Surrealismo
deformante
Gli orologi di Dalì sono l'emblema della deformazione
surrealista. Il tempo, lo spazio, le forme sono stravolte nell'incanto del
disorientamento percettivo. La dilatazione e il rimpicciolimento, la soluzione
claustrofobica o agorafobica dell'ambientazione sono sintomi di una visione
mediata dall'automatismo psichico che detta i nuovi schemi visivi dell'occhio
della mente.
La figura umana viene sottoposta alla stessa operazione: è
difficile distinguere i confini tra lo spazio e l'uomo, tra la realtà e
l'immaginazione. La psiche riplasma gli elementi con fascino allucinante: è il
dominio dello shock in un'arte che crea volutamente lo straniamento dello
spettatore.
Gli scenari allestiscono il teatro dell'assurdo: nella mente
l'impossibile diventa reale. I soggetti nascono da una compenetrazione tra
immagine e stravolgimento visivo: sono ibridi creati dalla sovrapposizione e
dal rimescolamento di flash mnemonici e percettivi, collages composti da
un deus ex machina dello humor nero, un subconscio che ha
aspettato il “sonno della ragione” per generare, o meglio per lasciar
affiorare, i “mostri”.
L'arte surrealista vive del bisogno onirico, dell'automatismo
psichico, della verità nascosta del pensiero. L'influenza della letteratura
psicoanalitica ha notevolmente influenzato la stesura dei punti focali del
movimento, ma il Surrealismo non è solo questo. La cultura visiva e letteraria
ha avuto un peso notevole nella formazione dell'intento artistico. L'operazione
surrealista si affida al caso, alla scrittura automatica, ma, allo stesso
tempo, regola l'eccesso scardinante del Dada.
La “novità” surrealista è data da un'interpretazione e da
una rimeditazione profonda sulla tradizione: i nuovi spazi, tecniche, canali
sono mezzi per esprimere qualcosa che l'arte aveva già cercato di creare.
L'omaggio, la citazione, la scelta di una serie di artisti come precursori del
Surrealismo è la prova di una meditazione accurata, di una scelta voluta. L'Antologia
dello Humor Nero raccoglie una serie di personalità che, in qualche modo,
hanno creato le basi per la percezione surrealista che ha concretizzato quelle
idee informi con il supporto della psicanalisi.
La deformazione operata dal Surrealismo nasconde qualcosa di
più: l'automatismo psichico è l'autenticazione di una percezione preesistente
che deve molto alla cultura figurativa e letteraria del passato più o meno
recente. L'utilizzo della tecnica del collage ha
permesso di creare una parificazione di elementi, tessere del mosaico
dell'assurdo che derivano comunque da un mondo reale.
L'eredità della tradizione
L'Antologia dello Humor Nero indica artisti
precisi come precursori della poetica surrealista. Carroll e Poe in particolare
rappresentano il dominio della fantasia e dell'immaginazione che ha generato
quei “mostri” prima che la psicanalisi li svelasse.
L'eredità dechirichiana, inoltre, ha tracciato un ponte tra
gli spazi dell'immaginazione contemporanea e la tradizione classica riportando
la mitologia del sogno alla visione teatrale. I sipari rossi aprono la scena
visiva che assegna ruoli agli attori della finzione traducendola in percezione
reale.
L'immagine, prima della fotografia e del cinema, era data
dalla mano umana, una creazione che, per un San Tommaso alla ricerca della
verifica, poteva essere pura immaginazione. La fotografia e il cinema, pur con
il loro potere interpretativo, hanno mostrato la forma dell'esistenza. I
Surrealisti hanno cercato, attraverso queste due tecniche, di dare forma al
sogno, di tradurlo in qualcosa di reale autenticando l'accostamento degli
elementi.
Le figure del mito, le leggende, le favole sono state, in
qualche modo, provate dall'obiettivo, repertate, verificate e mostrate allo
spettatore. Le forme nelle opere surrealiste devono molto all'illustrazione del
passato: il gigantismo delle figure, il dominio sullo spazio, la percezione
stravolta, la creazione di personaggi bizzarri provengono tanto dal mito e
dall'arte quanto dalla medicina.
