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Una veduta di Roma
nel bronzo filaretiano della Porta Vaticana
Comunicazione per l'incontro di Studi su " Il mito di Roma nel Rinascimento "
Angela Cianfarini
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 130 (24 maggio 1996)
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La vedutistica della città di Roma è stata fonte d'ispirazione artistica e letteraria attraverso i secoli. Nè poteva essere altrimenti, stante la Fama Urbis, sia per motivi storici e politici che per la ricchezza e bellezza dei suoi monumenti civili e religiosi.

Le citazioni proponibili sarebbero oltremodo numerose, basti ricordare le molte " guide " medioevali redatte ad usum peregrinorum illustranti le meraviglie dell'antichità pagana e quelle cristiane, corredate da miniature delle piante della Città, che ne presentavano in modo schematico, ma essenziale, i profili salienti o alcuni noti affreschi tre-quattrocenteschi, come quello di Taddeo di Bartolo nel Palazzo Pubblico di Siena del 1414 o sullo sfondo del masoliniano Miracolo della neve.
Una delle raffigurazioni più interessanti, realizzata nel periodo in cui il Tardo-Medioevo volge all'Umanesimo, è rappresentata nel pannello inserito nella porta bronzea della Basilica costantiniana di San Pietro in Roma, eseguita da Antonio Averlino tra il 1433 ed il 1445, su commissione di Papa Eugenio IV Condulmer (f. 1).

Questo pannello rettangolare (cm. 98 x cm. 93), che fa da pendent all'altro con la Decapitazione di San Paolo, ha come tema il Martirio dell'Apostolo Pietro, (f.2), risultando iconograficamente e contenutisticamente la sezione più complessa del portale. Per una più agevole lettura può essere suddiviso orizzontalmente in tre piani attraverso i quali si snoda la vicenda.

Nel primo e da sinistra appare (f. 3): una costruzione fortemente scorciata identificabile come Piramide Cestia, cui segue la personificazione di Roma in vesti d'amazzone seduta su di un elmo e numerose armi-trofeo sparse sul terreno erboso. Quasi centralmente, è scolpita una ricostruzione fantasiosa e rovesciata della Mole Adriana, che mostra l'ingresso, con il fiume alle spalle e dalla cui porta dischiusa appare l'animula dell'Imperatore. Sulla sommità dell'edificio è una seconda figura virile, nuda e voltata verso il Tevere. Segue il simbolico albero del terebinto, e, all'estrema destra, un secondo edificio piramidale, la cosiddetta Meta Romuli.
Al di là di questi monumenti, scorre il fiume Tevere, sulle cui rive, all'estrema destra, si trova una carcassa equina delle cui viscere si ciba un cane, mentre alla stessa altezza sull'altro lato, un cavaliere lanciato al galoppo tra i flutti si volge indietro come a rifuggire dalla scena cruenta. All'estrema sinistra, nello spazio tra la cornice esterna e la piramide Cestia, compare una serie simbolica di animali: un rapace stringe nel rostro un coniglio, un leone ghermisce una scimmia ed un lupo, seminascosto da un tronco, osserva; scene che si ritrovano simili nel corrispondente pannello paolino ov'è anche visibile un emblematico volo d'uccelli 1 (ff. 4, 5).

Sulla destra della fascia intermedia (f. 6) campeggia un'edicola imperiale vista in scorcio ed ornata da numerosi rilievi a soggetto classico 2che con la sua mole sovrasta incombente le due fasce prospettiche superiori; all'interno siede Nerone, contornato dai pretoriani mentre impartisce l'ordine di condurre a morte l'apostolo. All'esterno si snoda verso l'alto il corteo di fanti e cavalieri che scorta il prigioniero dalle mani legate.

Nell'ultimo campo, alla sommità del colle (f. 7), è raffigurato il sacrificio: due carnefici inchiodano i piedi del martire dall'alto di scale appoggiate alla estremità del lato lungo della croce capovolta, venendo a formare un perfetto schema triangolare che riprende e conclude quello delle due mete in basso, mentre altri due scherani inginocchiati fissano le mani dell'apostolo, rivestito di perizoma e dal capo nimbato che sfiora il terreno. Ai lati due centurioni, di cui quello a sinistra a cavallo, impartiscono direttive e, sulla destra, un drappello di soldati conclude la scena.
Il pannello poggia su una cornice sbalzata, ornata alle estremità da grifoni alati, affrontati e poggianti le zampe anteriori su un virgulto al cui apice è una testina virile; centralmente, due putti, anch'essi alati, sostengono un medaglione su cui si legge OPVS ANTONII.

E' rimarchevole come Filarete abbia sintetizzato efficacemente il profilo dell'Urbe e reso il tracciato delle anse del fiume che la traversa, presentando alcuni dei monumenti più rappresentativi, sbalzati secondo il proprio gusto e sensibilità compendiaria quattrocentesche che rinviano a rappresentazioni topografiche precedenti nelle quali, come accennato, gli edifici compaiono sovente. Sono ben visibili, ad esempio, nella miniatura di Paolino da Venezia, datata 1320 e conservata alla Biblioteca Marciana e nella Bolla d'Oro di Ludovico di Baviera del 1328 3.

