Prima di addentrarci in una breve analisi riguardante l'arte dell'ultimo secolo è necessario, a nostro avviso, stabilire delle periodizzazioni chiare.
Nella contemporaneità, a causa della frenetica evoluzione della scienza e della tecnica, valori, canoni, principi etici, ecc. ... insomma tutti quei paradigmi di riferimento che hanno caratterizzato la nostra civiltà fino ad alcuni anni fa, stanno mutando poiché molti eventi scientifici e/o tecnologici stanno cambiando il nostro modo di percepire il mondo e quindi di rapportarci con esso. Del resto ciò è sempre avvenuto, come si dirà in seguito, e certamente sempre avverrà.
Dice Eschilo nel Prometeo incatenato che la tecnica rende l'uomo padrone della propria mente e quindi razionale.
Allora, dalla notte dei tempi lui, la più fragile ed indifesa delle creature viventi, attraverso la sua azione, il suo gesto ha sempre tentato di adattare l'ambiente ai propri bisogni, per cui col manipolare gli oggetti ha sempre dato senso al suo essere nel mondo e memorizzando l'insieme delle azioni riuscite dava luogo alla scienza, epistème, appunto.
Secondo il pensiero aristotelico, esperienza, memoria, scienza e tecnica hanno permesso all'uomo di acquisire potenza e potere entrambi riconducibili alla nozione di progresso.
Ed ancora, nell'Antico Testamento in relazione alla soppressione di Abele si legge: «Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte», tradotto poi nell'abusato refrain «Nessuno tocchi Caino», ed inoltre «Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo».
Infatti Caino, secondo un lungimirante disegno divino, attraverso l'agricoltura, la razionalità, l'agire attivo sottometteva la natura ed era capace di trasgredire le regole imposte dall'abitudine per crearne altre più appropriate, in modo da impadronirsi del mondo e quindi di sé, mentre Abele, che era raccoglitore e quindi viveva dei frutti della terra, non agiva, soddisfaceva solo i suoi bisogni istintuali adeguati all'ambiente in cui si trovava seguendone i ritmi ma non obbediva alle sue pulsioni soggettive che facevano e fanno dell'agire esperienza e quindi progettualità.
Tra l'altro, nella visione biblica Dio fa del Caos un Cosmos chiamando tutte le cose «... e Dio disse ...» e pertanto facendo iniziare la storia da questa chiamata, mentre all'uomo signore e dominatore del mondo, fatto a "imago dei", dà la facoltà di dominarlo ed assoggettarlo, onde «Nessuno tocchi Caino».
Da ciò consegue che laddove per i Greci il cosmo ripete se stesso ciclicamente nella sua immutabilità, per l'escatologia cristiana il cosmo, l'uomo, la storia sono compresi tra un inizio e una fine sicché il mondo dato all'uomo diventa progetto nel tempo come fare operativo, da cui scaturiranno le conoscenze scientifiche che gli avrebbero, poi, permesso all'uomo di sottomettere la natura per mutare le proprie condizioni di vita senza limite alcuno, perchè l'uomo appunto esegue un programma che Dio gli ha affidato facendolo signore di tutte le cose.
È da queste premesse bibliche che scaturisce il concetto moderno di scienza e tecnologia che ovviamente non sono la stessa cosa, anche se hanno legami molto stretti. Esse si distinguono per le diverse motivazioni sottese al loro operare: la scienza cerca di capire il mondo, mentre la tecnologia si serve della prima per soddisfare i bisogni dell'uomo anche al di là di motivazioni etiche varie.
Entrambe considerano la natura come materiale che intuitivamente si può organizzare e inquadrare.
La scienza moderna in particolare procede, come tutti sanno, per ipotesi, congetture, provvisorietà, revisionabilità, ecc. ... per cui progredisce a partire dai propri errori. Questo modo di operare della scienza tra la fine del diciannovesimo secolo e l'inizio del ventesimo determina, rispetto al passato, un terremoto percettivo e quindi linguistico che investe anche l'arte, la letteratura, la filosofia, la musica, ecc. ...
