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Fluxus 1962 - 2012. Intervista a Ben Patterson  
Mercedes Auteri
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 8 Novembre 2011, n. 630
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Area Interviste

La festa del cinquantesimo a Catania è cominciata in anticipo con tutti gli onori della leggenda, del mito, degli anni d’oro. The Golden Age, vengono titolate le iniziative promosse dalla Galleria Orizzonti che vedono a Catania Ben Patterson, uno degli ultimi fluxeurs ancora in grado di raccontarla, viverla, infiammarla questa esperienza. Oltre a inaugurare la mostra a lui dedicata dal 29 ottobre 2011 al 21 gennaio 2012 in Galleria con una nuova imprevedibile performance, ha tenuto una Lectio magistralis all’Università con curatori, direttori di museo, storici dell’arte e musicologi accorsi da ogni parte e, soprattutto, ha regalato agli attoniti catanesi un concerto con alcune delle più famose pieces di Fluxus (con il sostegno del pianista Alistair Sorley, gli attori della Fluxus Swanlings of Catania e, persino, dei Fluxus Dogs of Catania che, avete capito bene, sono dei cani di ogni razza e stazza portati sul palco dai loro educatori per cantare insieme a Ben).

Lo aveva detto Emmet Williams già nel 1963, se si potesse definire non sarebbe Fluxus. E infatti di Fluxus si è detto di tutto senza mai riuscire a definirlo. Un movimento, uno stile, una rete, un gruppo, una filosofia, una comunità, un’attitudine, una modalità del processo creativo, un intermedia (per la sua capacità di fare interagire differenti media, oggetti di uso comune, suoni, immagini, testo, azioni), un invito alla libera creazione nel flusso della vita quotidiana, uno sconfinamento, un intervento artistico dissacrante e ironico. In Fluxus convergono le esperienze delle avanguardie precedenti, soprattutto Dada, abolendo definitivamente i confini fra le discipline, fra artista e pubblico, fra arte e vita.

Chissà se John Cage, George Maciunas, Ken Friedman, Joe Jones, Nam June Paik, Charlotte Moorman, Philip Corner, George Brecht, Ben Vautier, Joseph Beyus, Yoko Ono, Giuseppe Chiari... avrebbero potuto immaginare negli anni della contestazione che il loro progetto, provocatorio e trasgressivo di ogni codice e gerarchia che, dall’America all’Asia passando per l’Europa, sconvolse il mondo appena cinquanta anni fa, oggi sarebbe giunto alla sua celebrazione assoluta. Così, visto che era qui con me, ho pensato di chiederlo a qualcuno che questi cinquant’anni se li era visti tutti, Ben Patterson in persona.

 

 

 

Si celebrerà Fluxus a Wiesbaden riproponendo nel 2012 le 12 performances che avevate realizzato nel 1962 e che erano state considerate folli, puro delirio. Come e quando è cambiata la visione ? Quale peso ha nella storia dell’arte questo cinquantennio?

La visione è cambiata radicalmente negli ultimi dieci anni. Un’attenzione consistente, grande, maggiore, è arrivata su Fluxus dalle istituzioni quando i fluxeurs hanno cominciato a morire, la dura legge dell’interesse e del mercato. Così col passare degli anni è ormai quasi imprescindibile fare riferimento a Fluxus parlando di quello che è successo dopo. Musei, curatori, collezionisti, critici ci hanno riconosciuto un valore oggi ancora crescente. Il Museum of Modern Art di New York ha in questo momento una grande collezione di nostre opere. Fluxus ha cambiato la visione della storia dell’arte e questi riconoscimenti e lo spazio nei grandi musei e nei libri ne sono la prova.

 

 

Si può riproporre oggi Fluxus, adesso che la sua carica dissacrante è diventata sacra celebrazione ?