Inoltre per la quasi totalità degli elementi che costituiscono il pannello possono effettuarsi riferimenti iconografici con gli esempi classici della romanità o con opere posteriori, ma ad essa informati.
L'iconografia della Mole Adriana è, infatti, simile ad un disegno di Ciriaco d'Ancona ed a quello più tardo del Codice Marcanova di Felice Feliciano (f. 8), presentando il particolare del portale architravato da cui si affaccia l'animula di Adriano 4. La Meta Romuli e il Castello compaiono anche nell'affresco di Spinello Aretino ad Arezzo ed in una miniatura de Les très richès heures du Duc du Berry, oggi nel Museo di Chantilly, realizzato tra il 1411 e il 1416 dai fratelli Limbourg 5.

Va sottolineata anche la rassomiglianza con le molte costruzioni il più delle volte immaginifiche e fantasiose, ma palesemente tratte dall'antichità e segnatamente dall'influenza del Mausoleo adrianeo, che si ritroveranno nel Trattato d'Architettura, composto dallo stesso Averlino tra il 1460 ed il 1464: ad esempio col Castello posto sull'altura presso il Porto del fol. 109r, o il corpo centrale del Duomo di Bergamo, fol. 123r (f. 9).

Mentre, nell'immagine della figurina alla sommità del Mausoleo, da un'indagine comparativa che si sta sviluppando tra l'iconografia, il testo filaretiano e quello polifilesco, si può cogliere assonanza figurativa con i puttini segnavento posti alla sommità di alcune costruzioni che saranno immaginate da Francesco Colonna, nell'Hypnerotomachia Poliphili: si veda ad esempio il putto con tuba che sovrasta l'edificio ottagono delle Terme (f. 10) ed ancora la figura maschile situata in cima al Mausoleo della regina Artemisia (f. 11), nonchè quella della Fortuna collocata alla sommità dell'obelisco alzato sull'omonimo Tempio 6 (f. 12).

Strettamente collegati alla crocifissione dell'apostolo, i monumenti romani erano rappresentati anche nei perduti affreschi del vecchio San Pietro, come testimoniato dai disegni del Grimaldi 7 e nel polittico Stefaneschi di Giotto 8.

Filarete mostra di essere un attento conoscitore dei reperti antiquariali anche nella presenza della figura simbolica di Roma seduta presso la piramide, la cui identità è iterata nelle numerose iscrizioni ROMA e SPQR incise sugli scudi posti sul terreno circostante; l'abbigliamento, la posa e gli attributi che la caratterizzano infatti, sono desunti da tipi monetali romani, riconducenti l'iconografia averliniana a quella di almeno sei emissioni di conio, databili complessivamente dal 104 al 189 a.C., raffiguranti simbolicamente Roma o gli dei Marte e Minerva, confusi, però con essa 9: il tipo più rispondente sembrando il denarius anonimo con l'augurium Romuli (104-92 a.C.).

Il tempietto che inquadra l'imperatore è dimensionato a dominare la scena: al di sopra della mensola in primo piano è ben visibile la figura sdraiata di un dormiente completamente avvolto in un lungo mantello che ricorda un disegno del Grimaldi, raffigurante tra gli affreschi del vecchio San Pietro, la figura dell'imperatore Costantino che giace nella medesima posa 10.

L'aquila ad ali spiegate sorreggente il festone nello spazio inferiore del timpano del tempietto, esattamente sotto Nerone, inoltre, risulta simile al classico rapace della Basilica dei Santi Apostoli 11 o a quello dell'ara del dio sole conservata a Roma nei Musei Capitolini 12 (f.13). Mentre l'iconografia imperiale può essere accostata a quella del Traiano che consegna ai valorosi la ricompensa ricevendone l'omaggio 13 e all'imperatore dei perduti affreschi del San Pietro costantiniano 14.

Il corteo di fanti e cavalieri che conducono via l'apostolo è simile a scene presenti ancora nella Colonna Traiana, soprattutto per il senso di circolarità ed avvitamento ascensionale, qui dato per raggiungere la sommità del Gianicolo 15. La stessa immagine del Santo ricorda quella dei prigionieri manibus victi rappresentati sul fusto della stessa colonna 16 ed il cavaliere e gli appiedati che suonano lunghe tube richiamano la scena della presa del tempio di Gerusalemme nell'arco di Tito e i rilievi visibili già nel XV secolo, presso la chiesa di Santa Maria in Trastevere 17, confrontabili anche per la selva di lance e il drappo rettangolare con le insegne.

Lo schema seguito dal Filarete nell'illustrare la crocifissione riprende, infine, con qualche variante, il medesimo usato nelle pitture del sacello di Giovanni VII in San Pietro 18.

Tra la folta schiera dei militi che salgono al monte parrebbe individuarsi un (auto)ritratto dell'Averlino, riconoscibile dal volto, di tre quarti, posto quasi perpendicolarmente alla testa di San Pietro, che rivolge lo sguardo al di fuori, estraniandosi dal continuum narrativo (f. 14).

Se in questa immagine e nell'altra omologa del riquadro del Martirio paolino corrispondente sul battente sinistro (f. 15), posta centralmente tra i militi a cavallo in primo piano 19 (f. 16) si riconoscesse ancora un'effigie filaretiana, potrebbe evidenziarsi come il ruolo assegnatosi nelle due scene fosse apparentemente quello dell'artista immerso suo malgrado negli eventi con l'obbligo di narrarli obbiettivamente, ma, in questi casi, anche criticamente, attestando la coscienza del proprio ruolo e l'importanza della propria funzione. E ciò collocherebbe l'Averlino nella scia delle maggiori personalità culturali ed artistiche dell'epoca, che stavano emancipandosi dal ruolo subalterno di artifices, rivendicando la propria autonomia intellettuale.

