Nel cortile di s. Silvestro de Capite (Piazza s. Silvestro, Roma), sulla
facciata esterna della chiesa, a destra del portale principale, dando le spalle
all'ingresso, si trova a circa 1,30 m di altezza una lastra parietale
rettangolare (cm 59 x 128) di marmo grigio, con i lati brevi paralleli al
terreno
(1), nella quale si attesta il possesso da parte del monastero della
Colonna di Marco Aurelio e della vicina chiesa di s. Andrea
(2).
La posizione odierna dell'epigrafe, destinata comunque ad essere collocata
entro una parete, in un luogo dove fosse ben visibile e facilmente reperibile,
non corrisponde a quella avuta in origine, al momento dell'affissione.
L'Adinolfi
(3), infatti, parlando degli anni 1523-1534, riferisce che: "La
chiesa minacciava rovina nel corso di pontificato di Clemente VII, e fu ridotta
quasi come si vede, ed allora alcune iscrizioni stimate di qualche interesse
furono murate ed esposte nel portico della chiesa, dove una fra le altre non
è da lasciare senza disamina", ossia l'iscrizione qui trattata.
Lo spessore della pietra non è apprezzabile in quanto essa è
murata e posta entro una cornice di intonaco che ne ricopre interamente i
bordi. La superficie nella parte visibile è piatta e ben levigata, priva
di fori per il fissaggio o di segni di chiodi.
Nessuna traccia di righe guida orizzontali o verticali, la cui esistenza
iniziale si può però supporre, in considerazione della
complessiva regolarità del testo, del rispetto di un interlinea fisso di
1 cm, dell'altezza media delle lettere (circa 3 cm; sono pochi i casi in cui
questa aumenta, portandosi a 3,5/4 cm) e del mantenimento di un certo
allineamento verticale ai margini:
+ Qm
(4) Colupna Antonini
iuris monasterii sancti Silvestri et
ecclesia sancti Andree quae circa eam
sita est cum oblationibus quae
in superiori altari et infe 5
riori a peregrinis tribuun
tur longo iam tempore locatione
a nostro fuit alienata monasterio. Ne
idem contingat actoritate
Petri apostolorum principis et Ste 10
phani et Dionisii et confes
soris Silvestri maledicimus et
vinculo ligamus anathema
tis abbatem et monachos quos
cumque Columpnam et ecclesiam lo 15
care vel beneficio dare praesump
serit. Si quis ex hominibus Co
lumpnam per violentiam a nostro
monasterio subtraxerit, perpetue
maledictioni sicuti sacri 20
legus et raptor et sanctarum
rerum invasor subiaceat et
anathematis vinculo perpe
tuo teneatur fiat.
Hoc actum est actoritate Episcopo 25
rum
(5) et Cardinalium et mul
torum Clericorum atque Laico
rum qui interfuerunt
Petrus Dei gratia humulis abbas
huius Sancti cenobii cum fratribus 30
suis fecit et confirmavit.
Anno Domini Mil(lesimo) CXVIIII
Indic(tione) XII.
Per esigenze di spazio le parole, scritte in capitale quadrata di imitazione,
a cominciare dal signum iniziale, appaiono quasi sempre unite le une alle
altre, salvo in presenza di particolari segni di interpunzione, costituiti da
piccoli triangoli (t), posti singolarmente o a coppie senza un criterio
preciso.
Le abbreviazioni sono segnalate da segmenti orizzontali o da un tratto
somigliante ad un'omega maiuscola schiacciata
(6), messi sopra la lettera, la
sillaba mancante oppure l'intera parola.
I caratteri, talora dotati di apicature, non mostrano particolarità di
rilievo: la "O", la "G" e la "Q" sono state realizzate senza l'ausilio del compasso; tutte le altre lettere hanno forme abbastanza regolari, ma non al
punto di poterle definire tracciate con strumenti da disegno; segni specifici
sono usati con intento decorativo per i nessi QU, QUE, QUOS e QUI, per la
terminazione del genitivo plurale maschile -RUM e -ORUM, e per la preposizione
"per".
Il contenuto: a) la Colonna di Marco Aurelio e la chiesa di S. Andrea.
