Nella facciata della basilica minore di San Simplicio ad Olbia, è collocata nel sottoarco di sinistra una scultura di circa cm. 50 x 70. Si tratta di una lastra marmorea scolpita a bassorilievo circondata da un bordo a rilievo ricavato dallo spessore stesso della lastra. Il lato destro è occupato da una figura antropomorfa di un uomo a cavallo raffigurato con una testa conica e grandi occhi a bottone, che con la mano sinistra tiene le briglie del quadrupede, mentre con la destra, sollevata a mezz'asta, una spada o un randello. Il lato sinistro, proporzionalmente più piccolo, vede raffigurato un altro quadrupede (forse un asino) posto in posizione verticale e, sopra la spada retta dal cavaliere, una figura alata.
Questa scultura, rimasta sempre al margine o non considerata negli studi della scultura tardo antica e alto medievale della Sardegna, è stata anche recentemente, nell'ambito di uno studio sui capitelli della stessa chiesa, ritenuta «di problematica interpretazione» 1. Anche in un più recente studio di Roberto Coroneo riguardante la scultura tra VII e IX secolo nell'isola la lastra di Olbia non viene nemmeno censita 2, così come non compare in analoghi studi specifici precedenti 3. Fu per primo Corrado Maltese a darne cenno, ritenendo il rilievo coevo alla chiesa 4, mentre la Serra successivamente lo collocò giustamente in ambito precedente, connettendolo con una fibbia del museo Archeologico di Cagliari e una scultura simile proveniente dal San Giorgio di Tului, presso Giba. Si trattava, come ebbe modo di ribadire la studiosa anche in seguito, di sculture d'ascendenza barbarica, laddove per "barbarico" si intendeva l'arte visigota che dalla penisola iberica sarebbe giunta nell'isola. Esempio palese di un tale influsso per la Serra sarebbe il piccolo oratorio delle anime di Massama 5. Successivamente la stessa nello studio sulla basilica simpliciana nel volume sull'architettura romanica in Sardegna la descrisse come una «strana raffigurazione di due esseri antropomorfici, uno a cavallo con accanto forse un cane. Si tratta - conclude la studiosa - d'un rilievo dove la tipica disarticolazione compositiva, di ascendenza gotonica, rimanda direttamente alle scene istoriate nelle fibbie metalliche di produzione longobarda o bizantina, per il cui tramite poté aversi una qualche eco dei modi correnti nella figurazione barbarica» 6. Coroneo, più tardi, sempre nell'ambito dello studio sull'architettura romanica ne diede solo un breve cenno 7; più recentemente la stessa Serra ha ripreso nella nuova edizione del volume sull'architettura preromanica e romanica in Sardegna, le medesime argomentazioni del 1988 8. Sfuggiva quindi, al di là della collocazione stilistica della Serra, una interpretazione del manufatto e della sua iconografia, così come una sua datazione anche approssimativa. In altra sede tentai d'interpretare l'iconografia del bassorilievo vedendovi l'entrata di Gesù in Gerusalemme secondo la descrizione datane nel Vangelo di Matteo (21,7) e collocandola quindi al IX secolo. In particolare la figura principale sarebbe Gesù che brandisce una palma in groppa ad un puledro seguito da un asino 9.
Per quanto riguarda l'iconografia proposta dalla Serra (un cavaliere in sella seguito da un cane) si ha un esempio di una tale figurazione nel fregio interno della chiesa di San Pedro de la Nave, nei pressi di Zamora in Spagna, datata al VII secolo 10. Tuttavia tra la figurazione spagnola e quella olbiese si avvertono notevoli differenze: anzitutto il cavaliere è raffigurato mentre con entrambe le mani tiene le briglie e il cavallo impenna, mentre a Olbia, come abbiamo detto, sembra più una figura benedicente che, come nel caso spagnolo, un cacciatore con il suo cane al seguito. Anche l'interpretazione che ne avevo dato io (l'entrata di Gesù in Gerusalemme) non troverebbe riscontro in sculture antecedenti il IX-X secolo, soprattutto non troverebbe riscontro la figura centrale che brandisce quella che sembrerebbe essere, più che una palma, una spada o un randello, come anche non trova riscontro la figura alata posta sul margine sinistro alto.
