bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Lo “Shadowboxer” [1] di Cien años de soledad [2]  
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 18 Ottobre 2011, n. 625
http://www.bta.it/txt/a0/06/bta00625.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Artisti

A Rossella

«Le cose hanno vita propria -
proclamava lo zingaro con aspro accento-
 si tratta soltanto di risvegliargli l'anima" [3]



Cien años de soledad: il teatro della magia

Gabriel García Márquez ha regalato agli instancabili sognatori un paradiso perduto, un posto in cui tutto è al di fuori del tempo e dello spazio, con regole proprie e tanta fantasia, Macondo. Il villaggio in cui è ambientato il romanzo Cent'anni di solitudine rappresenta il mondo ideale per gli amanti del realismo magico, degli incantesimi e delle saghe con accesa vena surrealista.

La trama si sviluppa intorno alla famiglia Buendía in una circolarità congelata di eventi che mischia tradizione e allucinazione. Il microcosmo arcano della storia si tinge di ombre e chiaroveggenza, vera traduttrice tra vivi e morti, un ponte tra la realtà e il sogno. L'atmosfera volutamente cupa e solitaria rappresenta la drammaticità del messaggio di fondo che emerge senza sminuire il fascino della fantasia dell'autore.

Lo stile, apparentemente semplice, si scontra con la complessità della mole di personaggi che appaiono e scompaiono, ritornano confondendosi tra la vita e la morte. L'avventura procede per generazioni, un misto tra albero genealogico e girone infernale, pioggia pungente di nomi in paratassi che si accumulano e si annodano in un groviglio di relazioni che costituisce la matassa della famiglia Buendía.

L'ingresso degli zingari a Macondo è l'esotico che raggiunge l'assurdo in una terra d'altri tempi: i prestigiatori dell'illusione e gli alchimisti delle pozioni sono le pedine che scandiscono i cambiamenti, portano nuove invenzioni, conoscono i segreti degli eventi e mobilitano la realtà magica della città. I gitani, arrivati per vendere palle di vetro per il mal di testa, vengono guidati dal «canto degli uccelli» [4] fino alle sperdute paludi di Macondo portando la propria cultura e tradizione, ma soprattutto le proprie superstizioni. Con il loro arrivo la città si riempie di chincaglierie, sfere magiche, oggetti da sciamani, musica e colori che riportano alla mente immagini limpide che richiamano vene artistiche novecentesche.

L'arte e la letteratura del secolo scorso si sono mischiate, scambiate mezzi e registri tanto da confondersi l'una con l'altra alla ricerca di una via espressiva che rispecchiasse la percezione degli artisti tra condizione del presente e infinite possibilità del pensiero nella nuova consapevolezza del potere della mente.

García Márquez crea un mondo fantastico in cui ricuce la tradizione delle favole narrate dalla nonna allo spiccato gusto per le cose, per l'osservazione, rievocando ritagli del sogno e della vita in un mosaico da Nobel.

Il suo realismo magico si differenzia da quello di Bontempelli: «Bontempelli era teso da una straordinaria intelligenza pura, altrettanto lo scrittore colombiano è affascinato dai colori della realtà, dal suono di voci antiche che non hanno mai smesso di inseguirlo» [5] . Quel mondo esotico si avvicina incredibilmente ad una lezione di vita.



La malattia dell'insonnia

Uno dei pezzi più affascinanti del romanzo riguarda Rebeca, una bambina indigena undicenne arrivata «da Manaure con dei commercianti di pellame che avevano avuto l'incarico di consegnarla insieme a una lettera nella casa di José Arcadio Buendìa, ma che non poterono spiegare con precisione chi era la persona che aveva chiesto loro il favore. Tutto il suo bagaglio era composto dal bauletto della roba, da una poltroncina a dondolo di legno con fiorellini colorati dipinti a mano e da un sacco di tela che faceva un continuo rumore di cloc cloc cloc, dove portava le ossa dei suoi genitori» [6] .

