Alla Fondazione Trussardi dichiarano di aver voluto fornire una "mappa ideale" volta a rivelare la sfaccettata identità milanese "tra le accelerazioni della moda, i cantieri dell'architettura e i paradossi dell'arte contemporanea".
L'iniziativa, ideata dal neo-direttore artistico Massimiliano Gioni, è decisamente riuscita, e per diversi motivi: la differenziazione nella scelta delle riproduzioni fotografiche, il calibro dei personaggi chiamati a operare questa stessa scelta e, non ultimo, la diffusione gratuita del portfolio (consultabile anche on-line all'indirizzo
http://www.fondazionetrussardi.it/fondazione/ItArtPanorama.htm).
Un filo rosso unisce alcune fotografie che hanno come centro catalizzatore la storia italiana: Armin Linke sceglie l'opera di un anonimo collega che aveva saputo ritrarre con realismo rosselliniano dei ragazzi nel Quartiere Triennale 8 degli anni '40; la plateale sparatoria in Via De Amicis frozen da Dino Fracchia nel 1977; uno scatto di Massimo Sestini realizzato nel giorno in cui un aereo si schiantava sul 'Pirellone', evocando gli inquietanti scenari newyorkesi.
Cinema e teatro hanno saputo però ritrarre Milano con altrettanta precisione: Francesco Vezzoli opta per le guglie del Duomo visibili alle spalle dei protagonisti di Rocco e i suoi fratelli, diretto nel 1960 da Luchino Visconti, mentre gli architetti del Gruppo A12 prelevano un celeberrimo fermo-immagine da Totò, Peppino e la Malafemmina di Camillo Mastrocinque (1956).
Dario Fo, scavando tra quello che immaginiano come un enorme archivio del teatro italiano, estrae una foto di scena tratta da Lo svitato, spettacolo che nel 1955 veniva diretto da Carlo Lizzani e interpretato dal Nobel.
Si diceva del Duomo. Il simbolo della capitale lombarda ritorna ripetutamente, ma come destituito della sua monumentalità: Gualtiero Marchesi pare voler occupare lo spazio alle sue spalle e così impedire che le decorazioni gotiche sopravanzino la sua arte gastronomica; il fotografo Giovanni Gastel, con un movimento analogo, appoggia un modellino kitsch del Duomo sul capo di una modella bidimensionale, sfruttando per di più la destabilizzante gestione del colore Polaroid; o ancora, Patrick Tuttofuoco sceglie una fotografia realizzata da Peter Fischli e David Weiss, i quali si servono delle terrazze del Duomo per illustrare l'architettura del secolo scorso: da soggetto a subjectum.
Si stagliano invece con nettezza e discrezione luoghi più appartati: Achille Castiglioni rispolvera un'istantanea di Giannino Castiglioni con la Fontana di San Francesco (1927) di Piazza Sant'Angelo; l'afflato di raccolta religiosità si laicizza nel minuscolo piccione che staziona su un docks abbandonato (Fabrizio Ferri), sino al minimalismo particolaristico col quale Marina Ballo Charmet coglie un ciuffo d'erba ai piedi di un marciapiede (scelta di Stefano Boeri).
Un classico scatto di Helmut Newton inquadra una donna elegante che si avvia verso le scalinate della Stazione centrale (1980): la stampa bicromatica ai sali d'argento sfuma la discordanza fra l'ambiente border-line e la sontuosa pelliccia della donna, ma il procedere ieratico di quest'ultima non può non risaltare di fronte alle frettolose figure sfocate in secondo piano.
Gabriele Basilico (Milano, 1997), utilizzando la medesima tecnica e sfoggiando una comparabile finezza rappresentativa, mostra la capitolazione delle vestigia del passato di fronte alle imponenti costruzioni moderne, attraversate a loro volta dalla ragnatela elettrificata della rete tramviaria.
Una serie disomogenea per definizione non manca mai di presentare esempi meno entusiasmanti: così lo scatto poco fantasioso scelto da Riccardo Muti (il cortile del Conservatorio immortalato da Vico Chamla), l'educata ripresa turistica nell'opzione di Elio Fiorucci o la metaforica pubblicistica di Giorgio Armani. Ma, ancor più, l'inspiegabile Discesa in paracadute dalla Garnerin all'Arena di Milano, acquatinta del 1824 firmata da Luigi Cherubini e scelta da Vico Magistretti: d'accordo, si tratta di un panorama, d'un panorama milanese, e fotografando un'acquantinta ne risulta una fotografia - ma probabilmente da un professionista del design ci si aspetta un piglio meno capzioso.
Non possiamo commentare tutte le prove d'artista - anche per lasciare allo spettatore il gusto della sorpresa.
Tuttavia, almeno un accenno merita la splendida stampa fotografica di Vanessa Beecroft (VBVH.04.mi.dr, 2002): si immagini una spianata assolata, un impeccabile uomo vestito con un completo nero e, al suo fianco, una donna altrettanto curata che sfoggia con composta perturbanza una complessa posizione yogica, eseguita in nudo pressoché integrale.
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