A distanza di quasi trent'anni dall'ultima rassegna dedicata all'artista statunitense una mostra inedita ed itinerante celebra uno dei pittori più significativi del recente secolo scorso: Edward Hopper (1882-1967), colui che, traducendo in forme dimesse e nient'affatto edulcorate la normalità americana della prima metà del XX secolo, ha saputo rappresentare gli aspetti meno brillanti della società contemporanea.
Le sue opere riflettono la
condizione della middle-class statunitense
del secondo dopo guerra: luoghi urbanizzati, apparentemente anonimi, resi con
una sensibilità disincantata, accolgono borghesi in atteggiamenti intimi. Sono
contesti fatti di strutture urbane, ma anche di sentimenti reconditi e
contrastanti, tipici di una collettività in pieno sviluppo che, per la frenesia
della nuova società in convulsa espansione, ha perso i punti di riferimento di
fine Ottocento.
Il maestro visualizza, riprende
ed indaga con un'inedita capacità comunicativa le nuove consapevolezze umane ed
i sopravvenuti turbamenti: l'angoscia di vivere, la solitudine, lo smarrimento
e l'alienazione dell'individuo sono, infatti, alla base del suo realismo.
Con potenza estetica Hopper ha
saputo cogliere istanti di vita semplice e di quotidiana routine, nonché trasmettere quel senso di irrequietezza ed
inquietudine tipiche dell'America in cui vive; i suoi sono quadri calmi e
silenziosi, ma allo stesso tempo sono percorsi da emozioni palpabili. Alla base del suo operare c'è stato evidentemente un confrontarsi profondamente con gli scenari più borghesi e dimessi di vita giornaliera e la tormentata soggettività interiore.
Una mostra senza precedenti i cui
punti di forza sono: un corposo numero di dipinti e disegni e un allestimento
didattico-educativo che accompagna costantemente il visitatore. In sette
sezioni si contempla e si indaga tutta la produzione del pittore, circa 170
opere, dalla formazione, gli inizi accademici, passando per la maturità, fino agli
ultimi anni di vita.
Il Whitney Museum of American Art di New York è il maggior prestatore,
del resto, a partire dal 1920, il museo ospita varie mostre del maestro, la cui
vedova, Josephine Nivison Hopper, alla sua morte lega un lascito di oltre 3
mila pezzi. Non sorprende, dunque, che Carter Foster, direttore del Whitney, sia proprio il curatore
dell'esposizione italiana. Altri prestiti importanti sono dal Brooklyn Museum of Art di New York, dal Terra Foundation for American Art di
Chicago, dal Columbus Museum of Art e
dal Newark Museum del New Jersey.
L'esposizione, accompagnata da
un'importante apparato storico-fotografico della storia americana dagli anni
Venti agli anni Sessanta, si apre con una ricostruzione del locale notturno di
una delle opere più famose del maestro: in una suggestiva ambientazione serale
si è voluto ricostruire scenograficamente il luogo del dipinto Nightawks (1942), nel quale il
visitatore è chiamato a viverne fisicamente lo spazio.
La rassegna procede con le
sezioni dedicate al periodo giovanile ,
quando l'artista, ancora in fase di formazione giunge a Parigi: le opere
mostrano un certo interesse per la strutturazione architettonica ed urbanistica
della città (fig. 1), attrattiva che lo accompagnerà per tutta la sua vita fino
a divenir un vero e proprio amore-ossessione . I quadri e gli schizzi di questa fase sono inizialmente cupi, ma con il tempo si inondano di luce piena: ritratti di interni tacitamente evocativi, di figure solitarie in ambienti disadorni, di vedute quotidiane della città francese o di villaggi insolitamente silenziosi, di ponti cittadini malinconici (fig. 2), di stazioni eccezionalmente deserte, e di folle non comunicanti, sospese in un magico silenzio pensoso.
Interessante la scelta del
curatore, nella sezione “Hopper incisore” di istruire il pubblico alla
preferenza tecnica adottata dall'artista: nel percorso di visita si attua un vero
e proprio cammino formativo verso i metodi prescelti dal maestro (olio,
acquarello e non ultima l'incisione).
La divertente stanza de “Il
Processo creativo” invita arditamente il visitatore a schizzare su banchi di fogli
bianchi i profili di alcune opere proiettate sugli stessi.
