1. Introduzione
Sermoneta, un piccolo centro di circa l500 abitanti (1960) nel Lazio, è situato, vicino alla via Appia a circa 80 km da Roma verso sud-est, su un promontorio al margine della pianura pontina. Fino ad oggi il borgo ha conservato il suo aspetto medioevale. Noto è il grandioso castello costruito, nella prima metà del secolo XIII, dagli Annibaldi. L'intero borgo venne acquistato, attorno il 1300 , da papa Bonifacio VIII per la famiglia Caetani, nel possesso della quale il castello (con un'interruzione attorno il 1500) è rimasto fino ad oggi. Munita di maschio - conservato nel suo originale aspetto duecentesco -, baluardi, alloggiamenti (in parte militari) e cisterne, la costruzione fu ampliata e trasformata, dai Borgia, in una magnifica fortezza nei primi anni del Cinquecento. Saccheggiato dai francesi nel 1798, il castello venne restaurato dopo le due guerre mondiali.
Famosa è la famiglia dei proprietari del castello, i Caetani
1 .
Signori di Gaeta nel secolo VIII, la famiglia successivamente si divise in diversi rami, cioè quelli di Pisa, Roma, Napoli e della Sicilia. Al ramo romano in particolare appartengono i duchi di Sermoneta-principi di Teano i quali, in tempi diversi, possedevano anche Caserta, Venafro, Fondi, Cisterna ed altri centri. Questo ramo della famiglia dette alla chiesa il pontefice Bonifacio VIII (papa dal 1294 al 1303), 17 cardinali e molti vescovi. Alcuni personaggi delle varie famiglie Caetani si distinsero come cultori e mecenati delle arti e scienze: nel Cinquecento i cardinali Nicolò (1526-1585), Enrico e il monsignore Camillo (ambedue della seconda metà del Cinquecento); più recentemente Michelangelo Caetani (1804-1852), scultore, letterato e patriota; Don Roffredo (1871-1961), compositore; Don Gelasio (1877-1934), ingegnere e storico.
2. Trascrizione
Su cortese invito di Luigi Fiorani, archivista della "Fondazione Camillo Caetani" di Roma, nell'estate del 1993 ho potuto studiare il noto graffito musicale di Sermoneta sul luogo e farne una trascrizione. Il graffito si trova nel castello, più precisamente all'interno della cosiddetta "Casa del Cardinale"
2 .
Così viene nominato un braccio del castello, a piano unico, situato sul lato nord-est del grande cortile, chiamato "Piazza d'armi". Quest'edificio fu costruito, come scuderia, sugli inizi del Cinquecento sotto il papa Alessandro VI Borgia e modificato, nella prima metà dello stesso secolo, dai Caetani ad uso d'abitazione - probabilmente per l'allora giovanissimo cardinale Nicolò Caetani che fu assunto, appena dodicenne, al cardinalato nel 1537 e da cardinale abitava stabilmente a Sermoneta dal 1537 al 1540
3 .
L'interno della Casa del Cardinale consta di sette vani: una grande rappresentanza sulla sinistra dell'asse centrale dell'edificio nonché sei stanze di grandezza dimezzata, di cui due sulla sinistra e quattro sulla destra del grande salone. Per quanto riguarda la funzione di queste stanze, ci limitiamo di dire che si tratta di vani di media grandezza ad uso d'abitazione privata.
Il graffito è situato nella prima stanza a destra del salone, in fondo sulla parete sinistra. Sebbene la posizione del graffito sia, d'altezza, ad occhio d'uomo, la sua sistemazione - che è senza dubbio quella originale - non è affatto privilegiata. Al contrario, il graffito è seminascosto vicino all'angolo sinistro posteriore della stanza, angolo peraltro abbastanza buio senza l'aiuto della luce artificiale.
La superficie del graffito misura 1,98 m di lunghezza e 54 cm d'altezza; in epoca recente il graffito è stato incorniciato, da Gelasio Caetani, con un bordo dipinto dello spessore di 2-2,5 cm, di colore marrone
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Il materiale sul quale il graffito si trova inciso consta in un intonaco di malta composta da calce spenta e pozzolana. Il colore grigio chiaro dell'intonaco mostra macchie di una seconda verniciatura gialla. Qua e là appaiono segni di un restauro eseguito, nei primi decenni del nostro secolo, sotto la guida di Gelasio Caetani. L'esecuzione materiale del graffito è a "graffiatura" con ago o fine scalpello, evidenziando i segni attraverso le sfumature grigio scure della malta. Il pentagramma è rigato a mano libera, tra l'altro con sufficiente regolarità; i segni sono fini precisi ed eleganti.