Considerazioni iconografiche

Il racconto, l'ambientazione e quindi l'iconografia prescelta dall'autore per il Martirio mostrano attenta cura nel rispetto delle fonti e della tradizione letteraria; e la stessa collocazione topografica degli elementi e dei monumenti appare, ancora una volta, studiata al mantenimento della storicità degli eventi.

Difatti se per le modalità dell'esecuzione tutte le fonti sembrano concordare, pure divergono circa il sito nel quale avvenne. Gaio, che visse al tempo del vescovo Zefirino (199-217), pur non parlando dei luoghi nei quali i due apostoli vennero martirizzati, indica i loro trofei nella zona vaticana per Pietro, sulla via Ostiense per Paolo; così anche il Cronografo del 354, San Girolamo 20 ed il redattore del martirologio gerosolimitano del V secolo. Nel Liber Pontificalis, risalente al 500 circa, si parla anche del luogo ove San Pietro fu crocifisso 21, ed uguali indicazioni si leggono nella Notitia Ecclesiarum urbis Romae 22. Ancora più preciso sembra essere nei suoi Cataloghi Cencio Camerario dell'XI secolo, che nomina sia l'obelisco che la meta Romuli 23, ripreso tra il 1159 e il 1181 da Pietro Mallio nella Descriptio Basilicae Vaticanae che aggiunge dati particolarmente interessanti: "In Naumachia iuxta Ecclesiam Sanctae Mariae in Traspontina, est sepulchrum Romuli, quod vocatur Meta [_] ex quibus opus graduum Sancti Petri peractum fuit"; continua ricordando come: ''haec habuit quoque circa se Therebintum Neronis tantae altitudinis, quantam et castellum Hadriani imperatoris miro lapide tabulatum. Quod aedificium rotundum fuit cum duobus geronibus sicut castrum [_]. Et iuxta hoc aedificium crucifixus fuit beatus Petrus apostolus" 24

Nel XV secolo, notizie simili riportano l'Anonimo Magliabechiano e Poggio Bracciolini, che nel De varietate Fortuna nomina i luoghi non mettendoli, però, in relazione con la crocifissione.

Per quanto concerne l'iconografia del pannello filaretiano, risultano fondamentali le due teorie espresse, pressoché contemporaneamente, da Flavio Biondo e Maffeo Vegio a tale proposito e circa l'esistenza e la localizzazione topografica precisa dei monumenti, citati anche dall'Averlino, che sembra aver tenuto conto di entrambi i loro scritti nella sua raffigurazione della scena.

Il Biondo nella Roma Instaurata 25 si dilunga a descrivere il monte vaticano reputando false le notizie che situano in questa zona il palazzo neroniano 26 mentre, nel capitolo XLIIII, ribadisce come in quella parte dell'area vaticana denominata Naumachia, fosse stata costruita la chiesa di San Pietro. Lo studioso affronta poi la controversa questione del Locus martirii Beati Petri Apostoli, accreditando l'ipotesi che fosse avvenuto "ad therebintum inter duas metas [_] in Vaticano", nella zona appunto usata da Nerone per i giochi ed i supplizi dei cristiani 27.

Il Vegio nel De rebus antiquis memorabilibus Basilicae Sancti Petri Romae del 1455 si contrappone a questa teoria collocando gli eventi nella zona del Montorio sul Gianicolo, ove attualmente sorge il Tempietto bramantesco intitolato a San Pietro 28. Per comprovare le sue affermazioni, si appoggia all'autorità di Eusebio e Gaio, notando come al tempo di Nerone la Mole Adriana non potesse esistere poiché cronologicamente molto posteriore e riporta, inoltre, che delle due mete una "in Vaticano est, altera iuxta montem Aventinum: inter quas verum est dicere montem aureum in quo vere is crucifixus est positum esse" 29.

Da quanto succintamente riportato risulta più che certo, quindi, che il Filarete conoscesse bene la topografia della Roma imperiale, ove era avvenuto il martirio, e delle sue rovine ed avesse attentamente esaminato le architetture romane che costituiscono lo sfondo alla scena durante il suo soggiorno in città, tanto che nel Trattato le ricorderà più volte.

Spiegando ad esempio allo Sforza l'aspetto e la funzione dell'anfiteatro, nomina quello di Nerone 30; ancora, disquisendo sul modo di costruire i ponti, di sfuggita cita quello che è sotto la sepoltura di Adriano, cioè Castel Sant'Angelo, "il quale oggidì si chiama ponte di San Pietro" 31; infine, analizzando la forma geometrica della piramide, prende ad esempio proprio la Cestia 32.

Osservando il pannello bronzeo (f. 17) si può notare una sorta di sintesi visiva tra le due teorie riportate dal Biondo e dal Vegio: vi sono infatti sbalzati i monumenti romani citati dal primo (meta, terebinto, Mole Adriana); ma la crocifissione vera e propria è situata sull'altura facilmente individuabile con quella del Monte Aureo, come riteneva il secondo umanista 33. Tale accostamento e la dislocazione degli elementi compiuta, rivestono un valore che trascende quello paesaggistico e topografico ed assumono una valenza nettamente simbolica e politica. Nella sequenza scenica, da destra a sinistra, si susseguono visivamente, infatti: il sepolcro di Remo e del fratello Romolo; la personificazione allegorica di Roma e dei suoi successi militari 34; il sepolcro di Adriano, imperatore vissuto e morto posteriormente agli eventi narrati (e monumento divenuto poi fortino e baluardo di difesa per la città cristiana e pontificia), la cui presenza perciò non può che assumere significato insieme allegorico, storico ed appunto politico, in una sorta di continuità provvidenziale tra la prima e la seconda Roma. Ruolo figurativamente non secondario è assegnato al fiume Tevere.