La curiosità per il diverso, l'esotico, il
mostruoso, l'innaturale, il deforme non è semplicemente derivata dal sogno, ma
esiste da tempi antichissimi.
Il collezionismo dell'età moderna, che respira del mondo
esotico, misterico e medievale, torna nel contemporaneo come scelta estetica. I
mirabilia di natura, collezione privata della nobiltà e dei ricchi
borghesi, diventano accessibili al grande pubblico attraverso gli eventi
fieristici e l'arte circense. L'esposizione dell'oggetto della curiositas diventa
una grande attrazione per la comunità. L'arte dello spettacolo dal vivo è la
risposta a quel bisogno voyeuristico intrinseco all'essere umano.
A cavallo tra i due secoli l'arte circense diventa il museo
della diversità, la
galleria dell'esposizione, la Wunderkammer per la gente comune. I numeri
sempre più sofisticati danno spettacolo, ma la diversità è sempre il polo di
maggiore attrazione. Il circo e le fiere sono i teatri dove si possono
osservare i freaks collocati
in appositi serragli espositivi.
Il circo ha ispirato una miriade di artisti: il fascino
esercitato dallo spettacolo ha permesso a questa specialissima arte (perché di
vera e propria arte si tratta) di conquistarsi un posto d'onore nella cultura
figurativa del contemporaneo: Picasso, Toulouse-Lautrec, Chagall,
Renoir, Seurat, Picabia, Kirchner, Degas, Miró, Valadon, Severini, Klee. É una
lista a cui oggi si continuano ad aggiungere i vari Laplante, Cattelan, Segal,
Rondinone, Sherman.
L'arte circense
Il circo ha tradizioni antiche, ma solo alla fine del XVIII
secolo nasce nell'accezione moderna. Fiera e serraglio confluiscono nel circo
attraverso l'idea di Philip Astley, ex di un reggimento di cavalleria, che crea
uno spettacolo equestre basato sulla “danza dei cavalli” in una struttura
permanente già alla metà del Settecento. L'Astley's Amphitheatre prende forma
nel 1770 a Londra. Pochi anni dopo, nel 1793 John Bill Ricketts propone i circo
in Usa sul modello di quello europeo animato da esibizioni equestri.
L'impresario più
conosciuto dell'ambiente circense è Phineas Taylor Barnum che, nel 1835, ha
l'idea di comprare una vecchia schiava, Joice Heth, e di presentarla al
pubblico dichiarandola centosessantenne ed ex balia di George Washington.
Barnum, dotato di grande capacità nella pubblicità e nell'autopromozione, fonda
la sua fama sulle attrazioni bizzarre, i freaks, che spesso sono
finzioni nella finzione.
L'aura di
imbroglione non frena il successo dell'impresario che, nel 1841 riesce ad
acquistare l'American Museum di New York per trasformarlo in teatro espositivo
dei suoi “fenomeni da baraccone”.
Sono anni di
cambiamento per il circo: prende piede la conversione del circo in forma
itinerante. Barnum parte per una tournée europea tra il 1844 e il 1845:
mostra i suoi freaks alla Regina Vittoria. La fama dell'impresario è
accompagnata dalla creazione, nel 1871, del più grande spettacolo del mondo, The
Greatest Show on Earth: le curiosités saranno il fulcro del successo
del Prince of Humbugs.
Il progetto di
Barnum evolve con l'entrata in società di James Bailey che contribuisce a
fondare il Barnum & Bailey Circus: sarà Bailey ad occuparsi del
circo alla morte del socio nel 1891. Bailey gestisce lo spettacolo itinerante
in Europa con ottantacinque carrozzoni e oltre mille dipendenti. Sarà il
maggiore esponente dell'arte circense fino al 1919 con la fusione tra il Ringling
Bros Circus e il Barnum & Bailey.
Fotografia-“cache”
Il fascino della curiositas,
dell'esotico, del mirabilia ha il carattere spettacolare per fare
dell'evento un magnete per il pubblico. Nella seconda metà dell'Ottocento
questo voyeurismo si amplifica con la fotografia: alla fine del secolo
circolano numerosi dagherrotipi che immortalano i freaks. Le creature
ibride che un tempo si sognavano e si vedevano solo nelle illustrazioni
mediche, mitologiche, favolistiche vengono, in un certo senso, autenticate. La
fotografia porta la testimonianza dell'esistenza di un mondo curioso: i
dagherrotipi sono alla portata di tutti e si diffondono velocemente.
