfarini A., Iconografia e
significati della Porta Bronzea (1433-1445) del Filarete in San Pietro,
1994, pp. 192-216.
Bibliografia
Alfarano T., De Ecclesiis Christianorum, Roma 1600.
AA.VV., "Codice topografico della Città di Roma", a cura di R. Valentini
e G. Zucchetti, III, Roma 1946 e IV, Roma 1953.
AA. VV., L'Arte degli Anni Santi Roma 1300-1875, Milano 1984.
AA. VV., Memoria dell'antico I, Torino 1987.
Armellini M., Chiese di Roma dalle loro origini fino al 1887, Roma 1887.
Averlino A., Trattato di Architettura, a cura di Grassi L., Finocchi A. M., Milano 1972.
Bairati E., Finocchi A., Arte in Italia, Torino 1984.
Bianchi Bandinelli R., Roma, l'arte romana al centro del potere, Milano 1985.
Bianchi Bandinelli R., Roma, la fine dell'Arte Antica, Milano 1988.
Bologna F., La pittura italiana dalle origini, Roma 1962.
Borsi S., Polifilo Architetto, cultura architettonica e teoria artistica
nell'Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, 1499, Roma 1995.
Calvesi M., Il Sogno di Polifilo prenestino, Roma 1980.
Calvesi M., Le arti in Vaticano, Milano 1980.
Calvesi M., La <<Pugna d'amore in sogno>> di Francesco Colonna
romano, Roma 1996.
Cancellieri F., De secretariis veteris Basilicae Vaticanae libri quattro, Roma
1768.
Cavallaro A., La colonna Traiana, in Aspetti della Tradizione Classica nella
cultura artistica fra Umanesimo e Rinascimento, Roma 1985/86, pp. 137/48.
Cesano L., La figura di Roma sulle monete romane, in "Atti del I congresso
Nazionale di Studi Romani", Roma 1929.
Cianfarini A., Iconografia e significati della Porta Bronzea (1433-1445) del
Filarete in San Pietro, Roma 1994, pp. 192-216.
Cianfarini A., Iconografia e significati della Porta bronzea del Filarete in
San Pietro, (1433-1445), in AA. VV., Temi profani e allegorie nell'Italia
centrale del Quattrocento, a cura di A. Cavallaro, Roma 1995, pp. 106/116.
Colonna F., Hypnerotomachia Poliphili, a cura di Pozzi G, Ciapponi A. L.,
Padova 1980.
Cockerell S., The Gorleston's Psalter, Londra 1907.
Contini G., Gozzoli M. C., Simone Martini, Milano 1970.
D'Ancona P., La miniatura fiorentina, secc. XI-XVI, I, Firenze 1914.
Donati P., Taddeo Gaddi, Firenze 1966.
Duchesne L., Naumachia, obelisque, tèrèbinthe, dissertazione
letta alla Pontificia Accademia Romana di Archeologia il 16 gennaio 1902.
Fasola U. M., Pietro e Paolo a Roma, Roma 1980.
Fontana C., Templum vaticanum et ipsius origo, Roma 1694.
Galassi Paluzzi C., La basilica di San Pietro, Bologna 1975.
Grimaldi G., Descrizione della Basilica antica di San Pietro, cod. Bbr. Lat.
2733, note a cura di R. Niggl, Roma 1972.
Huskinson J. M., The crucifixion of st. Peter: a fifteenth century
topographical problem, in "Journal of the Warburg and Courtauld Institues", 32
(1969).
Josi E., Battisti E., Pasquero F., Pietro Apostolo Santo, in Enciclopedia
Cattolica, IX, Firenze 1952, pp.1400/28.
Lavagnino E., L'arte medioevale, Torino 1949.
Maddalo S., Roma nelle immagini miniate del primo Quattrocento. Realtà,
simbolo e rappresentazione fantastica, in "Da Pisanello alla nascita dei Musei
Capitolini, Roma 1988.
Maddalo S., In figura Romae. Immagini di Roma nel libro Medioevale, Roma
1990.
Marucchi O., I Santi Pietro e Paolo a Roma, Roma 1900.
Mattingly H., Coins of the roman Empire in the British Museum, I, Londra 1923.
Mattingly H., Roman Imperial Coinage, Londra 1923/33.
Munoz A., San Pietro in Vaticano, in Le Chiese di Roma Illustrate, Roma 1884.
Munoz A., Lazzaroni M., Il Filarete scultore e architetto del secolo XV, Roma
1908.
Negri Arnoldi F., Storia dell'arte, I, Milano 1985.
Panvinio O., De Ecclesiis Christianorum, in Mai A., Spicilegium Romanum,
IX,1843.
Parlato E., La Porta di San Pietro del Filarete, in AA. VV., Aspetti della
Tradizione Classica nella cultura artistica fra Umanesimo e Rinascimento, Roma
1985/86, pp. 32/43.
Parlato E., Il gusto all'antica in Filarete scultore, in AA. VV., Da Pisanello
alla nascita dei Musei Capitolini, Roma 1988, pp. 114-123.
Pray Bober P., Rubinstein R., Renaissance artists and Antique sculpture, Londra
1987.
Réau L., Iconographie de l'art Chretiènne, Paris 1959.
Salmi M., La miniatura Italiana, Milano.
Scaccia Scarafoni C., Le piante di Roma, Roma 1939.
Settis S., La Regina A., Farinelli V., La colonna traiana, Torino 1988.
Shug-Wille C., L'arte bizantina, Milano 1989.
Sindona E., Cimabue ed il momento figurativo pre-giottesco, Milano 1975, nn.
17-18, e tav. XV.
Squarzina Danesi S., L'Immagine di Roma come simbolo e come tramite della
continuità dell'antico nel disegno d'architettura dei secoli XV e XVI,
in AA. VV., Il significato delle cultura dell'antico nell'architettura
dell'Umanesimo. Note di teoria e storiografia, Roma 1979.
Squarzina Danesi S., Eclisse del gusto borghese e nascita della cultura
antiquaria: Ciriaco, Feliciano, Marcanova, Alberti, in AA. VV., Da Pisanello
alla nascita dei Musei Capitolini, Roma 1988, pp.27/53.
Tardini G., La basilica Vaticana ed i borghi, Roma 1936.
Torrigio F. M., Sacre Grotte vaticane, Roma 1639.
Tumidei S., recensione a S. Maddalo, In figura Romae. Immagini di Roma nel
libro medioevale, Roma 1990, in "Roma nel Rinascimento", (1992), scheda n. 86,
pp. 265-269.
Ugonio P., Historia delle Stationi, Roma 1588.
Vannicelli P. L., S. Pietro in Montorio e il tempietto del Bramante, Roma
1971.
Wakayama E. M. L., Filarete e il compasso, nota aggiunta alla teoria
prospettica albertiana, in ''Arte Lombarda'', 38/39, (1973), pp. 161/171.
Westlake N. H. J., Purdue W., The illustrations of the old Testament History in
Queen Mary's Psalter, Londra 1865.
Wilpert G., I sarcofagi cristiani antichi, 1929.