In un contesto culturale molto complesso qual è quello dell'arte, quando si avverte che le aspettative sono alte bisogna realmente andare oltre ogni cosa possa sembrare facile e proiettarsi nella direzione opposta, bandendo consensi ancorati a ciò che la gente riconosce, ha già testato e di conseguenza apprezza. Un principio importante è quello di non farsi risucchiare e condizionare completamente dal mercato e dalle esperienze già acquisite, con il proposito di guardare avanti e continuare a soddisfare se stessi, le proprie esigenze artistiche e di ricerca. Il cambiamento è connaturato all'arte e non seguirlo, ma osteggiarlo, può essere motivo di non crescita e quindi di annullamento della propria volontà e bisogno di sperimentare nuove vie; è uno stato di necessità che se viene a mancare determina malessere interiore. Non dare voce a una libera espressività, sostenuta ovviamente da una forte idea e indagine sul linguaggio, sulla tecnica e su nuove modalità, può comportare una sorta di morte intellettiva, e nel produrre la stessa cosa (se questo si fa soprattutto per motivi di convenienza economica e non perché dettato da un'urgenza dell'anima) si soffoca la reale voglia di cambiare ed evolversi. Artisti dello spessore di Willem De Kooning e di Francis Bacon sono alcuni esempi che nel cambiamento hanno raggiunto un alto livello di evoluzione.
La mostra Appunti. 3 giovani artisti a Palazzo Mormino. Balsamo Bombaci Roccasalvo a Donnalucata (Ragusa), curata da Antonio Sarnari, visitabile dal 5 agosto al 5 settembre 2007, ha avuto il merito di presentare uno spaccato di buon profilo di artisti dediti alla incessante ricerca nel campo specifico della pittura e del disegno.
Del resto la pittura, come la scultura e il disegno, nonostante alcune battute d'arresto verificatesi dopo la metà del XX secolo, si riaffaccerà nell'ambito di un sistema estetico non più prettamente concettuale in un momento in cui si assisterà al crollo della ideologia che porterà nel 1977 al Postmoderno, alla fine della Storia, delle avanguardie, della modernità e all'avvio del "pensiero debole". Difatti, la pittura non è mai veramente uscita di scena, come avviene con i libri che non sono mai fuori moda, e oggi pur assistendo a contaminazioni linguistiche nonché all'uso dei mezzi più disparati, questa non è arrivata a un punto morto bensì occupa un ampio spazio nel quale la sperimentazione sortisce effetti innovativi.
Se un tempo era la fotografia a dipendere dalla pittura, recentemente la pittura si è liberata dalla sovrabbondanza di materiale fotografico che ha acceso discussioni critiche portando ad attaccare la fotografia soprattutto quando questa è diventata digitale, poiché si è affrancata dal concetto di realtà per il quale essa è falsa, finta, al contario della pittura che è reale e riguarda la verità e il coraggio.
Merleau-Ponty ne Il visibile e l'invisibile descrive tutto ciò che appare come corpo del mondo, e il corpo della pittura quasi fosse carne fonda l'idea primaria dell'arte di Piero Roccasalvo.
Questa collettiva, pur nella diversità stilistica, tocca tematiche comuni come il rapporto vita-morte, il mistero, l'attesa e la stessa componente negativa dell'esistenza che non si oppone alla totalità dell'essere ma ne costituisce parte integrante. Inoltre esplora i limiti e le possibilità della percezione compiendo un viaggio nell'inconscio individuale e collettivo, rievocando la parte oscura, invisibile delle cose attraverso elementi simbolici, come nei dipinti di Giuseppe Bombaci il quale si avvale della capacità di destrutturare la materia pittorica, fecendo confluire la raffigurazione nella potenzialità stessa del colore; mentre si ravvisano elementi perturbanti nelle tele di Piero Roccasalvo che nel capovolgimento dell'ordine canonico e naturale delle cose, e quindi anche del fare arte, privilegia un discorso strutturato su linguaggi che maggiormente incidono sulle problematiche della realtà contemporanea. Il confine, invece, tra realtà e rappresentazione assume un aspetto poetico-nostalgico nelle opere dal sapore simbolista e di evocazione surrealista di Francesco Balsamo.
In merito ai disegni di Francesco Balsamo, Salvatore Silvano Nigro afferma che «la camera è una metafisica pensata in pietra: una strutturata esalazione di mistero; un delirio ornamentale; uno spazio inscenato dai fastigi rococò, dalle tappezzerie, dall'aulicità araldizzante degli ingombri. È una camera "scritta". Una "stanza" metricamente chiusa, immersa nei fantasmi delle "parole" che la disegnano: ... interni di palazzi, saloni o salotti che siano, apparentemente disabitati (il più delle volte), ma anche vissuti, talvolta, da figure che sono fantasmi di secondo grado (usciti, come sembrano, da vecchi dagherrotipi, per recitare la loro mercuriale esistenza in morte)».