Un confronto puntuale invece è proponibile, come suggerì la Serra, con alcune fibbie del VII secolo, soprattutto merovingiche. Un riscontro si ha in particolare con la fibbia di Landelinus, ritrovata in una necropoli del VII secolo nel 1971 presso il villaggio di Ladoix-Serrigny, nella Côte D'Or francese vicino alla città di Beaune 11. Nonostante il ritrovamento risalisse ai primi anni Settanta, solo nel 2003 la fibbia è stata studiata approfonditamente, soprattutto dal punto di vista iconografico, da Henri Gaillard de Sémainville 12. Si tratta di una fibbia in bronzo inciso di 92-94 mm di larghezza e 67-68 mm di altezza appartenente al cosiddetto gruppo C, con una cronologia quindi corrispondente al VII secolo. Nella fibbia è rappresentato un cavaliere in sella al suo cavallo che con la destra tiene un'ascia e con la sinistra una lancia, mentre sulla destra in alto è rappresentato un altro quadrupede. Sulla sinistra del personaggio è rappresentato il Crismon con lettere apocalittiche, mentre in basso appare, dopo una croce patente, la scritta: LANDELINUS FICIT/ NVMEN/ QVI ILLA PVSSEDIRAVIT VIVA(T)/ VSQUI ANNVS MILI IN D(OMIN)O, che è stata interpretata come «Landelino ha fatto (una rappresentazione della) Divinità; chi possiederà queste cose, che viva fino al millesimo anno nel Signore» 13. La frase fa evidentemente riferimento all'Apocalisse di San Giovanni, quando dice: «tornarono in vita e regnarono con Cristo per mille anni» (Ap., 20.4). Si tratta di mille anni con forte valore simbolico, già presenti, come tali, anche nei testi pre-cristiani. Proprio l'Apocalisse di Giovanni è la chiave di lettura della fibbia di Landelinus, come anche del bassorilievo olbiese.
Nonostante i molteplici richiami, non ultimo quello stilistico, il rilievo di Olbia presenta talune differenze con la fibbia francese, non tali tuttavia da stravolgerne totalmente l'interpretazione. Sia nella fibbia di Landelinus che nel bassorilievo sardo si descrive la distruzione delle nazioni pagane dell'Apocalisse (19,11-15). In entrambi i casi troviamo infatti un cavaliere a cavallo del suo destriero, dai grandi occhi e armato: «poi nel cielo aperto vidi un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava è chiamato "Fedele" e "Verace", perché giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi brillano come fuoco: ha molti diademi sul capo e porta scritto un nome che solo egli conosce [...] Dalla sua bocca usciva una spada affilata, per colpire con essa i popoli. Egli li governerà con un bastone di ferro» (Ap. 19,11-12; 19,15).
Nel caso francese il cavaliere è armato con lancia e ascia, come si confaceva ai re franchi di quell'epoca: si tratta della deificazione del sovrano, visto come Cristo che combatte contro le forze del male, in particolare contro le nazioni pagane. I raggi infatti che attorniano la testa sono interpretati come raggi solari, come nelle iconografie imperiali del Sol invictus 14. Non mancano certamente gli occhi a bottone, che rappresentano il fuoco (Ap. 19.12), così come non manca la bestia, rappresentata a destra in alto come un grosso serpente dotato di arti (Ap. 13.11), mentre le zampe del cavallo, che sembrano dotate di artigli, sono state interpretate come quelle di un ippogrifo, simile a quello di un'altra fibbia, sempre rinvenuta in Francia presso Sennecey-le-Grand (Saône et Loire) e pubblicata per la prima volta nel 1934 15.
