Alighiero Boetti, oppure Alighiero e Boetti ?
L'enigma sull'identità d'autore, che ha già creato uno straordinario interesse anche tra i più smaliziati giornalisti e critici dell'arte inglese, non è poi nuovo nella cultura contemporanea. Se il primo nome ha la semplice funzione di fornire una mera identità anagrafica, pari alla ormai demistificata firma d'autore nell'opera contemporanea (e mi ritorna in mente, forse per la retrospettiva dello scorso anno alla Serpentine Gallery, il sorriso sardonico di Piero Manzoni nell'atto di firmare la reale nudità delle sue modelle
1 ), il secondo meglio racconta la storia, e soprattutto la geografia di uno degli esponenti dell'Arte Povera meno conosciuti, meno studiati e sicuramente meno visti a Londra.
Trovato finalmente il suo spazio per una elegante ed accattivante retrospettiva alla Whitechapel Gallery di Londra dal 15 Settembre al 7 Novembre
2 , Boetti sembra aver superato quella personale diffidenza per il popolo e la cultura anglosassone alla quale anche una delle sue opere più pop, Stiff Upper Lip (1966) accessoriamente e con leggera ironia si riferisce.
Peccato solamente che Boetti non ci sia, scomparso alla sola età di 54 anni nel 1994.
Eppure anche questo suo non esserci fa parte di quella sottile trama dell'imprevedibile che tanto interesse suscitava in Boetti
3
e che si scopre motivo eccellente anche in questa retrospettiva. Dalla prima partecipazione alla mostra-lancio dell'Arte Povera a Torino del gennaio 1967, curata da Germano Celant alla galleria Christian Stein, fino alle opere degli anni '70 e oltre, quando il retaggio dell'Arte Povera era ormai per Boetti più un motivo di disturbo che non di ispirazione
4
Boetti inesorabilmente riflette e fa riflettere su quel misterioso intervallo tra ordine e disordine, tra razionale e irrazionale, tra struttura e caos, tra funzione e disfunzione che sono poi tra i motivi ricorrenti dell'arte e della cultura moderne e contemporanee e che diventano cruciali nelle discussioni del dopoguerra (ed oltre) in Italia
5
Tra le prime opere ad accogliere il visitatore ritroviamo così due enigmatici e scherzosi "commenti" sull'arte: il Manifesto, stampato nel 1967, e Lampada Annuale, del 1966 circa.
Il primo è un vero e proprio manifesto in cui appaiono in una sorta di top-ten in rosso i nomi di quindici artisti italiani degli anni Sessanta (tra gli altri Fabro, Nespolo, Pistoletto, Kounellis, Merz, Schifano e se stesso) accompagnati da curiosi simboli segreti. La chiave di lettura di questi simboli, Boetti diceva, è gelosamente conservata in un documento depositato presso un notaio e accessibile a chiunque paghi una opportuna somma in denaro. Di fatto sino ad oggi non è mai stato possibile rintracciare il notaio. Un commento forse sull'impossibilità di un giudizio assoluto sull'arte e sui suoi esponenti, laddove per uno scherzo del destino si è perduta la chiave che ne spiega i contenuti eterni ?
Accanto al Manifesto, una lampadina spenta dentro un cubo nero si dice illuminarsi per undici secondi ogni anno. Ma chi l'ha mai vista accendersi ? Funzionerà davvero ? Chi soprattutto troverà il tempo, la pazienza, il modo di mettersi ad osservare la lampadina per 365 giorni ininterrottamente ? Forse che la lampadina sia metafora della cosiddetta ispirazione artistica ?