L'importanza di questa epigrafe deriva in primo luogo dall'essere l'unico
ricordo di una reggenza del monastero di s. Silvestro in Capite tenuta agli
inizi del sec. XII dall'abate Pietro
(7) e una delle poche attestazioni del
possesso da parte del medesimo monastero della Colonna Antonia, contro le molte
disponibili nell'archivio della chiesa per i rioni Colonna
(8) e Trevi, la
periferia di Roma fra le porte Flaminia e Nomentana, i dintorni di Albano
Laziale, Gallese, Orte, Vasanello, Vallerano, Sutri, Nepi, Vitorchiano, Aliano,
Montopoli e Palombara Sabina, dove maggiori e diversificati erano i suoi
interessi.
La storia della colonna in rapporto a s. Silvestro non può essere
disgiunta da quella di s. Andrea della Colonna, chiesa costruita ai piedi o
nelle immediate vicinanze del monumento
(9), tanto da costituire un binomio
inscindibile con esso.
L'epoca della fondazione risale agli anni fra il 956 e il 961, come spingono
a pensare le due bolle di conferma rilasciate al monastero da Agapito II nel
955 e Giovanni XII nel 962; nella prima, contrariamente a quanto ritiene lo
Huelsen
(10), si ha solo un accenno alla colonna
(11) e non a s. Andrea: "Item
confirmamus columnam majorem in integrum quae dicitur Antonini cum cella sub se
et terram vacantem in circuitu suo"; nella seconda, invece, l'abate Teofilatto,
nel presentare al pontefice l'elenco delle pertinenze delle quali chiedere il
riconoscimento, inserisce anche "columna maiure marmorea in integra, quae
dicitur Antonina sculpita ut videtur esse per omnia cum ecclesia S. Andree ad
pedes et terra in circuitu suo, sicuti undique a publice vie circumdata esse
videntur, infra hanc civitatem Rome constructa"
(12).
Dopo un secolo e mezzo di silenzio, la chiesa riappare nell'epigrafe del 1119
qui trattata, dove è detta provvista di due altari e oggetto di pellegrinaggi, che le forniscono cospicui introiti; anatemi e maledizioni toccheranno a chi, semplice cittadino, abate o monaco, tenterà di sottrarla al controllo del monastero
(13).
Nel sec. XIII compare pi volte nell'elenco dei proprietari confinanti
con campi e vigneti di s. Silvestro: il 16 febbraio 1217, ad esempio, viene
concesso dall'abate a Carulo de Grasso, usque in suam tertiam generationem,
unam terricellam cum criptis et casarinis et orto, positis Romae, regione
Columpne Antonini, infra duos ortos, inter hos fines a I latere tenet Romanus
Iohannis, Nicolaus et Angelerius, Iohannes Guarcinus et ecclesia S. Andree..."
(14); il 6 Agosto 1252 nella vendita tra privati di un appezzamento posto
"extra portam Pincianam ad pisscinam", è citato " a IIII (latere) sue a
capite Petrus Simeonis clericus S. Andree de Colupna". La prima memoria
disponibile per il secolo XIV è contenuta nelle Historiae Romanae
Fragmenta di Anonimo, pubblicate dal Muratori
(15); l'occasione è data
dall'alluvione del 1345: "Anco in Colonna pervenne l'acqua fi' a lo Folseraco,
lo quale stao a Santo Andrea de Colonna, dove stao la granne Colonna"
(16).
Il 26 Luglio 1348 Simone Malabranca de' Malabranchi lasciò in
eredità a s. Andrea alcuni terreni posseduti "extra portam Pincianam in
loco qui dicitur mons S. Luciae... et extra pontem Salarium", e ancora, ad uso
del cappellano, una casa in Roma accanto a quella di Giovanna vedova di
Florenzo Cancellieri, per la realizzazione di una cappella intitolata a s.
Giovanni all'interno della chiesa stessa
(17).