Il taglio da entomologo è riscontrabile nelle farfalle "impagliate" che inserisce nei suoi lavori, le quali con le loro metamorfosi sintetizzano il ciclo organico di aereo e catatonico, di vita e di morte; e il loro aspetto diventa metafora e simbolo della mutazione dell'uomo in artista "guerriero della bellezza" impegnato e allo stesso tempo sorpreso di fronte al "mistero della creazione".
Guido Giuffrè sostiene che «proprio per quell'ampia misura di inesplicabile mistero, di sospensione assorta che avvolge tutto il suo lavoro» si può «sottolineare il filone della contemporaneità cui il nostro giovane artista viene naturalmente a rapportarsi. E si sottolinea - senza indugiare su motivazioni ulteriori - la contemporaneità». I salotti buoni di tardo Ottocento di Balsamo «rivestiti di tende e cornici, le maioliche pregiate, le tappezzerie, i costipati arredamenti dove filtrano sottilmente echi di memorie sepolte - non sono riflusso sentimentale ma scelta precisa, bersagli centrati da sguardo acuto e mano fermissima. Non vi manca un ombra di nostalgia, ma scavalcato il diciannovesimo secolo e il suo lungo retaggio, l'artista risale all'Olanda di Vermeer o alle Fiandre di Bosch: e fonde in una le due temperie cogliendone quanta sotterranea lezione - non poca - sia viva oggi».
La sua precisa e puntuale tecnica esecutiva lo porta a non narrare ma a presentare quello che è con meticolosità certosina e le cose «non sembrano offrire di sé, come ogni altro oggetto di quella silente quotidianità, che la quieta, legittimante perfezione del loro esserci (G. Giuffrè)».
Nei dipinti di Giuseppe Bombaci si intravedono grafismi leggeri e freschi, disegni tracciati volutamente con mano infantile i quali però celano una certa inquietudine e turbamento, quasi una anticipazione al bambino della problematicità del vivere dell'uomo. Nel suo iter artistico la scelta di tonalità forti lasciano il posto a quelle color pastello, così come si riscontra un cambiamento anche nello stile e nei soggetti raffigurati. Da figure quasi inanimate a fantocci antropomorfi, quali reinterpretazioni di immagini del folklore siciliano, dai pupi agli incappucciati, Bombaci magistralmente unisce sacro e profano.
Nelle sue ultime tele, come sottolinea Chiara Tiberio «i colori tenui, in particolare il celeste, ci portano in una dimensione onirica un "senza paesaggio" che si trasforma nella porta d'entrata di un mondo. Mondo i cui sentieri sono segnati ... in maniera concreta sulla tela sotto forma di linee geometriche, quasi piante di un geometra viste in controluce, un bisogno di definire uno spazio, di tracciare una sorta di percorso che culmina nell'opera Non ti scordar di me dove, al tratto tecnico, si uniscono parole a dare voce al percorso da seguire».
I suoi lavori sono caratterizzati da un connubio di gioco e dramma, ironia e serietà, infanzia e maturità, leggibile nei volti di bambini, di persone a cui molto spesso associa un fiore, simbolo di bellezza e di fugacità nel quale l'uomo si rispecchia; ma ponendo la sua attenzione su un determinato fiore (la margherita) egli comunica ancor più il senso dell'effimero, del transitorio, dell'imperfezione e delle asimmetrie e disequilibri umani. Basta infatti che un petalo cada per far sì che quel fiore perda la sua bellezza, la sua armonia, la sua perfezione; metafora della fragilità dell'uomo; vanitas contemporanea, memento che riguarda tutti, omaggio alla vita e alla morte che ne fa parte.
In alcune sue opere «La paura della perdita si trasforma in presenza di morte - i teschi nei dipinti - una presenza terrificante e inevitabile da cui scaturisce una sensazione di inquieta rassegnazione (C. Tiberio)».
La pittura vigorosa ed energica di Giuseppe Bombaci è inserita in quel segmento temporale della storia dell'arte in cui figurativo e astratto sono usciti, come generi, da una separazione di ambiti linguistici, rientrando di fatto in un percorso artistico che mutua da un vocabolario iconografico di primo Novecento elementi segnici rielaborati secondo una sensibilità contemporanea.
