Ornella Fazzina: Nel ruolo di esperta di arte pubblica che ti vede protagonista nell'impegnativo progetto "Cuore di pietra", è possibile secondo te che l'arte abbia ancora una funzione politica e sociale, e che davvero quindi possa incidere sul tessuto urbano e sulla coscienza collettiva ?
Mili Romano: Prima di entrare nel merito della tua domanda, vorrei chiarire che per me fare "arte pubblica" significa non soltanto lavorare al di fuori di gallerie e musei, in contesti espositivi ancora (anche se sempre meno) inconsueti come stazioni, metropolitane, strade e quartieri periferici, ma intervenire in questi spazi con progetti site e contest specific che nascano dopo sopralluoghi e da uno studio contestuale, culturale e storico dello spazio. Si tratta così di progetti che possono in qualche modo agire sia come un dispositivo di interazione e condivisione con il pubblico,con chi usa quegli spazi, li attraversa, li consuma, sia come un dispositivo di ridisegno e possibile cambiamento, nella durata, cercando di innescare cambiamenti negli atteggiamenti culturali del pubblico, un pubblico non più passivo fruitore ma attivo.
Il fine dell'intervento artistico, così, non è soltanto il miglioramento estetico di un luogo, portare la bellezza attraverso l'arte tout court, ma un progressivo e graduale cambiamento nella qualità della vita di un pubblico normalmente disabituato all'arte, poco coinvolto o piuttosto abituato a subirla passivamente e quindi, quando si tratta di arte nella città, spesso indifferente. E tentare di stimolare, attraverso l'arte, reazioni e nuovi comportamenti che, se riusciranno a sedimentarsi veramente in quel territorio e in chi lo abita, si trasformeranno in maggiore identificazione con gli spazi della città vissuti quotidianamente e dunque in rispetto.
In questo senso si può senz'altro parlare di valore sociale e politico dell'arte, che si assuma, profondamente e non demagogicamente, il miglioramento reale della qualità della vita della gente come uno dei suoi obiettivi. Per far questo ci vorrebbero degli investimenti diversi oltre che di risorse anche di tempo, e di convinzioni. Un tempo non sincopato che vuole subito vedere la realizzazione pratica del suo investimento (statua, arredo, fontana, rotonda con qualcosa in mezzo, decorazione del giardino condominiale), ma che miri anche, soprattutto nel primo articolarsi dei progetti, non all'immagine esterna, al prodotto, ma a ciò che si sedimenta lentamente e che dunque sarà più autentico cambiamento.
In un periodo storico e sociale come quello attuale, in cui la distanza della politica dalla gente (al di là di ogni enfasi retorica sui temi della partecipazione) sembra sempre più crescente, gli interventi di "public art", inseriti in una pratica di dialogo e collaborazione con le altre discipline (urbanistica, antropologia, architettura ecc.) possono in maniera molto naturale contribuire a creare una rete di relazioni inedite fra territorio, artisti, abitanti ( di ogni età) e pratiche di partecipazione e progettazione "condivisa". Ricette facili non ce ne sono, e non si può parlare di "metodo" univoco bensì di metodi, plurali e sempre pronti ad adattarsi alle circostanze esterne e all'umanità cui ci si trova di fronte.
Ma in una società così complessa qual è la nostra, nella quale molto spesso l'arte ha a che fare con logiche di bassa politica e le relazioni con altre figure professionali sono difficili, prevalendo spesso l'individualismo a discapito del dialogo culturale e del reale confronto, come è nato e come si inserisce il progetto Cuore di pietra ?
Un altro brevissimo preambolo. Il mio background è letterario, io mi sono da sempre occupata delle città, della letteratura: da una ormai lontanissima tesi di laurea su Pietroburgo nella letteratura russa e in Dostoevskij ho continuato a studiare la relazione fra scrittori, artisti e città, fra letteratura, arte e architettura dagli inizi dell'epoca moderna alla contemporaneità. Il passo dalle città "di carta" e di "colori" ad una città reale rivisitata attraverso la "visionarietà" e trasformata nella sua "anima" è stato breve.
Diciamo che dai fermenti delle avanguardie artistiche, futuristi, surrealisti francesi, situazionisti, alla Pop art e ai graffitisti americani, si è passati dallo studio e dall'analisi al tentativo, sempre più ostinato, di cambiare veramente qualcosa (anche perché guardando a paesi stranieri e alla loro legislazione in materia possiamo vedere quanto sia realmente cambiato nell'arte pubblica dalla fine degli anni '70 ad oggi).