A questo punto è importante e fondamentale ai fini della lettura dello zeitgeist contemporaneo una considerazione.
Nel passato il sapere umano si adeguava alle norme della natura, successivamente, col rapido progresso scientifico e tecnologico, invece si attua un capovolgimento: esso sapere diventa normativo rispetto alla natura e pertanto questo sapere può esprimere tutta la sua capacità scientifica e tecnica nel controllare la realtà in tutte le sue forme allorché l'uomo, posto davanti a sé un oggetto, ne anticipa ogni possibilità di realizzazione secondo un determinato progetto che diventerà "luogo" della verità.
Ne consegue che l'essenza della scienza è la tecnologia e quindi la verità della scienza scaturisce anche dalle disponibilità che la tecnica offre per rendere possibili le verità o le veridicità degli esperimenti della scienza stessa.
Tutto questo dipendere della scienza dalla tecnologia discende in linea diretta dalla rivoluzione industriale che ha accelerato enormemente la produzione di merci che dovevano essere smerciate dal "mercato", il quale da ora in poi prenderà presto il posto della natura.
Contemporaneamente il progresso della scienza, sollecitando a dismisura il processo di produzione e di mercificazione dei prodotti, determina una ulteriore trasformazione in senso quantitativo della tecnologia (etimologicamente: thècne e lògos, cioè razionalità della tecnica) che col suo elefantiaco apparato, da mezzo per rendere più confortevole la vita dell'uomo, si trasforma in fine. Ne consegue che non è più il fine a condizionare la ricerca tecnologica, ma è questa a porre dei fini, sostituendosi all'uomo in quanto essa ha tutta la disponibilità, la possibilità, insomma ha il potenziale per scegliere e realizzare i suoi fini.
Si attua in questo preciso momento il capovolgimento del rapporto uomo-tecnica, in cui il primo non è più fine ma mezzo attraverso cui la seconda opera, quindi il modo di percepire la realtà non afferisce più la natura dell'uomo che si relaziona col mondo, ma ora essa natura si rapporta con la realtà tecnica e quindi con una realtà non più naturale, ma artificiale.
L'agire dell'uomo, allora, si trasforma in fare, in produrre risultati attraverso determinate metodologie imposte dalla tecnologia per cui l'uomo non è più responsabile del suo fare. In questo senso "Prometeo si è scatenato", secondo una fortunata espressione di H. Jonas. Ciò significa che la tecnica scatenandosi, poiché non è più mezzo ma fine, perde il potere di previsione.
Così la tecnologia, mettendo in campo un grande potenziale e diventando fine, non riesce a percepire gli scopi del suo operare, quindi la funzione dell'uomo in relazione alla macchina è solo quella di vigilare affinché il ciclo non si inceppi.
Da ciò si comprende come stia o si sia già capovolto il rapporto uomo-macchina in macchina-uomo, per cui il tempo dell'uomo ora è scandito dal ritmo della macchina che lui sta a controllare perché compia senza intralci il suo lavoro.
Posta in questi termini la costruzione del mondo è senza limiti e l'imperativo della tecnica è crescere su se stessa secondo un ordine in cui costruire e distruggere o consumare si equivalgono. Così se un progetto fallisce si può presto revocare e riproporlo in termini diversi: il male si rimuove per limitazione o che è lo stesso i difetti si eliminano tramite il controllo razionale degli effetti. Da ciò si evince che il carattere della tecnica è afinalistico, per lei importanti sono solo i risultati.
Di conseguenza sottoposto al ritmo tecnologico il tempo risulta sempre più accelerato, ispessito, velocizzato per cui anche il futuro confluisce nel presente.
La storia, allora, perde la sua progettualità perché l'uomo non è più un soggetto che programma ma è la tecnica che crea mondi artificiali da cui lui dipende e ciò lo costringe a mutare continuamente, essendo "animale non ancora stabilizzato", secondo la nota formula di Nietzsche, in base alle modalità che la tecnica gli consente, per cui si trasforma anche la sua autocomprensione in quanto non si rapporta, come era sempre stato, con la natura, ma con la tecnica diventata ora orizzonte di riferimento.
