E luce fu. La Piramide di Mauro Staccioli e la Sfera di
Ludovico Quaroni, inaugurate a distanza di una settimana l'una dall'altra, dopo
anni lunghissimi di attesa, rispettivamente il 21 marzo a Fiumara e il 28 marzo
a Gibellina. Così lontane. La prima un eremo laico, la seconda un tempio
religioso. La prima un poliedro che declina il tema del triangolo, la seconda
una sfera che dilata il tema del cerchio. La prima una scultura che si fa
architettura, la seconda un'architettura che si fa scultura. Eppure così
vicine. Entrambe omaggio alla luce fisica del mondo: la prima inaugurata
nell'equinozio di primavera e aperta un unico giorno all'anno, il 21 giugno,
solstizio d'estate in cui le ore di giorno superano quelle di buio; la seconda
inaugurata il 28 marzo, data in cui l'ora legale permette di godere un poco di
più della luminosità del cielo, e pensata per celebrazioni anche all'aperto nel
piccolo anfiteatro che l'accoglie all'esterno. Entrambe omaggio alla luce
simbolica, quella dell'arte che fa del simbolo un segno e lo palesa
all'individuo e alle comunità; celebrando in questi posti un rinnovato
illuminismo che sembra dire a ciascuno, Abbi il coraggio di servirti della
tua propria intelligenza, dell'arte e della poesia, ogni giorno e in ogni
cosa che fai. Entrambe geometrie semplici ma grandiose che, dalle piramidi
egizie a quella per il Louvre dell'architetto cinese Ieoh Ming Pei, che dalle
cupole delle moschee islamiche a quella spaziale del cenotafio per Newton di
Ètienne Loui Boullée, continuano un dialogo secolare tra le forme, tra
occidente e oriente, tra divino e terreno, tra arte e spettatore.
E, infine, entrambe pensate su una collina, a dialogare con il cielo,
lontane dalla vita politica dei centri più vicini che negli ultimi anni era
rimasta tanto distante quanto estranea.
La primavera 2010, dentro alla piramide 38o parallelo di
Staccioli e alla Chiesa Madre di Quaroni, comincia un nuovo ciclo per la Fiumara
e per Gibellina.
Finalmente a Fiumara riprendono i lavori del parco scultoreo,
riconosciuto da una legge regionale, dopo quasi venti anni in cui politici,
sindaci, assessori, soprintendenti avevano ostacolato il progetto e gli
interventi artistici, sospesi all'esterno, s'erano concentrati all'interno
delle mura dell'Atelier sul mare di Tusa. Staccioli conclude il suo poliedro
cavo, 30 metri di acciaio corten, con un taglio a nord-ovest che permette
l'ingresso della luce a illuminare le grandi pietre che il fiume aveva lasciato
sepolte e, inseme, le coscienze degli uomini che vorranno accostarsi al tempio.
A forma di triangolo, forma della Sicilia e figura perfetta, invito a meditare
sul nostro destino terreno, in lotta tra immanenza e trascendenza, tra materia
e spiritualità. “Mi interessava creare un luogo al tempo stesso universale e
particolare, dove l’uomo potesse soffermarsi a pensare sul senso
dell’esistenza: quesito senza risposta, forse, ma tangibile. Un luogo laico di
riflessione sull’essere e lo stare nel mondo di oggi” racconta l'artista, che
scruta l'orizzonte molto più in là, seguendo l'immaginario parallelo 38 a cui
ha dedicato la sua opera, nell'ideale continuità con un altra parte di mondo.
Finalmente Gibellina è città compiuta per la sua comunità che, a più di
quaranta anni dal terremoto che l'aveva cancellata, ha potuto in parte
elaborare il trauma dello sradicamento e riconoscere le sue strade, le piazze,
le sculture, la scuola, il municipio, il cimitero, la chiesa madre. La sfera si
incastra nel parallelepipedo della sala, il cerchio infinito e universale del
divino incontra il quadrato finito e terreno emblema dell'uomo. La cupola
arriva fino a terra e chiude il visitatore in un abbraccio. L'apertura al pubblico di quella sfera tanto
attesa è, anche, un regalo di compleanno al suo architetto che proprio il 28
marzo avrebbe avuto 99 anni e che era scomparso nel 1987 non conoscendo la
sorte della chiesa da lui progettata insieme a Lucia Anversa. La prima pietra
era stata posta nel 1985 ma, circa dieci anni dopo, un crollo (da molti
considerato la decadenza dell'intero progetto-Gibellina) ne aveva bloccato i
lavori che vengono ultimati solo quest'anno, venticinque anni dopo. La chiesa
rifiutata dalla Chiesa stessa (con l'arciprete che non voleva dire messa perché
non gli piaceva “la palla” e voleva il campanile con la croce), la chiesa che
non poteva fare la chiesa, la chiesa che non finiva mai: ora è conclusa e può
benedire bambini, unire matrimoni, pacificare morti.
Uno scultore e un architetto, Staccioli e Quaroni, che nella loro
carriera hanno fortemente contestualizzato i loro lavori volendoli realizzare
nel rapporto con l'ambiente, il territorio e la società, tentando attraverso
l'arte di riportare l'utopia ai fatti concreti, legando la ricerca delle forme
pure non ad un'estenuata idealizzazione ma alla concreta azione dell'uomo.
