Che valore ha nell'arte un lavoro di coppia ? Ha ancora senso il lavoro individuale in questo momento storico fatto di globalizzazione e di scambi sempre più veloci, dove la distanza non è più un fattore negativo o una barriera psicologica, ma anche a distanza si riescono ad instaurare relazioni e a promuovere i propri linguaggi ? Analizzando la simbiosi artistica realizzata dalla coppia Oldenburg/van Bruggen, sembra essere svaporato lo stereotipo romantico dell'artista geniale e isolato che, racchiuso e solitario nel suo mondo, crea e
cerca risposte a domande incomplete. L'immagine dell'artista eclettico e stravagante che segretamente dal suo studio interroga la tela o dà forma alla materia, ha lasciato il posto ad un artista che si rapporta in un modo più esplicito con ciò che lo circonda, è una figura specializzata che si inserisce in un contesto culturale, in un movimento artistico, in un gruppo in cui si accetta l'esistenza e la possibilità
di un rapporto collaborativo e di condivisione di idee e di processi lavorativi verso l'obiettivo comune dell'innovazione. È con il futurismo e con il costruttivismo che si riscontra questa "modernizzazione" e poi con il neoplasticismo e razionalismo che la figura e il lavoro di artista, da una fase artigianale ed elitaria degli albori, si è spostata verso una dimensione professionale con compiti maggiori, anche nel campo sociale, coinvolgendo aree geografiche sempre più allargate. Ed è in questo contesto che assume più valore il lavoro di gruppo, come anche quello di coppia. Del futurismo si ammirarono i manifesti, le associazioni collettive, i rapporti interrogativi fra
diverse realtà o fra diversi linguaggi come fra arte, musica, cinema e teatro.
Molto spesso il mondo dell'arte si è dichiarato restio non solo verso l'artista femminile, ma anche verso il contributo collettivo tra maschile e femminile; esso è sempre stato per una condizione che fosse per lo più maschile o neutra. Negli ultimi decenni la figura femminile è uscita alla conquista di credibilità e consenso, trovando una considerazione valida e riconoscendosi come un contributo
"parallelo". Tuttavia, la critica valorizza ancora poco il contributo tra maschile e femminile, in coppia e in gruppo. Essa si limita solamente a considerare quel rapporto in cui il femminile è musa ispiratrice del maschile e dove quest'ultimo include l'altro come con Gala e Salvador Dalì, Juliet e Man Ray, Jacqueline Lamba e Andrè Breton, Georgia O'Keeffe e Alfred Stieglitz. Il confronto fra artisti aiuta a rigenerarsi, ad uscire dalla solitudine che può rendere aridi d'ispirazione, in un processo fatto di incontro, ma anche di scontro, che ravviva le energie e mette in discussione la visione individuale. È un processo fondato sullo scambio reciproco e sulla mobilità che aiuta a raggiungere livelli artistici sempre maggiori. Negli ultimi decenni si è affermato un nuovo linguaggio artistico, una ricerca che è più flessibile e che risponde a tutti i contesti e le tecnologie: un approccio che è proattivo. Non solo, si parla sempre più di un lavoro di team reattivo dove continuano a esistere le individualità che interagiscono per un obiettivo unitario: creare l'opera d'arte ideale e assoluta.
Per fortuna, l'evoluzione della società e dei costumi ha spinto a registrare come connubio artistico e interazione linguistica tra partner, Jackson Pollock e Lee Krasner, Nanci Spero e Leon Golub, Antonietta Raphael e Mario Mafai, Thomas Hart Benton e Joseph Cornell, Diego Rivera e Frida Kahlo, Robert Venturi e Denise Scott Brown, Carla Accardi e Antonio Sanfilippo, Christo e Jeanne Claude. Oggi, l'altra metà non diventa né l'ombra e né l'ispirazione, ma la materia prima di una interazione indipendente, una controforza che si lega al maschile, ma pur sempre un'energia autonoma.