La bambina, affidata alle cure dei Buendìa, si presenta con un kit da viaggio a dir poco inquietante. Una notte viene sorpresa con gli occhi aperti e luminosi, come quelli di un gatto: «Visitación riconobbe in quegli occhi i sintomi della malattia la cui minaccia li aveva costretti, lei e suo fratello, esuli per sempre da un regno millenario del quale essi erano i principi. Era la peste dell'insonnia» [7] .

La malattia di Rebeca è un potere mistico che ben presto contagia l'intera Macondo donando a tutti gli abitanti doti magiche: «In quello stato di allucinata lucidità non soltanto vedevano le immagini dei loro stessi sogni, ma vedevano perfino gli uni le immagini sognate dagli altri. Era come se la casa si fosse riempita di visitatori» [8] . Gli abitanti vivono in eterno sogno, il proprio e quello degli altri, tra immagini oniriche che si toccano, si incontrano, come tante anime in un girone infernale. Il sogno collettivo è un incubo di ologrammi che sembrano reali, il «sonno della ragione genera i mostri» [9] .

Le stanze di Macondo, come i cassetti e gli scomparti della mente, si popolano di ritornanti dechirichiani, un'immagine che ricorda le sovrapposizioni fotografiche di Duane Michals in House I once called Home [10] .

Il potere della malattia è un prodigio che richiama il misticismo di Magrelli: «Cercavo, cioè un'interpretazione capace di collocare un difetto fisico, una patologia, all'interno di un quadro più ampio: la commistione di malattia e visione, la ricchezza percettiva prodotta da una mancanza» [11] .

I contagiati sembrano sonnambuli dell'arte, flâneurs che camminano tra gli strati onirici, confondendo realtà e fantasia. Sono gli «uomini della folla» alla Poe, i Dalì che scavalcano gli orologi deformati abbandonati nelle terre desolate, i Nerval a spasso con un'aragosta al guinzaglio, i De Chirico solitari in città vuote, i Cornell che dimorano in hotel immaginari [12] , i Baruch [13] che sognano sempre anche quando non sono in requiem [14] .

Questo stato di totale allucinazione, nel romanzo, ha le sue controindicazioni: «La cosa più temibile della malattia dell'insonnia non era l'impossibilità di dormire, dato che il corpo non provava alcuna fatica, bensì la sua inesorabile evoluzione verso una manifestazione più critica: la perdita della memoria. Significava che quando il malato si abituava al suo stato di veglia, cominciavano a cancellarsi dalla sua memoria i ricordi dell'infanzia, poi il nome e la nozione delle cose, e infine l'identità delle persone e perfino la coscienza del proprio essere, fino a sommergersi in una specie di idiozia senza passato» [15] .



Mnemotecniche didascaliche

Macondo si abitua ben presto a questo stato di allucinazione dichiarando lo stato di emergenza e dotando i visitatori di una campanella che avvisi i malati della presenza di persone sane. La perdita della memoria causa non pochi problemi alla vita degli abitanti spiazzati nelle loro abitudini e nei rapporti personali.

«Fu Aureliano che concepì la formula che li avrebbe difesi per parecchi mesi dalle evasioni della memoria. La scoprì per caso. Insonne esperto, per esserlo stato tra i primi, aveva imparato a perfezionare l'arte dell'oreficeria. Un giorno stava cercando la piccola incudine di cui si serviva per laminare i metalli, e non si ricordò del suo nome. Suo padre gliela disse: 'tasso'. Aureliano scrisse il nome su un pezzo di carta che appiccicò con la colla sul piede dell'incudine: tasso. Così fu sicuro di non dimenticarlo in futuro. Non gli venne in mente che quella poteva essere la prima manifestazione della perdita della memoria, perché l'oggetto aveva un nome difficile da ricordare. Ma pochi giorni dopo scoprì che faceva fatica a ricordarsi di quasi tutte le cose del laboratorio. Allora le segnò col nome rispettivo, di modo che gli bastava leggere l'iscrizione per riconoscerle. Quando suo padre gli rivelò la sua preoccupazione per essersi dimenticato perfino dei fatti più impressionanti della sua infanzia, Aureliano gli spiegò il suo metodo, e José Arcadio Buendìa lo mise in pratica in tutta la casa e tardi lo impose a tutto il paese. Con uno stecco inchiostrato segnò ogni cosa col suo nome: tavolo, sedia, orologio, porta, muro, letto, casseruola. Andò in cortile e segnò gli animali e le piante: vacca, capro, porco, gallina, manioca, malanga, banano» [16] .