La tipologia iconografica adottata dall'Averlino o a lui suggerita risulta perciò vicina, soprattutto ideologicamente, alle illustrazioni dei medioevali Mirabilia urbis, che proponevano nelle loro ricostruzioni monumenti e topografie a volte adattate e rese funzionali agli intenti didattici ed esplicativi del testo. Quanto scolpito dal Filarete, infatti, sembra racchiudere alcune delle caratteristiche sintetizzate da Silvia Maddalo 35 a proposito delle vedute compendiarie di Roma quasi sempre riprese da un punto di vista non zenitale, qui con Castel Sant'Angelo e la zona Vaticana che poco mantengono della realtà geografica, rendendo, ad esempio, il Gianicolo frontale alla Mole (quindi sversato di 90deg.) e al di là dal Tevere, mentre in realtà i Colli Gianicolensi si elevano alle sue spalle, lungo il corso destro del fiume.

Si può anche notare come il Filarete pur avendo per primo scritto degli esperimenti brunelleschiani in relazione alla riscoperta della prospettiva ed esemplificato nel Trattato 36 il procedimento dell'Alberti (il De Pictura risale al 1435), nel rappresentare l'edicola neroniana nei due Martirii, adotta uno scorcio prospettico che va all'inverso della 'legittima' albertiana, mentre nella rappresentazione sintetica dei monumenti del pannello petriano, ad esempio, la parte superiore del Mausoleo è disegnato come arco di cerchio, rivelando ancora un'indecisione nel metodo prospettico da adottare 37.

La passione, chè tale si dimostra, nella resa storica, filologica e figurativa del pannello del Martirio di San Pietro (e dell'altro paolino), con l'aggiunta di quella mitologica nei girali abitati nella cornice della porta, evidenzia l'interesse che la cerchia di consiglieri-programmatori presenti nella Corte pontificia insieme all'Artista: Biondo Flavio, Poggio Bracciolini, Leon Battista Alberti, Maffeo Vegio etc., portavano nel riscoprire, analizzare e trasferire in lettere o in plastica il sapere umanistico, alla luce di un neo-platonismo, venato di epicureismo, che nel prossimo Rinascimento configurerà un modo totalmente nuovo di sentire l'uomo e la sua immersione nella natura.




NOTE


(1) Tale scena torna ad esempio nella tomba della caccia e della pesca di Tarquinia, nella Cynegetica di Oppiano, risalente al X secolo, nell'Octateuco della Biblioteca Laurenziana di Firenze del XII secolo e in alcune scene miniate del De arte venandi cum avibus [M. Salmi, La miniatura italiana, Milano cit., f. 44, p. 34 e tav. III. Più tardi, invece, è rappresentata in vari episodi degli affreschi della cappella Sistina: nella Circoncisione del figlio di Mosè, nella Chiamata degli apostoli del Ghirlandaio, nel Discorso della montagna di Cosimo Rosselli; e, infine, nell'Incendio della Foresta dipinto da Piero di Cosimo nel 1500 c. a., certamente influenzato dalla conoscenza della sezione superiore del mosaico di Palestrina, utilizzato anche nelle iconografie polifilesche; si cfr. a tal proposito, Calvesi M., La <<Pugna d'amore in sogno>> di Francesco Colonna romano, Roma 1996, pp. 307/8.

(2) Ad iniziare dall'attico troviamo, posti angolarmente a suddividere due pannelli rettagolari, tre figurine di armati. Nel primo riquadro è rappresentata una scena di sacrificio; nel secondo il carro di Cibele (mutata in figura maschile), trainato da leoni e preceduto da satiri che suonano. La parete visibile dell'edificio è ricoperta anch'essa di rilievi alternativamente circolari e rettangolari: dall'alto il primo tondo circoscrive l'immagine di un cavaliere che caccia con la lancia il cinghiale; segue un rettangolo con sbalzata la figura di un satiro sdraiato su una lettiga dotata di ruote e trascinata da putti alati; un secondo rettangolo di dimensioni minori con un altro satiro trasportato da amorini. La serie ricomincia con il secondo tondo in cui si scorgono tre figure di cui una, inginocchiata, rende omaggio (verosimilmente) al personaggio seduto, mentre un terzo, sembra alzare il braccio; nel rettangolo successivo, satiri seduti suonano; in quello maggiore, un ennesimo satiro trascina una lettiga su cui sono di nuovo puttini alati. A chiudere è il secondo tondo con la figura, speculare alla prima, di cacciatore.

(3) AA. VV., Memoria dell'antico, I, Torino 1984, f. 272 e f. 56.

(4) Tale rappresentazione o anche edifici con porte serrate, sono note dall'antichità soprattutto attraverso sarcofagi e rilievi: ad esempio, quello degli Haterii [S. Settis, A. La Regina, V. Farinelli, La colonna traiana, Torino 1988, f. 37], il sarcofago con le immagini di Mercurio che esce da una porta, conosciuto nel medioevo, tra gli altri dal Boccaccio, già conservato nel battistero fiorentino, oggi nel Museo dell'Opera del Duomo [P. Pray Bober, R. Rubinstein, Renaissance artists and Antique sculpture, Londra 1987, f. 11 e p. 58]; quello a porta chiusa databile al 249-250 d.C. noto nel Cinquecento, presso il Palazzo dei Conservatori [Ibid., f. 56] e l'altro da Velletri con Ercole e Alcesti [R. Bianchi Bandinelli, Roma, la fine dell'Arte Antica, Milano 1988, p. 47, f. 41]; infine, compare in un reperto del Museo Pio Vaticano del IV secolo (Fasola U. M., Pietro e Paolo a Roma, Roma 1980, p. 94) e nella cassetta di Samagher a Pola [C. Galassi Paluzzi, La basilica di San Pietro, Bologna 1975, f. 46].