In conclusione, nel momento in cui l'uomo cambia la percezione di se stesso e del mondo si trasforma tutto un sistema di canoni e valori, cause ed effetti, etica, politica, ontologia, escatologia, ecc. ... in una parola cambia la civiltà, secondo l'accezione di cui sopra, che l'uomo di cultura, l'artista, il poeta il filosofo, ecc. ... hanno il compito di decodificare.
Ora, in base a questi elementari concetti di tecnologia, scienza e progresso si vuole sottolineare come nella delimitazione dei periodi, delle epoche che qui ci interessano, si terranno presenti quelle idee e quei concetti che costituiscono il nucleo dello zeitgeist, spirito del tempo, che dipende sempre, a parer nostro, dal progresso scientifico e tecnologico poiché sono loro a determinare quel cambiamento di visione per cui l'uomo si rapporta con la realtà.
Tralasceremo per ovvie ragioni di chiarezza derivazioni, anticipazioni o altro che a quelle idee, a quella cultura, a quella civiltà hanno dato origine. Infatti riteniamo che rintracciare radici, derivazioni, anticipazioni, posticipazioni, ecc. ..., non sia nostro compito che lasciamo a chi ha più competenza.
Da quanto sopra, allora, teniamo per fermo il concetto secondo cui sia la scienza che la tecnica, nella loro tensione verso la conoscenza in senso lato, siano all'origine tendenzialmente neutre, e il concetto per cui solo nel momento della loro applicazione, nel loro radicamento cioè in un contesto sociale, economico, politico ecc. ... determinano un mutamento nel sensorio umano.
Questo lungo preambolo consente, ora, di chiarire quei paradigmi di riferimento che ci permetteranno di orientarci nella suddivisione dell'epoca moderna per analizzare quel lasso di tempo che qui ci interessa e cioè dal Simbolismo ai giorni nostri che generalmente indichiamo come modernità.
Intanto la formula "paradigma di riferimento" indica una serie di esiti raggiunti dalla scienza ed universalmente riconosciuti ed accolti per un certo periodo ma sempre suscettibili di ulteriori ricerche ed avanzamenti che porteranno poi ad ulteriori paradigmi.
Quali paradigmi allora fondano l'età moderna ?
A ben riflettere l'espressione epoca moderna, che gli storici fanno iniziare all'incirca dalla scoperta dell'America, può attagliarsi bene fino al momento in cui dai laboratori artigiani si passa alle macchine per la produzione delle merci.
Ma dalla rivoluzione industriale in poi e fino a quando la fiducia nel potere delle macchine che avrebbero dovuto rendere migliore la vita dell'uomo era illimitata, fino quando, cioè, l'uomo era ancora considerato soggetto di contro all'oggetto mondo, mentre la tecnica era considerata mezzo per il raggiungimento di determinati fini, come ampiamente dimostrato in precedenza, si può parlare di una neo-modernità profondamente diversa rispetto al periodo precedente.
Quando invece l'uomo non è più il fine per cui lavora la tecnica, che nel frattempo è cresciuta quantitativamente a dismisura, ma mezzo per realizzare non i suoi fini, come già analizzato, ma quelli della tecnica si può indicare questo periodo come post-modernità ( quando cioè la quantità soppianta la qualità) ed infine quando sopraggiunge la computerizzazione, che sostituisce al concetto di mondializzazione propria dell'epoca precedente quello di globalizzazione, potremmo parlare di epoca post-umana che è propria della virtualità, dell'immaterialità, della tecnologia della sorveglianza, del godimento comandato dalla macchina, del pervasivo mercato che crea, tramite la pubblicità, sogni e bisogni, del corpo considerato come meccanismo da manipolare, della perdita del futuro, della contrazione della categoria spazio-temporale, della possibile distruzione planetaria e via dicendo.