Tutta la fotografia
dai primi anni della sua invenzione sarà legata al fascino della trasgressione,
del diverso. Non si deve dimenticare che uno degli usi più diffusi della
fotografia di fine Ottocento era la pornografia. Questa nuova arte è il mezzo
per soddisfare la curiosità dello spettatore: mostra ciò che non si vede
abitualmente ed ha un potere tanto affascinante quanto proibito.
Gli artisti sono
attratti da quella strana macchina per le immagini che rende così vero
l'inganno del reale. L'attenzione si sposta dal grande evento al piccolo, dagli
ampi spazi, alle vie strette, dal visibile all'invisibile scrutando il fascino
del nascosto. L'obiettivo si rivolge a quegli angoli della città dove non si
passeggia tranquillamente, all'universo noto che si rifiuta.
La fotografia di
Eugène Atget, in questo
senso, è illuminante: vetrine, botteghe, rigattieri e figure che popolano il
“mondo della strada” rispondono al misterioso e al nascosto. L'illusionismo di
quegli angoli e del vetro travolge i Surrealisti: Berenice Abbott
e Man Ray faranno un grande lavoro di promozione dell'arte del fotografo anche
grazie all'aiuto del gallerista Julien Levy che porterà in Usa le opere di
Atget, un'arte che influenzerà intere generazioni.
La settima
arte: il circo cinematografico
Il cinema, fin
dai primi esordi, è un mezzo di grande fascino, teatro dello spettacolo tra
verità ed illusione. Il Surrealismo capisce da subito le potenzialità di questa
forma d'arte per autenticare il sogno: Un Chien Andalou è ancora oggi
grande esempio di sperimentazione dell'inconscio attraverso la pellicola
cinematografica.
L'attenzione al
banale, al nascosto, al reale che si tende ad evitare diventa per il
Surrealismo il piano di gioco: il subconscio lascia affiorare quei contenuti
allontanati dalle sentinelle della ragione. Emergono le paure, i desideri, il
proibito, il fascino dell'oscuro.
L'eredità
vittoriana per la società è stata pesantissima: il culto dell'immagine, il
compromesso, l'ipocrisia hanno lasciato una forte impronta nel pensiero. Il
Surrealismo, con il suo intento parificatore, ha raccolto l'eredità tardo
romantica e simbolista, la tradizione gotica, l'estetica del brutto, la poetica
della meraviglia, la favola, il mito per creare un collage che
restituisse al tutto dignità artistica.
L'inconscio, contenitore dei più nascosti desideri umani, trova un suo spazio
così come il brutto, il deforme, il mostro. Quell'idea di monstrum torna
ad avere l'accezione latina di “prodigio” nello spettacolo surrealista.
La curiositas voyeuristica
conquista il cinema: il circo e i freaks
trovano spazio nella pellicola dove tutto può essere registrato. Il termine
“film” nella lingua inglese indica tanto la ripresa quanto la pellicola stessa:
è una forma metonimica.
Se tutto è
pellicola, tutto può andare su quella pellicola: il cinema diventa un mezzo
parificatore. Circo e mostri diventano soggetti della settima arte: dal circo
di Chaplin, a King Kong, al Fantasma dell'opera del 1925, a
Frankenstein di James Whale del 1931, a L'uomo invisibile del 1933 dello
stesso regista, alla favola de La Bella e La Bestia di Cocteau del 1946,
a Freaks
del 1932 di Tod Browning. Quest'ultimo è la prova di un interesse specifico per
la curiositas del diverso, del deforme, del mirabilia. Si tratta
di una storia ambientata all'interno di un circo: i teatranti sono veri freaks.
L'opera, contestatissima fin dalla prima proiezione vista la presenza di scene
scioccanti, viene sottoposta a quel retaggio del decoro: in Inghilterra ne fu
vietata la proiezione per circa trent'anni. Il film è un'allegoria sulla
diversità in un circolo chiuso con regole precise e una forte tendenza alla
difesa del gruppo. Molte scene del film, come la mutilazione di Cleopatra
perpetrata dai freaks, rispecchiano il gusto del taglio dell'occhio di Un
Chien Andalou:“Attempting to mediate these distinct
spheres, surrealist poets and directors enacted a tricksterish impulse that
refused to accept cultural bondaries freaks in late modernist american culture.
