Una mostra virtuosa come virtuoso
era, a dir dell’Aretino e del
Ridolfi,
colui a cui è dedicata: Lotto Laurentjo,
pictor.
L’esposizione, infatti, non si
limita ai 90 giorni di rassegna, ma è stata preceduta e sarà seguita da azioni
di tutela e valorizzazioni considerevoli: un’imponente campagna di restauro
delle opere dell’artista ha, parzialmente,
anticipato, in parte, si svolgerà contestualmente e,
per finire, seguiterà l’evento, che ha il compito di fungere da cassa di
risonanza per un ambizioso progetto culturale denominato “Terre di Lotto”.
A distanza di circa tredici anni
dalla fondamentale antologica itinerante
organizzata della National Gallery of Art
di Washington e dall’Accademia Carrara di
Belle Arti di Bergamo, Roma, la città che non seppe capirlo,
celebra il suo “genio inquieto” con una retrospettiva che si comprende con uno
sforzo di memoria: dopo Antonello da Messina (2006) e Giovanni Bellini (2008),
non poteva non esservi una monografica dedicata al tormentato artista veneziano,
terzo elemento di un'ideale triade.
Un’occasione per “scusarsi” e
per tributargli l’onore meritato: il
pittore, infatti, dimenticato per secoli, diffamato dal grammatico veneziano
Ludovico Dolce, che lo attacca per le sue “cattive tinte” e lo accusa di essere
un reazionario, ovvero, un quattrocentista in ritardo, è
oggi ritenuto, al pari di Caravaggio, un pittore del ‘900.
Il caratteristico uso del colore, il
particolare taglio delle prospettive, la
luce fredda e pulita, il
dinamico ritmo compositivo, il segno
nitido ed incisivo e il rapporto di sguardi e gesti tra i personaggi
rappresentati rendono l’opera dell’artista veneziano, nato verso la fine del
Quattrocento, carica di emozioni interiori e di inquieti turbamenti. Come un “moderno
psicologo” il pittore, nel corso della sua
esistenza, ha raccontato con forza di
penetrazione psicologica l’intima essenza della vita degli uomini con cui è
entrato in contatto. Non a caso, la sua riscoperta, da parte dello storico
americano Bernard Berenson,
avviene, alla fine del XIX secolo, l’epoca che ha visto la nascita della teoria
della psicanalisi di Freud.
La rassegna, organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo, e curata da
Giovanni Carlo Federico Villa, presenta una sessantina di opere che
testimoniano l’originale ed autonomo escursus
artistico del maestro che, conciliando alcuni elementi tradizionali della
grande pittura della sua epoca con situazioni che sono vere e proprie
anticipazioni dell'età manierista successiva, ha inventato un modo nuovo di dipingere.
L’intera sua vicenda lavorativa può idealisticamente essere racchiusa entro il
triangolo geografico segnato dalle città di Treviso, Bergamo e alcune piccoli
centri delle Marche.
La mostra segue una ripartizione
tematica, in subordine cronologica: le grandi pale di altare, i ritratti e le
opere destinate al culto privato. Un’efficace ed innovativa illuminazione a led, appositamente
sviluppata per restituire nel miglior modo possibile le tavole alla visione del
pubblico, anima la già vivace
pittura dell’artista e seguirà, a evento concluso, i quadri nelle sedi di
conservazione permanente.
L’allestimento è sobrio, curato,
adeguato e suggestivo, non prevarica né ambisce a sostituirsi alle opere,
ovvero ne esalta la visione: un serrato percorso, in un’atmosfera suggestiva, che
contempla tutta la produzione di Lorenzo Lotto, dalle grandi pale d'altare alle
opere devozionali.
Al primo piano, entro cornici
architettoniche che richiamano le forme degli altari, è raccontata la
religione, sono esposte le grandi pale provenienti dal Veneto, dalle Marche e
dalla Lombardia. Segnaliamo la struggente Pietà,
cimasa della Pala di Santa Cristina
al Tiverone (1504-06), di modi ancora belliniani, dai quali, però, si discosta
per sensibilità luminosa: lo sfondo scuro e i colori freddi e cangianti restituiscono
una scena sconvolgente e patetica, carica di un’intensa emotività espressa nel
ritmo mosso dei gesti delle figure e nel variare delle luci e delle ombre.