Il team Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen rovescia l'uno sull'altro, sia sul piano intimo che pubblico, la loro visione artistica ed è diventato un aggregato di due persone che tramite un continuo faccia a faccia, ha spinto la loro sperimentazione linguistica verso la frantumazione dei codici tradizionali dell'arte. La loro attenzione per la scultura è passata da una dimensione ridotta a una macroscopica fatta di large-scale projects di carattere pubblico e varie performance. È il contesto urbano il mondo in cui realizzano l'opera. Essa non viene pensata o utilizzata per i luoghi tradizionali dedicati all'arte, come gallerie e musei, perché frutto dell'interazione e della considerazione dello spazio allargato, come può essere una città appunto, che diventa l'oggetto in cui il soggetto artistico si confronta. Le loro opere sono dei large-scale projects, sono interventi pubblici che vivono del rapporto fra individuale e collettivo, tra arte e architettura, in un'arte che intende avere un'influenza larghissima e che incide, soprattutto, nel quadro sociale della città. Quanto è definito arts in public places è il residuo di un piano creativo che era già presente nell'ipotesi della città ideale nata nel Rinascimento. I loro large-scale projects, sono un continuo riferimento all'intercomunicazione tra arte e architettura, tra banale e sacro, tra vita e morte, tra spiritualità e sessualità e, insieme, intendono trovare una soluzione a tale dicotomia in modo da consentire all'arte di colmare l'intervallo tra universi separati e contrapposti. In questi termini un uomo e una donna, marito e moglie, un artista e un critico, lavorano insieme da tempo in un rapporto complementare. La loro arte viene vissuta in ogni momento della loro vita. Una sintesi di opposti come il duro e il molle, l'artificiale e il naturale, diverse polarità che si incontrano e si scambiano valori, in un processo artistico ed estetico che alla fine porta una conclusione comune e concordata.
Un large-scale project nasce e diventa parte intrinseca di un panorama urbano allargato. Si parte da un luogo, dalle sue caratteristiche fisiche e dalle sue potenzialità iconografiche per individuarne, poi, un'immagine associativa. Questa nasce confrontandosi con lo spazio, cercando di estrapolare l'espressione scultorea che meglio si adatta ad esso; un'indagine del territorio per ricercare e individuare il "supporto" atto ad essere sottoposto a un gesto artistico. Il lavoro della coppia cerca, così, di confrontare e combinare la loro percezione individuale con quella della collettività e della società. Questa combinazione nasce prendendo un oggetto di uso quotidiano,
spesso che si possa impugnare, come una mazza da baseball, una torcia elettrica, uno spazzolino da denti, un tubetto di dentifricio, un bottone, un'ombrello, un cucchiaio o un cappello. Questo sorprendente gioco di proporzioni reso possibile dal processo creativo e
comunicativo sempre nuovo ed efficace della coppia, è il frutto di una complessa e composita ricerca e progettazione che tutto studia e niente lascia al caso, anche se a volte può sembrare il contrario. Il loro lavoro aspira ad una totale fusione tra oggetto e paesaggio, lavorando sull'originalità del messaggio artistico. Lipstick (ascending) on Caterpillar Tracks (1969-74) rappresenta forse la loro scultura più rivoluzionaria, in quanto simbolo militante di sentimenti di sfida e di avversione nei confronti della guerra. Ideata come scultura fatta per muoversi da sola, ha cingoli da caterpillar sopra i quali è stato costruito il resto del monumento, un rossetto gonfiabile in graduale erezione. L'opera, però, non celebra una nudità erotica o un'ideologia politica, essa rappresenta una macchina/corpo dove si è instaurato una intercambiabilità tra meccanismo e sesso. L'utilizzo del rossetto quale soggetto per una scultura monumentale risale al 1966 quando Oldenburg ipotizzò l'installazione di enormi rossetti al centro di Piccadilly Circus a Londra. Clothespin (1976) è una
scultura monumentale in cui il soggetto artistico è rappresentato da una molletta da bucato di dimensioni enormi posta a Filadelfia, in Pennsylvania. Il soggetto, anche se di uso quotidiano, presenta forti connotazioni simboliche definite da queste due parti unite da una