Un altare venne edificato poco dopo in onore della SS. Concezione, per ordine
della famiglia Del Bufalo de' Cancellieri, che assieme ai Malabranca divise la
tutela e la gestione delle offerte alla chiesa, ospitante le loro tombe e i
monumenti funerari
(18). Il Lefevre
(19) ritiene che il primo dei Del Bufalo ad
esservi seppellito sia stato nel 1404 il capostipite della famiglia "Bufalus de
Cancellariis... in ecclesia in platea Columnae"; inoltre riferisce di altre
casate rappresentate a vario titolo nella chiesa negli anni 1461-1462, quali i
Boccapaduli, i Gerlupi, i Ranacci, gli Sbonia e i Tutone
(20).
La mancanza di fonti per questo periodo, dovuta non tanto alla loro effettiva
inesistenza, quanto allo scarso interesse suscitato negli studiosi
dall'Archivio di s. Silvestro in Capite, in gran parte ancora inedito, non
permettono di appurare se s. Andrea fosse ancora proprietà del monastero
oppure no.
Nel 1459 è trasformata in parrocchia e grazie alle cospicue rendite di
cui è dotata può aggiungere altri tre altari a quelli già
esistenti, intitolandoli rispettivamente a s. Giacomo, s. Tommaso e a s. Andrea
(21). Un'idea precisa del grado di prosperità, associato ad un principio
di decadenza, raggiunto dalla chiesa è data da un documento del 1499
intitolato "Catastum et inventarium ecclesie s. Andree de Columna de Urbe",
scritto dal prete Antonio di Nicola Girardi di Castel S. Lorenzo e vistato dal
rettore Francesco de Filippini
(22). In esso sono minuziosamente inventariati i
beni mobili e immobili, e cioè gli arredi sacri posseduti, altare per
altare, le stanze degli annessi edifici e i loro miseri arredi
(23), i circa 30
volumi che figuravano nella biblioteca e, infine, le 22 proprietà
(consistenti in case e terreni) all'interno e nelle vicinanze di Roma con
l'indicazione dei relativi affittuari e dei canoni riscossi.
Tanta ricchezza non serve a salvare s. Andrea da un'improvvisa decadenza nel
sec. XVI, iniziata probabilmente con il sacco di Roma del 1527 e proseguita
immancabilmente negli anni successivi; nel 1536 è nominata assieme alla
chiesa gemella di s. Nicola alla Colonna Traiana fra gli edifici religiosi
caduti in rovina; nel 1538 è sottoposta al pagamento di una tassa per la
risistemazione della Via del Corso. Questa è l'ultima prova della sua
esistenza prima del 1555, allorquando risulta già "destructa sub Paulo
III"
(24). In tale occasione la famiglia Del Bufalo chiede e ottiene da papa
Paolo IV e poi da Pio IV il permesso di trasferire le spoglie dei propri
antenati in una cappella intitolata, non a caso , proprio a s. Andrea di
Colonna entro la chiesa di s. Maria in Via Lata.
Da allora in poi di s. Andrea viene fatta menzione solo in occasione dei
fortuiti rinvenimenti di ossa nell'area del suo cimitero ormai sconsacrato
(25).
b) L'intitolazione del monastero e le maledizioni.
Subito dopo il riferimento alla chiesa di s. Andrea e alla vicina Colonna di
Marco Aurelio, nell'epigrafe (ll. 10-12) viene invocata l'auctoritas Petri
apostolorum principis et Stephani et Dionisii et confessoris Silvestri, a
sostegno dell'anatema contro chiunque si arroghi il diritto di alienare tali
beni al monastero.
Se la citazione di s. Pietro non crea problemi, in quanto equivalente alla
richiesta di protezione da parte della pi prestigiosa e potente figura di
santo del pantheon cristiano, non altrettanto si può dire di quella
degli altri. Nell'intitolazione ufficiale del monastero, infatti, si trovano
solamente i papi Silvestro I (314-335) e Stefano II (752-757), e questo a
partire dal 757, quando ad opera di Paolo I (757-767) viene ampliata e
restaurata la chiesa, eliminando le precedenti costruzioni di cui riferisce
Benedetto, monaco di S. Andrea del Soratte, nel suo Chronicon
(26): "Videns
Stephanus papa ex omni parte victor esset et gloria dignitatis presule hac
gentis Romane triumphans, cepit hedificare domum ecclesia in honore sancti
Dionisii, Rustici et Heleutherii, in urbe Roma, iuxta via Flamminea et ereio,
non longe ab Agusto, iuxta formas, species decorata sicut in Francia viderat"
(27).