Certamente le categorie che abbiamo sopra indicate non sono rigide, non sono nate come Minerva armata di tutto punto dal capo di Giove, ma hanno delle radici anche remote che non è nostro compito rintracciare.
Invece, se schematizziamo, come sostenuto in precedenza, molti discorsi sono possibili, del resto si è sempre proceduto in questo modo per comodità e chiarezza e certamente ancora si continuerà a fare.
In altre parole, il termine "moderno" puņ attagliarsi bene per il periodo che va dalla fine del '400 fino all'esautoramento delle botteghe artigiane, mentre il "Neo-moderno" si può estendere tra la prima rivoluzione industriale e le Avanguardie storiche comprese, quando, cioè, l'uomo era soggetto, il mondo oggetto e la tecnica mezzo, quando cioè esisteva un soggetto che sfruttava un altro soggetto, esisteva la massa degli sfruttati ed erano possibili le ideologie, le utopie, in quanto era un individuo contro o a favore di un altro.
In questo contesto l'Umanesimo si era sempre assunto il compito di decodificare la realtà la cui percezione la scienza aveva modificato.
Successivamente, quando l'uomo non è più il fine della scienza e della tecnica, ma un mezzo pari a tutti gli altri mezzi, e si attua la trasformazione qualitativa della tecnologia in quantitativa e l'Umanesimo sembra attestarsi su posizioni di assenza e di rinuncia, cioè all'incirca intorno alla fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 90, si può parlare di "Post-moderno", mentre dalla metà degli anni 90, con l'esplosione della globalizzazione, con la computerizzazione, con la manipolazione del corpo umano, con la realtà virtuale ed immateriale, ecc. ... si può parlare di "Post-umano".
Ideologie e "Sistema dell'arte"
In epoca altamente tecnologizzata certamente sarebbe il caso di ridefinire le categorie arte, politica, sociologia, ecc. ... in altro contesto che tenga conto dello spostamento dei paradigmi di riferimento, non essendoci più un mondo reale (ora considerato solo materiale da sfruttare dalla tecnologia o da salvaguardare), ma mondi creati dalla tecnologia per i suoi fini sempre mobili ed instabili perché per essa se un'operazione non è "redditizia" si può sempre razionalmente recuperare cambiandone il metodo.
Ora trasformato l'uomo da fine in mezzo non c'è più spazio per le ideologie, onde il concetto di morte delle ideologie insieme a morte della storia, morte dell'arte, morte della geografia, morte della metafisica e morti discorrendo.
Il termine ideologia è relativamente recente, esso apparve per la prima volta ad opera di Destutt Tracy alla fine del '700, ma fu ad opera di Marx e del marxismo che il termine acquistò un significato più preciso.
Infatti, Marx sosteneva che la struttura di una società si basava sulla proprietà dei mezzi di produzione e sui rapporti materiali che in un contesto produttivo venivano stabiliti, il resto era sovrastruttura ideologica: arte, diritto, politica, religione, ecc. ...
Naturalmente la classe dominante aveva un pensiero ideologico che tendeva a mantenere lo status quo per cui non sarebbe mai riuscita a cogliere la dinamicità dell'evoluzione del tempo, cosa che può fare solo la classe oppressa.
A partire da queste posizioni i vari pensatori hanno cercato di dare le loro risposte, che in questa sede ovviamente non ci interessa approfondire, ci interessa, invece, riflettere sul fatto che ogni ideologia ha la possibilità di aggregare gruppi costituiti da partiti, professioni, parentadi, ecc. ... gruppi, insomma, che condividono le stesse idealità pensate come detentrici di una certa verità cui ci si può opporre con altre idee.
Ora, le ideologie tradizionalmente intese come opposizione a qualcosa che tende a perpetuarsi possono funzionare in epoche pre-tecnologiche quando l'uomo sta al centro del mondo produttivo o come possessore dei mezzi o come sfruttato dalla classe dominante.