Il caso del rilievo olbiese sembra invece molto più aderente all'Apocalisse perfino della fibbia di Landelinus, che pure appare abbastanza esplicita, soprattutto per la scritta incisa sotto la raffigurazione. Conformemente all'Apocalisse infatti, oltre al cavaliere con in mano la spada che potrebbe pur essere il bastone di ferro col quale prima sconfiggerà il paganesimo, poi governerà il mondo, appare sulla sinistra la bestia che sale dalla terra (Ap. 13, 11-12): «dopo il mostro vidi un'altra bestia che saliva su dalla terra. Aveva due corna come quelle d'un agnello, e una voce come quella di un drago. Essa esercita tutto il potere del mostro in sua presenza, e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare, come un dio, il mostro guarito dalla sua ferita mortale». Il rilievo olbiese rappresenta quindi Cristo che sul cavallo bianco trionfa contro le forze del male sorgenti dalla terra, in particolare è evidente il riferimento al paganesimo e alla sua definitiva sconfitta, davanti all'affermazione del cristianesimo. Tale interpretazione è corroborata pure da quell'essere alato che occupa la parte sinistra alta del rilievo, disegnata in maniera molto simile rispetto alle vittorie alate della lamina di Agilulfo: il quel caso reggono i vessilli imperiali, in questo caso porge la spada della vittoria contro il paganesimo, in un richiamo doppio all'autorità civile (il praeses Sardiniae Spesindeo ?) e religiosa (il vescovo Vittore ?) impegnate a debellare per sempre il paganesimo, liberandone così l'isola.
Un tale richiamo è anche confacente con la datazione che di questo manufatto si può dare, cioè il primo quarto del VII secolo, soprattutto per confronto con la fibbia di Landelinus, e non tanto con quella del Museo di Cagliari, che invece rappresenta un cavaliere su un cavallo al galoppo, pur non dovendosi escludere anche in questo caso una rappresentazione apocalittica, magari simile ad alcune placche norvegesi come quella di Gudbrandsdalen o quella di Hove, ma che in tutti i casi risentono di influssi culturali differenti ed estranei alla cultura cristiana 16. In particolare il riferimento esplicito alla sconfitta dei popoli pagani per mezzo del giudizio divino richiama il fatto storico relativo al ripristino della sede di Fausania del 594. Gregorio Magno, avuta notizia che quella sede era rimasta vacante per un lungo periodo e che la Sardegna nord-orientale era ancora in gran parte da evangelizzare autorizzò la nomina del vescovo Vittore, per occupare la cattedra del centro, non ancora esattamente individuato, di Fausania 17. Sei anni dopo, nel 600, papa Gregorio si tornava ad occupare del vescovo che governava la diocesi nord-orientale dell'isola, lodando il suo operato e rivolgendo un appello al praeses Sardiniae Spesindeo perché favorisse in tutti i modi l'attività missionaria dello zelante Vittore. Da quest'ultima missiva si comprende come l'attività del vescovo di Fausania si sia rivolta non solamente ai "barbari", ma anche a diversi strati della società cittadina che permanevano se non ostili, quantomeno indifferenti al cristianesimo 18. In cosa sia consistita tale attività di evangelizzazione non è dato sapere, anche se è facilmente intuibile che al "ripristino" della sede sia succeduta la ricostruzione o la costruzione ex novo della cattedrale, ovvero che questa sia stata adeguata alle nuove esigenze. Di una tale ipotesi per ora non si ha traccia archeologica o documentale, tuttavia anche la testimonianza del Fara, ripresa poi dal Lamarmora, che la cattedrale di Olbia, ovviamente non quella odierna, sia stata costruita proprio sotto il vescovo Vittore 19, potrebbe far propendere per l'ipotesi che quest'ultimo abbia voluto la costruzione del nuovo edificio per meglio evangelizzare l'area gallurese. Potrebbe quindi appartenere a quello scomparso edificio la formella olbiese raffigurante un episodio dell'Apocalisse, così come potrebbero provenire dallo stesso edificio pure le due formelle marmoree presenti sempre in facciata, che più che pisane, come sostenne la Serra, possono ascriversi all'VIII secolo per analogia con alcune sculture d'area settentrionale italiana coeve, come l'epitaffio di Cumiano dell'abbazia di San Colombano a Bobbio (736), nel quale compaiono simili rosette nella parte interna del bordo che circonda l'epigrafe, atte evidentemente ad accogliere, come sembrerebbe essere ad Olbia, incrostazioni di paste policrome o vetri colorati 20. Del resto il riutilizzo di materiale spurio proveniente da più antiche cattedrali è ben attestato nell'isola, come dimostra la decorazione attorno e dentro la lunetta del portale del braccio sinistro del transetto della cattedrale di Cagliari, proveniente in gran parte dalla distrutta cattedrale di Santa Igia. Nel caso di Olbia potrebbe essere avvenuto lo stesso, quando tra l'XI e il XII secolo venne costruita la cattedrale che oggi vediamo.