Il rimedio non è altro che la trascrizione del nome, l'identificazione tra parole ed oggetto, una specie di didascalia che il contemporaneo ha stravolto e trasformato in forma d'arte: si pensi a Michals, Magritte, a Jonathan in Ogni cosa è illuminata [17] .

«A poco a poco, studiando le infinite possibilità del dimenticare, si accorse che poteva arrivare un giorno in cui si sarebbero individuate le cose dalle loro iscrizioni, ma non se ne sarebbe ricordata l'utilità. Allora fu più esplicito. Il cartello che appese alla nuca della vacca era un modello esemplare del modo in cui gli abitanti di Macondo erano disposti a lottare contro la perdita della memoria: Questa è la vacca, bisogna mungerla tutte le mattine in modo che produca latte e il latte bisogna farlo bollire per aggiungerlo al caffè e fare il caffellatte. Così continuarono a vivere in una realtà sdrucciolosa, momentaneamente catturata dalle parole, ma che sarebbe fuggita senza rimedio quando avessero dimenticato i valori delle lettere scritte? [18] .

La pratica richiede grande attenzione e molti degli abitanti di Macondo preferiscono vivere nella realtà sognante inventata da loro stessi [19] . Alcuni si dedicano persino alla chiromanzia onirica «ideando l'artificio di leggere il passato nelle carte come prima aveva letto il futuro. Mediante questo trucco, gli insonni cominciarono a vivere in un mondo costruito dalle alternative incerte delle carte, dove il padre non era ricordato che come l'uomo bruno arrivato verso i primi di aprile e la madre era ricordata soltanto come la donna abbronzata che aveva un anello d'oro sulla mano sinistra, e dove una data di nascita veniva ridotta all'ultimo martedì in cui aveva cantato l'allodola sul lauro» [20] .

Il sogno ha contagiato gli strati profondi della mente immobilizzando ogni cosa in una ragnatela di immagini (quasi si trattasse di una Shadow Box cornelliana) o in un'opera surrealista allestita come un teatro dechirichiano.

La riflessione dell'autore sull'importanza della memoria è profonda: tutta la sua scrittura parte dal ricordo di favole d'infanzia, ma si arricchisce dell'osservazione della realtà generando strappi di eternità come succede nelle scatole cornelliane. «A differenza di quelli che noi chiamiamo, con formula di comodo, scrittori della memoria, García Márquez non si rinchiude nel passato, non fa soltanto un ritorno alle origini come per esempio fece, in un libro memorabile, Alain-Fournier, ma conforta il patrimonio nuovo, ciò che ha accumulato e poi ricomposto, con quanto aveva sentito in quel tempo perduto. È allora che fissa dei caratteri eterni, rivede il meccanismo delle passioni, mette a nudo le colpe e le virtù degli uomini ma senza barriere moralistiche: lo fa liberamente mentre per conto suo aggiunge quella grazia poetica che consente l'ultima trasformazione all'insegna del magico» [21] .

L'unica soluzione per risolvere il problema mnemonico di Macondo sembra quella di realizzare un marchingegno che permetta di avere a disposizione la vita stessa, raccolta e trascritta, come una macchina della conoscenza, una Chimera [22] , un set o un kit, un Cours élémentaire d'Histoire Naturelle [23] . 

«Sconfitto da quelle pratiche consolatorie, José Arcadia Buendìa decise allora di costruire la macchina della memoria che una volta aveva desiderato per ricordarsi delle meravigliose invenzioni degli zingari. Il marchingegno si basava sulla possibilità di ripassare tutte le mattine, e dal principio alla fine, la totalità delle nozioni acquisite nel corso della vita. La immaginava come un dizionario girevole che un individuo situato al centro potesse manovrare mediante una manovella, in modo che in poche ore passassero davanti ai suoi occhi le nozioni più necessarie per vivere. Era riuscito a scrivere circa quattordicimila schede» [24] .