Già in queste prime opere è possibile intravedere quella trasversalità di Boetti che segna poi una vera e propria distanza tra le intenzioni del suo discorso e quelle del discorso teorico di Celant, ancora fortemente impregnate di idealismo. Per quanto Boetti condivida i procedimenti dell'Arte Povera così come indicati da Celant («use of the simplest material and natural elements for description or representation of nature», «Like an organism of simple structure, the artist mixes himself with the environment, camouflages himself, he enlarges his threshold of things», «estrangement from the existing archetype and continuing renewal of himself», «loss of identity», «cultural kleptomania»
6 ,
c'è tuttavia in Boetti una netta tendenza alla demistificazione dell'opera d'arte e della figura d'artista, che lo allontanano dalla concezione poeticheggiante dell'artista mago ed alchimista di Celant e lo avvicinano piuttosto agli artisti concettuali degli stessi anni
7 .
Così, con la cura dell'artigiano, la precisione dell'osservatore scientifico e la curiosità dell' autodidatta, Boetti esplorerà i codici, i simboli, le nomenclature che rappresentano logicamente l'ordine naturale in cui viviamo e ne scruterà il momento ed il modo in cui la loro intellegibile struttura ed il loro senso "naturalmente" vacillano: «I had been stuck by the fact that society's very foundations, its gigantic structures, would collapse if only some minute element were no longer there.» E ancora: «One of the most outstanding errors of our culture is the division of the uniqueness and globality of the world into rigid classifications.»
In Cimento dell'Armonia e dell'Invenzione
8 ,
realizzato nel 1969 a conclusione dell'esperienza "povera", Boetti riproduce su 25 fogli di carta la griglia di quadratini prestampata ritracciandola e variandola a mano con la matita. L' ordine geometrico della griglia inesorabilmente verifica la sua perfezione ed i suoi limiti laddove l'invenzione del tratto si fa largo. Giochi combinatori che utilizzano la matematica e la geometria, si ripetono in serie sempre più complesse poi dal 1980 in poi e varcano anche il limite del mezzo tecnico del disegno per ripresentarsi negli esercizi di mail-art (Senza Numero I-VI, 1972), e poi anche nelle tessiture.
Ovviamente anche il tempo (cioè lo scandirsi delle ore) e lo spazio (cioè la geografia dei territori e dei fiumi) saranno oggetto della stessa verifica.
«Time is fundamental, it is the main element in everything, the dates, the stamps and the squares are all ways of 'managing' time ... It is incredibly elastic». Nel gigantesco L'albero delle ore (1979), Boetti ha registrato nel corso di 24 ore i quarti (con il simbolo §) e le ore (con il simbolo 0) così come segnate dal campanile della chiesa di Santa Maria in Trastevere, nelle cui vicinanze si trovava allora il suo studio. Il risultato della registrazione viene poi raffigurato con accurato senso simmetrico in un arazzo commissionato da Boetti ad alcune tessitrici afgane. Il risultato è imperfetto: alle ore 24 mancano gli ultimi due quarti, sembra per motivi religiosi che impedirono alle tessitrici afgane di andare oltre nel lavoro.
Classificazione dei 1000 fiumi più lunghi del mondo è uno dei lavori che più a lungo impegnarono Boetti, dal 1970 al 1977. Con la collaborazione della moglie, critico d'arte Annemarie Sauzeau, Boetti contattò società geografiche e università per procedere alla più esatta classificazione possibile. Il risultato della ricerca, riprodotto in volume e poi su 2 grandi arazzi, dimostra l'impossibilità della stessa, dovuta sia alla necessaria parzialità delle informazioni ottenute, che alla intangibile e varia natura delle acque.
Infine le famose Mappe geografiche, coloratissimi arazzi a rappresentare il mondo suddiviso in nazioni, ogni nazione rappresentata dalla sua bandiera. Eppure i mutamenti storici di potere hanno poi determinato che alcuni di questi arazzi, come al solito commissionati alle tessitrici afgane, non fossero più storicamente validi. Nuovi arazzi allora seguono, con nuovi colori e nuove bandiere, già in sè destinati ad essere presto riaggiornati, "perfezionati".