«Le città come i sogni, sono fatte di desideri e di paure» scrive Italo Calvino in Le città invisibili. Se prima mi sono limitata a studiare i desideri e le paure, le proiezioni e i miraggi degli abitanti di fronte alle città moderne in cambiamento vorticoso, se la letteratura, ma anche le altre discipline come la sociologia, la psicologia e l'antropologia, hanno sempre dato voce, analizzandole, alle paure e ai desideri, l'arte, e in questo caso la "public art", oggi in stretta collaborazione con le altre discipline, può lavorare proprio su desideri e paure, trasformandoli in progettualità creativa e in nuova identità.
E andiamo a Cuore di pietra. La prima idea di Cuore di pietra è nata assistendo alla demolizione, a Pianoro, un paese dell'immediata periferia bolognese, nel febbraio 2004, di una delle palazzine IACP che sono state, dopo la seconda guerra mondiale, fra i primi edifici a costituirne il centro: era l'inizio di un vasto progetto di ristrutturazione e riqualificazione urbana destinato a mutare profondamente la forma e la vita dei luoghi. L'esigenza di documentare, allora, le mutazioni delle città e ciò che si cancella e che scompare nella struttura urbanistica e di conseguenza anche nelle abitudini e nei comportamenti della vita quotidiana, mi ha portato ai primi contatti con gli abitanti, per lo più anziani, di quelle case, che vivevano con angoscia l'irrompere di quel cambiamento traumatico nella loro esistenza, e all'elaborazione ironico-poetica in forma fotografica di una sorta di "resistenza" del cuore di pietra degli edifici, fatto dell'avvicendarsi delle generazioni e delle tante storie di umano abitare che le loro pareti ci tramandano.
Ma, stravolgendo un po' la memoria "nostalgica" del luogo che inevitabilmente ogni demolizione porta con sé, ho pensato di far sì che quell'immagine circolasse fra la gente cercando di trasformarla in una sorta di catalizzatore di storie e narrazioni che dal passato giungessero al presente, in "memoria energetica" proiettata verso il futuro, memoria capace di diventare portatrice di identità.
L'intervento artistico è diventato qui una sollecitazione e quasi una miccia verso, da una parte, un'indagine antropologico-sociale per una conoscenza più profonda del territorio e dei suoi problemi, ma dall'altra parte pratica quasi quotidiana, direi condivisa, passo verso una possibile ridefinizione dell'identità del luogo e del rafforzamento del senso di "appartenenza" attraverso progetti artistici "riconosciuti" e frutto della partecipazione collettiva.
Non si è trattato quindi di quel tipo di intervento dal taglio estetizzante, dove il grande nome ha lasciato traccia, magari senza neanche conoscere il territorio che è fatto di uomini, con la loro storia, la loro tradizione e i loro desideri. Qui si tratta di un reale rapporto con gli abitanti che presuppone un lavoro molto più lungo, difficile, dispendioso dal punto di vista delle energie impiegate.
Sì, non più dunque "arte pubblica", "distante" strumento di "abbellimento", arredo e "decor", "invisibile" come lo sono tanti "monumenti" (ma anche tanti interventi di "public art", termine sul quale ci sono ancora molta confusione e fraintendimenti), quanto piuttosto un intervento artistico che, accompagnando, nel tempo e con progetti che dalle relazioni nascono, quei lavori nel centro di Pianoro Nuovo, si insinua fra la gente come pratica familiare, ludica e critica, sorprendente, propositiva, aperta.
Il progetto è in fieri, e ogni anno, si presume fino al 2011 quando i lavori di riqualificazione e ricostruzione dovrebbero essere completati, si prevedono "strategie" di interventi artistici (temporanei e permanenti) diversi, a seconda dei referenti e dei membri della comunità coinvolti, a seconda degli artisti e dei curatori coinvolti.
In questi primi due anni, dei quali questo primo "Quaderno" cartaceo ma anche video documenta in sintesi le tracce molteplici, lavorando con le scuole elementari e medie, ma sempre in rapporto con l'esterno, con attività che si sono svolte fuori e che hanno visto i bambini lavorare con gli anziani abitanti delle case direttamente coinvolte dai mutamenti ma anche con gli altri abitanti, si è avviata una riflessione sulle dinamiche insite nello sviluppo delle città, sulla forma della città e sul territorio perennemente interessati dalla dinamica distruzione/ricostruzione, identità e memoria, nuove integrazioni, paure e fantasie; sulle tracce e i modi dell'abitare ma anche e soprattutto su cosa si chiederebbe all'architettura e sulle proiezioni fantastiche di bambini, adolescenti e anziani nella loro città. E quest'ultimo punto è strettamente legato al lavoro futuro.