Il Polittico di San Domenico (1508, fig. 1), proveniente dalla Pinacoteca Civica di Recanati, alto
oltre 4 metri e mezzo, chiude la fase giovanile del pittore. Entro
un’architettura ancora monumentale, si svolge una semplice e raccolta sacra
conversazione tra figure non atteggiate classicamente, piuttosto in pose aggraziate,
quasi manieristiche, e disposte in modo incerto attorno al trono. La sua
raffinata arte comunica un sentimento religioso profondo, ma non quello della Chiesa
imperante, bensì quello della Chiesa degli umili. La
pala è una compiuta sintesi delle diverse componenti del suo linguaggio: l’impianto,
come partizione dello spazio dipinto, è ancora quattrocentesco, l’architettura
prospettica a lacunari è di matrice belliniana, ma non ha nulla della
monumentalità antica, la forte emotività, espressa con accenti dinamici ed emozionali tipici del mondo
nordico, è chiaramente di discendenza
durerana e la luce radente, che si insinua con forti contrasti tra le forme
spigolose, risplendendo sulle note alte e fredde delle campiture cromatiche è
assolutamente personale.
L’anti-monumentale struttura
architettonica della tavola di Recanati scompare nella Pala di San Bernardino (1521, Chiesa
di San Bernardino, Bergamo, fig. 2), la sacra conversazione tra santi si svolge,
infatti, attorno ad un trono, coperto da una tenda effimera, immerso in uno
spazio aperto; ogni senso di ritualità ufficiale svanisce a vantaggio di un
sentimento intimo e confidenziale. La sua arte anti-classica e anti-retorica si
sublima nella capacità dell’artista di penetrare il vero senso delle cose.
Consigliamo di soffermarsi
qualche secondo di più sulla bellissima e toccante Madonna dell’Annunciazione del Polittico di Ponteranica (1525, Chiesa
dei Santi Alessandro e Vincenzo, Bergamo, fig. 3): appoggiata al leggio, vestita
di rosso, velata di bianco e ammantata di blu, in atteggiamento di sorpresa,
esprime una calma e serena paura, non è la Vergine dell’iconografia
tradizionale appena intimorita, ma è una ragazza smarrita, sorpresa da un delicato
Gabriele, rappresentato con una veste
leggerissima, capitato lì per una ragione. Il senso di religiosità che Lotto
riesce a trasmettere con la sua arte è profondo, schietto e allo stesso tempo raccolto, spirituale e,
soprattutto, vero.
Non possiamo non indugiare sulla celeberrima Elemosina di Sant'Antonio (1542, Basilica di SS. Giovanni e Paolo,
Venezia) ultima commissione pubblica veneziana. La composizione, apparentemente
tradizionale, costruita per piani paralleli in altezza e secondo direttrici
incrociate, si rivela particolarmente originale nel punto di vista dal basso:
la folla di postulanti, tutti con propria ed univoca individualità, è il
propulsore dell’opera.
Salendo al piano superiore troviamo
esposto il cosiddetto “Lotto migliore”, il più emozionante e toccante, sono in
scena i ritratti.
Il maestro, con questo genere
pittorico e la sua particolare tecnica coloristica, raggiunge l’apice
dell’espressione artistica personale: l’uso sapiente e calibrato della luce, la stesura pura dei colori e la particolare capacità
di servirsi delle ombre rendono i suoi ritratti delle poesie interiori.
Nonostante la sua natura introversa e malinconica sa restituire, con facilità e
maestria, le più sottili modulazioni psicologiche: i caratteri precipui dei
ritrattati emergono con ardore e si svelano particolari reconditi delle psichi
dei committenti. Ritmi concitati e turbinosi si alternano a pacatezza intensa e
vibrante, i suoi non sono ritratti solenni o ufficiali, non rappresentano lo status del richiedente, ma si realizzano
in uno scambio di confidenze, sono testimonianze autentiche dell’animo del
ritrattato, una galleria di sentimenti veri. Dove abbia appreso a guardare così
profondamente alla natura umana è presto detto, per il tramite di Alvise
Vivarini, impara da Antonello da Messina e inscena ritratti così intensi da
ricordare Albrecht Dürer e la sua arte
sensibilmente inquieta, palpitante ed emotiva.