Queste riflessioni su ambientazione ed esecuzione materiale ci conducono a una prima domanda. E' possibile che un tale graffito sia stato inciso da un musicista, magari dallo stesso compositore della linea melodica ? La risposta è sì, avanzando un'ipotesi plausibile. In tal caso potrebbe addirittura trattarsi di un autografo di tipo alquanto particolare. Ricordo, a proposito, che la storia della musica ogni tanto presenta musicisti dotati anche graficamente: basta pensare a Salvator Rosa o, in epoca più recente, Paul Hindemith e Arnold Schoenberg.
Per il mio tentativo di trascrizione del graffito esistono, come precedenti, trascrizioni parziali e complete di Gelasio Caetani
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e Friedrich Lippmann (quest'ultima non pubblicata). Confortato da tali precedenti, spero di essere giunto ad una trascrizione abbastanza fedele ed affidabile del graffito sermonetano. Eccola:
ESEMPIO I
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3. Commento
Il graffito reca il titolo "fuga a III", con chiaro riferimento a un componimento strumentale a tre parti, del quale però ne è data solo una. Tali circostanze di solito indicano il genere musicale del canone: il componimento integrale, cioè, scaturirebbe da due sovrapposizioni della stessa linea melodica sulla parte data. Infatti, precisamente questo è il significato del termine "fuga" dal Trecento fino agli inizi del Seicento
6 .
Tentativi di soluzione in questa direzione non hanno però dato risultati positivi. E' stato quindi necessario cogliere ulteriori informazioni terminologiche dalle quali risulta che, dalla metà del Cinquecento in poi, il termine "fuga" si è ramificato. In sintesi, la tecnica della cosiddetta "fuga sciolta" (secondo Zarlino) accomuna diversi generi quali capriccio, fantasia e ricercare. In particolare esiste la possibilità di interpretare il titolo "fuga" del nostro graffito (databile circa al 1580) con riferimento al genere del ricercare.
Se allora la linea melodica è, come sembra, parte di un brano polifonico strumentale va sottolineato il fatto che la disposizione a tre voci costituisce una rimarchevole rarità nel campo del ricercare nella seconda metà del Cinquecento, almeno per quanto riguarda i ricercari dati alle stampe
7 .
Il ricercare a tre voci raggiunge il suo apice attorno il 1550, con i famosi ricercari di Adrian Willaert pubblicati nel 1551
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Dopo questa data il ricercare a tre voci sembra diventare un genere coltivato solo isolatamente in contesti locali come, ad esempio, quello veronese (Vincenzo Ruffo, 1564; Giovanni Bassano, 1585), per essere ripreso poi, all'inizio del Seicento, a Napoli (Ascanio Maione, 1603 e 1606).
Dal 1556 in poi la stragrande maggioranza dei ricercari apparsi nelle stampe è però a quattro o più parti, mentre numerosi ricercari a due parti assolvono più che altro a scopi didattici. È vero che i ricercari di Willaert vengono ristampati nel 1559 e nel 1593. Questa circostanza sembra però indicare più una perdurante popolarità di Willaert che non una marcata predilezione per il genere a tre parti.
L'esame dei simboli metrici ci conforta nella nostra opinione che il titolo "fuga" solo apparentemente voglia suggerire la presenza di un canone, mentre la struttura reale smentisce quest'apparenza. Sulla sinistra della chiave
9 .
- si trova un grande semicerchio con punto centrale; sulla destra della chiave invece abbiamo tre piccoli simboli in ordine verticale: al centro di nuovo un semicerchio con punto centrale, sopra e sotto semicerchi tagliati. Il semicerchio con punto significa il «tempus imperfectum cum prolatione maiore», laddove la semibreve è suddivisa in tre minime. Il semicerchio tagliato significa il «tempus imperfectum diminutum», laddove la semibreve è suddivisa in due minime, e due semibrevi conformano una battuta (il tactus). Ma il tentativo di interpretare tale insieme di segni metrici nel senso del vetusto «canone con diverse misure» si rivela presto come impraticabile.