molla, quasi a immaginare un rapporto d'amore, un incontro tra opposti o un bacio, destinati all'eternità. Flashlight (1981), poi, è una scultura / totem installata nel campus dell'Università di Las Vegas, nel Nevada. L'opera funge da segno e fin dall'inizio fu scelta la luce come elemento che avrebbe dovuto caratterizzare questa colonna, combinazione di una torcia elettrica con una forma organica, tipo cactus, disposta con la luce verso il basso. La scelta di posizionare la torcia verso il basso amplifica notevolmente il valore simbolico dell'opera stessa che, grazie alla luce interna, pare composta da una vita interiore, da un'energia che imprime la sua forza per generare movimento all'opera. È del 1982 l'opera Hat in Three Stages of Landing installata in un parco pubblico che circonda un centro culturale alla periferia di Salinas, in California, nelle vicinanze del California Rodeo, spazio in cui si svolgono, ogni anno in luglio, delle gare di rodeo. Il soggetto artistico scelto fu un cappello che, lanciato fuori dal rodeo avrebbe dovuto rotolare e seguire un'evoluzione lungo il parco per riportare tre momenti differenti di un volo/movimento nell'aria. Questi tre cappelli che volteggiano e veleggiano avrebbero dovuto confrontarsi con la superficie estesa del parco senza interferire con le attività che vi si svolgevano. Fu scelto un cappello di foggia non specifica che potesse accomunare tutta la gente che nel parco si riuniva. Furono realizzati tre cappelli sorretti da due pali ciascuno che, equidistanti gli uni dagli altri, coprirono il parco per circa 49 m di distanza in un rapporto di dispersione, ripetizione e incorporando fasi temporali diverse per occupare più spazio e per decentrare il sito. In Binoculars, Chiat/Day Building (1991), la scultura è parte integrante dell'architettura della sede dell'agenzia pubblicitaria Chat/Day, disegnata da Frank Gehry, a Venice in Florida. Il soggetto scelto è un binocolo che avrebbe dovuto avere una doppia funzione: soggetto artistico che interagisce con
l'architettura e luogo destinato alla riflessione e al relax in antitesi alla dinamicità del lavoro della stessa agenzia pubblicitaria. Bottle of Notes (1993) è stata realizzata a Middlesbrough, Gran Bretagna, ed è un'opera estremamente poetica. È la celebrazione di due testi distinti l'uno dall'altro per la grafia utilizzata e per il colore: bianco per le parole esterne e azzurro per quelle
interne, in un fluire continuo della scrittura che sembra in movimento. La bottiglia diventa così il contenitore della parola e dei sentimenti dove le due citazioni, quella esterna tratta dal giornale di bordo del Capitano Cook scelta da Coosje van Bruggen ma interpretata con la grafia di Oldenburg e quella interna composta da Coosje van Bruggen scelta da Claes Oldenburg e interpretata con la grafia di van Bruggen, si eclissano vicendevolmente, separandosi e fondendosi in un gioco astratto di linee. L'opera rappresenta un
dialogo che si muove fra arte e poesia in un incontro di opposti. Soft Shuttlecocks (1994), infine, è una configurazione di piume che si possono posizionare in diversi modi. È una scultura ideata appositamente per l'architettura a spirale del Guggenheim Museum di New York, ma anche per essere adatta a siti diversi; essa consiste in piume multidirezionali che permettono di relazionarsi con gli spazi e le rampe dell'edificio e che si proiettano verso l'alto e verso il basso, mentre la parte semi-sferica è fissata ad una rampa del museo.
Venezia, Museo Correr e Salone Napoleonico (23 maggio - 3 ottobre 1999)
Questa mostra non fa di Venezia una semplice tappa di una prima mondiale, ma per Venezia è stata pensata e voluta. La mostra analizza nei dettagli il processo creativo e costruttivo di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen attraverso l'allestimento e la
presentazione di sculture, installazioni, modelli, disegni, documenti e proiezioni, tali da intraprendere un viaggio ideale nell'universo immaginario che ha trasformato il sogno di queste importanti figure dell'arte contemporanea, in realtà. La mostra, curata da Germano
Celant, presenta per la prima volta in assoluto il percorso artistico e creativo seguito da Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen nella produzione di 34 opere pubbliche su vasta scala seguendo tutti i passi significativi che portarono alla realizzazione del progetto
scultoreo, dal momento dell'assegnazione dell'ordine da parte del committente pubblico fino alla definizione dell'idea e alla sua realizzazione. La mostra presenta, inoltre, due progetti realizzati appositamente per Venezia: Lion's Tail e Corridor Pin. Il primo sono
cinque metri e mezzo di una coda di leone, animale emblema della città, che fuoriesce dalle finestre del museo e che suggerisce l'inserimento dell'animale, che si presume enorme, all'interno del palazzo che guarda Piazza San Marco; mentre il secondo utilizza
un'enorme spilla da balia che, inserita all'interno di una sala del museo, entra e fuoriesce dai muri in modo accidentale come a suggerire un rapporto tra il visibile e l'immaginario. Questo rapporto viene esaltato dal fatto che rendendo visibili solo parti o pezzi di
un qualcosa di familiare, si suggerisce e si immagina un qualcosa di più grande e straordinario. Infine, all'interno dell'ala Napoleonica del Museo è stata presentata una contestualizzazione dell'opera Soft Shuttlecocks che, prestandosi a diverse configurazioni ed essendo adattabile a diversi siti, ingloba lo spazio relativamente piccolo della sala aumentandone l'effetto.
Riferimenti bibliografici:
Claes Oldenburg Coosje van Bruggen, a cura di Germano Celant, Milano, Skirà 1999
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