La macchina delle meraviglie è un gioco a metà tra i visori ottocenteschi dell'epoca vittoriana che simulano il movimento cinematografico e lo schedario-archivio cornelliano. L'artista newyorkese Joseph Cornell [25] sarebbe affascinato da questo mondo di chincaglierie. Basti pensare alla sua passione per la cultura gitana in Fortune Telling Parrot (Parrot Music Box) del 1937-1938: «Fortune Telling Parrot offers many associations with exotic travels. First, the box construction itself resembles the apparatus of a hurdy-gurdy, invoking the bohemian world of the traveling gypsy musician. The crank on the right exterior of the construction turns a broken music box, hidden in the lower-right corner of the sculpture. The music box in turn is attached by a thin rod to the cylinder above it, which is intended to revolve while music plays» [26] .



The Shadowboxer

I rimedi umani sono poca cosa di fronte ad una malattia del sogno che distrugge la memoria. La luce della speranza è portata da uno straniero, un «commesso viaggiatore» di stampo cornelliano armato di boîte-en-valise [27] : «Aprì la valigia zeppa di oggetti indecifrabili, e tra quelli prese una valigetta con parecchi flaconi. Diede da bere a José Arcadio Buendìa una sostanza di colore gradevole, e la luce si fece nella sua memoria. Gli occhi gli si inumidirono di pianto, prima di vedere se stesso in un salotto assurdo dove gli oggetti erano etichettati, e prima di vergognarsi delle solenni baggianate scritte sulle pareti, e prima di riconoscere il nuovo venuto in un abbagliante fulgore di gioia. Era Melquíades» [28] .

L'uomo è la personalità di spicco della comunità zingara, un viaggiatore che ha l'aria di uno spettro: «Lo zingaro sembrava corrotto da una malattia tenace. Era, in effetti, il risultato di molteplici e rare malattie contratte nei suoi innumerevoli viaggi intorno al mondo. Secondo quanto lui stesso raccontò a José Arcadio Buendìa mentre lo aiutava a montare il laboratorio, la morte lo seguiva dovunque, annusandogli i pantaloni, ma senza decidersi a dargli l'unghiata finale. Era uno scampato da quante piaghe e catastrofi avevano flagellato il genere umano. Era sopravvissuto alla pellagra in Persia, allo scorbuto nell'arcipelago della Malesia, alla lebbra ad Alessandria, al beriberi in Giappone, alla peste bubbonica nel Madagascar, al terremoto di Sicilia e a un naufragio di massa nello stretto di Magellano» [29] .

Il gitano è una figura centrale nel romanzo, un deus ex machina che porta a Macondo invenzioni, scoperte, magia, la profezia [30] sul villaggio e tante chincaglierie da prestigiatori. «Quell'essere prodigioso che diceva di possedere le chiavi di Nostradamus, era un uomo lugubre, permeato di un'aura triste, con uno sguardo asiatico che sembrava conoscere l'altro lato delle cose. Portava un cappello grande e nero, come le ali spiegate di un corvo, e un panciotto di velluto patinato dalla borraccina dei secoli. Ma nonostante la sua immensa sapienza e il suo ambito misterioso, aveva un peso umano, una condizione terrestre che lo manteneva imbrigliato ai minuscoli problemi della vita quotidiana. Si lamentava di malanni senili, soffriva per i più insignificanti contrattempi economici e aveva smesso di ridere da parecchio tempo, perché lo scorbuto gli aveva strappato i denti» [31] .

Il suo «peso umano» lo avvicina alla realtà delle cose: «Le cose hanno vita propria -proclamava lo zingaro con aspro accento- si tratta soltanto di risvegliargli l'anima» [32] .