Like the
literary and cinematic surrealists, Browing attempted to make sense of a
dichotomy between danger and comfort that emerges in America
and Europe after the First World War”.
Per una
poetica surrealista
Il retaggio
gotico del mostruoso e dell'horror proviene soprattutto dalla letteratura di
Poe
indicato dai Surrealisti nell'antologia bretoniana come precursore del
movimento. Anche Carroll, nella favola di Alice, svela l'interesse per il
diverso, un mondo under ground: la prima versione del testo è Alice's
Adventures Under Ground. Il gigantismo e il nanismo di Alice nella favola
sono dati dall'illusionismo fantastico della fotografia, ma non si tratta solo
del potere della lente. Carroll è un amante e un conoscitore della fotografia:
è la sua Chimera, una creatura per catturare immagini che ha un carattere
mostruoso nella sua doppia valenza. La fotografie di Dodgson rappresentano il
voyeurismo carrolliano: bambine seminude abbigliate come ninfe sono il suo
mondo attraverso lo specchio, il suo lato oscuro in una società dell'apparenza. Le deformazioni di Alice sono quelle generate
da un mondo nascosto sottoterra, non eco di morte, ma spazio dove tutto è “come
non dovrebbe essere” secondo i canoni vittoriani. Le figure giganti o nane
rappresentano i mostri.
La visione lillipuziana echeggia del mondo di Swift, altro protagonista dell'Antologia
dello Humor Nero. La percezione alterata, il piccolo e il grande, che
travolgono il protagonista de I viaggi di Gulliver, sono il confronto
tra l'uomo europeo e il mondo esotico.
Il richiamo
diretto all'arte di Picasso nell'antologia bretoniana è un omaggio all'artista
che ha fatto della deformazione il suo cavallo di battaglia. Le figure allungate, compresse, deformate rispondono al primitivismo estetico, ma sono
soprattutto una reazione ai canoni occidentali. Molte delle sue figure
rappresentano l'informe che è accostabile alla varietà di immagini presenti
nell'illustrazione medica.
Alberto Savinio,
altro artista accostato ai Surrealisti e nell'antologia bretoniana, regala al
pubblico la sua arte-pastiche attraverso un testo che rappresenta
l'ibrido umano, Hermaphrodito, un personaggio ereditato dalla
letteratura mitologica, ma anche forma umana del freak. La deformità delle figure nel Surrealismo rispecchia il linguaggio: “The Body, observes the surrealist
artist Hans Bellmer, is comparable to a sentence that invites us to
disarticulate it, so that, through a series of endless anagrams, its true
contents may be recombined”
L'ambiguità, il
doppio, la fusione di maschile e femminile trovano la loro massima espressione
nell'androgino duchampiano di L. H. O. O. Q. L'opera è prefigurata da Mona Lisa fumant
la pipe di Bataille del 1883.
Il Surrealismo
deve molto alla cultura letteraria e figurativa dell'Ottocento: basti pensare a
Max Ernst affascinato da quella fantasia
illustrativa dell'epoca vittoriana che riassemblerà nei suoi romanzi-collages.
Magritte rivaluta
la figura del mostro come creatura simbolo di mistero, bellezza ancestrale e
incomprensione dell'uomo verso se stesso e la natura.
L'interesse surrealista per la deformità è eredità
dell'immagine lasciata dall'esperienza della Grande Guerra: “Cultural historians have noted that
surrealism developed as a response to the hideous deformities and permanent
injuries that resulted from the first mass conflict”.
“The Cornell horror picture show”
Il
surrealista-non surrealista americano Joseph Cornell entra in contatto con la
poetica di Duchamp, Ernst, Dalì alla Galleria di Julien Levy, lo stesso che
aveva contribuito a portare in Usa l'arte di Atget. La sua sconfinata curiosità
per le immagini lo conduce a “cacciarle” e riassemblarle all'interno di
creazioni “collagistiche” che presto si trasformano in piccoli capolavori della
miniatura a tre dimensioni, le Shadow Boxes. L'artista, affascinato dal
Surrealismo, vede in quel tipo di poetica la possibilità di parificare gli
elementi più disparati trasformando la logica del caos in un filtro personale
che detta la scelta del singolo con una forte componente emotiva.