Solo in questo contesto è possibile un dissenso, una ribellione perché la tecnica è considerata ancora mezzo a disposizione dell'uomo, donde in campo culturale fu ancora possibile all'inizio del secolo la nascita delle "Avanguardie storiche".
Ma oggi, le ideologie in quale contesto possono operare ?
È possibile applicare alle ideologie gli stessi metodi della scienza e della tecnologia ?
In questo senso, allora, forse l'umanesimo avrebbe molto da fare per rinnovare idee ed ideologie.
Teniamo per fermo che la scienza e la tecnologia devono rispondere a domande razionali per poter dominare il reale, ciò che è metafisico è fuori dalla loro dimensione, quindi esse rimuovono le cose astratte, le cause finali, ecc. ... perchè non sono controllabili scientificamente.
Il loro punto di riferimento, la loro verità sta nella esattezza scientifica del calcolo, infatti oggi la relazione non è col mondo mitico, teologico, ontologico o altro, ma con l' egologico in quanto è il soggetto che riuscendo a prevedere determinati effetti di un'idea, ne anticipa i risultati razionalmente, in questa fase la ragione è legislatrice, essa vuole le cose davanti a sé, come sostiene Heidegger, ob-jecta, secondo un determinato metodo, un determinato ordine della rappresentazione.
Conseguentemente la logica scientifica trova il suo metodo e può esercitare il controllo sulla realtà attraverso la sua strumentazione che deve naturalmente essere efficace in relazione ai fini che si era proposta sin dall'inizio.
Inoltre, ogni sistema ipotetico proprio perché tale può essere superato e così all'infinito, contemporaneamente esso si può sviluppare solo in un contesto sociale che dà alla tecnologia la possibilità di funzionare. Allora è in questo snodo in questo equilibrio tra tecnologia e contesto sociale, che l'ideologia può funzionare.
Oggi, l'estrema complessità dei sistemi tecnologici esclude le masse perché non hanno competenza, di conseguenza il fare tecnologico procede autonomamente, mentre le élite pensanti si trincerano su posizioni di assenza e di distacco, proprio a causa delle carenze ermeneutiche sui mondi tecnologici, per cui non rimane che arroccarsi su ideologie e valori ormai consolidati ma sostanzialmente scaduti.
Quindi nella contemporaneità le ideologie, in quanto possibilità di aggregazione di gruppi omogenei nell'ambito di un progetto condiviso, sono possibili solo se riescono a porsi in equilibrio dinamico tra tecnologia e mondo, la prima estremamente potente, ma non meno potente è il secondo, perché, come si sa, quando la tecnologia va oltre un certo limite il mondo si ribella e i guasti sono sotto gli occhi di tutti, ma per salvare il mondo si deve ricorrere ancora una volta alla tecnologia.
Ecco il punctum dolens, per l'uomo di cultura si presenta la necessità di avere un minimo di conoscenze tecnologiche, solo in questo modo si potrà porre come momento riflessivo, come trait d'union, tra la potenza tecnologica e il mondo che ad essa può ribellarsi.
Le ideologie hanno sempre teso e tendono, infatti, a soddisfare il bisogno dell'uomo di orientamento, di senso, di sicurezza, ma le odierne manipolate dai mass media, come liberismo, populismo o altro non soddisfano: l'uomo di cultura stenta ad accettare il sistema binario vero-falso, amico-nemico, ecc. ...che radio, giornali, televisioni, ecc. ... ci propinano al fine di orientare l'opinione pubblica.
D'altra parte le grandi ideologie hanno provocato tantissimi guasti.
Dove poggiare le basi per nuove ideologie anche minime che possano aggregare gruppi ?
Certo non è nostro compito dare decodificazioni, ma, a nostro avviso si possono suggerire delle indicazioni, come sopra sostenuto, affinché artisti, poeti, romanzieri ecc. ... con la loro arte e sensibilità possano riuscire a penetrare lo zeitgeist e decodificarlo nel momento in cui tutto è diventato sistema, e quindi anche quello dell'arte. Pertanto, è necessario anche definire la nozione di sistema al fine di rendere più chiare le tesi che si vogliono sostenere in seguito.