Come viene qui riferito, l'ospitalità ottenuta nel monastero parigino
di s. Dionigi, in occasione del viaggio compiuto in Francia nel Gennaio del
754, obbligato dall'incalzare dei Longobardi di Astolfo, aveva spinto Stefano,
fratello e predecessore di Paolo, a condurre a Roma il culto del santo presso
cui aveva trovato protezione e a consacrargli un luogo particolare, di solito
identificato con quello dove sorse poi s. Silvestro in Capite.
L'idea che Paolo avesse portato avanti il progetto, rimasto incompiuto,
spinse molti, compreso Benedetto, a credere bene di sovrapporre l'intitolazione
ai SS. Silvestro e Stefano, voluta da Paolo, a quella di s. Dionigi pensata da
Stefano. Nei documenti d'archivio, al pari che in quelli epigrafici, compaiono
tutti e tre i santi associati nella formula tipo "monasterium SS. Christi
martirum Stephani et Dionisii et Silvestri confessoris", dove Stefano papa
è proditoriamente confuso con l'omonimo protomartire
(28).
Tale errore continuerà ad essere ripetuto fino a che nel secolo XIV
non si affermerà definitivamente la denominazione paolina, in vigore
fino ai giorni nostri
(29).
Per quanto riguarda l'interdizione per l'abate e per chiunque dei monaci di
sottrarre al dominio del monastero la Colonna di Marco Aurelio e l'annesa
chiesa di s. Andrea (ll. 13-17: vinculo ligamus anathematis abbatem et monacos
quos cumque columpna et ecclesiam locare vel beneficio dare presumpserit), tale
genere di divieto richiama quello imposto da Paolo I alla chiesa di s.
Silvestro appena fondata, nella crta di costituzione del 4 Luglio 761 nella
quale, per usare le parole del Federici
(30), "si vietava espressamente di
alienare i beni assegnati al culto nella nuova chiesa. I monaci hanno
cominciato a disfarsi di qualche proprietà quando i loro beni erano
molto aumentati e la ingrandita estensione di essi procurava brighe e disturbi
all'amministrazione della casa"
(31).
Ad esso si lega direttamente il successivo anatema, pronunciato contro
l'eventuale usurpatore, definito senza mezzi termini sacrilegus et raptor et
sanctarum rerum invasor (ll. 20-22), secondo un vocabolario comune alle formule
usate dagli estensori di documenti ecclesiastici
(32), al pari della minaccia
di scomunica perpetua (ll. 23-24: anathematis vinculo perpetuo teneatur),
normalmente associata a terrificanti descrizioni delle pene infernali
(33).
c) La chiusura finale.
Per maggiore completezza, oltre alle sanzioni spirituali la tavola marmorea e
il suo contenuto sono tutelati direttamente dal collegio dei vescovi, dei
cardinali, dei chierici e dei laici, che hanno permesso e assistito alla sua
stesura (ll. 25-28: Hoc actum est auctoritate episcoporum et cardinalium et
multorum clericorum atque laicorum qui interfuerunt).
In una simile chiusura, nella quale vengono chiamate in causa
personalità esterne a s. Silvestro, è da sottintendere un
riferimento all'importanza che il monastero aveva a Roma nel sec. XII, essendo
uno dei venti complessi ecclesiastici nominati a parte in alcuni elenchi dei
secc. XII e XVII-XVIII, che dai primi traggono spunto, e per questo detti
"delle venti abbazie".
Il problema di appurare quali fossero e su che basi venissero concessi i
privilegi apparentemente contemplati dall'appartenere ai sunnominati elenchi
è stato a lungo dibattuto, e ultimamente discusso dall'Apollonj Ghetti
(34), senza riuscire a trovare risposte plausibili. Si sa solamente che i
rappresentanti di questi 20 monasteri dovevano presiedere alla nomina ufficiale
di ogni nuovo papa ed assisterlo in occasione di solenni celebrazioni.