In questa serie di lavori l'artista incentra la sua attenzione su una poetica che rimanda a grafismi dell'infanzia, di una sua memoria che, nel lasso di tempo trascorso, sovrappone immaginazione e realtà ottenendo un effetto di freschezza inventiva. Anche lo schiarire la tavolozza utilizzando tonalità che toccano gli azzurri, donano all'intera rappresentazione una dimensione di leggerezza e di irreale sospensione attraverso un soggetto ludico ma nel contempo appartenente alla realtà del sogno e della fantasia. Ne scaturisce una contraddizione in termini, quasi un ossimoro, nel capovolgere il registro linguistico del quale Bombaci si serve, sovvertendo regole canoniche di matrice naturalistica e coniugando la cultura alta con la cultura bassa. Così facendo innesca una sorta di convivenza tra esperienze di stampo espressionista e apporti provenienti dal fumetto e dai mass-media, che costituiscono parte della sua formazione visiva infantile, reinterpretando il tutto in una chiave pittorica originale e arricchendo con trasversalità di linguaggio il contaminato e variegato panorama dell'arte dell'oggi.
Gran parte della ricerca artistica del passato ha rivolto il proprio sguardo allo studio del corpo che si è alternato tra naturalismo e antinaturalismo, realismo e deformazione; basti pensare al Rinascimento fiammingo, tedesco e attraversando i secoli a Goya, e nel Novecento a Bacon, a Freud e ad altri ancora, i quali influenzati dalle ricerche psicoanalitiche di matrice freudiana delimiteranno il loro campo d'azione alla condizione esistenziale dovuta alla crisi di coscienza di primo Novecento. Nel percorso pittorico di Piero Roccasalvo, pur ravvisando rimandi e riferimenti storici, non si colgono affatto annotazioni di stampo strettamente psicanalitico che si traducono in rappresentazioni di lacerazioni fisiche e mentali, piuttosto un modo nuovo di intendere il trionfo della carne, di un corpo pittorico sempre al limite tra l'organico e l'inorganico, in un continuo slittamento tra l'uomo e il manichino e in iterate associazioni metaforiche, quali ventre-ciotola, grembo-terra, rientranti in un vocabolario iconografico che contempla anche volti e figure immortalate in posture più o meno rigide e bloccate dal segno graffiante o dalla pennellata decisa.
La pittura di Roccasalvo non appartiene a quella categoria di valore che giudica bello e piacevole solo forme idealizzate, secondo un retaggio classico o secondo canoni accademici. Il suo pensiero è proiettato verso la qualità della pittura e verso un linguaggio che pur mutuando da certa avanguardia di primo e secondo Novecento, la travalica estraendo moduli che impiega in contesti di appartenenza contemporanea. I corpi, nei suoi lavori, assumono pose non convenzionali così come le mani, di schieleiana memoria, sembrano lunghi artigli, ossute; tutta la sua pittura rifugge da un compiacimento visivo e dalla poesia. La sua è "scrittura" in prosa e parla del mondo, dell'uomo e di se stessi, come si evince dai volti e dagli autoritratti, monocromatici o comunque trattati con accordi ed equilibri di toni o di timbri sobri e contenuti, su uno sfondo essenziale; anche gli interni sono molto castigati (sedia, sgabello, ciotola vuota) che vorrebbero suggerire una presenza, ma che invece sottolineano una assenza, una mancanza. Nei lavori di Piero Roccasalvo i corpi indefiniti hanno un loro peso specifico, più riferito a una dimensione concettuale che spinge a cogliere tensioni, turbamenti e slanci vitali circoscritti nell'ambito dell'umano. Ed è questo tipo di accostamento che si vuole evidenziare, che riguarda non il comportamento ma l'animo dell'uomo, la sua parte solare e la sua parte oscura che ci viene rivelata in modo diretto senza abbellimenti ma avvalorando il fatto che una pittura in apparenza scarna contiene in sé una ricchezza di sentimenti e riflessioni, tanto quanto sono piene le sue valenze semantiche.
La forza del suo modo di operare consiste nel levare lo strato materico lasciato dalla densa pennellata, oppure è data da fendenti colpi di grafite che con straordinaria vibrazione tensiva mettono a nudo l'uomo con tutta la perdizione e la sacralità che gli appartiene, contenendo in sé il principio della dualità.
Ed è su quest'ultima constatazione che probabilmente, come ci ricorda Mauro Aprile Zanetti, il popolo dell'arte è il solo «popolo che possa realmente resistere all'appiattimento della vista e della vita quotidiana, rendendo la vita ... libera e capace di superarsi».
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