Il profeta del romanzo è uno spettro così attaccato alla vita da vincere la solitudine della morte per tornare a Macondo: «Lo zingaro veniva deciso a restare nel villaggio. Era stato nella morte, effettivamente, ma era tornato perché non aveva potuto sopportare la solitudine. Ripudiato dalla sua tribù, privato di ogni facoltà soprannaturale come castigo per la sua fedeltà alla vita, decise di rifugiarsi in quell'angolo del mondo non ancora scoperto dalla morte, e di dedicarsi alla gestione di un laboratorio di dagherrotipia» [33] .

Melquíades è uno Shadowboxer [34] , un uomo delle ombre, tra la vita e la morte, la realtà e il sogno, depositario di una scienza occulta che fonde l'onirico e il desiderio in una pozione unica. La scelta della dagherrotipia si sposa perfettamente con le caratteristiche del personaggio: la fotografia è il regno dello spettro della luce che sottrae i soggetti al tempo immortalandoli su lastra. «Secondo Barthes [35] , la fotografia, in quanto immagine fissata dalla luce, corrisponde a uno spectrum, rivelandosi cioè capace di coniugare lo spettacolo (spectrum da spectaculum) allo spettro come ritorno del morto, e bloccando così l'oggetto in una condizione di catastrofe» [36] .

Il gitano dedicherà molto tempo a fotografare Macondo fino alla pazzia di José Arcadio «che aveva deciso di utilizzarlo per ottenere la prova scientifica dell'esistenza di Dio. Mediante un complicato processo di esposizioni sovra-esposte prese in diversi luoghi della casa, era sicuro di fare prima o poi il dagherrotipo di Dio, se esisteva, o di porre fine una volta per sempre all'ipotesi della sua esistenza» [37] .

Melquíades è il mago di Cent'anni di solitudine che dedica le sue giornate ad approfondire le interpretazioni di Nostradamus fino a predire il futuro di Macondo: «Rimaneva fino a molto tardi, asfissiando nel suo scolorito panciotto di velluto, a scarabocchiare carte con le sue minuscole mani di passero, su cui gli anelli avevano perduto il luccichio di un tempo. Una notte credette di aver trovato una predizione sul futuro di Macondo. Sarebbe diventata una città luminosa, con grandi case di vetro, dove non restava traccia alcuna della stirpe dei Buendìa. 'È uno sbaglio', tuonò José Arcadio Buendìa. 'Non saranno case di vetro ma di ghiaccio, come ho sognato io, e ci sarà sempre un Buendìa, per i secoli dei secoli' » [38] . La profezia del gitano riguarda una città di luce, una visione scritta con la luce, letteralmente foto-grafata e priva di Buendìa, immortalata e sottratta tanto alla vita quanto alla morte.







Bibliografia

C. BO, García Marquéz: il mito e l'impegno, Corriere della Sera, 22/10/1982

R. COHEN, A Chance Meeting: Intertwined Lives of American Writers and Artists, 1854-1967, tr. It. a cura di S. Manferlotti, Un incontro casuale. Le vite intrecciate di scrittori e artisti americani, 1845-1967, Milano 2006.

J. CORNELL, Joseph Cornell's Dreams, edited with an introduction and appendices by Catherine Corman,Cambridge 2007.

Bianco e nero. Nero su bianco. Tra fotografia e scrittura. (a cura di B. Donatelli), Napoli 2005.

G. GARCÍA MÁRQUEZ, Cien años de soledad  (tr. it. A cura di E. Cicogna, Cent'anni di solitudine),Milano 2009.

Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada, catalogo della mostra a cura di M.M. Lamberti e M.G. Messina, (Torino 2007-2008), Milano, 2007, pp. 280-296.

M. LIVINGSTONE, The Essential Duane Michals, New York 1997.

Joseph Cornell, catalogo della mostra a cura di K. McShine, (Firenze 1981), Firenze 1981.

D. MICHALS, The House I once called Home, London 2003.

Joseph Cornell: Navigating the Imagination, catalogo della mostra a cura di L. Roscoe Hartigan, (Salem, Washington 2006 - 2007), Salem, Washington, London 2006.

