Agli inizi degli anni '80, intorno alla figura del gallerista Plinio De Martis, si verifica nell'arte italiana un fenomeno di ritorno alla pittura, che era stata spodestata dalla nuova tendenza dell'arte concettuale e informale ad escludere il quadro tradizionale dai mezzi propri di un'arte contemporanea. Di Stasio è uno dei protagonisti di questo ritorno, dichiarato da alcuni anacronistico. Bisogna stare attenti, però, a classificare questo fenomeno. Questa strada si dirige verso una linea che sì, in un certo senso guarda al passato, ma si rivela pienamente inserita nella contemporaneità , senza d'altra parte essere etichettata come neo espressionista, o quant'altre classificazioni simili. Egli è stato tacciato di "citazionismo", ma non è così : non si rifà pedissequamente al passato, ma piuttosto vi si riferisce per "umilmente studiare, non per citare". In una intervista a Luciano Mariucci egli stesso dice che il suo gesto era inizialmente mirato a scandalizzare, ma in seguito divenne un vero e proprio indirizzo.
Già nelle sue prime opere che sono installazioni troviamo un grosso riferimento al quadro. In "Viaggi" del 1977 troviamo un dipinto all'apice della costruzione simbolica; nell'ultima installazione del 1978 troviamo invece un grande autoritratto a dialogare con il resto degli oggetti. Per cui si presenta da subito il suo interesse per il quadro, che possiamo chiamare tradizionale in confronto con il N.Q.C., Nuovo Quadro Contemporaneo, teorizzato da Gianluca Marziani, che si riferisce all'arte digitale.
Successivamente troviamo nei suoi quadri un riferimento all'arte rinascimentale in cui fonde la simbologia in una miscela di immagini difficilmente codificabili
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Ha la dote di saper presentare drammi antichi in veste moderna, drammi dal carattere visionario. La sua peculiarità è quella di creare delle situazioni decisamente ermetiche, in cui ogni elemento ha il suo significato, ma questo è impenetrabile anche ad un occhio attento e vigile. Il contesto è surreale: vi sono corpi che entrano in un tavolo, al chiaro di luna di una stanza chiusa; rocce che sorgono in una casa; interni che si aprono al paesaggio come una tenda decorata da fiori. La sua componente metafisica si esplica nei suoi continui scenari cittadini, nella trattazione degli interni, ma soprattutto in un modo particolare di intendere la pittura: in maniera non decifrabile.
Il suo continuo riferimento alla musica e al teatro gli deriva dalla situazione familiare: il padre era cantante d'opera, il fratello attore. La sua ricerca è quella di riuscire a comunicare nell'arte figurativa come nella musica, facendo sì che le figure siano segni in un libero fluire. è questa la manifestazione di una volontà artistica pensata e che soprattutto scaturisce da un'operazione interna molto profonda.
Con la maturità, da composizioni affollate si passa a dipinti di pochi personaggi, ma di grande risonanza poetica.
La maggior parte dei suoi personaggi sono autoritratti ; è come se contemporaneamente alla ricerca pittorica egli stesse cercando se stesso. I paesaggi periferici popolati da poche figure che ritroviamo nei suoi ultimi dipinti, non sono altro che la sua propria ricerca di una periferia dell'anima, come egli stesso dice. Per cui aspettiamo fiduciosi nel vedere dove lo porterà questa doppia strada che corre su binari paralleli.
NOTE
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(1)Maurizio Calvesi, Stefano Di Stasio dal 1978 a oggi": "Di Stasio dallo psicodramma al monologo, Catalogo della mostra, Roma, 1999.
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