Altrettanto degna di nota la
sezione “Dal disegno alla tela” ove si è scelto di accostare i volitivi ed
espressivi progetti preparatori alle opere definitive (figg. 3-4); così facendo
si specifica, in colui che guarda, lo spirito creativo che ha guidato
l'artista: risulta evidente un modus operandi tutt'altro che semplice o
lineare, ma frutto di una sintesi operosa di una serie, anche stancante, di
immagini e disegni di situazioni colte in tempi e luoghi diversi (figg. 5-7).
Si può altresì visionare uno dei suoi famosi taccuini d'artista, con cui era
solito girare e appuntare o abbozzare elementi che si ritrovano in molti dei
suoi dipinti definitivi.
Seguono le sale dedicate a "L'erotismo di Hopper": sono esposte alcune delle più significative immagini di donne, nude o semi svestite, sorprese da sole in stati contemplativi, all'interno di squallidi e minimalisti ambienti. Ad un attento
visitatore non sfuggirà che le lavandaie o le bagnanti di Degas rappresentano
l'immediato precedente iconografico, le signore del maestro americano,
però, sono caricate di quel senso di
isolamento urbano e di quella condizione di solitudine che sono propri del
realismo hooperiano. Queste donne abitano interni spogli e privi di
qualsivoglia ornamento, essi diventano lo specchio dell'anima delle
protagoniste che malinconicamente vivono, loro malgrado, momenti di acclamato
abbandono (fig. 8).
L'ultima sezione, "L'essenza dell'artista. Tempo, luogo e memoria", è forse quella che meglio illustra la poetica del pittore; essa palesa la sensibilità, avvertita durante il processo creativo, che conduce il maestro, con abilità inconsueta, a rivelare la bellezza nei soggetti più comuni . Si
espongono ancora donne all'interno di desolate stanze, o anonimi edifici illuminati
dall'alba o immersi in pallidi tramonti
(fig. 9), o ancora pareti o tetti di case borghesi accesi dalla luce del sole.
Con il passare del tempo le opere si caricano sempre più di energia e solennità,
esprimono una vita tesa, contrastata, difficile, contraddistinta da esperienze
interiori forti: i tranquilli scorci di vita rubati negli appartamenti lasciano,
infatti, il posto a dipinti che urlano silenziosamente i disagi della nuova
classe borghese (fig. 10).
Una nutrita serie di attività
collaterali guideranno il visitatore nella comprensione della mostra:
conferenze, lezioni di approfondimento e letture di opere d'arte aiuteranno il
pubblico ad approfondire la figura di Hopper e del movimento realistico
americano
LA MOSTRA
Dove: Museo del Corso, Roma Quando: 16 febbraio 2010- 13
giugno 2010
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Fig. 1
EDWARD HOPPER, Le Pavillon de Flore, 1909
olio su tela, cm. 60 x 73
Whitney Museum of America, New York
Fig. 2
EDWARD HOPPER, Le Pont des Arts, 1907
olio su tela, cm. 60 x 73
Whitney Museum of America, New York
Fig. 3
EDWARD HOPPER, Macomb's Dam Bridge, 1935
olio su tela, cm. 88 x 152
Brooklyn Museum, New York
Fig. 4
EDWARD HOPPER, Studio per il Ponte di Macomb, 1935
grafite su tela, cm. 23 x 46
Whitney Museum of America, New York
Fig. 5
EDWARD HOPPER, The Sheridan Theatre, 1937
olio su tela, cm. 60 x 73
Whitney Museum of America, New York
Fig. 6
EDWARD HOPPER, Studio per il Teatro Sheridan, s.d.
conté crayon nera con grafite su carta
Whitney Museum of America, New York
Fig. 7
EDWARD HOPPER, Studio per il Teatro Sheridan, 1936-37
conté crayon nera con grafite su carta
Whitney Museum of America, New York
Fig. 8
EDWARD HOPPER, Summer Interior, 1909
olio su tela, cm. 61 x 74
Whitney Museum of America, New York
Fig. 9
EDWARD HOPPER, Second Story Sunlight, 1936-37
olio su tela, cm. 102 x 127
Whitney Museum of America, New York
Fig. 10
EDWARD HOPPER, A Woman in the Sun, 1961
olio su tela, cm. 102 x 155
Whitney Museum of America, New York
Foto cortesia dell'Ufficio Stampa della Mostra
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