“Assumere su di sé la contraddizione, che è del mondo e della società,
caratteristica e dramma del momento storico in cui siamo immersi, significa in
sostanza obbligarsi ad una coscienza sempre viva del presente, significa non
permettersi nessuna idealizzazione nell’azione come nel pensiero, significa non
riporre le proprie speranze o le lotte che si compiono in nome della società,
in un rimando più o meno idealistico ad un imprecisato e catartico futuro” (M.
Tafuri, Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia).
Due luoghi che hanno una storia molto diversa per origini e finalità,
Gibellina, in provincia di Trapani, e la Fiumara nel territorio di Messina,
periferie sulla cartina geopolitica ma capitali storiche del contemporaneo in
Sicilia per la caparbietà dei due artefici del loro disegno, Ludovico Corrao
(presidente della Fondazione Orestiadi di Gibellina) e Antonio Presti
(presidente della Fondazione Fiumara d'Arte), che da decenni continuano a
richiamare il più devoto popolo dell'arte.
Gibellina, la città-museo, con la sua lenta ricostruzione, alla ricerca
di una nuova identità conquistata forse solo oggi, duramente ma fortemente,
dopo il terremoto che nel 1968 l'aveva distrutta; popolata da mille presenze,
Consagra, Accardi, Guttuso, Sanfilippo, Isgrò, Simeti, Turcato, Beyus, Burri,
Rotella, Schifano, Boetti, Paladino, Melotti, Cappello, Cascella, Scialoja,
Pomodoro, Schiavocampo, Spoerri, Vigo, Staccioli, Cucchi, Long...
Fiumara, il parco scultoreo più esteso d'Europa, con la sua poetica del
dono, abiurata e poi riconosciuta dai suoi sindaci; residenza continua di
artisti, Consagra, Ceroli, Icaro, di Palma, Schiavocampo, Dorazio, Marini,
Curcio, Ferrari, Lanfredini, Nagasawa, Festa, Canzoneri, Lai, Mochetti, Ruiz,
Mainolfi, Plessi, Ercolino, Staccioli, Xhafa...
Entrambe con uno dei primi papà in comune, Pietro Consagra, di cui tra
dieci anni esatti si celebrerà il centenario della nascita, un siciliano che,
oltre ad avere scritto alcune tra le più importanti pagine della storia
dell'arte del secolo scorso, sperando un'arte più vicina alla gente, cinquanta
anni fa si chiedeva: ci sarà spazio per la mia scultura fuori dal mio studio?
(e scriveva “Ancora oggi non c'è spazio per l'arte se non nei tristissimi studi
degli artisti o nel giro per ignota destinazione attraverso i mercanti o, nel
caso, migliore, nelle gallerie pubbliche” in Vie nuove, anno IV numero
18, Roma 1949). Se adesso, forse, in Italia quello spazio c'è è, anche, grazie
a Gibellina e Fiumara.
Entrambe specchio di un tempo difficile per la Sicilia degli anni '80 e
'90 del Novecento, in cui speculazione, ostilità mafiosa e malgoverno
contrastano l'arte contemporanea, seppure opera di artisti accreditati,
considerata abuso, velleità da ricchi piuttosto che inutile ornamento,
negandole il diritto a diventare patrimonio culturale e ambientale, identità di
ogni individuo come dell'intera comunità.
Appurato che ci ha già pensato la Storia a consacrare i due luoghi come
spazi per l'arte unici al mondo; considerati la generale tendenza di rinnovato
interesse del Paese nei confronti del contemporaneo e, nello specifico, il
risveglio da lungo sonno dei centri maggiori di Palermo e Catania; il più
devoto popolo dell'arte che in questi giorni si è recato, come in
pellegrinaggio, alla Piramide e alla Sfera, aspetta, oggi, che il
riconoscimento di questo immenso patrimonio arrivi anche attraverso la sua
valorizzazione e, soprattutto, conservazione. Perché nel 3010 si possa visitare
il tempio dorico degli elimi di Segesta e il Grande Cretto di Burri a
Gibellina (entrambi incompiuti, il primo a causa delle guerre che
imperversarono nel V secolo a. C. e il secondo per mancanze, incuria, accuse di
abusivismo e inedia che incombono dalla fine del XX d. C.); perché si possa
camminare tra i resti archeologici dell'Haelesa, alla scoperta del basamento di
un tempio romano dedicato ad Apollo,
come nell'intero parco scultoreo della Fiumara che trova ancora nello stesso
apollineo sole, che filtra i suoi raggi dentro la piramide, il suo nume
tutelare; con il medesimo stupore con cui in ogni secolo s'è guardato al segno
creativo dell'uomo, ammirandolo e tutelandolo.
“La scultura sarebbe il farsi corpo di luoghi che, aprendo una contrada
e custodendola, tengono raccolto attorno a sé un che di libero che accorda una
dimora a tutte le cose e agli uomini un abitare in mezzo alle cose” (M.
Heidegger, L'arte e lo spazio).
|