(5) Memoria dell'antico, cit., I, f. 273 e f. 278.

(6) Si veda Borsi S., Polifilo Architetto, Roma 1995, pp. 143 e 153; Colonna F., Hypnerotomachia Polifili, a cura di Pozzi G, Ciapponi A. L., Padova 1980, p. 72 e ss,; Calvesi M., La Pugna d'amore in sogno f. ndeg. 5. Si cfr.anche Averlino A., Trattato di Architettura, a cura di Grassi L., Finocchi A. M., Milano 1972, I, pp. 37 e 137; e Colonna F., Hypnerotomachia Polifili , cit., pp. 72 e 445. Dalla Bolla Pontificia datata al 5 maggio 1473, rinvenuta dal Dott. Stefano Colonna nell'Archivio Colonna-Sciarra di Palestrina, si è a conoscenza che il Colonna polifilesco già Canonico di San Giovanni in Laterano lo fu successivamente anche della Basilica di San Pietro, Stefano Colonna Anteprime documentarie polifilesche, in Calvesi M., La <<Pugna d'amore in sogno>> , p. 313 e ss. e Borsi S., Polifilo Architetto, cit., p. 203.
Posteriori al pannello filaretiano risultano alcune raffigurazioni della città che si riportano quali esempi di continuità rappresentativa: quella nella miniature di anonimo realizzate nel 1450 ed oggi nella Biblioteca Reale di Torino [cod. 102, in Memoria dell'antico, cit;, I, f. 276; C. Scaccia Scarafoni, Le piante di Roma, cit.] e di Pietro del Massaio nel codice della Cosmografia di Tolomeo del 1472, conservata nella Bibliotheque National di Parigi; nel dipinto anonimo del Palazzo Ducale di Mantova del XVI secolo [G. Tardini, La basilica Vaticana ed i borghi,] e nella più tarda pianta panoramica di Roma del 1550 [Tipo Bergomensis, derivata da quella di Münster: C. Scaccia Scarafoni, Le piante di Roma, cit., cat. 127].

(7) G. Grimaldi, Descrizione della Basilica antica di San Pietro, p. 169, cod. Bbr. Lat. 2733 e note a cura di R. Niggl, Roma 1972. E ancora lo erano in quelli di Cimabue nella crociera che ospita la figura di San Marco nella volta centrale del transetto della Basilica di San Francesco ad Assisi del 1280 c. a., E. Sindona, Cimabue ed il momento figurativo pre-giottesco, Milano 1975, nn. 17-18, e tav. XV.

(8) M. Calvesi, Le arti in Vaticano, Milano 1980, p. 19.

(9) La prima moneta confrontabile è il denarius di C. Cornelius Lentulus Marcellinus, rappresentante appunto il dio della guerra con alcuni putti di somiglianza con la figura di Averlino: ha infatti testa coperta da un elmo, corta tunica, alti coturni, poggia la destra ad un'asta ed ha aspetto naturalmente militare [L. Cesano, La figura di Roma sulle monete romane, in "Atti del I congresso Nazionale di Studi Romani", Roma 1929, p. 54]. Simili risultano ancora le figure di Marte sul denarius di Q. Lutatius Cerco (effigie femminea, ciocche di capelli che fuoriescono dall'elmo a calotta sferica, leggenda ROMA) [Ibid., p. 54] e della prima, seconda e terza emissione di conio con Minerva, con elmo arrotondato, crestato, con visiera a diadema e ciocche che fuoriescono dal paranuca.

(10) G. Grimaldi, Descrizione, cit., p. 177. Inoltre confrontabile con il Giacobbe di una miniatura di Bibbia medioevale a Catania [AA. VV., L'Arte degli Anni Santi Roma 1300-1875, Milano 1984, f. VII.24, p. 322] e del Queen Mary's Psalter, di Samuele [N. H. J. Westlake, W. Purdue, The illustrations of the old Testament History in Queen Mary's Psalter, Londra 1865, tav. CXVI] e dello Jesse sognante nel Gorleston's Psalter [S. Cockerell, The Gorleston's Psalter, Londra 1907, f. 8, tav. IV, e di alcuni dormienti, tav. XCIII], nel Saint Omer Psalter [Ibid., f. 7], nel Douai Psalter [Ibid., f. 1] e nel Omersby Psalter [Ibid., f. 96]. Nella sola positura ricorda la ninfa dormiente risalente al II secolo e conosciuta in varie copie, in Vaticano e nella casa Galli al Parione [P. Pray Bober, R. Rubinstein, Renaissance artists, cit., f. 62, p. 98].

(11) Ib., f. 186.

(12) La cui iconografia sembra testualmente ripresa ancora nel Polifilo, si cfr. Calvesi M., La <<Pugna d'amore in sogno>>, cit., ff. 40 e 41.