Possiamo supporre che questi simboli probabilmente vogliano conferire, al risultato grafico, un aspetto misteriosamente anticheggiante, in sintonia con il titolo "fuga" senza del resto contenere un particolare significato metrico.
Un ulteriore enigma lo fornisce la chiave. Essa è composta di due parti: sulla sinistra un uncinetto simile ad una U maiuscola, strettissima e rovesciata, e sulla destra due minime in ordine verticale. Evidentemente l'insieme vuole indicare una chiave di basso in Fa sul terzo rigo. Nel segno a sinistra, invece della U, forse si può vedere una stretta m verticalmente dimezzata (una sigla criptografica per il cognome Macque ?).
La chiave in Fa sul terzo rigo, può, in questa specifica posizione, assumere la denominazione di "chiave di baritono". Qui c'è un altro problema. La parte del nostro graffito è un Tenore o un Basso? Certo, la chiave di baritono in Fa nella maggioranza dei casi indica una parte di basso, ma può, in certi casi, indicare anche una parte di tenore
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Per quanto riguarda invece più precisamente i ricercari a tre parti del Cinquecento, i relativi tenori stanno, di regola, nelle chiavi in Do
1 .
Qui non ho mai trovato una chiave in Fa per la parte di un tenore. Ma la circostanza che, nel caso del graffito sermonetano, esclude definitivamente l'ipotesi del tenore, riguarda l'ambito della parte: scendendo fino al La basso, la parte è largamente al di fuori dell'ambito usuale per un tenore strumentale nel campo del ricercare cinquecentesco a tre voci - ambito che in giù si ferma al Do (come ad esempio nei ricercari di Willaert). La parte del graffito sermonetano quindi non può essere altro che un basso.
Prima di entrare più da vicino in questioni stilistiche dobbiamo introdurre un nuovo personaggio, cioè il musicista che, a nostro avviso, va considerato insieme l'incisore del graffito e il compositore della rispettiva linea melodica. Si tratta del maestro franco-fiammingo Giovanni (Jean) de Macque, nato nel 1550 a Valenciennes (Hennegau) e morto nel 1614 a Napoli
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La scuola franco-fiamminga, fiorente nella zona dell'attuale confine franco-belga, fu di influenza determinante per la musica polifonica nel periodo dal 1430 al 1560 circa. Erede della grande tradizione francese ma anche aperta a influssi inglesi, questa scuola esercitava un forte predominio soprattutto su Italia (tramite i cosiddetti 'oltramontani') e Francia, ma anche sulla Germania. Chiese e corti spesso preferivano musicisti franco-fiamminghi a quelli autoctoni come maestri di cappella e cantori. Per quanto riguarda Macque, si tratta di un seguace piuttosto tardivo di questa scuola quando essa già cominciava a perdere il proprio predominio sulla musica italiana.
Attorno al 1560 Macque lo troviamo nella cappella della corte imperiale di Vienna come putto soprano. Dopo la muta di voce, nel 1563 il Nostro si recò a Roma dove diventò allievo del noto compositore Filippo de Monte. Attorno il 1580 Macque si avvicinò alla "Vertuosa compagnia dei musici di Roma" e strinse amicizia con alcuni soci famosi di questo sodalizio, tra gli altri Marenzio, i fratelli Nanino e Palestrina. Nello stesso periodo
Macque stava in fertili rapporti con la famiglia Caetani di Roma.
Nel dicembre del 1585 Macque si trasferì a Napoli dove il principe Carlo Gesualdo di Venosa diventò suo allievo. Nel 1592 Macque sposò una napoletana, circostanza che lo obbligò a trascorrere il resto della sua vita nella città partenopea. Divenuto, nel 1599, maestro di cappella del viceré, aveva molti allievi, ad esempio Ascanio Maione (che - tra l'altro - coltivò anche il ricercare a tre parti secondo i modelli di Macque) e Giovanni Maria Trabaci.
Macque recepì le importanti mutazioni stilistiche della seconda metà del Cinquecento aderendo pienamente al cosiddetto 'sincretismo degli stili'. Come rappresentante tardivo della scuola franco-fiamminga, Macque ne mitigò i severi precetti strutturali attraverso la ricerca di una nuova espressività, mostrando anche interesse per le melodie semplici e addirittura popolari del mediterraneo. Con tali tratti personali del suo stile Macque riuscì ad assimilarsi perfettamente a gusto ed atteggiamenti italiani.
