Quando
si pensa alla natura morta viene subito in mente la pittura tra la fine del
Manierismo e l’inizio del Barocco, Caravaggio e la famosa
“fiscella”, nonché gli innumerevoli dipinti realizzati dai maestri del
nord Europa: da Pieter Aertsen a Pieter Claesz, da Hans Memling a Marten
Boelema.
Proprio in virtù di questa riconosciuta popolarità, la critica negli ultimi
decenni si è impegnata con grande dovizia a rintracciare gli esordi nei diversi
centri, da Roma a Milano, da Anversa a Haarlem, proponendo sostanziali
distinzioni tra la linea culturale mediterranea e quella legata all’esperienza
nordica, tra la disposizione unitaria dell’impianto e la casualità a mosaico
degli oggetti, così fino a comprendere una griglia di distinzioni quasi
infinite.
La
bibliografia sull’argomento si presenta così vasta da rendere complicato
qualsiasi elenco anche sommario, semmai sembrano avere significato i singoli
studi settoriali per scuole e ambiti culturali e i numerosi contributi stilati
in occasioni di mostre ed esposizioni. Forse è per questo che il tema continua
ad appassionare studiosi e artisti contemporanei, tutti in diverso
modo, consapevoli del fatto che il fertile campo di immagini oltre a rispettare
una funzione “ripresentativa” può anche conservare delle implicazioni
simboliche.
Deve
essere stato per questo spasmodico desiderio di indagine e per un bisogno di
riordinare fabulazioni sparse qua e là, che l'Accademia di Belle Arti di Napoli
ha organizzato un Convegno Internazionale di studi sulla natura morta (11-12
dicembre 2008), curato da Dalma Frascarelli e Costanza Barbieri, entrambe
docenti di storia dell’arte dell'Accademia, coinvolgendo nell’ambizioso
progetto un gran numero di storici dell’arte
interessati ad esporre le loro convinzioni e divagazioni sull’argomento.
La recente uscita degli Atti a distanza di anni da quelle due fitte giornate di
incontri, non fa che confermare l’importanza di tutte quelle ipotesi talvolta
enunciate, altre dimostrate con grande convinzione.
Il
volume, corredato da tante belle immagini è organizzato in tre sezioni seguendo
un’impostazione rigorosamente cronologica che va dalle origini ai nostri
giorni: la prima sezione dedicata all’etimologia del termine e alle sue
controverse origini tra aspetti naturalisti e simbolici, si distingue per il
numero di varianti interpretative: si passa
dalle argomentazioni dottrinali
sui possibili significati “dissimulati” degli oggetti nella Madonna della gatta di Giulio Romano (C.
Barbieri) agli aggiornati interventi sulla natura morta del primo Seicento
romano (A. Cottino), da puntuali dissertazioni sulla diversa tipologia di fiori
e frutti nei temi eucaristici (D. Frascarelli) alle complesse argomentazioni
che spiegano il consolidarsi di alcuni modelli secondo la prassi combinatoria
di opere che circolavano nelle botteghe, con risultati - spiega nel suo saggio
F. Porzio - che seppure poco coerenti sul piano prospettico e compositivo, di
fatto accumunano scena di genere e natura morta. Senza dimenticare la breve ma
importante ricognizione sull’opera di Franz Werner Von Tamm (M. Gregori), e la varietà
di associazioni sul piano dei contenuti, affrontate descrivendo le scene di
mercato e cucina dipinte da Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer (F. Rossi).
Stabilito
che tra i motivi di successo della natura morta ci sono l’interesse scientifico
per la corporeità delle cose e un ventaglio simbolico di significati legati
alla morigeratezza e transitorietà della bellezza, non è da trascurare
il fatto che alla considerazione dell’oggetto si aggiunse anche la coscienza
del suo valore economico. Proprio l'aspetto strettamente legato
all’esperienza commerciale e al collezionismo è quello affrontato nella seconda sezione
del libro, dove con tre saggi brevi ma esaustivi, si avanzano interessanti
ipotesi sulle ragioni dell’affermarsi del genere (L. Lorizzo) e
sull’inascoltata mancanza di
metodologie di lettura dei quadri di natura morta (R. Morselli).
Diverso
è stato invece l’approccio degli studiosi che si sono misurati con l’oggetto
contemporaneo; essi, infatti, conoscendo le digressioni del mondo moderno e il
conseguente moltiplicarsi di modelli temporali nella percezione delle cose,
hanno preferito divagare su cause e vicissitudini che hanno determinato lo
sviluppo delle arti visive; l’incipit di ogni intervento racchiude la complessità del tema affrontato:
Natura morte titola il saggio di A.
Bonito Oliva, mettendo in evidenza la fine della funzionalità di questa
categoria estetica, Natura sospesa,
titola invece quello di M. Di Capua, indicando la facezia e l’indeterminatezza
che si nasconde dietro il radicalismo devozionale di certe ricerche artistiche
e le soluzioni proposte da alcuni, uno o
massimo due, da contare con le dita. Accanto a queste letture, poche altre
confermano l’atto di individuazione della natura morta come rito canonico di
singoli artisti o tendenze della storia. Fra queste ultime: una riconduce alla
vita silenziosa degli oggetti dipinti durante le due guerre (F. Matitti), una
delinea contaminazioni e sovrapposizioni con il mondo del design (M. Rinaldi)
ed una, a mio parere piuttosto originale, analizza l’evoluzione del tema nella
statuaria, ambito in cui la poetica dell’oggetto svolge- fino a tutto il
modernismo - il ruolo di attributo iconografico con cui identificare i
personaggi rappresentati (M. Grasso). Esempio questo illuminante, che in parte
spiega, a partire dell’oggetto, l’evolversi di quella rete di connessioni tra i
fatti e le cose, tra le persone e l’ambiente, così preponderante nell’arte del
Novecento, da comprendere orizzonti sempre più vasti: l’oggetto in tutta la sua
plasticità quale allegoria della bulimia collettiva (C. Oldenburg), che incalza
provocatoriamente (J. Koons), conservando in sé i segni dello sfarzo e della
cura meticolosa per il quale fu concepito.
IL LIBRO
Natura morta. Rappresentazione dell'oggetto. Oggetto come rappresentazione,
a cura di Costanza Barbieri e Dalma Frascarelli, con introduzione di Giovanna Cassese.
Convegni Accademia di Belle Arti di Napoli.
Napoli, Art'm srl, 2010.
35.00 euro
ISBN 978-88-569-0080-4
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