(13) S. Settis, A. La Regina, V. Farinelli, La colonna traiana, cit., 67 (XLIV-XLV, 115-117), p. 325. E alla figura scolpita nella zona superiore del sarcofago Ludovisi attualmente nel Museo Nazionale Romano [E. Bairati, A. Finocchi, Arte in Italia, Torino 1984, p. 201, f. 418]. O quella di Pilato nel sarcofago di Giunio Basso [C. Galassi Paluzzi, La basilica di San Pietro, cit., f. 76]. Simile è anche l'iconografia dell'Erode del dittico eburneo risalente alla seconda metà del V secolo conservato a Milano [C. Shug-Wille, L'arte bizantina, Milano 1989, p. 61]; e di quello in una scena tessuta sul camice con medaglioni a storie sacre, appartenuto a Bonifacio VIII [C. Galassi Paluzzi, La basilica di San Pietro, cit., f. 84].

(14) G. Grimaldi, Descrizione, cit.; E della scena di fronte a Simon Mago negli affreschi di Cimabue ad Assisi [E. Sindona, Cimabue e il momento figurativo giottesco, cit., f. 37], mentre, per il dettaglio dello scranno su cui siede, quello con il San Martino che rinuncia alle armi di nuovo ad Assisi di Simone Martini [G. Contini, M. C. Gozzoli, Simone Martini, Milano 1970, tav. XXIV].

(15) Ad esempio quella con i cavalli che si abbeverano [scena 126, LXXIV-LXXV, 190-192, p. 384; scena 266, CXLIV-CXLV, 382-385, p. 524; scena 267, CXLV, 383-386, p. 267].

(16) Scena 128, LXXV, 193-195, p. 386; scena 129, LXXV, 194-196, pp. 386-387. Ancora, cavalieri in atteggiamento simile possono ritrovarsi sulla base della colonna Antonina [R. Bianchi Bandinelli, Roma, l'arte romana al centro del potere, Milano 1985, ff. 322-323, p. 28], sul sarcofago di Elena nel Museo Pio Clementino [F. Negri Arnoldi, Storia dell'arte, I, Milano 1985, p. 345, f. 594] e nei perduti affreschi di Santa Maria Maggiore, come testimoniano i disegni di Seroux d'Agincourt [AA. VV., Memoria dell'antico, cit., I, f. 131].

(17) Come riporta un disegno di Francisco de Hollanda [P. Pray Bober, R. Rubinstein, Renaissance artists, cit., p. 196]. Ancora, sono presenti nell'episodio con il trionfo di Marco Aurelio nel palazzo dei Conservatori [AA. VV., Memoria dell'antico, cit., I, f. 204].

(18) C. Galassi Paluzzi, La basilica di San Pietro, cit., f. 57. E in quelle di Cimabue ad Assisi [E. Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, cit., tav. XXXII] e da Giotto nel polittico Stefaneschi [M. Calvesi, Le arti in Vaticano, cit., p. 31]. Il particolare delle due scale appoggiate alla croce si ritrova nel Seppellimento di Firenze di Taddeo Gaddi del 1340-1345 [P. Donati, Taddeo Gaddi, Firenze 1966, f. 67]. E' dipinta nel mosaico nel duomo di Anagni [E. Lavagnino, L'arte medioevale, Torino 1949, p. 437, f. 507] e sul dossale di San Pietro, di anonimo senese dell'ultimo quarto del XIII secolo [F. Bologna, La pittura italiana dalle origini, Roma 1962, f. 88]. Si riscontra anche in alcune miniature, quale quella del Liber ystoriarum Romanorum ancora della fine del XIII secolo, che vede la crocifissione avvenire tra le due mete ed il terebinto [AA. VV., L'arte degli anni santi, cit., f. 1b, p. 24], quella nel miracolo di San Nicola di Bari alla Laurenziana [cod. Conv. soppr. 457, in P. D'Ancona, La miniatura fiorentina, secc. XI-XVI, Firenze 1914, I,] della metà del Quattrocento, e l'altra, posteriore al pannello filaretiano, del francese Fouquet nel Livre d'heures d'Etienne Chevalier a Chantilly [L. Réau, Iconographie de l'art Chretiènne, Paris 1959, p. 1098]. Per i rapporti tra Filarete e Fouquet a Roma, cfr. A. Cianfarini, Incontro tra il fiorentino Averlino e l'Olremontano Jean Fouquet alla corte di Eugenio IV, di prossima pubblicazione.

(19) La figura scortata tra i due a cavallo dai profili schiacciati e quasi perfettamente sovrapponibili, è quella di un uomo maturo, dai corti e ricci capelli che lasciano scoperti gli orecchi. Due profonde rughe segnano la fronte, gli occhi sono incassati sotto l'evidente arcata sopraccigliare e le palpebre risultano leggermente rilevate. Il naso è pronunciato ma sottile e la bocca atteggiata in una smorfia che ne rialza l'angolo superiore, creando un'evidente ruga, mentre il mento è appuntito e sfuggente. L'uomo indossa una camicia che termina superiormente con un collo arrotondato e chiuso. Queste caratteristiche fisiognomiche sembrano coincidere con quelle risultanti dall'esame contestuale dei cinque autoritratti averliniani accertati, tutti di profilo: due di essi sono scolpiti sul portale, uno nel retro; infine due nella medaglia autocelebrativa, probabilmente risalente agli anni '60 del XV secolo. L'ipotesi che questa possa essere un'altra (auto)presentazione di tre quarti dell'Averlino, al di là di tali riscontri iconografici oggettivi e plausibili, sembrerebbe avvalorata dalla ubicazione e positura preminente e centrale che l'immagine assume nel pannello. Pure se immersa in un flusso narrativo continuo, la figura, volgendosi all'indietro lo interrompe, spiccando inoltre per l'espressività emergente anche nell'esiguità dello spazio, che viene come a ritagliarsi, colmandolo. Lo sguardo del personaggio è diretto alla volta di Paolo, partecipa del suo dramma e, quasi disapprovando, corruga la fronte accentuando la smorfia delle labbra atteggiate a disgusto. Si anticipa qui, per assonanza iconografica, come nel successivo martirio petriano, sembri apparire un ulteriore (auto)ritratto averliniano.

