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La lucida follia di Salvador Dalì  
Sveva Battifoglia
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Novembre 2007, n. 468
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Area Didattica

L'arte di Salvador Dalì è un sogno. Uno di quei sogni che quando ti svegli ti lasciano sconvolto. È visionario, intenso, spesso al limite dell'osceno. Dalì è paranoia pura ma è anche gioco, illusione e sfrontatezza. Si guarda l'anima con l'arte, come in uno specchio, e si rende pazzo per un lasso di tempo sufficiente a esprimere la sua creatività. La biografia di Dalì è indiscindibile dalla sua arte, nelle sue opere c'è tutta una vita, dal rapporto conflittuale col padre all'amore per Gala, dall'affetto per la madre all'attaccamento alla sua terra.

Salvador Felipe Jacinto Dalì nasce nel 1904 sotto il sole della Catalogna, a Cadaqués un paesino di pescatori vicino Figueras, e trascorre una giovinezza privilegiata in una bellissima casa affacciata sul mare; il padre è un austero e rispettato notaio che vorrebbe il figlio diplomato e insegnante di disegno ma Salvador, possessore di una intelligenza fuori dal comune, non resiste alle rigide regole dell'Accademia d'Arte di San Fernando a Madrid: nel 1924 viene arrestato per più di un mese, con l'accusa di avere delle simpatie per il movimento indipendentista catalano, più tardi verrà espulso dalla scuola e ripudiato dallo stesso genitore. Un giovane un po' troppo ribelle ma dalle doti eccezionali, quasi un autodidatta; quest'artista, in sè già perfetto non aveva bisogno di professori pedanti. Era forse il solo, in quell'ambiente, a conoscere la pittura d'avanguardia di Picasso considerata sovversiva da molti tradizionalisti catalani. Negli anni in cui stringe una bellissima amicizia con Federico Garcìa Lorca, sperimenta suggestioni impressioniste, divisioniste e fauves ma soprattutto, dopo l'incontro con Pablo Picasso, cubiste.
Giunta oltre il confine italiano la rivista "Valori Plastici", Dalì viene a conoscenza anche dell'universo "metafisico" di Carrà, De Chirico, Morandi.

L'apporto fondamentale al Surrealismo si concretizza nel 1928 in un secondo viaggio a Parigi dove prende piede un fecondo scambio intellettuale con André Breton e gli altri esponenti, al tempo stesso, si intensifica la collaborazione nello sperimentalismo cinematografico, con l'amico Luis Buñuel, con il quale produrrà i due maggiori film surrealisti: Un chien andalou, 1929 e L'âge d'or, 1930.

Dalì fa sua la poetica surrealista ma ne rivoluziona quel particolare procedimento atto a far emergere in modo passivo le pulsioni incontrollate dell'incoscio del soggetto. Tutta la sua personale ricerca muove dalla particolare attenzione verso la patologia psichica della paranoia; il soggetto paranoico non subisce, come nell'allucinazione, la perdita di contatto con la realtà ma continua ad avvalersi di una certa lucidità mentale che gli permette di esternare una realtà incoscia, in continuo divenire.
Nel luglio 1930 Dalì pubblica sul primo numero della rivista surrealista "Le Surréalisme au service de la Révolution" uno scritto intitolato L'ane purri (L'asino putrefatto) in cui indica i pregi dell'uso consapevole del delirio paranoico. Egli lo definisce "metodo paranoico-critico", una sorta di pazzia autoindotta dall'artista al solo scopo di suscitare un mondo di fantasie o simulacri della realtà. Dalì è forse l'unico ad avere offerto su un piatto d'argento ai surrealisti, una chiave, diversa dal puro automatismo psichico, per aprire la porta della surrealtà.
A prima vista le sue composizioni sembrano quasi realistiche, perfettamente impeccabili, con quella inconfondibile stesura del colore piatta e asciutta ma poi, guardando bene, ci si accorge di essere dentro a un mondo completamente stravolto, denso di simboli ricorrenti come ossessioni. Leoni, locuste, formiche, volti deformati, simboli sessuali sono ripetuti molteplici volte durante il delirio del paranoico e destano sconcerto anche solo per la loro forte carica illusiva.

Nel 1934 romperà i contatti con i surrealisti e si trasferirà con Gala a New York, occupandosi anche di moda e design ma non smetterà mai di dipingere e a mostrare al pubblico di tutto il mondo, attraverso le sue mostre personali, la dimensione angosciante e onirica della sua esistenza. Nel 1939 verrà espulso dal movimento dagli stessi surrealisti perché completamente disinteressato di politica com'era, aveva rifiutato di prendere le distanze dal generale Franco durante la guerra civile spagnola.

Il 1951 è l'anno del "Manifesto mistico" e dell'inizio del periodo crepuscolare, una nuova fase della pittura di Dalì, segnata da un massiccio ingresso di quadri a soggetto religioso; una "svolta mistica" che lo porterà a chiedere un'udienza al papa Pio XII con il desiderio di mostrare le sue opere al pontefice. Morirà nel 1989 vecchio e malato nella sua residenza di Pùbol, dieci anni dopo la morte della sua adorata Gala. Oggi il Teatro-Museo Dalì, fondato dallo stesso, nella città natale, è una tappa obbligata per chiunque voglia rendere omaggio all'artista che ha fatto della sua stessa vita un'opera surrealista.




 
 

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