Entrando adesso più da vicino in questioni stilistiche, il basso di Sermoneta va confrontato con adatti esempi di musica strumentale a tre voci. I campioni di gran lunga più vicini li ho trovati nei ricercari di Adrian Willaert
13 .
e nella musica di Giovanni de Macque
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, in particolare nel suo Capriccio sopra un soggetto e nel Capriccio sopra tre soggetti, composizioni databili intorno al 1590
15 .
Anzitutto va risolto il problema della tonalità del nostro basso, ovvero del suo modo. L'esordio sembra suggerire un modo in Do, ma la cadenza finale - se veramente di un basso si tratta - è in mi (la certezza che questo mi è l'ultima nota del basso e quindi del componimento intero, deriva dal fatto che il mi è scritto in forma di longa). Queste osservazioni insieme ci conducono alla necessità di assegnare la voce a un modo frigio in mi, più precisamente al terzo modo autentico in mi. Bernhard Meier
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ci ha insegnato che il terzo modo viene caratterizzato da un modello tonale mi-sol-la-do', modello in cui il do' rappresenta la 'repercussio', cioè il tono di recitazione nel canto gregoriano.
ESEMPIO II
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Gli esordi di Macque e Willaert espongono lo spazio tonale dal mi''al do'', il secondo soggetto di Willaert scende poi al do'' basso. L'anonimo di Sermoneta elimina, dallo spazio tonale del primo soggetto, il mi conferendo d'altra parte più enfasi sul si. Ciò nonostante la derivazione da Willaert rimane abbastanza evidente, specie se si guarda, in Willaert, al nesso tra la fine del primo e l'inizio del secondo soggetto. Inoltre anche nel basso sermonetano c'è, dopo l'esposizione del primo soggetto, una discesa al do inferiore. Generalmente parlando, nel modo frigio si trovano spesso esordi che sembrano suggerire un modo in Do, e solo durante lo sviluppo del discorso musicale si stabilisce man mano il mi come centro tonale.
Quanto alla struttura melodica e ritmica del basso di Sermoneta, dobbiamo chiederci se tutte le 141 note della linea melodica siano di importanza uguale o se piuttosto determinate note siano funzionalmente più importanti di altre. A ben guardare non sembra difficile distinguere varie unità motiviche che la teoria del ricercare definisce come "soggetti". Eccone l'elenco:
ESEMPIO III
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Anche tra i fluidi contrappunti che scaturiscono dal soggetto d), esistono nessi motivici, consistenti talora nel ritmo - una minima puntata seguita da una catena più o meno estesa di semiminime - talora nella diastematica - con una certa preferenza per l'ambito della quinta che può essere ristretto fino alla terza o allargato fino alla sesta.
Confronti stilistici di questi soggetti hanno rilevato delle affinità tra l'anonimo sermonetano, Willaert e Macque. In particolare il soggetto a) può essere accostato al primo soggetto del Capriccio sopra tre soggetti di Macque
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ESEMPIO IV
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Le parti centrali dei due soggetti sono identiche sia nel ritmo sia nella diastematica.
Il soggetto b) dell'anonimo sermonetano permette i seguenti confronti:
ESEMPIO V
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Tra l'anonimo e Macque c'è identità sia nell'estensione globale (otto note in ambedue i soggetti) sia nella conformazione delle teste motiviche. Anche tra Willaert e l'anonimo emerge l'identità nell'estensione globale e perfino una totale identità ritmica dei soggetti. Bisogna però sottolineare la loro sostanziale diversità melodica: mentre nell'anonimo (come del resto in Macque) prevale l'impulso ritmico su quello melodico, con tre note ripetute e il primo accento sulla quarta, in Willaert predomina ancora l'elemento di fluida ondulazione melodica, con sole due note ripetute - cioè arsi e tesi - seguite subito dall'ondulazione. In questo modo il soggetto willaertiano, sebbene di carattere prettamente declamatorio, non interferisce ancora sul flusso melodico globale del suo ricercare.
Certo, se guardiamo la desinenza fa-la-si-do del soggetto sermonetano, questa desinenza si rivela davvero molto simile a quella di Willaert, in confronto alla quale appare come una inversione melodica. Con pochi e lievi aggiustamenti è addirittura possibile mettere i due soggetti in una relazione di contrappunto osservato.
