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Claudia Gian Ferrari: io la conoscevo bene. Intervista a Elena Pontiggia e Marco Magnifico  
Andrea D'Agostino
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 4 Marzo 2010, n. 555
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Area Interviste

Se ne è andata via poco più di un mese fa, a soli 64 anni, stroncata da un male incurabile. Claudia Gian Ferrari, storica dell’arte e collezionista, un nome legato alla sua celebre galleria di via Corridoni a Milano “ereditata” dal padre Ettore, un altro nome importante nella vita culturale meneghina di metà Novecento. Al suo attivo, un centinaio tra cataloghi di mostre e scritti su un periodo piuttosto lungo che va dal “ritorno all’ordine” degli anni ’20 fino agli ultimi decenni del secolo. In particolare, con i suoi studi, ha contribuito a rivalutare artisti messi in disparte dalla critica ufficiale dell’epoca come Mario Sironi e Fausto Pirandello o Arturo Martini.


Considerata anche come una delle più importanti collezioniste d’arte contemporanea in Italia, Claudia Gian Ferrari ha destinato al Fai (Fondo per l’ambiente italiano) un cospicuo gruppo di opere di sua proprietà – ben 44 – come L’amante morta di Martini, il Ritratto di Alfredo Casella di De Chirico, La famiglia del pastore di Sironi e due Nature Morte di Morandi, che sono tutte visibili nella casa-museo di Villa Necchi Campiglio a Milano. Ancora più numeroso il gruppo di opere degli ultimi decenni che ha prima affidato in comodato alla Fondazione Maxxi, poi donato alla collezione permanente del nuovo Museo delle Arti del XXI secolo di Roma: ben 58 opere tra quadri, fotografie e installazioni realizzate da alcuni tra i principali nomi del panorama artistico degli ultimi anni, quali ad esempio Anselm Kiefer, Gabriele Basilico, Nan Goldin e Ettore Spalletti.


Abbiamo rivolto qualche domanda a due persone che l’hanno conosciuta bene: Elena Pontiggia, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Brera, con la quale ha curato numerose mostre, e Marco Magnifico, vice presidente esecutivo del Fai, che ha lavorato all’allestimento della sua raccolta a Villa Necchi.

 

 

 

Iniziamo con Elena Pontiggia. A quanto risale la vostra conoscenza ? 


Credo fosse il 1982-83. La ricordo nella sua galleria a Milano, che era allora in via Gesù. Ricordo in particolare una mostra di Sironi, che aveva organizzato in quegli spazi, e a cui era presente Aglae, la figlia del maestro.

 

 

Insieme avete curato numerose mostre in tutta Italia: com’è stato lavorare con lei? Avete avuto discussioni, confronti aspri o vi siete trovate sempre d’accordo ?


Con Claudia condividevamo un grande amore per il Novecento italiano, per Mario Sironi e Arturo Martini prima di tutto: artisti di statura europea, che in Italia erano stati messi in ombra per motivi non artistici, ma politici. Lei aveva una conoscenza delle collezioni italiane insuperabile: quando avevo bisogno di un’opera, lei sapeva dov’era. E non solo io. Tutti ricorrevano a lei per cercare capolavori piccoli e grandi del XX secolo. Lei, però, non voleva essere solo una gallerista e una, per così dire, archivista delle opere: teneva molto a essere considerata una storica dell’arte. In questo senso so di alcune sue incomprensioni, e di veri e propri contrasti, con altri storici dell’arte contemporanea. Quanto a me, no, non ricordo confronti aspri e nemmeno discussioni particolari nel corso della preparazione di mostre. Ricordo però qualche sua “sfuriata”: Claudia si accendeva facilmente, magari per un equivoco, ma altrettanto facilmente si pentiva dei suoi momenti di collera.

 

 

Ha qualche aneddoto che ricorda con piacere ?

