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Leonardo e il mito di Leda. Modelli, memorie e metamorfosi di un'invenzione Vinci FI, Italia
Palazzina Uzielli del Museo Leonardiano
Fino al 23 Sett. 2001

Chiara Beghelli
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 1 Settembre 2001, n. 281
http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00281.html
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Area Mostre

Subito prossima la sede assegnata del Cigno
che Giove in persona nel cielo volle creare,
prezzo della bellezza con la quale sedusse l'amante
quando il dio discese mutato nelle sembianze del niveo uccello
e insinuò il voluminoso corpo in grembo alla fidente Leda.
Anche ora, rivestito di stelle, vola sulle ali distese.

Così il poeta latino Marco Manilio descrive la costellazione del Cigno nel suo Poema degli astri, rifacendosi all'antico mito di Leda e di Zeus che, con aspetto di cigno, la sedusse. Leda, giovane e bella figlia di Testio, re dell'Etolia, era andata in sposa al re di Sparta Tindaro. La regina era presso le acque del fiume Eurota, nella Laconia, quando lo splendido cigno si rifugiò accanto a lei per proteggersi dagli attacchi di un'aquila; dal loro incontro nacquero tre gemelli, i Dioscuri, Castore e Polluce, ed Elena, futura sposa di Menelao re di Troia. Leda era però inconsapevole del fatto che il suo amante fosse in realtà il padre degli dei Zeus, un maestro di travestimenti e metamorfosi quando meditava di sedurre le donne di cui si invaghiva: come Leda, infatti, anche Danae era stata vittima del dio che si era manifestato a lei sotto forma di pioggia d'oro, ed Europa, rapita da Zeus sotto le spoglie di un candido toro.
Per altri mitografi, dall'unione fra Leda e Zeus nacque anche Clitemnestra, futura sposa del re acheo Agamennone; questa non è che una delle tante varianti di questo mito, fra cui la più famosa è quella che vuole Leda semplicemente colei che trovò l'uovo «del colore del giacinto azzurro» che Nemesis, trasformatasi a sua volta in un'oca selvatica, aveva deposto dopo essersi unita al cigno-Zeus; dopo averlo nascosto sotto la cenere ancora tiepida di un sacrificio, Leda avrebbe assistito alla nascita della sola Elena.

Nonostante l'incertezza sulla versione originaria del mito, nell'episodio si è sempre riconosciuta la trasposizione di credenze e simbologie diffuse sia in ambito mediterraneo che nordeuropeo: il cigno veniva considerato un uccello sacro, un simbolo solare, infatti, sia dagli scandinavi dell'Età del Bronzo, che raffigurarono i raggi del sole come lunghi colli di cigno, sia per i Greci che associarono l'uccello ad Apollo e allo stesso Zeus, il cui genitivo del nome, diòs, rivela la radice indoeuropea div che significa splendere. Inoltre, nello stesso nome di Leda alcuni studiosi hanno voluto riconoscere la parola lada, che nell'antica lingua dei Lici significava "donna", con chiari riferimenti al mitico essere femminile primordiale.

Fu forse a causa delle sue differenti versioni che l'episodio ispirò altrettanto differenti soluzioni iconografiche, a partire dall'antichità stessa: se infatti nella statua di marmo bianco del II secolo a.C., copia di un originale del V secolo a.C. attribuito allo scultore Timotheos, Leda è raffigurata seduta mentre con il mantello protegge il cigno dalla minacciosa aquila, in altre sculture, gemme e lucerne più tarde viene raffigurata giacente sotto il cigno che le avvicina il becco alle labbra per baciarla, oppure stante, mentre il cigno, assunti ormai atteggiamenti del tutto umani, la abbraccia teneramente.

Sono queste le varie tipologie a cui probabilmente gli artisti del Quattro e Cinquecento si ispirarono per realizzare le loro versioni, pittoriche o scultoree, del mito, ed è questo legame nel tempo che la mostra allestita al Museo Leonardiano di Vinci ricostruisce avvalendosi delle opere d'arte ispirate al mito, dalla Leda di Timotheos, oggi custodita nelle sale dei Musei Capitolini di Roma, fino alle rappresentazioni del Cinquecento, di Leonardo e Michelangelo, sottolineando l'importanza che il Medioevo ebbe, con la centralità del Cristianesimo, nel rendere possibile il legame stesso, anche se investendolo di nuovi significati.
Scrittori medievali come Adolfo d'Orleans, Giovanni di Garlandia e Petrus Berchorius, dal XIII secolo in poi furono protagonisti del processo che permise l'assimilazione e l'adozione del mito da parte della teologia cristiana: attraverso la letteratura astronomico-astrologica, le trascrizioni e le non raramente conseguenti moralizzazioni dei testi di Ovidio in cui era riportato il mito, il cigno divenne simbolo dello Spirito Santo che con la sua candida purezza scendeva su Maria, immagine molto amata dai Copti d'Egitto che amavano inciderla sui loro anelli, nonostante i richiami di Clemente d'Alessandria; in questa veste il mito venne poi ripreso anche da Antonio Averulino, detto il Filarete, nel 1445 in un bassorilievo delle Storie Ovidiane incise sulla porta bronzea sotto il portico di S.Pietro. Se il candido uccello era associato per la sua purezza a santi come Cunibert o Ugo di Grenoble, per alcuni il cigno poteva anche significare lussuria,- come sostenne, ad esempio, Vincent de Beauvais nel suo Speculum Majus in cui scrisse che l'immagine dei colli intrecciati di due cigni era l'emblema «delle carezze e dei giochi lascivi» -, o ancora dell'ipocrisia, con il suo nascondere dietro le bianche piume delle carni nere.