Bernardo de’ Rossi (1505, Museo
di Capodimonte, Napoli, fig. 4), il vescovo che per primo e, ahimè, per
poco protegge il pictor celeberrimus, si rivela subito con uno sguardo arguto ed arrogante, la luce
chiara penetra nelle forme palesando particolari altrimenti non ravvisabili: il
volto roseo, i due porri sulla guancia e i bottoni sulla veste. In questa
occasione la tavola è riunita all’originaria coperta protettiva raffigurante l’Allegoria della Virtù e del Vizio
(1506, Kress Collection, Washington).
Del 1512 è la piccola pittura
raffigurante Giuditta con la testa di
Oloferne (Collezione BNL, Roma,
fig. 5), il soggetto non è l’evento biblico, la testa del generale assiro non
trova neanche spazio nella scena, bensì i sentimenti dell’eroina dei giudei che
salva il suo popolo: le espressioni delle due donne manifestano due cuori frementi
di paura, mista ad orgoglio, per il valoroso gesto appena compiuto.
Il Cristo porta croce (1526, Museo
del Louvre, Parigi) è un’indagine profonda e drammatica sull’umanità di Gesù,
un uomo, profondamente ferito nell’animo, che soffre piangendo lacrime e
sangue. L’analisi psicologica è estesa ai raccapriccianti sgherri, che
tagliati parzialmente fuori dalla scena, si palesano in tutta la loro spietata
ferocia.
Introspezione e ricerca
interiore raggiungono livelli altissimi nella Lucina Brembati (1518, Accademia
Carrara, Bergamo, fig. 6); la donna, in segno di sfida, ha gli occhi fissi
sul riguardante e un ghigno canzonatorio invita a risolvere il rebus del suo
nome.
Il curatore della mostra ha
voluto mettere a confronto due Annunciazioni:
quella di Jesi (1526-27, fig. 7) e quella di Recanati (1534-35, fig. 8). In
entrambi i casi la Madonna in preghiera non ha nulla della regina-Vergine
tramandata dalla storia dell’arte, ma è una brava ragazza del popolo, impaurita
e colta di sorpresa mentre prega in una casa qualsiasi; anche la tradizionale
aurea di sacralità lascia il posto ad una rappresentazione entro ambienti qualunque.
Un interno anonimo, nel caso delle due tavole di Jesi, e una casa signorile
veneziana colta nella sua quotidianità per la tela di Recanati,
come a sottolineare la presenza costante di Dio nel vita terrena. In entrambi i
frangenti il corpulento arcangelo Gabriele, azzurro
e luminoso sta goffamente planando al suolo, la sua fisicità è data dalle leggerissime vesti
ancora mosse ed è sottolineata dall’ombra proiettata sul pavimento color ocra,
Lotto ferma l’istante che precede il contatto con il terreno. I due
protagonisti appartengono a mondi diversi, la Madonna, ammantata di un rosso
caldo e corposo, simboleggia la natura umano-terrestre, mentre l’Angelo, vestito
di un celeste freddo e splendente, personifica l’universo soprannaturale ed
etereo del divino. La
protagonista è ancora una volta la luce, “un soffio discontinuo e vagante”, che
illumina l’improvvisa apparizione del messaggero di Dio e coglie la
sconcertante sorpresa della Vergine inginocchiata, intenta a leggere la Bibbia. Sono Annunciazioni animate da un’inconsueta e sacra
concitazione nonchè da un dinamismo proprio.
Le indagini introspettive del
pittore spesso si caricano di una vena triste e nostalgica, è il caso del Giovane Gentiluomo (1532, Galleria
dell’Accademia, Venezia). L’uomo, dal
viso emaciato e la veste scura, aristocratica con camicia bianca e polsini
ricamati, è avvolto in un’atmosfera
sottilmente luttuosa, ci scruta, non ci leva gli occhi di dosso, si
immerge e si perde in se stesso. Una serie di rimandi simbolici (il liuto, il
corno da cacci, l´uccello morto, il libro, le lettere i petali di rosa, la
lucertola, il bacile), inseriti non casualmente, rinviano alla disposizione intellettiva
del ritrattato nonché allo stato d’animo evidentemente malinconico.