ESEMPIO VI
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Una tale nozione vale però solo per la p r i m a apparizione del soggetto sermonetano. Le varianti di questo soggetto invece perdono subito la desinenza melodica in questione, mettendo ancora maggiormente in evidenza il carattere ritmico del soggetto. In conclusione, queste varianti dell'anonimo appaiono già abbastanza distanti dallo stile fluido di Willaert.
Quanto alla tecnica della variazione motivica, la troviamo molto evoluta sia in Willaert sia in Macque. Il maestro più anziano però fa apparire, nell'esordio del ricercare, il primo soggetto sempre in modo letterale (comprese la risposta "tonale" e l'inversione melodica). L'anonimo sermonetano invece, come abbiamo già visto, varia anche il primo soggetto subito dall'inizio del suo componimento. Questa situazione rassomiglia non a quella di Willaert ma a quella trovata in Macque:
ESEMPIO VII
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C'è da sottolineare che il soggetto di Macque subisce, già all'inizio del brano, delle modifiche ritmiche tendenti a un graduale accelerando del discorso musicale, soprattutto attraverso la tecnica di ripetuti dimezzamenti dei valori ritmici.
Sul piano formale, si possono fare dei confronti per quanto riguarda sia l'estensione globale dei componimenti sia la loro disposizione formale.
Il basso di Sermoneta misura esattamente 40 battute alla breve. Molto più estesi sono i ricercari di Willaert che in genere superano, a volte di gran lunga, le 100 battute alla breve
20 .
Solo il ricercare n.º 9 (che stilisticamente sembra occupare una posizione a parte) è molto più breve, misurando solo 62 battute. In media meno estesi dei ricercari di Willaert sono invece i capricci di Macque. Nell'edizione Watelet-Piscaer troviamo un capriccio di 80 battute
21 .
e un altro di 66 battute
22 .
che corrispondono cioè, per quanto riguarda l'estensione globale più o meno al nono ricercare di Willaert.
Ma all'epoca ci sono anche ricercari più brevi. Un esempio ne abbiamo nelle Fantasie a tre voci (1585) di Giovanni Bassano
20 .
Queste fantasie, stilisticamente vicine al ricercare, misurano tra le 54 e le 63 battute, avvicinandosi cioè, come lunghezza, al basso di Sermoneta. Quest'ultimo comunque, nel confronto si rivela breve sì ma strutturalmente denso, visti i suoi numerosi soggetti con le varianti.
Guardiamo adesso invece alla disposizione formale del basso di Sermoneta. Il p r i m o soggetto (con le varianti) occupa lo spazio relativamente breve delle prime nove battute iniziali. Solo alla fine del basso appare un'ulteriore variante - tra l'altro appena accennata ma comunque riferibile alla seconda variante del primo soggetto (nota 27 ss.). Quest'ultima apparizione del primo soggetto ha la funzione di una "ripresa", come del resto già in simili circostanze nei ricercari di Willaert.
24 .
Dalla battuta 10 del basso sermonetano fino alla battuta 34 regna invece quasi incontrastato il s e c o n d o soggetto con le sue varianti, a parte due apparizioni del terzo soggetto e i contrappunti fluidi. La parte centrale del basso quindi viene soprattutto occupata dal secondo soggetto. Con le sue tre note ripetute, e il primo accento sulla quarta, questo soggetto si presenta come tipico non tanto del ricercare bensì, piuttosto, della canzone francese.
Dunque, il componimento del quale il basso è una parte, comincia come un vero ricercare. Con l'uscita del primo soggetto nella battuta 9 però, il componimento subisce una variazione nel carattere, dato che da adesso fino praticamente alla fine, prevale il secondo soggetto e, con esso, il carattere della canzone francese. In conclusione, il ricercare di Sermoneta va considerato come esempio del cosiddetto "sincretismo formale" che circa dal 1570 subentra come nuovo indirizzo stilistico nella produzione strumentale del Cinquecento
25 . Ancora Willaert, nei ricercari del 1551, non aveva rotto mai il flusso melodico contrappuntistico delle linee, anche quando magari usava, ad esempio, un soggetto ritmicamente simile al secondo soggetto sermonetano - conservando così, Willaert, l'uniformità stilistica della sua musica. Diversamente Macque attorno al 1590. Il suo Capriccio sopra tre soggetti è sì un ricercare abbastanza tradizionale. Ma il suo Capriccio sopra un soggetto costituisce un esempio bello ed eloquente del nuovo sincretismo formale. Il componimento comincia come un vero ricercare; ma dopo la metà del pezzo subentrano ripetizioni quasi "meccaniche" di formule circolari, scavate dalla testa motivica del soggetto principale. Inoltre si trova, alla battuta 48, un inserto in metro ternario che introduce qui il carattere danzante della gagliarda. In sintesi, un componimento, quello di Macque, che fino alla metà si comporta come un ricercare, mutando poi decisamente verso i connotati della canzone francese.