E. ROVIDA, «Ogni cosa è illuminata»: un'indagine surrealista, «collegare.net», 2011.

http://www.collegare.net/index.phpoption=com_content&view=category&layout=blog&id=12&Itemid=17

A. SBRILLI, P. CASTELLI, Esplorazioni, estensioni, costellazioni. Aspetti della memoria in Joseph Cornell, «La Rivista di Engramma on line», n. 70, marzo 2009, < www.engramma.it>.

C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy: The Art of Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell) Milano 2005².

D. SOLOMON, Utopia Parkway: the life and work of Joseph Cornell, Boston 2004.

B. M. STAFFORD, F. TERPAK, Devices of Wonder. From the world in a box to images on a screen, Los Angeles 2001.

D. WALDMAN, Collage, Assemblage and the Found Object, London 1992.

D. WALDMAN, Joseph Cornell: Master of dreams, New York 2002.

N. WILLARD, The sorcerer's apprentice: a conversation with Harry Roseman, assistant to Joseph Cornell, «Michigan Quarterly Review», Volume XXXVIII, n. s. I, Winter 1999, pp. 37-56.







NOTE

[1] Shadowboxer, film di Lee Louis Daniels del 2005. Il «pugile delle ombre» è un killer.

[2] G. GARCÍA MÁRQUEZ, Cien años de soledad  1967

[3] G. GARCÍA MÁRQUEZ, Cien años de soledad  (tr. it. A cura di E. Cicogna, Cent'anni di solitudine), Milano 2009, p. 1

[4] Ivi, p 3

[5] C. BO, García Marquéz: il mito e l'impegno, «Corriere della Sera», 22/10/1982

[6] GARCÍA MÁRQUEZ 2009, p. 20

[7] Ivi, p. 21-22

[8] Ivi, p. 22

[9] F. Goya, El sueño de la razón produce monstruos 1797

[10] D. MICHALS, House I once called Home 2003

[11] Bianco e nero. Nero su bianco. Tra fotografia e scrittura.(a cura di B. Donatelli), Napoli 2005, p. 32

[12] C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy: The Art of Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell) Milano 2005², p. 104

[13] Baruch, nonno di Alex nel romanzo di Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata, New York  2002

[14]    E. ROVIDA, «Ogni cosa è illuminata»: un'indagine surrealista, «collegare.net», 2011 http://www.collegare.net/index.php" option=com_content&view=category&layout=blog&id=12&Itemid=17

[15] GARCÍA MÁRQUEZ 2009, p. 22

[16] Ivi, p. 23

[17] E. ROVIDA, «Ogni cosa è illuminata»: un'indagine surrealista 2011

[18] GARCÍA MÁRQUEZ 2009, p. 23

[19] Ibidem

[20] Ivi, p. 24

[21] García Marquéz: il mito e l'impegno

[22] L. CARROLL, The Legend of Scotland 1858: Chimera è una macchina che cattura le immagini

[23] J. Cornell. L'Egypte de Mlle Cléo de Mérode cours élémentaire d'histoir naturelle, 1940

[24] GARCÍA MÁRQUEZ 2009, p. 24

[25] N. WILLARD, The sorcerer's apprentice: a conversation with Harry Roseman, assistant to Joseph Cornell, «Michigan Quarterly Review», Volume XXXVIII, n. s. I, Winter 1999, pp. 37-56

[27] M. Duchamp,  Boîte-en-valise 1936-41

[28] GARCÍA MÁRQUEZ 2009, p. 24

[29] Ivi, p 3

[30] Ivi, p. 26

[31] Ivi, p 3

[32] Ivi, p 1

[33] Ivi, p. 24

[34] Cfr. nota 1

[35] R. BARTHES, La Chambre Claire. Note sur la photographie, Paris 1980, pp. 126-127.

[36] Bianco e Nero. Nero su Bianco. Tra fotografia e scrittura 2005, p. 37

[37] GARCÍA MÁRQUEZ 2009, p. 26

[38] Ibidem






 

Risali



BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it