(20) "Sepultus Romae in Vaticano iuxta viam Triumphalem totius orbis veneratione celebratur", in L. Duchesne, Naumachia, obelisque, tèrèbinthe, dissertazione letta alla Pontificia Accademia Romana di Archeologia il 16 genneaio 1902, p. 138.

(21) "Sepultus est in via Aurelia in Templum Apollinis, iuxta locum ubi crucifixus est, iuxta Palatium Neronianum in Vaticanum, iuxta territorium Triumphalem", in Codice topografico, cit., p. 221; J. M. Huskinson, The crucifixion of st. Peter: a fifteenth century topographical problem, in "Journal of the Warburg and Courtauld Institutes", 32 (1969), pp. 135-161; U. M. Fasola, Pietro e Paolo, cit., p. 116.

(22) 625-638 ca. Codice topografico, cit., p. 94: "Via Cornelia et sic intravis Via Vaticana donec pervenies ad Basilicam Beati Petri [_] eminentem super omnes ecclesias et formosam in cuius occidentali plaga beatum corpus eius requiescet" e ivi, p. 106: "primum Petrus in parte occidentali civitatis iuxta Via Corneliam [_] requiescit".

(23) "Proficisciens ante obeliscum Neronis intrat per porticum iuxta sepulchrum Romuli, ascendit ad Vaticanum in Basilica Beati Petri Apostoli", Ibid., III, p. 218 ss.

(24) Ibid., p. 431; nel periodo medioevale, inoltre, si diffusero due leggende basate sugli scritti dello pseudo-Lino e dello pseudo-Marcello: il primo riteneva che il Santo avesse subito il martirio "iuxta obeliscum Neronis in monte", non interessandosi al luogo di sepoltura; il secondo, che il supplizio fosse comune per Paolo e Pietro, e che questi fosse stato crocifisso nella Naumachia e seppellito "sub therebintho",Duchesne L., Naumachie, cit.).

(25) AA. VV., "Codice topografico", cit., p. 247 e ss. qui

(26) "Quod quidem falsissimum esse non dubitamus", ibid., p. 271.

(27) "Etiam habetur ecclesiam Scti Petri extructam fuisse apud Naumachiam", ibid., p. 271 e: "Nam cum ad therebinthum", J. M. Huskinson, The crucifixion, cit., appendice 1, pp. 158-159.

(28) Vedi anche U. M. Fasola, Pietro e Paolo a Roma, cit., p. 66: "In monte aureo, ubi templum Apollinis erat, nunc Sancti Petri ex nomine eius ubi et crucifixus est [_] quod beatus Petrus passus fuerit in monte aureo sive ianiculo", in J. M. Huskinson, The crucifixion, cit., appendice 1, p. 160. Si cfr. anche P. Luigi Vannicelli, San Pietro in Montorio e il tempietto del Bramante, Roma 1971, pp. 11/12, ove si riassumono le notizie relative alla topografia dei luoghi gianicolensi e vaticani fin dai tempi di Cesare, Augusto e Nerone nonchè alla terminologia di Mons Aureo, come originato da Aura (ventoso) e non Aureo (d'oro) e Calvesi M., La <<pugna d'amore in sogno>>, cit., pp. 226/7, nota ndeg. 1. A proposito dell'attività romana di Donato Bramante, si vedano anche Calvesi M., Il sogno di Polifilo prenestino, cit., pp. 62/65; Calvesi M., La <<pugna d'amore in sogno>>, cit., pp. 70/73, 95/6, 103, 150, 225; Borsi S., Polifilo Architetto, cit., pp. 95, 215/228.

(29) Ibid., p. 161 e Codice topografico, cit., pp. 377 e ss.
Molti altri umanisti e scrittori italiani e stranieri si sono interessati alla vicenda che si può dire non abbia a tutt'oggi trovato ancora piena soluzione e tutti si sono posti sulla scia dei primi studiosi, già analizzati, occupandosi della storia del sito, del martire e della basilica. Così Leon Battista Alberti nella Descriptio Urbis Romae, scritta tra il 1432 e il 1434; il viaggiatore tedesco Nicolas Muffel nel Beschreibung der stadt Rom ("Codice topografico", cit., IV, p. 359) scritto nel 1452 ed il Rucellai nel De Urbe Roma ("Codice topografico", cit., IV, p. 456). Ancora, il palatium Neronianum, il mons Vaticanus, il sepulchrum Romuli et il terebinthum Neronis "tantae altitudinis quantum monumentum Hadriani", sono nominati nella Graphia aurea urbis Romae, redatta alla seconda metà del XV secolo ("Codice topografico", cit., IV, pp. 85-86), dall'Albertini ("Codice topografico", cit., p. 473 e ss.) nell'Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis Romae del 1510; e dal successivo Eiusdem itinerarium liber due, Basilea 1551 del Fabricius. A lungo, ma non apportando sostanziali novità, ne dissertano l'Alfarano nel De Ecclesiis Christianorum, del 1600 e Torrigio nelle Sacre Grotte vaticane, Roma 1639. Colloca la crocefissione di San Pietro nel Vaticano ove erano il circo ed il tempio di Apolline anche C. Fontana Templum vaticanum et ipsius origo, Roma 1694, seguito dal successivo De secretariis veteris Basilicae Vaticanae libri quattro, Roma 1768 di Francesco Cancellieri, e, ormai nell'800, dall'Armellini nelle Chiese di Roma dalle loro origini fino al 1887. Al Marucchi si deve nel 1900 l'articolo riassuntivo I Santi Pietro e Paolo a Roma, mentre L. Duchesne col suo intervento già citato apre la serie di studiosi che affrontano la questione dal punto di vista topografico ed archeologico.
Simili caratteristiche, ma maggiore rigore scientifico infatti ha l'articolo dell'Huskinson, che si occupa a lungo proprio del pannello filaretiano.