Ora, guardando di nuovo al basso sermonetano, direi che quest'ultimo sta a metà strada tra il Capriccio sopra tre soggetti e il Capriccio sopra un soggetto del Macque. In base a queste considerazioni propongo una datazione del basso sermonetano a circa il 1580-1585.
4. Ricostruzione
Se vogliamo tentare a questo punto una ricostruzione va subito detto che non si può trattare di una ricostruzione letterale filologica delle due voci mancanti. Piuttosto si cerca, servendosi di appositi modelli emersi nelle analisi precedenti, di aggiungere liberamente due voci, magari conciliabili con lo stile del basso. Il principale modello da me scelto è il Capriccio sopra tre soggetti di Giovanni de Macque. Siccome questo Capriccio non appartiene allo stile sincretistico, non potrebbe fungere da modello unico per l' i n t e r o basso sermonetano. Il menzionato componimento di Macque mi sembra però molto adatto come campione per l' e s o r d i o di quest'ultimo.
ESEMPIO VIII
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È da sottolineare che non tutte le voci entrano con il primo soggetto: il soprano entra con il secondo, il basso invece con il terzo soggetto. Importanti sono inoltre le variazioni del primo soggetto subito all'inizio del componimento.
La nostra ricostruzione dunque si avvale di questi connotati stilistici. Ogni voce espone il primo soggetto introducendo delle varianti; le singole voci entrano con soggetti anche diversi dal primo. In tutto sono previsti quattro soggetti. Data la presenza della cosiddetta 'chiavetta', le note appaiono trasposte in quinta bassa. Quanto finora esposto si riferisce all'esordio del ricercare. Per il prosieguo invece i modelli da noi scelti sono quelli delle canzoni francesi di Macque pubblicate da Watelet-Piscaer.
ESEMPIO IX,
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5. Conclusione
Ricordiamo ancora una volta l'ambiguo titolo "fuga" e insieme i simboli metrici piuttosto enigmatici. Abbiamo già detto che il genere fuga, inteso come canone, nonché questa caratteristica combinazione dei simboli sono riferimenti alla vecchia scuola fiamminga attorno il 1500. Forse il compositore, usando tali distintivi, vuole esprimere che lui stesso si sente ancora legato a tale scuola, sebbene già con distacco - o addirittura che lui è di origine fiamminga ?
Un'altra domanda si pone. Abbiamo, per caso, a che fare con un esempio di 'musica riservata'? Questo è un termine noto fra i musicologi specializzati, termine che si riferisce a parte della musica da camera vocale e strumentale del Cinque-Seicento
26 .
Le musiche in questione sono 'riservate' a determinate persone, di solito colte, quali dedicatari. Non sempre il compositore ottiene il permesso di mandare alle stampe la sua musica 'riservata' ad altrui. Un tale tipo di musica di solito fa vedere la perizia del compositore attraverso artifici speciali, siano essi arditi effetti cromatici o enarmonici, siano essi procedure contrappuntistiche secondo "regole più riservate e recondite" come dice un teorico dell'epoca
27 .
Quanto al basso sermonetano, questo non dimostra effetti cromatici, anzi, al contrario, non c'è traccia di 'musica ficta'. In compenso il basso è potenzialmente ricco di raffinate combinazioni contrappuntistiche.
Siamo giunti così alla domanda conclusiva: Chi sono allora il compositore e il dedicatario di questa musica? Non lo sappiamo per certo. Ma un'ipotesi fondata la si può fare.
Il dedicatario in questione - o forse semplicemente il padrone di casa - lo dobbiamo probabilmente cercare tra uno di questi tre personaggi: il cardinale Nicolò Caetani (1526-1585), il monsignore (dal dicembre del 1585 cardinale) Enrico Caetani nipote di Nicolò, e il monsignore Camillo Caetani (1552-1602), fratello di Enrico
28 .