Molti giovani negli ultimi venti anni sono venuti da me a dirmi che avevano subito l’influenza di Fluxus e che dunque questa è ancora viva. Ci sono differenti fluxus presenti in diversi lavori sperimentali di artisti e studenti. Quando loro dicono questo è grazie a Fluxus, per loro ammissione intendo, allora non c’è dubbio. Questa influenza si trasforma, tutto scorre, tutto è flusso, anche l’arte di oggi può esserlo, non tanto o non solo per dissacrare, quanto per avere con ogni mezzo e in ogni modo una visione più ironica, pungente, della quotidianità e di ciò che ci circonda.

 

 

Durante la Lectio magistralis hai raccontato che a Berlino, poche settimane fa, ad un convegno su Fluxus che vedeva al tavolo dei relatori i suoi più illustri studiosi, si è dibattuto per ore e ore se si potesse definirlo un movimento o piuttosto una rete. Che ne pensi?

Penso che gli studiosi si nutrono dei dettagli. Fluxus è il fluire, è l’energia che scorre nelle cose di ogni giorno e si manifesta nell’azione creativa, è il caso. Il caso, per esempio, è intervenuto anche durante il mio viaggio a Catania. All’aeroporto mi aprono i bagagli per un controllo e mi sottraggono un cd e alcune bamboline che mi sarebbero serviti per la lezione e la performance e che, quindi, ho dovuto cambiare improvvisando. Gli addetti alla sicurezza aeroportuale, in compenso, lasciano un foglio, dove si dichiara che il contenuto era da considerarsi pericoloso ! Bizzarro, che ancora dopo cinquanta anni la mia attività sia da considerarsi pericolosa.

 

 

Che ruolo hanno gli oggetti nelle performances dei fluxeurs, nelle tue azioni e cosa pensi della loro musealizzazione, decontestualizzati dall’evento preciso per cui erano stati utilizzati ?

Io sono principalmente un musicista, i disegni, i dipinti, gli assemblages e gli oggetti che produco o utilizzo hanno un ruolo secondario. Anche per gli altri, credo, sono principalmente un pretesto, una possibilità di palesare un’influenza. Del resto in ogni museo funziona così, gli oggetti trovano una nuova contestualizzazione ma hanno sempre lo stesso importante valore evocativo. Mi sono impegnato in un progetto espositivo che da New York a Auckland, da Helsinki alla Patagonia, da Londra a Tokyo, dalla Namibia a Okandikaseibe ho denominato Museo del subconscio. Ogni elemento ha due significati molto personali, uno per l’artista che lo sceglie e uno per lo spettatore che lo guarda. Così il museo è per tutti e sollecita qualcosa che è dentro di noi.

 

 

Io penso che quando l’arte incontra le coscienze, finisce col cambiare il mondo. Tu una volta durante una tua performance hai scritto: Fluxus can’t save the world (Fluxus non può salvare il mondo), tutti i tuoi fans ci sono rimasti male, vorremmo delle spiegazioni...

In effetti era un gioco, sull’importanza di sapere essere leggeri anche davanti ai massimi sistemi.  Come nel teatro antico, si può trovare divertimento pure nel tragico. In effetti, c’è stato un momento in cui abbiamo pensato di potere cambiare il mondo... e forse in minima parte ci siamo riusciti... salvarlo, però, è tutta un’altra storia ! Bisogna procedere per tentativi continui. Fluxus non può salvare il mondo ma ha provato a salvare la libertà di espressione che, a sua volta, potrebbe servire per farlo ...


Lectio magistralis di Ben Patterson all'Università di Catania
Fig. 1
Lectio magistralis di Ben Patterson all'Università di Catania,

Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania
Fig. 2
Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania,

Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania
Fig. 3
Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania,

Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania
Fig. 4
Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania,

Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania
Fig. 5
Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania,

Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania
Fig. 6
Concerto di Ben Patterson al Teatro San Giorgi di Catania,




Foto Cortesia Galleria Orizzonti Catania

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