NOTE
1 Il marmo è stato senza dubbio ricavato dallo spoglio dei materiali di
qualche monumento antico in rovina.
2 Tra le molte trascrizioni dell'epigrafe basti ricordare quelle eseguite da V.
FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma, Roma, 1877, vol.
IX, p. 79 n. 149, da M. ARMELLINI, Le chiese di Roma dal secolo IV
al XIX, Roma, 1942, tomo I, p. 364, e da P. ADINOLFI, Roma nell'Età di
Mezzo, Roma, 1881 - rist. anast. Firenze 1980 - tomo II, p. 351.
3 Op. cit., tomo II, p. 350.
4 Abbreviazione dall'incerto scioglimento, per la quale sono state suggerite
soluzioni diverse come "quaedam", "quoniam" o "quum" (P. ADINOLFI, op. cit.,
tomo II, p. 351)
5 L'Adinolfi (loc. cit.) propone "episcopatum".
6 Quest'ultimo visibile solo nell'intestazione iniziale e nell'indicazione
finale della data, oltre che nelle parole "nostro" (l. 20), "epicoporum" (l.
25) e "Dei" (l. 29).
7 V. FEDERICI, Regesto del monastero di S. Silvestro de Capite, Archiv. Soc.
Rom. St. Patria, XXII-1899, p. 228, n. 1.
8 Documenti inerenti terreni di s. Silvestro nel rione Colonna nei secc.
XI-XIII sono stati editi dal Federici (V. FEDERICI, op. cit., Archiv. Soc. Rom.
St. Patria, XXII-1899, pp. 213-300, 489-538; XXIII-1900, pp. 67-128, 411-448)
ai numeri 17, 36, 67, 68, 73, 74, 76, 81, 114, 121, 129, 132, 137 e 145. Non
è chiaro se questi beni dipendessero direttamente dal monastero o
facessero capo a s. Andrea.
9 Lo Huelsen (Ch. HUELSEN, Le chiese di Roma nel Medio Evo, Firenze, Olschki,
1927, p. 183) la pone sul lato settentrionale dell'odierna Piazza Colonna.
10 Op. cit., p. 137, 182 sg.; cfr. P. F. Kehr, Regesta Pontificum Romanorum,
Italia Pontificia, vol. I (Roma), Berlino 1906, p. 83, n. 6 e 7.
11 Il Federici (op. cit., 1899, p. 262) confonde il contenuto della bolla di
Agapito II con una circostanza posteriore, risalente al pieno sec. XII, in cui
s. Silvestro è nominata fra le venti abbazie privilegiate di Roma;
infatti, nell'introduzione al regesto del monastero dice: "Col volgere dei
secoli divenne una illustre e privilegiata abbazia tanto che l'abbate di questa
fu annoverato fra i venti i quali nelle funzioni solenni assistevano al trono
pontificio, e gli fu concesso il dominio sulla Colonna Antonina, confermato e
approvato poi da Agapito II, sul cadere della prima metà del X
secolo".
12 V. FEDERICI, op. cit., 1899, p. 269 sg., n. 2. Vedasi anche un
riassunto del sec. XVII riportato nel volume S. Silvestro, Sunto di atti e
contratti dal secolo XII al XVI (Archivio delle Reverende Suore di s. Silvestro
in Capite, Archivio di Stato di Roma, busta n. 4996, n. 1, p. 3 n. 11).
L'espressione "terra vacante", specifica per indicare le aree pubbliche o a
gestione comunitaria lasciate in abbandono, viene intesa dall'Adinolfi (op.
cit., tomo II, p. 359) nel modo seguente: "per terra vacante si dovette dare
indizio appunto di quel cavo o fossa che non solamente aprivasi a piè
della colonna Trajana, ma eziandio dell'Antonina".
13 Le parole "tribuuntur longo iam tempore locatione" (ll. 6-7) alludono
proprio ai diritti avuti su di essa da s. Silvestro in Capite a partire dalla
metà del sec. X, come è indicato nelle sunnominate bolle.