NOTE
1
A. PISTUDDI, La chiesa di San Simplicio ad Olbia (SS): contributo allo studio dei capitelli, "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari", n.s. XXI (vol. LVIII), 2003, p. 158.
2
R. CORONEO, Scultura in Sardegna dal VII al IX secolo, "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari", n.s. XXII (vol. LIX), 2004, pp. 25-38.
3
R. CORONEO, Scultura medio bizantina in Sardegna, Nuoro 2000; R. CORONEO, Altari, pilastrini e plutei in Sardegna fra VI e VII secolo, "Archivio Storico Sardo", XLII, 2002, pp. 9-25; R. CORONEO, Capitelli e mensole in Sardegna fra VI e VII secolo, "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari", n.s. XXI (vol. LVIII), 2003, pp. 121-154.
4
C. MALTESE, Persistenza di motivi arcaici tra il XVI e il XVIII secolo in Sardegna, "Studi Sardi", 17 (1959-61), p. 470.
5
R. SERRA, L'oratorio delle anime di Massama, "Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari", vol. XXXIV (1971), pp. 33-56; più recentemente ripreso e commentato da R. Coroneo, nel volume R. SERRA, Studi sull'arte della Sardegna tardo antica e bizantina, a cura di L. D'Arienzo, Nuoro 2004, pp. 49-69.
6
R. SERRA, La Sardegna, Italia Romanica, vol. 10, Milano 1988, p. 328.
7
R. CORONEO, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo '300, Storia dell'Arte in Sardegna, Nuoro 1993, p. 81.
8
R. CORONEO, R. SERRA, Sardegna preromanica e romanica, Milano 2004, p. 117.
9
L. AGUS, San Simplicio di Olbia, "Sardegna Antica", 31 (2007), p. 37.
10
J. M. HOPPE, Ensayo sobre la escultura de San Pedro de la Nave, "La iglesia de San Pedro de la Nave", Zamora 2004, p. 328.
11
S. DEYTS, C. ROLLEY, Une plaque-boucle mérovingienne inscrite, "Revue Archeologique de l'Est", 22 (1971), pp. 403-407. Devo un particolare ringraziamento al prof. Henri Gaillard de Sémainville, direttore della rivista, che mi ha inviato gentilmente tutta la documentazione inerente gli studi sulla fibbia di Landelinus.
12
H. GAILLARD DE SÉMAINVILLE, Nouvel examen de la plaque-boucle mérovingienne de Landelinus découverte à Ladoix-Serrigny (Côte d'Or), apocalypse et millénarisme dans l'art mérovingien, "Revue Archeologique de l'Est", 52 (2003), pp. 297-327.
13
Id., pp. 299-301.
14
Id., p. 303.
15
H. KÜHN, Die Germanishen Greifenschnallen der Völkerwanderungszeit, "I.P.E.K.", 9 (1934), pp. 77-105.
16
K. BÖHNER, Die frühmittelalterlichen Silberphalaren aus Eschwege (Hessen) und die nordischen Pressblech-Bilder, "Jahrbuch RGZM", 38-1991 (1995), fig. 37; D. ELLMERS, Zur Ikonographie nordischer Goldbrakteaten, "Jahrbuch RGZM", 17-1970 (1972), pp. 201-284.
17
Sulla questione dell'esatta ubicazione di Fausania, da ultimo si veda S. I. DELEDDA, La cristianizzazione della Barbagia e della Gallura, la diocesi di Phausania tra urbanitas e rusticitas, Mogoro (OR) 2005, pp. 47-59.
18
R. TURTAS, Rapporti tra Africa e Sardegna nell'epistoliario di Gregorio Magno (590-604), "L'africa Romana", Atti del IX convegno di studio, vol. II, Nuoro 13-15 dicembre 1991, a cura di A. Mastino, Sassari 1992, p. 698.
19
G. F. FARA, In Sardiniae Chorographiam, a cura di E. Cadoni, trad. M. T. Laneri, I, Sassari 1992, pp. 224-225; A. DELLA MARMORA, Itinerario dell'isola di Sardegna, II, Cagliari 1868, pp. 541-543.
20
R. CORONEO, Scultura altomedievale il Italia, Cagliari 2005, p. 69.
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