Il fascino della
ricerca si sposa con l'estetica del diverso, del grottesco, dell'inquietante
soprattutto nell'uso di bambole che alludono alla figura umana come si vede in Bébé
Marie degli anni Quaranta o nella testa mozzata contenuta nel Soap
Bubble Set del 1936. L'eredità horror nell'arte cornelliana deriva da
Ernst: “Ernst's emphasis on horror finds little
echo in Cornell”.
La vena
collezionistica cornelliana trasforma la Shadow Box in una Wunderkammer
in miniatura: il fascino delle stranezze è dato dalla curiositas,
ma, come per il Surrealismo, è trattata come parte del cosmo, come immagine.
Ogni elemento ha lo stesso valore.
Nella sua
documentazione d'archivio si trova l'interesse per l'esotico e il diverso: il
cinema di Chaplin, King Kong, La Bella e la Bestia di Cocteau, i
Simbolisti, la favola e il sogno.
Emblematica in
queste carte è una pagina di giornale conservata nei Joseph Cornell Papers
proveniente dal New York Times del 1954
: riguarda Animals, Men and Myth di Richard Lewinson. Il fascino
esotico è dato dalla natura stessa della creazione: “It is a perpetual
circus with the world as his stage”.
La teatralità
della varietà di natura si congiunge, nella sua arte, con l'interesse per
l'arte circense testimoniata dal Dance Index: gli spettacoli equestri,
le ballerine, i giocolieri, sono celebrati in questa rivista illustrata dallo
stesso Cornell. Da notare il collage di immagini ispirato al favolista
Hans Christian Andersen del settembre 1945:
l'omaggio mischia la natura, la figura umana e la fantasia. Il circo, teatro
dello spettacolo tra realtà e illusione, è il cerchio dove convergono la natura
e l'immaginazione, la verità e la finzione, la vita e la favola, lo spettatore
e il mirabilia. Quel “cerchio” è l'occhio, o meglio l'occhio della
mente, dove tutto è possibile anche the smallet circus in the world.
L'occhio che
vede, trasforma e crea rende l'artista un “ciclope” dell'immaginazione, “one
eyed man”.
Alice: il
canone
La psicanalisi ha
svelato l'inconscio, ma la cultura visiva e letteraria non ha influenzato in
misura minore l'arte surrealista. La deformazione degli elementi nelle
creazioni del movimento non viene solo dall'azione della mente, ma anche dal
retaggio culturale e dalle opere d'arte di natura. Proprio su questo imperativo
di osservazione con l'occhio della mente, il mostro diventa natura, il banale
viene rivalutato come arte misteriosa, il vero prodigio di quella poetica della
meraviglia. “Fascinating by the new cultural dichotomy characterized by danger and
comfort, the surrealist began to question others boundaries between normality
and deviance, and between high and low culture”.
In Alice nel
Paese delle Meraviglie, testo esemplare per il Surrealismo, Carroll
presenta il mondo in cui si possono trovare “bird or beast”: le
figure sono liminari, ovvero “le strane forme di Wonderland sono al
confine con la 'realtà' e, pertanto, in grado di attaccare nel corso della
lettura interna ed esterna al testo la visione monologica del reale”.
Il Surrealismo eredita quel mondo carrolliano: la surrealtà non è pura
immaginazione, ma parte sempre dall'ibrido che ha le sue radici nel reale. In
questo modo il banale diventa prodigio.
Nelle
illustrazioni di Alice eseguite da Carroll, la bambina si presenta talvolta
allungata in forma di collo-colonna e talvolta in riduzione microscopica dove
la testa giganteggia sugli arti minuscoli: le immagini sono lo specchio di una
realtà nascosta dal mondo vittoriano, i freaks. Nella letteratura
carrolliana ritrovano spazio e dignità quei “mostri”: sono i personaggi della
favola, i mirabilia di natura. Sulla stessa scia gli ibridi delle
avventure di Alice come il Dodo, il Lorichetto, il Grifone,
gli insetti del regno dello specchio sono quei capolavori di curiosité del
collezionismo da Wunderkammer.
