Alcune cattedrali riescono a
sintetizzare tra le proprie mura l'intera storia di una città, così succede a
Siracusa. Sia all'esterno che dentro sono ancora visibili le possenti colonne
doriche di un tempio dedicato ad Atena, costruito nel V secolo a. C., momento
di grande splendore per la città greca più ricca e popolosa conosciuta allora.
In età bizantina fu chiesa paleocristiana, con gli arabi divenne moschea e con
i normanni tripudio di mosaici. In età barocca si popolò di statue di santi e
di colonne tortili. Un antico cratere ellenistico, diventato fonte battesimale,
coesiste con una Santa Lucia (protettrice della città e della vista) scolpita
da Gagini e una tavola con San Zosimo dipinta da Antonello che ricordano, a
breve distanza, dentro al Museo di Palazzo Bellomo, altri miracoli di questi
maestri custoditi pochi passi più in là.
In nessun altro posto al mondo,
se non in un athenaion di Siracusa, può capitare di ringraziare con una
preghiera sola la Dea della Saggezza e la Signora degli Occhi ché in luoghi
come questo appagano l'uomo con la
cultura delle arti e il dono dello sguardo.
Cicerone, rinomato estimatore di
cose belle, ne descrisse le porte crisoelefantine, d'oro e avorio, e i dipinti
che ritraevano i re e i tiranni di Sicilia, insieme alle epiche vittorie contro
gli ateniesi prima e i cartaginesi dopo, e uno scudo dorato della dea così
grande che le navi potevano vederlo brillare come un faro da molto lontano.
Cosa c'era a Siracusa, appena prima, durante, e appena dopo questa età dell'oro
lo si può scoprire facendo una passeggiata alla Neapolis e visitando il Museo
Archeologico Regionale Paolo Orsi. Se alcune cattedrali riescono così
incisivamente a sintetizzare le vicende di una città, musei come questo
riescono a raccontare altrettanto bene lo spirito di un'intera area geografica
molto più vasta che li comprende. Nel progetto museografico di Giuseppe Voza,
le vetrine del Paolo Orsi spiegano (con diversi livelli di lettura e
approfondimento) la costa orientale della Sicilia, ideale battigia della storia
del Mediterraneo.
Proprio a piazza Duomo sorgeva la
precedente sede del museo, legata a
importanti nomi dell'archeologia italiana, agli scavi di Paolo Orsi e al
riordino di Luigi Bernabò Brea, poi trasferita nell'attuale sede, progettata
dall'architetto Franco Minissi, allestita da Voza e, negli ultimi anni,
finalmente curata da un'archeologa siracusana, Concetta Ciurcina.
Ci sono almeno tre buoni motivi
per visitarlo: il contenitore, il contenuto e la capacità di reinventarsi al
pubblico. Quei tre elementi che costituiscono la ricchezza di un museo. E che
furono probabilmente gli stessi, quando Federico Zeri lo visitò, a fargli
confessare con stupore all'allora direttore che: per essere un archeologico e
per essere così grande, il museo non l'aveva stancato affatto, anzi.
La capacità di reinventarsi è
anche dovuta ad una buona amministrazione dei depositi che permetterà, secondo
l'ultimo progetto annunciato, di vedere esposta quest'estate l'importante
collezione numismatica. La bella stagione promette anche una gestione integrata
delle risorse culturali per cui con un unico biglietto sarà possibile visitare
il museo, tutto il Parco Archeologico della Neapolis e assistere alle tragedie
organizzate dall'Istituto Nazionale del Dramma Antico all'interno del Teatro
Greco dove qualche secolo fa si passeggiava Eschilo e dove, dopo la caduta dei
tiranni, Timoleonte celebrerà il ritorno della democrazia, ricavando circa
seimila posti, ampliandolo a emiciclo perché tutto il popolo potesse assistere
agli spettacoli.
