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Amazzoni dell'Avanguardia. Sei artiste dell'Avanguardia Russa alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Venezia,
Peggy Guggenheim Collection
Flavio Del Monte
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 31 ottobre 2000, n. 227
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Area Mostre

« Cosa posso dire sulle donne che non sia già stato detto migliaia di volte? Ripetere tutto quello che di buono e di idiota è stato detto sulle mie sorelle già un migliaio di volte è infinitamente noioso e senza senso, così voglio dire qualcosa non su di loro ma a loro: credete di più in voi stesse, nei vostri sforzi e nei vostri diritti prima del genere umano e di Dio; credete che tutti, donne comprese, hanno un intelletto a forma e immagine di Dio; che non ci sono limiti alla volontà e alla mente umana, che una donna non deve portare solo dentro se stessa pensieri di eroismo e grandi imprese, ma anche cercare eroi e creatori fra le sue colleghe femmine allo scopo di creare eroi e creatori nelle sue figlie e nei suoi figli. Ricordate anche che quando un collega è vile, infingardo e stupido, l'altro finisce per sprecare metà del suo (di lui o di lei) sforzo per lottare con quella persona, lasciando solo metà per il resto della vita ».
Natalija Goncharova, Lettera Aperta, 1913
dal catalogo (ed.italiana) pag. 313


L'accento che la famosa Natalija, unica - purtroppo - tra le sei artiste in mostra a Venezia cui la nostra critica attribuisce un valore significativo nell'ambito dell'avanguardia rivoluzionaria russa del principio del secolo, pone sull'essere donne e creatrici può essere significativamente una premessa all'esposizione che vede protagoniste Alexandra Exter, Natalija Goncharova, appunto, Ljubov' Sergeevna Popova, Ol'ga Rozanova, Varvara Stepanova e Nadezna Udal'cova nella "nuova ala" della Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Non ci soffermeremo nella descrizione del ruolo socio/economico/politico/artistico delle donne russe del principio del secolo, pre e post-rivoluzione, ma bisogna rendere atto agli studi che hanno preceduto la mostra di aver aggiunto particolari molto interessanti a questo argomento: a partire dalla nota sui rapporti di queste artiste con i loro rispettivi compagni (spesso artisti anche loro - Rodtchenko, ad esempio-) con i quali, non subendo nessun tipo di subalternità, esse intrattenevano rapporti di stretta collaborazione (mostre collettive, ecc); oppure i rapporti tra di loro, che malgrado quanto si possa pensare, non erano affatto di "stima e collaborazione" quanto piuttosto di acredine invidia e polemica.

Breve premessa funzionale alla comprensione dell' "operazione" Amazzoni dell'Avanguardia che nasce da lunghe ricerche e da studi specifici oltre che da una interessante collaborazione russo/inglese/americana. Scelto il tema dell'esposizione i tre curatori hanno iniziato un lungo lavoro di catalogazione e di ricerca bibliografica per individuare le opere da mostrare; delle 200 opere selezionate soltanto una ottantina sono state alla fine reperite nei magazzini dei musei che le possedevano visto che molte, con la violenta contestazione staliniana all'Avanguardia e alle sue opere, furono distrutte. La mostra conta circa 75 opere per lo più provenienti dalle collezioni di piccoli musei provinciali russi, per la prima volta in mostra in Europa, spesso per la prima volta in viaggio fuori da confini dell'ex-Unione Sovietica.

È noto che gli artisti russi, perseguendo lo scopo di un'arte globale popolare e capillarmente diffusa ad uso di tutti, usavano donare le proprie opere anche ai piccoli musei, ed in questa mostra se ne contano di davvero interessanti ed ignoti, addirittura al di là della catena degli Urali. Catalogare quei lavori e renderli fruibili è un merito in più che va addotto ai tre curatori John E. Bowlt, Matthew Drutt e Zelfira Trigulova. Il catalogo cartaceo (edizioni Guggenheim Museum), oltre ad essere completo di ottime illustrazioni a colori e di molteplici apparati fotografici "biografici" e di esposizioni, sintetizza questa ricerca e la illustra in maniera dettagliata; è concepito come materiale di studio più che come un semplice memorandum dell'esposizione.

La mostra, partita lo scorso anno dal Deutsche Guggenheim Berlin, dopo essere passata per la Royal Academy di Londra e a Venezia sarà a Bilbao per terminare il suo viaggio a New York nell'edificio di Frank Lloyd Wright. È la prima esposizione organizzata dalla Fondazione concepita per effettuare un tour completo di tutte le sue sedi; a Venezia però offre una occasione irrepetibile di studio e di approfondimento sull'arte dell'inizio del secolo scorso. Convive infatti con la collezione di Peggy, che conta numerose opere dal cubismo e dal futurismo, e soprattutto con la collezione milanese di Gianni Mattioli che con i suoi Segantini, Balla e Carrà fornirà da stimolo per le riflessioni dei visitatori.