La scelta del
deforme e dell'imperfetto segue il gusto della fautographie:
“Accanto alle prove fotografiche ben riuscite, dove il soggetto estetico era
riconoscibile da parte del committente, v'erano il più delle volte quelle mal
riuscite, 'deformate', nel senso che il committente vi si riconosceva poco o
punto; eppure quegli scarti grotteschi, quelle schegge liminari che sfioravano
nel visibile non erano meno 'reali' dell'immagine 'giusta'. Erano quelle copie
più infedeli che creavano l'effetto nonsensical: da quegli intersizi
virtuali poteva derivare la nuova materia del narrare, il romance del
grottesco”.
La fotografia di
prova, scartata perché imperfetta (ratée)
costituisce un’opera d’arte quanto quella esatta (tarée). Tra i due termini esiste un forte legame nella figura
dell'anagramma: “Il faut être amateur
d’anagrammes pour comprendre que la photographie ratée servira, précisément, à
tarer la photographie”
.
Il carattere
basso, imperfetto, deforme risponde a quell'estetica del grottesco che viene
rivalutata da Ruskin, Poe, Carroll, dai poeti maledetti. Il Novecento,
attraverso la poetica della meraviglia, restituisce dignità artistica alle
forme più disparate dell'espressione inserendo quelle tematiche nel fluido
artistico parificatore: il banale, apparentemente anti-artistico, viene
riscoperto proprio da questo intento.
“La banalità è un
miracolo se vista nel modo giusto, se riconosciuta”.
Il quotidiano diventa il vero monstrum.
La fotografia:
il mondo dei freaks
La fotografia
autentica il sogno così come lo crea: attraverso l'obiettivo vengono immortalati
gli elementi scioccanti che provengono dalla cultura dell'immagine stessa. Tra
quegli scatti si trovano le “prove” della curiositas: dagherrotipi
dell'impossibile, delle stranezze della natura, dei freaks, dei mirabilia.
La fotografia stessa è concepita come monstrum, come Chimera da
Carroll che la reputa un'invenzione straordinaria, una macchina meravigliosa,
un inganno reale.
Il fotografo per
tradizione appartiene a quel mondo di freaks, prestigiatori e
illusionisti, un alchimista della meraviglia, il saltimbanchi dell'arte che,
attraverso l'obiettivo, allestisce il suo teatro liminare tra verità
immortalata e magia interpretativa della macchina. Il fotografo è, allo stesso
tempo, il fulcro della curiositas umana che scopre i segreti più
nascosti e li ruba come se fosse un ladro rispondendo a quel voyeurismo che è
parte della natura dell'uomo. “Noi fotografi siamo una genia di bricconi, di
guardoni e di ladri. Ci troviamo ovunque non siamo desiderati; tradiamo segreti
che nessuno ci confida; spiamo senza vergogna ciò che non ci riguarda e ci
appropriamo di cose che non ci appartengono. E, a lungo andare, ci ritroviamo
possessori delle ricchezze di un mondo che abbiamo depredato”.
La fotografia è
stata ed è il mezzo più adatto per esprimere la curiosità della vita stessa. Il
cinema surrealista, infatti, si basa sull'accostamento di immagini: il
frammento è sempre dominante così come nell'arte cornelliana. Non a caso la
fotografia è il mezzo di espressione della più grande cultrice del mondo dei freaks,
Diane Arbus. La
macchina fotografica, per la Arbus, possiede quella licenza che alla pura vista
non è concessa: l'obiettivo regala l'attenzione di cui l'uomo ha bisogno. I freaks sono
nati con il trauma, ma l'hanno superato. La società vive con i suoi traumi
senza oltrepassarli.
La macchina
immortala il suo soggetto privo di qualsiasi approfondimento come se fosse già
un tableau vivant: la fotografia è un segreto che parla di un segreto e
non va svelato. Ci sono cose che nessuno vede, o non vuole vedere, fino a
quando vengono fotografate.