Il contenuto è la stupefacente
storia dell'uomo, dalla preistoria siciliana (manufatti della cultura di
Stentinello, di Castelluccio, di Thapsos, di Pantalica ...), alla
colonizzazione greca (reperti non solo dell'area di Siracusa ma anche di Naxos,
di Milazzo, di Zancle-Messina, di Katane-Catania, di Leontinoi-Lentini, di
Megara Hyblea...) in un continuo confronto con le influenze derivanti dal più
ampio bacino mediterraneo, da Micene, Malta, Cipro prima e dalla presenza di
ceramiche corinzie, argive, laconiche, ioniche, attiche, greco orientali,
etrusche e fenicie dopo. Dentro questa collana di perle di preziosissimo mare,
si stagliano alcuni cammei, rinvenuti tra la fine del VI e l'inizio del V
secolo a. C., che da soli varrebbero il viaggio: un'opulenta madre, in pietra
calcarea siracusana, che allatta contemporaneamente due bambini che
s'incrociano ai seni; la scultura di un giovane, sulla cui gamba l'artista ha
voluto lasciare il suo melodioso nome e quello del padre, il medico Sombrotidas
figlio di Mandroklés; il torso di un ragazzo di Leontinoi, bello da mozzare il
fiato. Solo per dirne tre ma l'elenco sarebbe assai più lungo. E il percorso
continua al secondo piano con un settore interamente dedicato a Siracusa in età
ellenistica e romana.
Quanto ricca fosse la città ce lo
dicono le fonti storiche e letterarie ma anche alcuni manuali di museologia che
reputano emblematico, per rintracciare le origini del collezionismo e le radici
del concetto di museo, l'anno 212 a. C.: Siracusa vinta dal console romano
Marcello e l'intenzione, per celebrare il trionfo, di spogliarla di quadri e
statue, portandosele a Roma per arricchire edifici pubblici e privati, deputando
così non solo un alto valore simbolico all'opera d'arte, ma anche un crescente
valore economico (che condurrà prima alla ricerca degli originali greci e poi ad
un'ampia produzione di copie romane). Per fortuna, non tutto è perduto, non
tutto finisce a Roma. Le opere all'interno del settore D del museo, messe in
relazione anche con i monumenti all'esterno (teatro, anfiteatro, ara di
Ierone), mostrano il ruolo della città in rapporto agli altri regni ellenistici
e, in particolare, a quello tolemaico. A questo periodo appartiene un altro
capolavoro del museo, la Venere Anadiomene (detta Landolina, dal nome dello
scavatore che la ritrovò), la dea si copre pudicamente, mentre esce dalle
acque, con un delfino che, in parte, ancora le cinge le gambe.
A Landolina che, tra il
1700 e il 1800, diede forte impulso
culturale alla città, è legato anche il contenitore dello spazio museale,
edificato alla fine degli anni Ottanta del 1900, all'interno del parco storico
di Villa Landolina. Il terzo buon motivo per recarsi a vedere come l'antico, la
tradizione, l'archeologia possano in alcuni casi amabilmente dialogare con il
moderno, l'innovazione, il contemporaneo. La struttura centrale, a forma
esagonale, è circondata da altri corpi disposti su diversi livelli, per uno spazio
che occupa complessivamente 12.000 mq e si presenta come un gigantesco alveare.
Le metafore positive dell'architettura naturale, di grande perfezione,
elaborata dalle api e prese a modello da molti architetti e artisti (da Gaudí a
Steiner, Wright, Mies van der Rohe o Le Corbusier), si applicano anche
nell'idea di Minissi e rispecchiano l'impressione di metodica razionalità a cui
sono giunti archeologi e curatori del progetto per compiere la sua lunga e
complessa realizzazione. Una scienza che è anche nella presentazione del
disegno museografico e della storia delle collezioni spiegata nei pannelli
didattici di presentazione nella sala centrale del piano terra che accoglie il
visitatore.
Questo museo alveare offre moltissime occasioni di confronto con noi stessi, con quello che
eravamo e siamo, nella guerra come nella pace, nella tirannia come nella
democrazia, nell'apogeo come nella disgrazia. Ha moltissime storie da
raccontare ma, soprattutto, ne racconta una, fatta di ricerca, impegno,
bellezza e buona come il miele.
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