Il cardinale Nicolò, dedicatario dei Ricercari (1558) di Giovanni Battista Conforti, sembra essere ancora radicato nell'estetica rinascimentale e perciò forse meno incline al sincretismo formale manifesto nel basso di Sermoneta. Rimarrebbero Camillo ed Enrico Caetani. Tra questi due personaggi penserei più al monsignore Enrico (1550-1599), per ragioni, diciamo cosi, di equità. Camillo è già dedicatario del Secondo libro di madrigaletti (1582) di Macque, oltre a stampe musicali di Marenzio e Filippo de Monte
29 .
Enrico invece, per quanto ne sappiamo, non è dedicatario di nessuna stampa musicale.
Nel nostro commento stilistico era emersa l'evidenza di una forte parentela stilistica tra l'anonimo sermonetano e Giovanni de Macque. Inoltre Adrian Willaert (ca. 1490-1562) sembra costituire il modello stilistico più importante in ambedue i casi. È quindi probabile che l'anonimo e Macque siano identici. In particolare certe procedure ritmico-strutturali del graffito, così come nelle opere pubblicate di Macque, sono troppo sofisticate per potere essere facilmente imitate da altri compositori con naturalezza. Bisogna inoltre considerare che i maestri romani dell'epoca raramente si sono occupati della musica strumentale autonoma.
Mantenuta allora l'ipotesi Macque, si rafforzano gli indizi su Enrico Caetani come dedicatario. Con lettera del 7 marzo 1586 da Napoli, Macque ringrazia il suo amico romano Norimberghi "de la reverenza che a nome mio ha fatto al Signor Cardinale [Enrico Caetani] et al Signor Camillo [Caetani]"
30 .
Quindi, Macque mette i due ex padroni romani sullo stesso piano della sua gratitudine. Bisogna domandarsi, perché mai Macque avrebbe dedicato a Camillo un'importante stampa musicale di sua composizione ma non dato niente ad Enrico. Proprio nell'anno 1585 ci sono due eventi di straordinaria importanza nella carriera di quest'ultimo: a fine luglio viene creato patriarca d'Alessandria d'Egitto e nel dicembre dello stesso anno cardinale - eventi, questi, sicuramente abbinati a grandi festività e forse accademie di musica da camera vocale e strumentale. Per una di tali occasioni Macque avrebbe ricevuto l'incarico di scrivere, per Enrico, un ricercare o piuttosto una serie di sei, nove o dodici ricercari a tre voci.
Ma forse non c'è nemmeno un nesso tanto immediato e diretto tra un'occasione festiva romana e il graffito di Sermoneta. Più semplicemente il compositore, con l'incisione di una melodia sulla parete d'una stanza privata, potrebbe avere voluto lasciare una traccia di se o una specie di firma - ricordando magari con gratitudine l'ospitalità goduta durante un suo soggiorno estivo a Sermoneta, forse l'ultimo. Anche in tal caso però probabilmente bisogna ipotizzare che il basso di Sermoneta faccia parte di un ricercare o piuttosto di un gruppo di ricercari dedicati (e forse 'riservati') a un personaggio di spicco, ad esempio Enrico Caetani.
Ecco una serie di ipotesi possibili. Lo stato attuale delle ricerche non consente di più. Bisognerà studiare meglio la musica strumentale del secondo Cinquecento e soprattutto l'intera produzione strumentale di Giovanni de Macque pervenutaci in manoscritti e stampe. Bisognerà poi indagare sull'attività musicale dei Caetani nel periodo in questione.
Sicuramente prima o poi l'enigma dell'«anonimo sermonetano» sarà risolto del tutto.
NOTE
1
Vittorio SPRETI ed altri, «Enciclopedia Storico-Nobiliare Italiana», vol. II, Bologna, 1981, p. 232s: articolo Caetani di Temistocle BERTUCCI.
2
Gelasio CAETANI, Domus Caietana, vol.1/2, San Casciano Val di Pesa, 1927, p. 237, 249-256, con tre piante del castello riguardanti le varie fasi di storia architettonica. Ringrazio Riccardo Cerocchi, presidente della «Fondazione Roffredo Caetani» di Latina, per preziose informazioni durante un comune sopralluogo nel 1994.
3
Gaspare DE CARO, articolo Caetani, Nicola, in: «Dizionario biografico degli italiani», 16, Roma, 1973, p. 197-201.