In un mondo tecnologicamente avanzato come quello occidentale, in cui la qualità è tradotta in quantità misurabile e calcolabile poiché non c'è posto per l'indeterminato e quindi per la qualità appunto, ogni cosa e quindi anche l'arte va inquadrata in un sistema, in uno spazio di operatività, in cui operano e/o interagiscono altri sistemi in un continuum che costruisce e decostruisce a seconda dell'efficacia o meno che il sistema riesce a realizzare.
Tuttavia la molteplicità dei sistemi non sono l'uno indipendente dall'altro, ma operano all'interno di un macrosistema che attraverso un calcolo ben determinato costruisce il mondo, i mondi.
Così concepita la realtà non può sopportare diversità e differenze in quanto ogni cosa deve essere decodificata secondo una regola, un codice di lettura, un modello da ripetere in cui non è possibile la concorrenza ma la correlazione, altrimenti il sistema perderebbe di senso inceppandosi perché non si sono seguite in modo corretto le procedure formali che fanno sì che il calcolo possa essere esatto. Ed è a questo calcolo che la tecnologia sottopone ogni cosa.
Dunque, il sistema dell'arte non può non ubbidire alle stesse regole, al suo interno uomini (artisti, critici, galleristi, curatori, ecc. ...) e cose (le opere) sono regolati dalle leggi del sistema per cui ogni soggetto ne diventa suo funzionario operante in un contesto "formalizzato".
Qui non è possibile che qualcuno dei suoi membri si possa sentire oppresso, perché questo è possibile solo in un orizzonte di sfruttamento dell'uomo sull'uomo come accadde durante le Avanguardie nel periodo che si è definito Neo-moderno.
Allora all'artista era consentito rispecchiarsi nella sua opera che esprimeva un linguaggio semanticamente coerente e qualitativamente alto.
Ma oggi la qualità non è più possibile poiché non è quantificabile e quindi calcolabile, è possibile, invece, la quantità che addizionando le varie operazioni parziali è in grado di darci dei prodotti.
L'artista, dunque, all'interno del sistema è un tecnico, come tanti altri, che esegue le sue opere secondo il calcolo del sistema che, pur essendogli sostanzialmente estraneo, non può modificare senza modificarne il calcolo e quindi inceppando il sistema.
Unica chance possibile è ri-flettere il sistema eseguendo l'opera che non deve rispecchiare l'agire (onde la parola arte) ma il fare dell'artista, il fine per cui lo fa non è di sua competenza spetta al sistema.
Questo ha ben compreso Mark Kostabi con la sua perfetta organizzazione di business «con gente professionalmente e moralmente ineccepibile», come lui stesso sostiene in una intervista a Luciano Marucci.
E se la locuzione "fare arte", come comunemente si dice, perché i cambiamenti della percezione si riflettono anche sulla lingua, significa eseguire secondo un progetto, l'artista non può più rapportarsi col mondo, ma solo con le leggi del calcolo del sistema che sembra essere oggi il destino dell'umanità.
In tale situazione l'artista deve produrre cose, "res", anche se cose particolari, ma in ogni caso queste "res" devono essere oggettuabili per rendere funzionale il sistema.
La più lapalissiana conseguenza è che l'artista perde la sua soggettività per diventare insieme alle sue opere ingranaggio del sistema.
E quanti sono gli artisti che si stracciano le vesti perché non vi rientrano !
Essi, a parer nostro, dovrebbero essere ben contenti di non rientrarvi, anzi dovrebbero sottoporsi ad una ferrea disciplina, ad uno studio costante per fare "blocco", per inserirsi in quello snodo di possibilità di espressione che sta tra il mondo e la tecnologia, perché, a nostro avviso, nella contemporaneità ciò che manca è quella visione prospettica (che ebbe il Rinascimento in relazione al mondo) che possa collegare il mondo reale che, nonostante le varie trenodie, esiste pur sempre perché pur sempre in un luogo e in tempo si nasce e si vive, e i mondi iperreali creati dalla tecnica.