Come sono stati coinvolti gli abitanti, e quali i metodi di partecipazione e le risposte avute ?
Per Cuore di pietra la relazione con gli abitanti è stata fondamentale, non solo per la realizzazione in sé del progetto, ma per sviluppare dinamiche collaborative e partecipative, nell'interazione con gli artisti, con la città, col contesto sociale, spostando l'idea del pubblico da spettatore passivo a "soggetto attivo di creazione". Se gli abitanti non avessero risposto immediatamente e istintivamente questo progetto probabilmente sarebbe rimasto il gesto isolato, sorprendente, un po' poetico un po' politico, di un'artista, io nel caso specifico, che nel marzo del 2005 ha creato dei manifesti un po' ironici a partire dalle palazzine che stavano per essere distrutte e oltre ad averli affissi nei regolari spazi li ha distribuiti agli abitanti delle case circostanti quelle abbattute con l'invito ad esporli fuori dalle finestre, proprio come si fa ancora, in alcuni paesi dell'Emilia Romagna, il 25 aprile, con la bandiera di carta con su scritto "W la Resistenza". Il mettere alla finestra il manifesto avrebbe significato disponibilità ad aderire alla creazione di questa storia e progetto collettivo che voleva costruirsi nel tempo, dall'abbattimento delle case alla costruzione del nuovo centro.
Così è andata, senza che in verità all'inizio ci fosse un'idea precisa di cosa sarebbe accaduto dopo. La partecipazione attiva, collaborativa degli abitanti ha trasformato da subito un gesto di arte pubblica che avrebbe potuto esaurirsi in un'azione di qualche settimana, in un'azione corale che vede gli abitanti di quelle case collaborare con gli artisti e con i bambini delle scuole, coi giovani e con tutti gli abitanti del paese in questa impresa di "dar voce alle pietre" cercando anche di ridisegnare insieme parti delle nuove aree. In questi due primi anni i lavori visibili all'esterno sono stati per la maggior parte temporanei. La sera precedente un'altra demolizione c'è stata la proiezione sulla facciata di due di quelle palazzine, di una parte del materiale visivo già raccolto in forma di Appunti per Cuore di pietra.
Quella sera gli edifici deserti da tempo, violati, privati degli infissi, spettrali, brulicavano nelle loro stanze delle presenze vitali di coloro che le avevano abitate. Ci sono state e proseguono, in forme diverse e con artisti diversi, molte altre azioni: sulle palizzate di uno dei cantieri un writing di Cuoghi Corsello per tre mesi è stato accompagnato da una sorta di Diario di Cuore di pietra mobile, giornale murale/spazio libero di comunicazione fra i bambini e il paese, fatto di disegni, fogli di diario, progetti, trascrizioni e resoconti delle interviste agli abitanti; su altre palizzate, più recentemente, i fumetti metropolitani ingigantiti realizzati da Maria Pia Cinque in un workshop con i bambini.
Si prevede per l'autunno un altro workshop in cantiere con l'artista Sabrina Torelli. In questo primo quaderno, il cantiere e la palizzata che si sono sostituiti alla piazza pubblica che si stava cancellando, sono stati gli spazi simbolo dei "lavori in corso". Davanti a quella palizzata ci si dava appuntamento per le interviste ed essa è il filo spaziale e narrativo che unisce i racconti degli abitanti alle parole di esperti come Pippo Ciorra, Antonio Presti, Bartolomeo Pietromarchi e ai progetti e alle riflessioni degli artisti.
Sono state realizzate e messe in vendita nelle edicole 15 cartoline Cuore di pietra con gli sguardi "altri", inconsueti e sorprendenti degli artisti Alessandra Andrini, Paola Binante, Annalisa Cattani, o con i progetti di Cuoghi Corsello, Sandrine Nicoletta e Michela Ravaglia. Stiamo realizzando, insieme ai bambini una serie di mattonelle di ceramica Cuore di pietra che come una "strisciata" di pennarello ha cominciato e continuerà a segnare, in una sorta di sinergia continua, le strade e le case del paese, dalla scuola al Comune alle nuove case.
PROFILI BIOGRAFICI
Mili Romano, artista e curatore, docente di Antropologia culturale presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna. Studiosa di fenomeni metropolitani ed esperta di Public art, i suoi interessi di muovono tra letteratura, video-arte, installazioni fotografiche e di arte pubblica.
Ornella Fazzina, critico d'arte e curatore, docente di Storia dell'arte presso l'Accademia di Belle Arti di Palermo.
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