Le artiste russe in mostra conoscevano bene cubismo e futurismo. Li avevano visti a Mosca e nei loro ripetuti viaggi a Parigi. Con il futurismo condividevano la passione per il movimento, per le forme scomposte e ricomposte nello spazio dinamico. La ricchezza di dibattito è perfettamente riprodotta nell'intero Palazzo Venier dei Leoni. È molto difficile infatti avvicinarsi e percorrere questa mostra senza sentire l'esigenza del confronto, dell'analisi "comparativa", del controllo storico-biografico. Basti pensare che il periodo affrontato va dal 1913 al 1925, con una prolificità maggiore intorno all'anno 1917, la Rivoluzione, ma anche nodo cardine per il nostro futurismo e per gli sviluppi del cubismo francese (Picasso, Léger).

Le sale monografiche, una per autrice ad esclusione della prima che funge da sintesi presentando un'opera per ciascuna artista, ci accolgono con pareti e soffitto bianchi, come le didascalie accoppiate alle opere. La sensazione che in ogni sala un'opera primeggi sulle altre è stata evidentemente inevitabile da parte degli allestitori che, d'altra parte, hanno così reso merito alla dinamicità della mostra: salti cronologici ed accoppiamenti per tematiche sono stati i criteri interni all'organizzazione delle singole sale; esse risultano alla fine omogenee forse per il ristretto campo temporale ed il grande impatto visivo dei singoli quadri. Quadri. È stata anche questa una scelta che ha preceduto gli studi sul periodo. I curatori avevano a disposizione una grande quantità di materiali provenienti dalle arti decorative (ci fu una mostra a Mosca di questa artiste, nel 1923, cui le foto danno atto, che si occupò di abiti, ecc.), della scultura, dall'architettura. Artiste complete e versatili che nella loro carriera si fecero protagoniste di straordinarie operazioni pittoriche, alle volte straordinariamente anticipatorie e violentemente moderne: le Città (fig.1) e le Composizioni della Exter dal forte cromatismo (un Venezia largo tre metri non ha potuto viaggiare per motivi di conservazione, le immagini del quadro sono straordinarie ed è davvero un peccato non averlo potuto vedere); Gli Evangelisti (fig.2) della Goncharova e i suoi quadri raggisti di post-futurista memoria; il Cubismo di Ljubov' Popova, con le eccezionali Costruzione forza-spaziale (fig.3) nei quali (due del 1921) la tavola di legno che funge da supporto diventa materia pittorica lasciata scabra e si inserisce nel tessuto del quadro a linee perpendicolari bianche e nere (olio e polvere di marmo); i disegni suprematisti della Udal'cova; le maquettes di Varvara Stepanova e le sue illustrazioni per la poesia Zigra ar, splendida interpretazione del connubio tra parola e forma geometrica (fig.4); e l'eccezionale ecclettismo stilistico di Ol'ga Rozanova.

Nell'ultima sala dell'esposizione sono in mostra le sue opere. In realtà spariscono davanti ai nostri occhi di fronte alla incredibile tela di Fascia Verde (Pittura di Colore) del 1917 (fig.5). Su un fondo monocromo di olio bianco, una striscia di colore verde acceso, in movimento, taglia verticalmente il centro della tela. Un gesto. Un rapido razionale e sintetico gesto. Un quadro che sembra precedere le riflessione dell'arte del secondo dopoguerra e degli anni '70: la carriera di Lucio Fontana, di Donald Judd, del minimalismo in generale. E che, in fondo, è perfettamente coerente come estremizzazione del discorso maleviciano, della sua tensione verso la purezza. Sfogliando il catalogo si scopre un'altra opera della Rozanova, non in mostra a Venezia, ma presente a Berlino (quindi probabilmente anche a Bilbao e New York) che partendo da quella riflessione giunge a risultati grafico-stilistici assolutamente moderni, che rimandano a linguaggi più recenti (Pittura di Colore - Composizione non-oggettiva, 1917) (fig.6).

Con questa operazione la Fondazione Guggenheim rinnova il suo interesse per l'arte dell'avanguardia russa (ricordiamo che nel 1929 dall'incontro tra Solomon e Kandinskij scaturirono ben 19 mostre personali, la mostra del 1981 Arte dell'Avanguardia in Russia: Selezioni dalla Collezione George Costakis e la più completa ricerca sull'argomento, nel 1992, dal titolo La Grande Utopia: L'Avanguardia Russa e Sovietica 1915-1932), ma forse questo ulteriore tassello offre il fascino della scoperta di autrici poco praticate dalla nostra scuola di storia e di critica, offre la possibilità di gustare opere del tutto inedite ai nostri occhi. Quel gusto della novità che sempre entusiasma ogni amante e frequentatore delle opere d'arte e dei musei.

Amazzoni dell'Avanguardia
Peggy Guggenheim Collection, Venezia
Dal 1 marzo al 28 maggio
Ore 10:00/18:00 (chiuso il martedì)

Mostra a cura di:
John E.Bowlt
(California University)
Matthew Drutt
(Curator per il Guggenheim Museum, New York)
Zelfira Trigulova
(Freelance Curator per il Museo Puskin, Mosca)

Catalogo:
Amazzoni dell'Avanguardia
di John E.Bowlt e Matthew Drutt
edizione Guggenheim Museum
edizione italiana a cura di Chiara Barbieri

Contatti:
Liesbeth Bollen
presspgc@tin.it




 
 

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