Il 5 ottobre scorso si è inaugurata la mostra Paul Gauguin, artista di mito e sogno presso il complesso del Vittoriano, che da diversi anni ospita esposizioni di grande richiamo popolare che stanno anche crescendo come qualità scientifica (vedi Chagall). Infatti l'assessore alla Politiche Culturali del Comune di Roma Silvio Di Francia parla di una scommessa già vinta in partenza, in una stagione che in generale ha visto una crescita straordinaria di pubblico per tutti gli spazi museali. Alessandro Nicosia, presidente di Comunicare Organizzando, ha sottolineato le difficoltà che si frapponevano alla realizzazione di una monografica dedicata all'artista francese, la prima a Roma, relative soprattutto ai prestiti e al valore delle opere, provenienti dai più importanti e diversi musei internazionali. Fondamentale ne è stata la concessione di ben trenta da parte del collezionista americano Richard Kelton.
Sono presenti 150 opere tra olî, disegni, sculture e ceramiche che documentano il percorso umano e artistico del grande maestro (1848-1903), che si è costruito da sé la leggenda dell'artista inquieto che si mette contro la società del proprio tempo e ne evade per ritrovare in una natura e tra genti non contaminate dal progresso la condizione di autenticità e d'ingenuità primitive, quasi mitologiche. Nei suoi dipinti anche la forma diventa primitiva, piatta: non c'è rilievo né profondità, i colori sono luminosi, accesi, caldi ed evocano sensazioni e suggestioni di un tempo perduto.
Il percorso della mostra parte dal periodo impressionista di Gauguin, quando strinse amicizia con Camille Pissarro e decise di diventare un artista a tempo pieno, dato che era impiegato come agente di borsa. Espose con gli impressionisti nel 1880, ma in seguito sviluppò uno stile personalissimo e diede vita al sintetismo, uno stile che il critico contemporaneo Albert Aurier definirà tipico di un'arte "idealista, simbolista, sintetica, soggettiva e decorativa", che influenzò profondamente l'Espressionismo. Alla base del sintetismo sono la conoscenza delle stampe giapponesi, il primitivismo espressivo della scultura bretone, il colore piatto e il cloisonnisme delle vetrate gotiche.
La mostra prosegue con il periodo trascorso dall'artista tra la Bretagna, Parigi, la Martinica e Arles e sono esposte diverse opere degli artisti della scuola di Pont-Aven (Emile Bernard, Paul Serusier, Jacob Meyer de Haaan), accomunati dall'odio per l'insegnamento ufficiale. Nel 1888 Gauguin raggiunse Van Gogh ad Arles, ma l'incompatibilità di carattere tra i due e l'instabilità psichica di Vincent resero la convivenza impossibile e Gauguin ripartì per Parigi all'indomani del gesto disperato di Van Gogh di tagliarsi un orecchio. Come Gauguin fu affascinato dapprima dalla tradizione religiosa popolare in Bretagna così lo fu in seguito a Tahiti dalla natura, dalla freschezza della gente del luogo, dalla grazia delle donne, tenendo sempre presente tutte le culture arcaiche studiate attentamente al Louvre: da quella egiziana sino a quella romanica e gotica. Nei primi anni a Tahiti l'artista si distanziò dall'ambiente dei coloni francesi: i curatori della mostra, Stephen F.Eisenman e Richard R.Brettel, hanno voluto evidenziare da una parte il legame dell'artista con l'antica Roma e con il sogno dell'Età dell'oro di Virgilio e Ovidio, dall'altra il suo essere il primo artista "globale" che abbia mai esaminato e registrato l'incontro tra colonizzatore europeo e i nativi assoggettati, dei quali volle far parte. Nell'estate del 1893 Gauguin tornò in Francia e provvide presto, insieme al mercante Paul Durand-Ruel, a esporre le sue opere tahitiane, ma rimase deluso per la scarsità delle vendite. Interessante è un'ampia parte dedicata alle xilografie che illustrano Noa-noa, un romanzo impostato come un diario di viaggio con esperienze tahitiane. Gli ultimi anni di Gauguin trascorsi nelle isole Marchesi sono caratterizzati da soggetti allegorici, letterari e mitici, dove i colori sono più sobri e le tonalità attenuate.
Anche se Gauguin pose attenzione agli indigeni che svolgevano il proprio lavoro, nella vita di tutti i giorni, come ne Il povero pescatore del 1896, non fu mai un realista. Le sue opere trasmettono sempre un messaggio di mistero, che vuole far riflettere. La vita nel paradiso ritrovato dell'Oceania non sarà comunque così edenica, ma segnata da malattie, dall'alcolismo, da un tentativo di suicidio e persino da un periodo di detenzione per aver istigato gli indigeni alla ribellione. Morì a Hiva Oa nel 1903 e come tanti genî della pittura senza nemmeno immaginare che tanto si sarebbe parlato di lui.
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