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Intervista ad Alberto Felli. Un percorso iniziatico alla scoperta dell'io attraverso le immagini e all'insegna del bello  
Stefano Colonna
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 9 Febbraio 2006, n. 421
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Area Interviste

Siamo qui al Gloss di Roma a vedere questa nuova mostra fotografica alla quale tu hai dato un titolo molto serio, mi sembra. Ecco, se ci puoi dire il titolo e anche le ragioni della mostra: che cosa significa, quali sono le opere che esponi e tutto quanto.

Il titolo della mostra è Itinerario antologico e fa parte di un progetto che dura oramai da tre anni sulla ricerca di punti comuni estetici in vari paesi del mondo. La prima parte corrispondeva all'Europa e adesso ha cominciato ad andare in Sudamerica. L'anno scorso ho fatto il Sud Est Asiatico. E Itinerario antologico era legato semplicemente all'invito agli spettatori di cercare il proprio itinerario antologico nelle immagini. Io ho trovato il mio e quindi do la possibilità agli altri, anche senza mettere i titoli e senza dire nulla riguardo alla mostra, di trovare il proprio itinerario antologico considerando il fatto che le fotografie possano portare qualche emozione, coinvolgimento dello spettatore.

Antologia vuol dire scelta, allora la scelta che tu hai fatto rispetto alle fotografie scattate durante il viaggio: si tratta di una scelta di quelle fotografie, oppure l'antologia la fa il visitatore quando entra nella mostra e sceglie quelle che a lui sono più piaciute ?

L'antologia la fa esclusivamente lo spettatore. Le immagini sono poste in modo casuale: non seguono nessun tipo di schema, né cronologico, né di significati e quindi lo spettatore riesce a trovare, attraverso le immagini che ricordano o che comunque creano delle sensazioni, il proprio itinerario scegliendo fra le proprie emozioni e l'interazione con le fotografie.

... Mentre all'altra mostra allo Zoo-bar si trattava invece di esporre una serie di immagini sia a colori, sia in bianco e nero su temi relativi al viaggio in Thailandia e si vedevano delle immagini molto suggestive, sia per la qualità delle immagini stesse, sia per degli accostamenti con delle frasi di Roland Barthes, idea molto stimolante. Ecco, in quel caso lì, l'accostamento con Roland Barthes era casuale, oppure seguiva un filo logico ?

Per le prime dieci fotografie ha seguito un filo logico cercando l'accostamento dell'immagine al titolo del capitolo del libro di Roland Barthes . Per le altre è venuto in maniera prettamente casuale perché era difficile trovare il significato giusto per ogni fotografia. E dopo che ci eravamo resi conto che era una scelta completamente soggettiva l'abbiamo fatto a caso, estraendole da un cappello che era lì e questo ha creato moltissimo sconvolgimento nel pubblico che cercava sempre l'associazione e veniva continuamente a chiedere a me se c'era la possibilità o qual era il motivo di quell'associazione. E tutti si consideravano quasi traditi quando io svelavo il segreto di questa scelta puramente casuale. Una persona è venuta a dirmi: «quella scelta è perfetta: indica veramente le mie emozioni rispetto all'immagine». Ma anche quello era un tentativo di coinvolgere il pubblico in maniera più massiccia rispetto a quello che potrebbe essere una mera osservazione "tocca e scappa".

È molto simpatica la definizione di "scelta casuale": a me piace perché la parola «scelta» implica appunto una selezione volontaria con l'esclusione di qualche cosa, mentre invece la casualità implica la selezione naturale, darwiniana in un certo senso. E allora l'espressione "scelta casuale" è un paradosso: cioè a dire se è una scelta non può essere casuale, se è casuale non può essere una scelta. Quindi mi piace molto questa definizione perché è proprio tipica delle tue opere la situazione paradossale. Mi sembra che nelle tue opere si trovi il senso del paradosso: cioè di qualche cosa che in apparenza è del tutto ovvia e che invece si rivela molto profonda. Quindi si tratterebbe in realtà del modo più semplice e più normale di entrare nella realtà profonda delle cose. Cioè quello di entrarci attraverso la normalità, senza traumi, ecco: il bello è questo. Mi sembra che la tua volontà sia quella di evitare di traumatizzare lo spettatore, cioè il voler arrivare alla profondità delle cose in un modo assolutamente soft, leggero, naturale, senza impacci.
Allora a questo punto, caro Alberto, io ti chiedo: come hai avuto l'idea di questa fotografia così suggestiva di un bambino che sembra levitare da terra come se avesse realizzato una lezione estrema di una religione orientale, come se avesse realizzato quelle cose che si vedono solo nei film, cioè appunto le lezioni del piccolo Budda. Innanzitutto come sei riuscito tecnicamente a fare questa splendida fotografia e poi anche, per favore, che cosa ci volevi comunicare con questa immagine ?