(30) "Signore, chi se lo facesse fare, neanche chi fusse l'architetto, altro non ne so se non che si dice Nerone lo fé fare": Filarete, Trattato, cit., I, p. 337.

(31) Id., I, p. 357.

(32) "Piramide si è una forma terminata da cinque punti [_] e da le [rette] tirata da un posto all'altro [_] E se tu sei stato a Roma alla porta di san Paolo in su le mura, ovvero che tramezza le mura, ch'è fatta di marmo, dicono essere la sepoltura di Romolo", ibid., II, p. 649.

(33) Tra gli studiosi che analizzando il pannello con il martirio di Pietro lo mettono archeologicamente in relazione con il problema topografico dell'evento storico è P. Ugonio, Historia delle Stationi, Roma 1588, p. 93, il quale si basa proprio sulla rappresentazione filaretiana per ribadire come Pietro fosse crocifisso tra le due mete (p. 93). Lo seguono nel 1639 Torrigio (Le sacre grotte vaticane, Roma 1619, pp. 195-196) che, dopo aver descritte accuratamente e riconosciuto la loro presenza sul pannello avvicina l'intera struttura iconografica al polittico Stefaneschi di Giotto e C. Fontana nel 1694 (Templum vaticanum, cit., p. 51 che si esprime negli stessi termini. Nel 1802 riprende la questione il Cancellieri (De secretariis, cit.) che, a proposito, cita il pannello col martirio del ciborio di Sisto IV e su quello della Porta filaretiana ("etiam in valvis aeneis Templi Vaticani sub Eugenio IV magnifice fabrefactis", p. 947, II); nel '900 Marucchi (I Santi Pietro e Paolo a Roma, Roma 1900) il quale afferma tra l'altro dove le due mete siano forse rappresentate per la prima volta quali sepolcri su un'opera monumentale, proprio sulle valve vaticane (pp. 43-44) e A. Munoz e M. Lazzaroni, che analizzano minuziosamente la scena nella sua totalità (Il Filarete scultore e architetto del secolo XV, Roma 1908, p. 116). Fondamentale risulta essere l'articolo dell'Huskinson che, partendo dalla base iconografica realizzata ritiene di individuare quale possibile estensore del programma, se non dell'intera opera, almeno della formella in esame, Maffeo Vegio del quale più che il Biondo, sembra essersi seguita la ricostruzione storica degli eventi; infatti la scena, contrariamente alle altre raffigurazioni del medesimo soggetto vede la crocifissione collocata in altezza sulla collina del Gianicolo e vicino, non tra le mete, e particolare attenzione viene data alla precisazione topografica del luogo (p. 157). Nei suoi due interventi del 1986 e del 1988 Parlato vi ha visto invece una fedeltà filaretiana alle preposizioni del Biondo, e sottolinea il desiderio di continuità iconografica con esempi due-tre e quattrocenteschi delle rappresentazioni dell'Urbe posta in relazione "all'ideologia della renovatio urbis" (E. Parlato, Il gusto all'antica in Filarete scultore, in AA. VV., Da Pisanello alla nascita dei Musei Capitolini, Roma 1988, p. 118), individuando il punto di vista della rappresentazione sul Monte Mario (pp. 115-123).

(34) In tale immagine Huskinson vede simboleggiata la zona del Campo Marzio ove le fonti affermano fosse un monumento funebre anch'esso di forma piramidale: J. M. Huskinson, The crucifixion, cit., p. 144; E. Parlato, Il gusto all'antica in Filarete scultore, cit., p. 48.

(35) Vedi S. Maddalo, Roma nelle immagini miniate del primo Quattrocento. Realtà, simbolo e rappresentazione fantastica, in "Da Pisanello", cit., p. 53; S. Tumidei, recensione a S. Maddalo, In figura Romae. Immagini di Roma nel libro medioevale, Roma 1990, comparsa in "Roma nel Rinascimento", (1992), scheda n. 86, pp. 265-269.

(36) Averlino A., Trattato, cit; Wakayama E. M. L., Filarete e il compasso, nota aggiunta alla teoria prospettica albertiana, in ''Arte Lombarda'', 38/39, (1973), pp. 161/171.

(37) Mentre apparirà decisamente più moderno, allorchè, inferiormente e superiormente ai due pannelli dei Martirii, inserirà le storiette laudatorie di Eugenio IV, dichiaratamente cronachistiche per tematiche ed avanzate per stile, si veda anche Cianfarini A., Iconografia e significati della Porta Bronzea (1433-1445) del Filarete in San Pietro, 1994, pp. 192-216.


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