Diane Arbus,
“fotografa colta e raffinata, procede durante gli anni verso una
semplificazione formale, attraversando un primo periodo caratterizzato, grazie
all’uso della Leica, da immagini sgranate e fortemente contrastate, a causa di
esposizioni approssimative. I suoi temi sono allora quelli, che la renderanno
celebre, del 'submondo' dei freaks. Quelle 'meraviglie' che l’avevano
impressionata alla visione dell’omonimo film, girato nel 1932, da Tod Browning,
scopre di poter incontrare quotidianamente a Coney Island, benché in quel
periodo i freakshow siano proibiti. É lì, infatti, che si reca per
conoscere le sventurate vittime di congenite deformità e gli individui
eccentrici, che ritrarrà di preferenza nelle loro abitazioni e camere da letto,
ad ulteriore testimonianza, qualora le fotografie potessero lasciar spazio al
minimo dubbio, del grado d’intimità che riesce ad instaurare con i propri
soggetti”.
Coney Island è
uno dei posti dove è nato il fascino per l'attrazione ludica di Joseph Cornell:
quel “paese dei balocchi” è la sua fonte di ispirazione così come il teatro
surrealista è un luna park fatto di giochi e mirabilia. Cornell conosce
l'opera di Diane Arbus attraverso Susan Sontag che dedica alla fotografa una serie
di considerazioni legate alla scelta dei freaks come un rifiuto della
società. La visione surrealista, allo stesso modo, deriva dallo sguardo di
Atget che si posa sugli angoli sconosciuti della città e sul mondo della
strada. Il continuum dell'analisi viene operata, in Usa, dalla sua più
grande estimatrice, Berenice Abbott, guidata da Man Ray nella scoperta di Atget
e aiutata da Julien Levy nella promozione degli scatti del fotografo francese.
Atget ha dato alla fotografia e all'arte un nuovo taglio parificatore che, come
nota Benjamin, è una ricerca basata su ciò che si perde e si nasconde. Sono
fotografie “curiosamente vuote” che preludono all'alienazione surrealista.
La rimeditazione
operata dal Surrealismo sull'alternanza di miseria e mistero dell'uomo e della
natura è stata filtrata e reinterpretata dal genio fotografico di Joel- Peter
Witkin.
Le sue opere sono
allestimenti scenici della diversità: la stranezza brutale e affascinante allo
stesso tempo è frutto di una compenetrazione tra realtà e finzione. Witkin crea
la scena, ma parte sempre dalla natura, dai suoi mirabilia, rendendo
tutti gli elementi della composizione di pari importanza per la realizzazione
finale. Il freak, l'arto mozzato, il manichino sono trattati come
tasselli di un mosaico che richiama e medita sulla natura morta. La sua
riflessione sull'arte è profonda: l'immagine viene costruita sulle opere d'arte
del passato ricollocando gli elementi nel teatro dell'assurdo, per rivedere
quei dipinti con gli occhi del fotografo.
La sua
immaginazione è filtrata dall'esperienza: la macchina fotografica è diventata
il prolungamento del suo occhio (della mente) trasformando le sensazioni
dell'artista sul “paese dei balocchi” di Coney Island, dove comincia a
fotografare. Verso la metà degli anni Cinquanta Witkin è spettatore di un
evento che ha cambiato la sua vita. "It
happened on a Sunday when my mother was escorting my twin brother and me down
the steps of the tenement where we lived. We were going to church. While
walking down the hallway to the entrance of the building, we heard an
incredible crash mixed with screaming and cries for help. The accident involved
three cars, all with families in them. Somehow, in the confusion, I was no
longer holding my mother's hand. At the place where I stood at the curb, I
could see something rolling from one of the overturned cars. It stopped at the
curb where I stood. It was the head of a little girl. I bent down to touch the
face, to speak to it—but before I could touch it someone carried me away". Da
quel momento Witkin è diventato il fotografo dell'orrore.
Bibliografia
A. NIGRO, Tra polimaterismo e polisemia: note sul collage surrealista, in “Collage/Collages. Dal
Cubismo al New Dada”, catalogo della mostra a cura di M.M. Lamberti e M.G. Messina, (Torino
2007-2008), Milano 2007, pp.
280-296
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