Accompagnati da questa doppia valenza, il cigno e Leda giunsero alle porte del Rinascimento: fu allora che Leonardo decise di rappresentarli ben due volte, sempre avvolti dall'aura di una serena natura, eretti, a contemplare amorevolmente i loro figli, con il tipico sorriso appena accennato delle ieratiche figure leonardesche, anche se sembra ormai appurato che le due versioni, risalenti entrambi ai primi due decenni del Cinquecento, siano in realtà opera di seguaci del maestro che ne ripresero alcuni schizzi. Quella delle due tele è una Leda serena, simile e insieme lontana dal modello della Venus pudica, seguito fin dal Medioevo ( un esempio ne è l'allegoria della Prudenza nel pulpito di Pisa di Giovanni Pisano) e ripreso anche dal Botticelli.
La Leda stante fu dipinta anche da Raffaello e da alcuni manieristi come Andrea del Sarto e forse il Pontormo, ma molto successo ebbe anche l'iconografia della Leda inginocchiata verso i figli, rivolta a terra, di cui Leonardo disegnò anche questa volta alcuni schizzi conservati nella Royal Library di Windsor. La donna è una figura più emotivamente complessa e coinvolta, vibrante, tesa nella sua postura plastica, in movimento, sottolineata dalla torsione del busto e dalla posizione delle braccia e delle gambe. Anche la vegetazione, mossa dal vento, tende a sottolineare la tensione emotiva del momento, creando un'immagine che ritornerà nell'opera di Giovanni Pietro Rizzoli, detto il Giampietrino, conservata allo Staatische Museen di Kassel in Germania, di cui la datazione, incerta, si colloca fra il primo ed il secondo decennio del Cinquecento, e in altri pittori lombardi e toscani, fino a subire una rielaborazione originale da parte di Fernando Yáñez de la Alameira addirittura in una Natività per la figura della Madonna rivolta verso il Bambino.

Di certo sia con la Leda stante che con quella inginocchiata siamo ancora molto lontani dall'esplicita eroticità di quella che è stata definita "l'altra Leda", una particolare iconografia che si ritrova ad esempio nel piccolo, splendido cammeo di onice risalente al III secolo d.C., oggi al Museo Archeologico di Napoli. Il ritratto degli amanti, disposti secondo un archetipo ellenistico, nel momento culminante del loro incontro fu quello che dipinse anche Rosso Fiorentino, almeno stando all'ultima attribuzione, nel 1532, che traspose nella pietra Bartolomeo Ammannati nella splendida scultura del Museo Nazionale del Bargello, e che si ritrova addirittura su una maiolica del 1537 opera di Francesco Xanta Avelli. Capostipite di queste rappresentazioni cinquecentesche fu però senza dubbio la tela di Michelangelo Buonarroti, al quale nel 1529 fu commissionato il soggetto dell'"altra" Leda dal duca Alfonso d'Este, la cui famiglia si era distinta più volte per l'interesse verso oggetti d'arte di soggetto erotico. La tela andò purtroppo perduta quando nel Seicento fu bruciata in Francia perché ritenuta immorale ed indecente.

La mostra, curata da Gigetta Dalli Regoli, Romano Nanni e Antonio Natali, si rivela così anche un'importante occasione di incontro e approfondimento di temi e simboli antichissimi e affascinanti, che hanno dato vita a sculture, dipinti, disegni, incisioni e gemme pregevoli, capaci di rinnovarsi e arricchirsi nel tempo e attraverso il tempo. Palazzina Uzielli del Museo Leonardiano.





Fino al 23 settembre.
Orario: tutti i giorni 9.30-19.30.
Per informazioni: 0571 568012;
<terredelrinascimento@comune.vinci.fi.it>






 
 

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