La fotografia si intitola Sospensione ed è la fotografia che ho esposto l'anno scorso allo Zoobar alla mostra sulla Thailandia. Fa vedere un bambino che è nell'atto di cadere in un bar, una specie di taverna che stava al confine fra Thailandia, Laos e Cambogia dove noi abbiamo fatto trekking per quattro giorni. Era ad un posto di ristoro dove ci eravamo fermati. Il bambino era molto eccitato dalla presenza di stranieri, ha cominciato a muoversi in maniera scomposta fino a fare questo estremo gesto e io praticamente ho due fotografie: di lui che è in sospensione, quasi sembra che si libri nell'aria, e poi dopo che si dibatte a terra, tenendosi la schiena per il dolore. Quindi era un evento di vita quotidiana, niente di più, che però nel momento congelato della fotografia rappresenta delle situazioni estremamente motigene, proprio per il fatto che, tornando a prima, è un paradosso: un bambino che vola, in sospensione, comunque i mille paradossi che potremmo incontrare tutti i giorni nella nostra vita. La possibilità del fotografo di congelare istanti che nessuna mente potrebbe creare proprio perché creati dal caso.

Torniamo adesso alla mostra di oggi con qualche piccola domanda sulle finalità: cioè mi dicevi prima, mi pare di aver capito che c'è anche la volontà di presentare con un'attenzione sociale la situazione anche di povertà di queste popolazioni del Perù, ma le foto sono talmente belle, ricche di colori, lussureggianti, in questi colori sgargianti, pieni di vita, la luce, il chiaroscuro sono così bene equilibrati, così ben dosati, che la povertà sembra non esserci. Allora, voglio dire, non è anche questa, di nuovo, una situazione paradossale ? Cioè, ci presenti una nazione povera, ma la bellezza di queste fotografie ci impedisce di soffrire. E questo è un tradire la povertà, o è un alleviarla attraverso un'esaltazione della dignità con cui viene vissuta ?

È tutto legato al senso estetico delle foto. Io ho fatto delle scelte estremamente legate all'esteticità delle immagini e questo è un mio grande limite perché non riesco a scattare fotografie se non trovo estremamente bello il soggetto, se non lo trovo estremamente coinvolgente. Essendo una persona forse narcisa, comunque mi rispecchio soltanto nelle cose belle, non riesco ad entrare in contatto con le difficoltà e le povertà della gente intorno. Il processo, specialmente per un fotografo che non vuole fare, non vuole solo scattare foto, vuole creare delle immagini, è un mettersi in relazione con la gente che soffre, è una cosa molto difficile, specialmente perché potrebbe essere in contrasto col tuo stato d'animo di quel momento. Io non riesco ad accordarmi così facilmente: non sono un reporter professionista che va a cercare, fra virgolette, sempre, il marcio o comunque il brutto, o comunque la sensazione. Cerco sensazioni piacevoli, perché sono comunque collegate al mio senso estetico.

... E il senso estetico te lo porti dietro dovunque tu viaggi, attraverso il mirino, in un certo senso attraverso la scelta dell'inquadratura, la scelta dei colori, questo mi sembra pacifico. Però, ecco, a questo punto viene un po' la domanda più banale per uno che è spettatore: com'è che tu scegli ad un certo punto di cambiare e di passare dal bianco e nero al colore o dal colore al bianco e nero? Cioè cambi in funzione del soggetto, oppure in base ad altri criteri ?

La differenziazione non è tra colore e bianco e nero. La differenziazione maggiore è fra digitale e pellicola. Io utilizzo il digitale per le fotografie a colori e la pellicola per le fotografie in bianco e nero. Perché per il colore mi piacciono i colori sgargianti delle macchine fotografiche: riesco a saturare il colore oltre ogni limite, mentre per quanto riguarda il bianco e nero, ha uno spessore, una profondità delle immagini, delle emozioni trasmesse, che non appare in nessun altra cosa al mondo . La scelta è casuale e legata soltanto all'umore del giorno. Quando sono calmo e rilassato utilizzo il bianco e nero col quale devi scattare di meno, perché hai una pellicola, hai solo trentasei foto, costa farle sviluppare e stampare: quindi ti accordi, ti armonizzi col soggetto che devi fotografare. Se invece sono nervoso, sono esaltato, comunque euforico, utilizzo il colore col digitale perché mi dà la possibilità di scartare le fotografie "novantanove su cento",  in modo molto frenetico, quindi si accorda meglio con quel momento della mia giornata. Comunque non esiste un bravo fotografo in digitale, o un bravo fotografo in pellicola con l'analogico: esiste un fotografo che utilizza tutti i mezzi che ha a disposizione per portare poi il messaggio all'osservatore: quella è la cosa più importante.