La storia degli arazzi di Boetti è forse tra le più interessanti della sua esperienza di viaggiatore. L'avventura afgana, cominciata nel 1971 e sviluppatasi al punto che Boetti acquistò e gestì un albergo a Kabul, si conclude solo con l'occupazione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica nel 1979; se da un lato questi viaggi ripetono l'esperienza hippie, essi tuttavia conservano in Boetti quel carattere di ingenua curiosità che va oltre l'atteggiamento del turista o del modaiolo.
Nello stesso periodo Boetti decide di abbandonare la diretta realizzazione e produzione degli "oggetti", come preferiva chiamare le sue opere: queste vengono così commissionate a terzi, tessitrici afgane per la serie delle mappe e per L'albero delle ore, persone indirettamente conosciute per I sei sensi (1973). Qui un apparente superficie setoso-vellutata è in realtà il risultato del diverso tratto di 11 persone commissionate per riempire grandi pannelli di carta con linee di pennarello blu. Sopra questo "tessuto" con le sue infinite variazioni di linea e di tono si collocano in maniera apparentemente casuale fluttuanti virgole. Uno specifico sistema di decodificazione (individuabile tramite l'alfabeto che appare alla sinistra del primo pannello) ci consente allora di leggere il nome dei cinque sensi, più uno: il pensare.
Nel commissionare ad altri la produzione delle sue opere, Boetti compie un gesto che lo avvicina a molti artisti concettuali degli stessi anni: al di là dell'idea e del progetto iniziale di un opera, quello che lo interessa sono le imprevedibili versioni ed espressioni forniti da chiunque venga ad intervenire nella produzione dell'opera. L'autorità dell'artista, la sua funzione di unico produttore ed autore, viene non necessariamente annullata, ma spostata giocosamente su un altro paradigma che non è più verticale ma orizzontale: quella stessa autorità si trasferisce dal solo artista a tutti i suoi collaboratori, facendoli apertamente partecipi della multivocità dell'opera d'arte.
D'altronde in Boetti, come già accennato, la questione dell'identità dell'artista è un altro dei motivi eccellenti, strettamente connesso com'e al rapporto tra ordine e disordine. Non solo non c'è protagonismo nell'opera di Boetti, ma nei suoi ritratti doppi (Twins, 1968) come pure nell'invenzione del doppio nome (Alighiero per la parte più infantile e più estroversa, Boetti per quella più astratta) c'è piuttosto l'urgenza modesta di fare i conti con la molteplicità dei punti di vista e delle sensibilità che ogni singolo soggetto esperimenta.
L'opera di Boetti è ingegnosa, ma non furba, e leggera, ma non superficiale. Ci consente di riflettere sulle preconcette ed automatiche definizioni del tempo, dello spazio e dell'identità, senza annoiare con ridondanti intellettualismi e sofismi (e pure Boetti era un appassionato del Sofismo).
L'ultima opera che appare in questa retrospettiva si intitola Tutto (1989). La mania classificatoria ha condotto a questo ironico e spasmodico montaggio di immagini tratte da enciclopedie della natura, miniature orientali, giornali. Parodia della totalità artistica rappresentativa, ma anche scavo nel modo in cui la vicinanza di ogni minuta immagine con le altre è condizione della sua visibilità.
La mostra Boetti: the maverick spirit of Arte Povera; fa parte di una più ampia serie di manifestazioni che celebrano da Settembre 1999 a Gennaio 2000 la cultura e l'arte italiana nel Regno Unito. Attraverso mostre, letture, concerti, rappresentazioni teatrali e con una sezione del London Film Festival dedicata al cinema italiano, l'ITALIAN FESTIVAL 1999 dimostra e nello stesso tempo sollecita l'interesse per la cultura italiana nel Regno Unito.