14 V. FEDERICI, op. cit., 1899, p. 531 sg. n. 74
15 L. A. MURATORI, Antiquitates Italicae Medii Aevii, Milano 1740, tomo III, c.
391 sg.
16 Per l'interpretazione del termine Folseraco vedasi l'Adinolfi (op. cit.,
tomo II, p. 360).
17 P. ADINOLFI, op. cit., tomo I, p. 94 n. 3; tomo II, p. 362 e n. 2
18 Un elenco piuttosto completo delle tumulazioni in essa effettuate nel sec.
XV è stato redatto dall'Adinolfi (op. cit., tomo II, p. 362 n. 3).
19 R. LEFEVRE, La "gloriosa Piazza de Colonna" a metà del '500, Archiv.
Soc. Rom. St. Patria, LXXXIII-1960, p. 76 sg.
20 La notizia è tratta da documenti dell'Archivio dell'Arciconfraternita
del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum (Archivio di Stato di Roma, buste
n. 1108 e 1109).
21 R. LEFEVRE, loc. cit.
22 A tal proposito vedasi l'articolo di R. LEFEVRE, Un documento del 1499 su S.
Andrea alla Colonna, Strenna dei Romanisti 1963, pp. 274-279, al quale si
rimanda anche per il discorso sulle rappresentazioni iconografiche della
chiesa.
23 In tutto due giacigli con materassi, tre coperte, due tappeti, una cassa,
una coltelliera, una secchia di rame ad uso di lavamano, una tinozza del
medesimo materiale, due focolari in ferro, due quadri in tela rappresentanti la
Vergine con il Bambino, un tavolo con panche, un mortaio di pietra, un bacile e
due candelabri di ottone, quattro botti e una botticella contenente aceto e,
infine, due imbuti di varia misura.
24 È priva di fondamento la notizia, sostenuta dall'Armellini (M. ARMELLINI,
Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Roma, 1942, tomo I, p. 378) e da altri,
che collega la demolizione della chiesa ai lavori intrapresi da Sisto V
(1585-1590) per l'ampliamento e la sistemazione di Piazza Colonna.
25 L'Armellini (loc. cit.) riporta ad esempio che "nell'anno 1623 presso la
colonna furono trovate le ossa dei morti che erano stati sepolti nel cimitero
annesso alla chiesa".
26 Chronicon di Benedetto, a cura di G. Zucchetti, Roma, Ist. Stor. Ital. 1920,
p. 81, ll. 3-8 e n. 6.
27 L'ereio sopra menzionato dovrebbe corrispondere all'horologium Augusti, ma
l'ipotesi è troppo ardita; nessun problema invece per l'identificazione
di Agusto, corrispondente al Mausoleo di Augusto, e di formas, cioè le
strutture visibili dell'Acqua Vergine.
28 V. FEDERICI, op. cit., 1899, p. 220.
29 Nel frattempo la memoria di s. Dionigi troverà ricetto in uno degli
altari minori della chiesa.
30 Op. cit., p. 237
31 Con ciò si spiega pure l'assenza quasi totale di contratti di affitto
e di vendita anteriori al sec. XI; cfr. V. FEDERICI, loc. cit.).
32 Nel Regesto Farfense (il Regesto Farfense di Gregorio di Catino, a cura di
U. Balzani e I. Giorgi, Roma, Soc. Rom. di St. Patria 1914, vol. III, p. 164,
n. 451), ad esempio, in un atto di conferma dell'anno 1014
l'imperatore Enrico II interviene contro un certo Gratianus, definendolo
"invasor rerum ecclesiae sanctae Mariae de Minione".
33 Tipo quelle descritte al termine di un'epigrafe inedita, non datata, murata
sotto il porticato della chiesa di s. Maria in Cosmedin, a destra del portone
principale, dove si legge: "...in futuro iudicio insuper et anathematis binculo
sit innodatus et a regno Dei alienus atque cum diabulo et omnibus umpiis (sic)
aeterno incendio deputatus".
34 F. M. APOLLONJ GHETTI, Le venti abbazie "privilegiate" di Roma, Lunario
Romano, XVII-1988, pp. 41-64; relativamente a s. Silvestro in Capite vedansi le
pp. 57-58.
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