Passiamo al tuo "book", che è molto intrigante perché ho visto che ci sono delle fotografie istantanee che sono assolutamente originali per i risultati, per l'effetto che mostrano, per il momento speciale che tu sei riuscito a rapire e in alcuni casi molto specifici, non so, per esempio quella fotografia in cui tu mostri due persone affacciate alla finestra subito dopo un incidente. Le due persone sembrano su una quinta teatrale, pronte a recitare una commedia della vita, poi in fin dei conti. Ti volevo chiedere innanzitutto come fai ad avere la velocità di prendere il momento giusto e non un minuto dopo, non un secondo dopo, non una frazione di secondo dopo, quando ormai l'effetto sarebbe perso. Cioè come fai ad essere così veloce, così rapido, hai delle tecniche, oppure una tua poetica. Qual è il tuo segreto, se è possibile chiederti di tradirlo per noi? E poi anche... nessuno di quelli che tu hai fotografato nella quotidianità, che a volte potrebbe anche essere considerata intima dalle persone colte dall'obbiettivo, ti ha mai detto qualcosa dopo lo scatto ?

Gli scatti sono fatti per la maggior parte con una macchina Canon EOS e con un teleobiettivo 70-300, che è uno zoom molto forte: permette di ritrarre anche a 50, 60 metri perfettamente il volto della persona. E' un modo diverso di fotografare: non ti avvicini al soggetto, non cerchi l'interazione come con le fotografie che sono qui esposte, ma lo prendi da lontano, anche praticando una violenza alla privacy, poi, effettivamente; li riprendi da lontano e loro non si accorgono perché sei troppo lontano e non riescono a capire che li stai inquadrando e così riesci a congelare momenti di interazione col soggetto fotografato, a congelare momenti stupendi di quotidianità, momenti stupendi che hanno il legame fra di loro sulle forme geometriche che sono dietro al soggetto fotografato. Questo book fa parte di un progetto che sto cercando di portare avanti con mille difficoltà, per problemi di tempo, sul cercare una vena comune fra le mie fotografie legate alle immagini geometriche che uno ci può trovare dentro. Perché un editor di fotografare a cui ho fatto vedere il mio book mi ha spiegato che io sono ancora un fotografo se non alle prime armi, comunque agli esordi e, anche se tecnicamente bravo, trovo imbarazzo rispetto al soggetto fotografato e quindi scatto immediatamente quando mi sento confortato da un'immagine geometrica dietro che mi rassicura, che mi dà le giuste linee di fuga prospettiche alla foto; egli dice che da una parte è una mancanza di esperienza, mancanza di spirito fotografico, ma dall'altra è una caratteristica che mi connota, almeno in questi primi anni di fotografia più spinta. È un lavoro che ho fatto con Alessandro Lisci, il curatore della mostra dell'anno scorso. Era quasi un gioco vedere le foto che mi erano piaciute di più, quindi che erano state ingrandite, che erano state portate in evidenza e cercare sempre l'elemento geometrico all'interno della foto e su venticinque, trenta foto selezionate, tutte avevano la stessa caratteristica di essere tra virgolette "geometriche".

Quella che tu definisci una semplice questione geometrica è l'"esprit de géometrie" in un certo senso, è una questione filosofica; quindi tu, con grande modestia, in realtà ti sei paragonato ad un grande filosofo, a Cartesio, o a Pascal, se vogliamo, perché poi alla fine c'è un'"esprit de finesse" nelle tue fotografie. Quindi voglio dire che mi fa molto piacere questa tua umiltà di base, ma devo dire che hai già quella sensibilità che contraddistingue i grandi fotografi quindi, anche se sei agli inizi, sei partito molto bene.
Allora grazie di averci ospitato in questa mostra bellissima e arrivederci alla prossima, nella speranza che tu ci possa portare in altri luoghi del mondo che non conosciamo.





NOTA

L'intervista si svolge al Gloss di Roma il 4 febbraio 2006 in compagnia di Angelo Calabria, detto ACA, fondatore del Sequenzialismo artistico.





Sospensione

Fig. 1
ALBERTO FELLI,
Sospensione, 2005
Stampa su carta fotografica

Bambina

Fig. 2
ALBERTO FELLI,
Bambina, 2005
Stampa su carta fotografica

Chacaltaya

Fig. 3
ALBERTO FELLI,
Chacaltaya, 2005
Stampa su carta fotografica

Finestra

Fig. 4
ALBERTO FELLI,
Finestra, 2005
Stampa su carta fotografica

Foto cortesia Alberto Felli

 

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