Infatti, per gli artisti ingranaggi del sistema non è possibile scardinare i codici linguistici per riorganizzarli in una nuova visione altrimenti il sistema si incepperebbe, mentre chi è libero e magari scontento ha la possibilità di fare ricerca, di trovare nuovi codici interpretativi e prospettici.
Quello che un tempo erano le Accademie, espressione di un conservatorismo più o meno becero, adesso lo è il sistema dell'arte in quanto, come sostenuto più sopra, esso non può tollerare grandezze non commensurabili e quindi qualità, qualità cioè dello sguardo che è visione oltre la visione, cioè visione prospettica sul mondo reale in relazione ai mondi iperreali.
Così, se fino alle avanguardie e parte delle neoavanguardie era possibile un processo ora di annullamento dell'opera in quanto protesta, opposizione, percorso, ora di nullificazione in quanto introduzione nell'opera del massimo grado di spiritualità, adesso questo non è più possibile in quanto sia l'azzeramento che la nullificazione sono qualitativi e perciò non calcolabili e perciò impossibili.
Se qualche epigono esiste, esso resta comunque al di fuori del sistema.
In conclusione, non c'è dubbio che ogni artista contemporaneo si trova ad agire nel contesto testé delineato, quindi, come sempre è stato, gli spetta il compito storico assai difficile e complesso, di trovare un linguaggio che esprima delle ideologie che devono collocarsi tra il mondo e quella infinita catena di mediazioni offerte dalla tecnologia con cui lui guarda e conosce sia il mondo circostante a cui appartiene, sia gli altri mondi iperreali che l' uomo stesso ha creato.
Ma ogni linguaggio che esprime lo spirito del tempo è sempre simbolico, allora all'artista contemporaneo, nel senso più ampio del termine, dovrebbe toccare il compito di ridefinirne i simboli, tenendo conto del mutamento dei valori, istituzioni, canoni, principi etici, determinati dal progresso tecnologico.
Così, se la "prospettiva rinascimentale" poneva lo spettatore al di fuori della scena, ma in un punto di vista privilegiato, la nuova prospettiva "post-umana" dovrebbe porre lo spettatore in quel punto mediano da cui guardare l' intersezione tra la realtà che lo circonda e la realtà, ugualmente importante e significativa dei mondi iperreali, ma immateriali creati dalla tecnologia e quindi dall'uomo stesso.
Sia consentito un esempio banale: se si deve fare un'ecografia, mettiamo ad una ciste qualsiasi sulla pelle, il medico guarda sul computer le immagini certamente immateriali dell'organo preso in esame e ne trae delle conclusioni. Osserva poi l'ammalato, ma le immagini reali sono totalmente differenti da quelle computerizzate dal punto di vista percettivo, il medico però è in grado di unire la prospettiva reale, organo ammalato, e la prospettiva virtuale offerta dalla macchina, ed è in condizione di fare la sua diagnosi. Se al posto del medico ci fosse l'artista ... costui dovrebbe poter "r-accordare" i due mondi: l'immateriale e il reale. Questo, a parer nostro, il suo compito, da solo o in gruppo non importa, ma in ogni caso dovrebbe indagare i nuovi scenari percettivi per enuclearne magari delle idee, se non delle ideologie, che riescano, come fecero le Avanguardie storiche, a dirci una tra le infinite verità su questo nostro mondo contemporaneo. Di conseguenza, una nuova prospettiva si imporrebbe rispetto a quella rinascimentale (che metteva lo spettatore in un punto di vista privilegiato) che dovrebbe porsi in un punto mediano capace di unire prospetticamente la realtà del mondo con quella immateriale dataci dalle tecnologie anch'essa fluida e dinamica tanto quanto la prima. Ma di ciò si parlerà in seguito.
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