Una mostra interessante che recupera un secolo che, legato alla città di Roma, è stato a lungo relegato in secondo piano, oscurato dall'immenso Cinquecento romano e dallo scenografico Barocco. I secoli XVI e XVII, infatti, grazie ad artisti come Michelangelo e Raffaello, per il primo, e Bernini e Borromini per il secondo, hanno catalizzato l'attenzione di studiosi e critici concedendo ben poco spazio al periodo che l'ha preceduto, ma sostenuto. Così nel 2008, a distanza di quasi 30 anni dall'ultima iniziativa espositiva e a 12 anni dall'ultimo Convegno in materia, si celebra una mostra che rivendica, per il territorio romano, l'importanza di un'epoca senza la quale, forse, il Rinascimento non avrebbe avuto così magnifiche declinazioni.
L'evento voluto dalla Fondazione Roma in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale romano e con Arthemisia, società di produzione ed organizzazione di esposizioni temporanee e permanenti, è curata da Claudio Strinati e Marco Bussagli e vanta un comitato scientifico di alto livello, tra i molti Francesco Buranelli, Anna Cavallaro, Vittoria Garibaldi, Antonio Paolucci, Vittorio Sgarbi e non ultima Rossella Vodret.
Sono esposte oltre 170 opere, quadri, disegni, arredi sacri e civili, ceramiche, sculture, medaglie papali e plastici, provenienti da musei italiani e stranieri, tra i molti: il Museo Nazionale di Palazzo Venezia, la Galleria Borghese e la Galleria Nazionale d'Arte antica di Roma, i Musei Vaticani, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il British Museum di Londra, lo Stiftung Museum Kunst Plast di Düsseldorf, il Skulpturensammlung und Museum für Byzantinische Kunst di Berlino.
La mostra non vuole essere pura rassegna di quanto prodotto in quegli anni, ma ha l'ambizione di indagare, più o meno approfonditamente, più o meno eloquentemente, aspetti legati alla società laica e religiosa del tempo, alla situazione urbanistica della città, e, soprattutto, alla condizione culturale della Roma del XV secolo.
All'inizio del Quattrocento la città è allo sbando, nei 70 anni di assenza papale una regressione economico-sociale e demografica trasforma l'Italia e, in particolare, l'Urbe che è diventata una vaga trasposizione dell'antica e gloriosa città classica. Ci sono voluti più di 40 anni, dal ritorno dei pontefici da Avignone, per tornare ad essere una capitale europea, in grado di rivaleggiare con le altre città italiane del Nord, prima fra tutte Firenze, e questo è stato possibile grazie all'impegno di rinnovamento assunto dai papi celebrati, nella mostra, con un'intera sezione.
A partire da Martino V Colonna 1, per tutto il Quattrocento, papi, ben cinque, e cardinali attuano un'incessante opera di restauro delle basiliche, delle chiese e dei palazzi per dare un aspetto moderno alla città e per rilanciare l'immagine e il potere del papato dopo la sua lunga vacatio, l'arte e l'architettura diventano un vero e proprio mezzo di propaganda papalis.
Quasi tutti i grandi artisti non romani del Quattrocento lavorano nell'Urbe e lasciano segni indelebili del loro passaggio, tracce che ancor oggi testimoniano il fermento artistico-culturale e l'intensa attività della città in quegli anni.
La mostra si apre con una carta digitale interattiva di Roma del XV secolo, che riprende nell'impostazione la famosa pianta di Roma del manoscritto Les Très Riches Heures miniato tra il 1411 e il 1416 dai Fratelli Limbourg e conservato nel Museo Condè di Chantilly. Ma non è la sola sorpresa della tecnica nell'ambito dell'esposizione. È infatti presentato il modello tridimensionale della Cappella Carafa nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva. Chissà che non susciti in chi osserva la voglia di visitarla di persona !
Cinque le sezioni della esposizione: la prima, La Città, illustra la situazione urbanistica nel XV secolo. Le opere, a carattere soprattutto grafico e plastico, mostrano la situazione dell'abitato agli albori del '400 (presente in mostra la celebre pianta Strozzi), ma anche il progredire delle fabbriche volute dai pontefici per riabilitare la città.
La seconda sezione, I Papi. Fede, arte e potere, è forse la più rilevante, anche se meno attraente per un pubblico generalista. Sono raccontati i pontefici, i veri protagonisti del secolo, i rinnovatori della città, senza i quali, verosimilmente, non ci sarebbe stato un '400 romano.
La terza sezione, Vita civile e religiosa, racconta attraverso arredi prestigiosi e di alto livello i due aspetti di vita di coloro, aristocratici e religiosi, che hanno reso possibile la trasformazione artistico-urbanistica della capitale.
La quarta sezione, Lo scrigno dell'antico, pone l'accento sul carattere antiquariale, tutto romano, che permea la cultura del tempo. Con Martino V l'antichità è finalmente sdoganata dal pregiudizio che la legava al mondo pagano, l'ostilità con cui era considerata viene meno e, contestualmente, assurge a modello estetico e culturale. Si mette in evidenza il contributo esclusivo ed insostituibile di Roma all'elaborazione del linguaggio artistico del secolo successivo.
La quinta ed ultima sezione, La rinascita delle arti, è l'anima della mostra, si espongono le opere dei grandi artisti del '400, coloro che in qualche modo hanno segnato profondamente la Roma del tempo. Opere d'arte di eccezionale qualità e bellezza si dispiegano sulle pareti delle ultime due sale: Pisanello, Gentile da Fabriano, Beato Angelico, Donatello, Filippo Lippi, Andrea Mantegna, Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano, Perugino, Pinturicchio ed altri sono lì a rammentarci la grandezza di quel frangente temporale.
La mostra termina simbolicamente con un disegno a sanguigna di Michelangelo, protagonista indiscusso, assieme a Raffaello, del Rinascimento, l'evo che quasi ha cancellato per magnificenza il vilipeso "400".
NOTE
1
Colui che coraggiosamente, dopo il Concilio di Costanza (1417), sceglie di rimanere a Roma, nonostante l'Imperatore Sigismondo abbia suggerito come sede pontificia altre cittą: Basilea e Strasburgo.
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