Il cuore di questo mondo
malinconico è il ritratto di Andrea Odoni
(1527, Royal Collection, Windsor Castle,
Windsor, fig. 9), l’archetipo del collezionista, un ricco mercante di quadri,
sculture, monete, gemme e vasi antichi, un raccoglitore appassionato di
curiosità naturali (radici, serpenti pietrificati, camaleonti essiccati,
conchiglie rarissime ecc.). Il nobiluomo, rappresentato con la tipica enfasi sentimentale
del maestro, è raffigurato tra la
propria collezione di marmi antichi, indossa un
ricco mantello scuro bordato di pelliccia, porta al collo una catena d’oro e
reca in mano un una scultura di Diana
Efesina.
Concluderei questa visita ideale
con la Presentazione al tempio di Gesù (1552-1556,
Museo Antico Tesoro della Santa Casa,
Loreto), che è anche l’ultima opera, lasciata interrotta, del maestro veneziano.
Citando Berenson “L’opera più meravigliosa, dal punto di vista psicologico: ed
altrettanto si può dire della sua materia pittorica usata con una modernità che
richiama certi modi degli impressionisti” ["As interpretation, in fact, Lotto never before did anything quite so wonderful, and almost as much may be said of the workmanship. The paint is put on in a way even more modern than in Titian. Indeed, to find the like of it, we have to turn to the works of contemporary Impressionists" (cfr. B. Berenson, Lorenzo Lotto, an essay in Costructive Art Cristicism, London, 1905, p. 234)], i colpi di pennello si sono fatti
insolitamente incerti e tremolanti, il pittore, vecchio e miope, entro una
architettura manierista, crea una composizione, illuminata da una luce
crepuscolare, animata da personaggi dai volti emaciati, alcuni dei quali troppo
in ombra per essere visti chiaramente. L’artista realizza un’opera
autobiografica, densa di composta e penetrante commozione, inscena, cioè, la
propria misera condizione umana, e
manda un messaggio di fede, ossia, che tutta l’infelicità conosciuta può essere
affrontata e superata solo per mezzo della grazia.
Questa mostra rappresenta il
riscatto, auspichiamo la definitiva consacrazione, di questo straordinario maestro,
umbratile, introverso, a tratti schivo, “il veneziano fuori dalla cerchia di
Venezia”, colui che ha saputo
esprimere, grazie al suo approccio psicologico, in modo disinvolto e sublime
l’animo e gli affetti di chi gli è stato
di fronte.
Il catalogo
A cura di Giovanni C. F. Villa ed
edito da Silvana Editoriale il catalogo è dedicata a Pietro Zampetti
“infaticabile esegeta di Lorenzo Lotto”
recentemente scomparso.
In brossura con alette e
tipograficamente pregevole, esibisce un’attenzione editoriale
apprezzabilissima.
I saggi introduttivi, elaborati
da Peter Humfrey, Giovanni e Renzo Villa, sulla vita e sulle opere del maestro,
configurano il volume non un semplice catalogo di mostra, ma una necessaria e aggiornata
monografia sul Lotto.
Diversi gli studiosi, esperti di
arte veneta, che hanno partecipato alla sua realizzazione, colpisce, o quanto
meno incuriosisce, l’assenza, con l’eccezione del Professor Humfrey, dei, parafrasando
una recente esposizione, “grandi veneti”, Mauro Lucco, che comunque è parte
del comitato scientifico dell’antologica,
e, soprattutto, il Prof. Augusto Gentili, forse il massimo esperto di arte veneta in Italia, che interverrà come relatore ad una delle conferenze gravitanti attorno alla rassegna come evento.
Circa 300 pagine e
ben 200 illustrazioni a colori; immagini intere e particolari dei dipinti svolti, perlopiù, a piena pagina, ci
propongono una sintesi compiuta di tutta la produzione artistica del maestro:
dalle grandi pale d’altare ai quadri devozionali fino ai superbi ritratti.