4
Altre misure: lunghezza del pentagramma 154 cm, parzialmente riempito dalla linea melodica fino a complessivamente 125 cm; altezza del pentagramma 4-5 cm; altezza pentagramma più il titolo "fuga" 10 cm.
5
Gelasio CAETANI, op.cit., vol. II, 1933, p. 34 (trascrizione parziale).
6
Klaus-Jürgen SACHS, articolo Fuga, in «Riemann Musiklexikon, Sachteil», Mainz, 1967, p. 307s.
7
Cf. Claudio SARTORI, Bibliografia della musica strumentale italiana stampata in Italia fino al 1700, Firenze, 1952.
8
SARTORI, p. 16.
9
Simboli metrici sulla sinistra della chiave sembrano assai rari nel campo dell'iconografia musicale. Un esempio comunque è riportato da Volker SCHERLIESS, Musikalische Noten auf Kunstwerken der Renaissance bis zum Anfang des 17. Jahrhunderts, Hamburg, 1972, p. 101, n. XV: Intarsio nel coro del duomo di Siena, ad opera di Giovanni da Verona (1456-1528).
10
Patrizio BARBIERI, «Chiavette» and modal transposition in Italian practice (c.1500-1837), in «Recercare» III (1991), p. 5-75:19,21.
11
È istruttiva la tabella riportata in fondo al fascicolo: Giovanni BASSANO, Sieben Trios, a cura di Edith KIWI («Hortus Musicus» 16, Kassel, 1958).
12
Articolo Macque, Giovanni de (Jean), di Renato BOSSA, in: «Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti - Le Biografie», 4 (1986), p.562.
13
Adrian WILLAERT, Ricercari a 3 voci, a cura di Hermann ZENCK ("Antiqua - Eine Sammlung Alter Musik", Mainz,1933).
14
Carles GUILLOT, Giovanni de MACQUE, Carolus LUYTHON, Werken voor orgel of voor vier speeltuigen, a cura di Joseph WATELET e Anny PISCAER («Monumenta Musicae Belgicae», 4e Jaargang, 1938, Amsterdam, 2/1968), p. 33-69.
15
Quest'ipotesi deriva da valutazioni stilistiche riportate alla circostanza che i due capricci provengono da un manoscritto custodito nella Biblioteca del Conservatorio di Napoli (Ms. 73). A Napoli Macque si trovava dal 1586 in poi. Cf. anche Friedrich LIPPMANN, Giovanni de Macque fra Roma e Napoli, in «Rivista Italiana di Musicologia», XIII (1978), p. 245-279.
16
Bernard MEIER, Die Tonarten der klassischen Vokalpolyphonie, Utrecht, 1974, p. 312.
17
Ed. WATELET-PISCAER (v. nota 14), p. 41.
18
Ed. WATELET-PISCAER, p. 46.
19
Ed. ZENCK (v.nota 13), p. 38.
20
Ed. ZENCK. I ricercari 1-8 misurano tra le 101 e le 163 battute alla breve.
21
Capriccio sopra un soggetto, ed. WATELET-PISCAER, p. 39-41.
22
Capriccio sopra tre soggetti, ed. WATELET-PISCAER, p. 41-43.
23
Cf. la nota 11.
24
Ed. ZENCK, ricercare 5.
25
Cf. Dietrich KÄMPER, Studien zur instrumentalen Ensemblemusik des 16, Jahrunderts in Italien, Köln, 1970 («Analecta musicologica»;,10), p. 152-155.
26
Bernhard MEIER, Reservata-Probleme. Ein Bericht, in: «Acta musicologica», 30 (1958), p. 77-89; inoltre Hellmut FEDERHOFER, Monodie und musica reservata, in: «Deutsches Jahrbuch der Musikwissenschaft», 2 (1957) («Jahrbuch der Musikbibliothek Peters», 49), p. 30-36.
27
Antonio BRUNELLI (1610), citato da FEDERHOFER, p. 31.
28
Gaspare DE CARO, articoli Caetani, Nicola e Caetani, Enrico, nonché Georg LUTZ, articolo Caetani, Camillo, in «Dizionario biografico degli italiani», 16, Roma, 1973, p. 197-201, 148-155, 137-141. - Cfr. inoltre LIPPMANN, op.cit. (v. nota 15), passim.
29
Cf. LIPPMANN, p. 251.
30
Cf. LIPPMANN, p. 255.
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