Ricordi di Claudia ne ho tanti. Forse il più bello è legato alla mostra di Piero Marussig che avevamo curato a Trieste, nella città natale dell’artista. Insieme a Nicoletta Colombo, un’altra grande appassionata del Novecento italiano, avevamo pubblicato il catalogo generale di Marussig. Da lì era nata la mostra, che si era tenuta al museo Revoltella. Io avevo lavorato alla scelta delle opere, ma il loro reperimento era stato tutto merito di Claudia e di Nicoletta. Come spesso mi capita, dato che sono distratta e un po’ sempre di corsa, ero arrivata a Trieste nel giorno sbagliato. La data della vernice era stata posticipata di un giorno e io non me ne ero più ricordata. Claudia era già lì (Nicoletta purtroppo non aveva potuto raggiungerci) e, con quel giorno di tempo in più, oltre a lavorare per la mostra avevamo anche fatto le turiste... È stato molto piacevole. Era il novembre 2006.

 

 

È vero che la mostra Elogio della semplicità. Un carattere dell’arte contemporanea che sarà inaugurata alla Fondazione Stelline di Milano il prossimo 25 marzo sarà dedicata alla memoria di Claudia Gian Ferrari ?

Sì: la dedica nasce dal fatto che Claudia faceva parte del comitato scientifico della Fondazione Stelline, insieme a Jean Clair e a me. Proprio nell’ambito di quel comitato abbiamo realizzato molte mostre, tra cui mi piace ricordare quella, imponente, di Arturo Martini e quella sull’ultimo Sironi, il Sironi drammatico e disperato degli anni Quaranta e Cinquanta.

 

 

Che cosa pensa, infine, della scelta di donare molte sue opere d’arte al Fai per Villa Necchi Campiglio ?

Si tratta di una donazione importante che sottolinea ancora una volta (e ce n’è bisogno!) la grandezza dell'arte italiana degli anni fra le due guerre, che dal punto di vista artistico, sono stati un periodo di straordinaria vitalità espressiva.

 

 

Marco Magnifico: un suo ricordo di Claudia.

Non aveva un carattere facile. Era come tutte quelle persone che perseguono progetti elevati e che non tollerano pressappochismi o sciatterie. Apparteneva a quella Milano “calvinista”, come la chiamo io, che non tollerava le mezze misure e la mediocrità: ogni volta che veniva a vedere le sue opere a Villa Necchi, c’era sempre qualcosa che non andava. In lei, c’era una costante ricerca dell’eccellenza, che ovviamente è difficilissimo raggiungere. E questo lo dico con tutto l’affetto che ho per lei.

 

 

Era soddisfatta della sistemazione delle sue opere a Villa Necchi Campiglio ?

Era molto contenta, soprattutto perché  la sua raccolta aveva trovato una collocazione definitiva. In particolare, le era piaciuto molto come era stata sistemata l’Amante morta di Arturo Martini, in quella sorta di “cappella laica” sotto lo scalone che sembrava fatta apposta per ospitare la scultura.

 

 

Come valuta la sua figura di studiosa ?

È stata un’anticipatrice nella riscoperta di alcuni artisti, oserei dire una “talent scout”, ma anche una studiosa “a tutto tondo”: critica, gallerista, collezionista e storica dell’arte. Non c’è più distinzione tra questi diversi ruoli, quando si arriva a livelli come i suoi, proprio come erano stati studiosi a tutto tondo altri prima di lei, quali Bernard Berenson o il conte Giuseppe Panza di Biumo.

 



Claudia Gian Ferrari

Fig. 1
Claudia Gian Ferrari
© Giorgio Colombo fotografo

La famiglia del pastore

Fig. 2
Villa Necchi Campiglio, Hall
MARIO SIRONI, La famiglia del pastore
© Giorgio Majno,fotografo

Veduta attuale della villa di Blosio Palladio

Fig. 3
Villa Necchi Campiglio, Hall
Scalone con L'amante morta di ARTURO MARTINI
© Giorgio Majno,fotografo

Busto di fanciulla

Fig. 4
Villa Necchi Campiglio, Biblioteca
Busto di fanciulla di ARTURO MARTINI
© Giorgio Majno,fotografo

Veronika 1995

Fig. 5
CHRISTIAN BOLTANSKY, Veronika 1995
(Collezione Gian Ferrari, MAXXI)
installazione: fotografia b/n, tessuto, neon, box in legno
© Roberto Galasso

Veronika 1995

Fig. 6
WOLFGANG TILLMANS, Mental Pictures # 30, 2000
(Collezione Gian Ferrari, MAXXI)
stampa cybachrome
© Roberto Galasso




Foto cortesia degli Uffici Stampa del FAI e del MAXXI

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