L’opera a stampa ha una sua
originale struttura, diversa dal tradizionale svolgersi dei lavori di questo
genere. Snella la consultazione: le prime 20 pagine, riguardano gli usuali
saluti e ringraziamenti di coloro che hanno sostenuto, partecipato, patrocinato
e voluto la monografica, le successive 50 pagine sono costituite, come di
consueto, dai rilevanti testi di letteratura scientifica relativi al Lotto,
alla sua vita, alla fortuna o sfortuna critica e ai ripristini che hanno
preceduto la realizzazione della rassegna.
Si ricostruisce, con abbondanza di particolari, la vicenda artistica del
pittore che si divide tra il Veneto, le Marche e la Lombardia, con una piccola
parentesi alla corte papale.
Segue lo svolgersi del catalogo vero e proprio, secondo una
logica prettamente tematica, che non tiene assolutamente conto dello percorso
studiato per l’esposizione stessa. Le prime 70 pagine sono dedicate alla “produzione
religiosa”: un saggio sull’argomento di Marco Vallona introduce alle Pale
d’altare, alle Sacre Conversazioni ed alle altre opere di carattere religioso, ma di committenza “pubblica”. 17
schede redatte in forma classica (autore, titolo, datazione, supporto,
dimensioni, luogo di conservazione, iscrizioni, restauri eventuali,
bibliografia e analisi storica, iconografica, attributiva ed estetica del
quadro), stigmatizzano il corpus
sacro dei lavori presenti in rassegna. Le successive 50 pagine catalogano la
“pittura devozionale”: 14 schede, precedute da uno scritto di Marco Collareta,
dove si spiegano i caratteri salienti del genere pittorico ed il significato
attribuitogli dall’artista, svolgono con rigore l’analisi delle piccole opere
destinate alla devozione privata.
Seguono altre 50 pagine, dove,
introdotte dal testo di Elsa Dezuanni sul Lotto ritrattista, si ricompongono,
in 17 cartelle, i bellissimi ritratti del maestro veneziano.
Il catalogo, stricto sensu, termina con l’ultima sezione dedicata alla “pittura
profana”, 4 schede, precedute dal saggio di
Margaret Binotto sulla dialettica tra virtus e voluptas,
completano l’analisi dei quadri esposti all’antologica romana.
Un ultimo lavoro sulla tecnica
pittorica del nostro, steso dal fisico, esperto di restauro di opere d’arte,
Gianluca Poldi, conclude l’apparato critico-scientifico del volume che si
configura prezioso e vitale per la comprensione delle dinamiche
storico-culturali che hanno fatto da cornice alla vita inquieta del veneziano
tra la fine '400 e la prima metà del ‘500.
Segue un’approfondita e precisa
bibliografia, ordinata in senso cronologico, e le necessarie referenze
fotografiche.
LA MOSTRA
Dove: Scuderie del Quirinale,
Roma
Quando: 02 marzo - 12 giugno 2011
NOTE
Nel 1894, Bernard Berenson dà inizio a quello che sarà il tardivo riscatto dell'artista, ne I pittori veneziani del Rinascimento, scrive: "Lorenzo Lotto non dipinge il trionfo dell'anima sulle cose circostanti: ci presenta gente che domanda consolazioni dalla religione a calmi pensieri, all'amicizia e agli affetti. Ci guarda dalle tele come chiedesse la carità di un po' di simpatia". L'anno seguente pubblica uno studio rivoluzionario dal titolo Lorenzo Lotto, an essay in Costructive Art Criticism, in cui, da un lato, spiega la straordinaria modernità della sensibile ed intimistica arte del maestro; dall'altra, il suo linguaggio pittorico, assolutamente personale e pieno di anticipazioni.
Lorenzo Lotto tra gli artisti della sua epoca è forse il più religioso, un uomo profondamente devoto, spiritualmente vicino ai valori della controriforma, ma è sospettato di vicinanza ai luterani. Documenti scoperti da Massimo Firpo, storico della riforma e controriforma, riguardanti presunte amicizie eretiche del maestro, fanno ancora discutere sulla fede del pittore che comunque mantiene sempre uno stretto rapporto con i domenicani, che vogliono una Chiesa vicina ai ceti più umili e semplici.
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