Nell'ambito delle arti visive, accanto alla rilettura dell'Arte Povera con questa e con una doppietta su Michelangelo Pistoletto (una retrospettiva al MOMA di Oxford dal 17 Ottobre al 30 Dicembre, una mostra di opere recenti alla Henry Moore Foundation Studio di Halifax dal 19 Ottobre al 19 Marzo), segnaliamo:
Mimmo Paladino, South London Gallery, 8 Settembre - 17 Ottobre
Paladino/Eno, The Roundhouse, 9 Settembre - 6 Ottobre
Lino Mannocci: Storie di mare, Art First, 4 - 28 Ottobre, The Italian Cultural Institute, 7 - 29 Ottobre
Marino Marini, Accademia Italiana, 6 Ottobre - 21 Novembre
Gino Severini: from Futurism to Classicism, Estorick Collection, 6 Ottobre - 9 Gennaio
Lucio Fontana, Hayward Gallery, 14 Ottobre - 9 Gennaio
Renaissance Florence: the arte of the 1470s, The National Gallery, 20 Ottobre - 16 Gennaio
NOTE:
1
Scultura vivente di Piero Manzoni, Galleria La Tartaruga, Roma, 22 Aprile 1961
2
Più o meno in contemporanea, dal 16 Settembre al 30 Ottobre, la Laure Genillard Gallery, in associazione con la Galleria Massimo Minimi di Brescia, presenta disegni ed esempi di mail art.
3
Una delle opere in mostra, '16 Dicembre 2040 11 Luglio 2023", rappresenta su due arazzi le due date, la prima a segnare il centenario della nascita di Boetti, la seconda a indicare la presunta data di morte così come era stato pronosticato all'artista in un sogno.
4
Nel 1969, Boetti è ormai stanco del suo studio: "In the spring of '69 I left the studio I had in Turin, which had become a warehouse for materials, full of asbestos, lumber, cement, stones. I left everything exactly as it was and started again from scratch with a pencil and a sheet of paper" (intervista citata su Time Out, 29 Settembre - 6 Ottobre 1999, Sarah Kent).
5
Così Giuliano Briganti commenta a proposito degli anni '50 e '60: "The passage from the 1950s to the 1960s marked the beginning of a profound transformation ... One might characterise it as a series of negations: the negation of the principle of authority, of all dogmatism, of ideological schemes, of political engagement and of traditional expressive means. Or, as some artists did, one might stress the need for formal absoluteness, the exclusion of all elements extraneous to the art in question, the investigation of new themes and respect for the pluralism of positions that aspired to a complete rupture with the past ... A new and provocative current swept away existentialism's clouds of ontological anguish, the romantic and visceral sensibility of Informel, and above all the super-ego of commitment that had been nurtured by intellectual anxiety and by a sense of guilt ... The new objective, which was presented as a pure, absolute affirmation of vitality and freedom, did not presuppose a priori certainties and did not presume to convey any message. It excluded all objective or subjective transcriptions of reality into pre-established languages, whether abstract or realistic, all recourse to those techniques that have traditionally pertained to painting and sculpture ... It was a vitality that broke through all schematic barriers, quick as mercury, provocative and disenchanted.", in "Italian Art in the 20th Century", Prestel-Verlag Munich, 1989 (catalogo della mostra tenuta alla Royal Academy of Arts dal 14 Gennaio al 9 Aprile 1989).
6
Da Germano Celant, Arte Povera, Milano, 1969 tradotto in "Art Povera. Conceptual, actual or impossible art?", London, 1969.
7
Soprattutto inapplicabile a Boetti l'affermazione di Celant: "separate language that speculates on codes and on instruments of communication in order to live in a dimensionof exclusiveness and recognition that makes it an aristocratic and class question", da Germano Celand, Arte Povera, op. cit.
8
Parte di una serie così intitolata dal Opus 8 di Vivaldi.
NOTA DELL'AUTORE:
Mi siano perdonate le citazioni tutte in inglese, anche se prodotte da autori italiani. Purtroppo dispongo solo di versioni inglesi e non mi è possibile verificare il testo in italiano.
|