Se ne è andata via poco più di un
mese fa, a soli 64 anni, stroncata da un male incurabile. Claudia Gian Ferrari,
storica dell’arte e collezionista, un nome legato alla sua celebre galleria di
via Corridoni a Milano “ereditata” dal padre Ettore, un altro nome importante
nella vita culturale meneghina di metà Novecento. Al suo attivo, un centinaio
tra cataloghi di mostre e scritti su un periodo piuttosto lungo che va dal
“ritorno all’ordine” degli anni ’20 fino agli ultimi decenni del secolo. In
particolare, con i suoi studi, ha contribuito a rivalutare artisti messi in
disparte dalla critica ufficiale dell’epoca come Mario Sironi e Fausto
Pirandello o Arturo Martini.
Considerata anche come una delle più
importanti collezioniste d’arte contemporanea in Italia, Claudia Gian Ferrari
ha destinato al Fai (Fondo per l’ambiente italiano) un cospicuo gruppo di opere
di sua proprietà – ben 44 – come L’amante
morta di Martini, il Ritratto di
Alfredo Casella di De Chirico, La
famiglia del pastore di Sironi e due Nature
Morte di Morandi, che sono tutte visibili nella casa-museo di Villa Necchi
Campiglio a Milano. Ancora più numeroso il gruppo di opere degli ultimi decenni
che ha prima affidato in comodato alla Fondazione Maxxi, poi donato alla
collezione permanente del nuovo Museo delle Arti del XXI secolo di Roma: ben 58
opere tra quadri, fotografie e installazioni realizzate da alcuni tra i
principali nomi del panorama artistico degli ultimi anni, quali ad esempio Anselm
Kiefer, Gabriele Basilico, Nan Goldin e Ettore Spalletti.
Abbiamo rivolto qualche domanda a
due persone che l’hanno conosciuta bene: Elena
Pontiggia, docente di Storia dell’arte contemporanea all’Accademia di
Brera, con la quale ha curato numerose mostre, e Marco Magnifico, vice presidente esecutivo del Fai, che ha lavorato
all’allestimento della sua raccolta a Villa Necchi.
Iniziamo con Elena Pontiggia. A quanto risale la vostra conoscenza ?
Credo fosse il 1982-83. La ricordo nella
sua galleria a Milano, che era allora in via Gesù. Ricordo in particolare una
mostra di Sironi, che aveva organizzato in quegli spazi, e a cui era presente
Aglae, la figlia del maestro. Insieme avete curato numerose mostre in tutta Italia: com’è stato lavorare
con lei? Avete avuto discussioni, confronti aspri o vi siete trovate sempre d’accordo
? Con Claudia condividevamo un grande amore per il
Novecento italiano, per Mario Sironi e Arturo Martini prima di tutto: artisti
di statura europea, che in Italia erano stati messi in ombra per motivi non
artistici, ma politici. Lei aveva una conoscenza delle collezioni italiane
insuperabile: quando avevo bisogno di un’opera, lei sapeva dov’era. E non solo
io. Tutti ricorrevano a lei per cercare capolavori piccoli e grandi del XX
secolo. Lei, però, non voleva essere solo una gallerista e una, per così dire,
archivista delle opere: teneva molto a essere considerata una storica
dell’arte. In questo senso so di alcune sue incomprensioni, e di veri e propri
contrasti, con altri storici dell’arte contemporanea. Quanto a me, no, non
ricordo confronti aspri e nemmeno discussioni particolari nel corso della
preparazione di mostre. Ricordo però qualche sua “sfuriata”: Claudia si
accendeva facilmente, magari per un equivoco, ma altrettanto facilmente si
pentiva dei suoi momenti di collera. Ha qualche aneddoto che ricorda con piacere ?
Ricordi di Claudia ne ho tanti. Forse il più
bello è legato alla mostra di Piero Marussig che avevamo curato a Trieste,
nella città natale dell’artista. Insieme a Nicoletta Colombo, un’altra grande
appassionata del Novecento italiano, avevamo pubblicato il catalogo generale di
Marussig. Da lì era nata la mostra, che si era tenuta al museo Revoltella. Io
avevo lavorato alla scelta delle opere, ma il loro reperimento era stato tutto
merito di Claudia e di Nicoletta. Come spesso mi capita, dato che sono
distratta e un po’ sempre di corsa, ero arrivata a Trieste nel giorno
sbagliato. La data della vernice era stata posticipata di un giorno e io non me
ne ero più ricordata. Claudia era già lì (Nicoletta purtroppo non aveva
potuto raggiungerci) e, con quel giorno di tempo in più, oltre a lavorare per
la mostra avevamo anche fatto le turiste... È stato molto piacevole. Era il
novembre 2006. È vero che la mostra Elogio della semplicità. Un carattere dell’arte contemporanea che sarà inaugurata alla
Fondazione Stelline di Milano il prossimo 25 marzo sarà dedicata alla memoria
di Claudia Gian Ferrari ?
Sì: la dedica nasce dal fatto che Claudia faceva
parte del comitato scientifico della Fondazione Stelline, insieme a Jean Clair
e a me. Proprio nell’ambito di quel comitato abbiamo realizzato molte mostre,
tra cui mi piace ricordare quella, imponente, di Arturo Martini e quella
sull’ultimo Sironi, il Sironi drammatico e disperato degli anni Quaranta e
Cinquanta. Che cosa pensa, infine, della scelta di donare molte sue opere d’arte
al Fai per Villa Necchi Campiglio ?
Si tratta di una donazione importante che
sottolinea ancora una volta (e ce n’è bisogno!) la grandezza dell'arte italiana
degli anni fra le due guerre, che dal punto di vista artistico, sono stati un
periodo di straordinaria vitalità espressiva. Marco Magnifico: un suo ricordo di Claudia.
Non aveva un carattere facile. Era come tutte
quelle persone che perseguono progetti elevati e che non tollerano
pressappochismi o sciatterie. Apparteneva a quella Milano “calvinista”, come la
chiamo io, che non tollerava le mezze misure e la mediocrità: ogni volta che
veniva a vedere le sue opere a Villa Necchi, c’era sempre qualcosa che non
andava. In lei, c’era una costante ricerca dell’eccellenza, che ovviamente è
difficilissimo raggiungere. E questo lo dico con tutto l’affetto che ho per lei. Era soddisfatta della sistemazione delle sue
opere a Villa Necchi Campiglio ?
Era molto contenta, soprattutto perché la sua raccolta aveva trovato una collocazione
definitiva. In particolare, le era piaciuto molto come era stata sistemata l’Amante morta di Arturo Martini, in quella sorta di “cappella laica” sotto
lo scalone che sembrava fatta apposta per ospitare la scultura. Come valuta la sua figura di studiosa ?
È stata un’anticipatrice nella riscoperta di alcuni artisti, oserei dire
una “talent scout”, ma anche una studiosa “a tutto tondo”: critica, gallerista,
collezionista e storica dell’arte. Non c’è più distinzione tra questi diversi
ruoli, quando si arriva a livelli come i suoi, proprio come erano stati studiosi
a tutto tondo altri prima di lei, quali Bernard Berenson o il conte Giuseppe
Panza di Biumo.
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