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11 settembre, “Molto forte incredibilmente vicino” [1]

 
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 Febbraio 2012, n. 642
http://www.bta.it/txt/a0/06/bta00642.html
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“Siamo di fronte a una scatola chiusa che non possiamo aprire” [2]

11 settembre. Dieci anni dopo

Sono passati dieci anni dall'attacco dell'11 settembre 2001, una data che il mondo non ha dimenticato. L'anniversario, celebrato da poco, ha riportato alla memoria le immagini di un evento che ha segnato profondamente l'inizio del millennio.

Il fatto è diventato oggetto di cronaca, dibattito politico- sociale- culturale, evento mediatico, punto di partenza di una riflessione che ha toccato non solo la storia, ma la psiche dell'uomo contemporaneo tra il silenzio del più profondo rispetto e l'urlo soffocante di chi ha vissuto più o meno indirettamente una grande ferita umana.

Il mondo dell'arte, dal canto suo, non è rimasto indifferente ad un evento di tale impatto: si sono moltiplicate le opere che hanno tracciato, secondo i più svariati punti di vista, l'effetto dell'accaduto con un fine comune: We will never forget.

Tra le prime commemorazioni si ricorda Tribute in Light, un'installazione di 88 fari di ricerca collocati nelle fondamenta delle torri finalizzati alla proiezione di due colonne di luce verticale in direzione del cielo.

I monumenti dedicati all'evento vengono annotati in una Memorial List costantemente aggiornata ad ogni nuova edificazione.

L'arte, il cinema e la letteratura hanno contribuito a documentare, rappresentare, rievocare, rileggere quegli attimi infiniti tra le 8. 45 e le 10.28, quei minuti che hanno cambiato la storia.

Tra tutte le testimonianze artistiche colpisce il romanzo di Jonathan Safran Foer Extremely Loud & Incredibily Close [3] . Il testo del 2005 è stato tradotto in film proiettato nelle sale americane nel 2011 e in quelle italiane nel 2012.

La vicenda ruota intorno ad un bambino, Oskar Schell, protagonista del romanzo e di una ricerca profonda che accompagna il lettore in una “caccia alle immagini” [4] attraverso i quartieri newyorkesi in un errare che rende le sue scarpe sempre “più pesanti” [5] tra l'impeto della scoperta e la consapevolezza della morte del padre [6] negli attacchi terroristici dell'11 settembre.

Il piccolo Oskar rappresenta la vita/arte che raccoglie gli ephemeras di quel giorno e di tante altre vite proiettandosi in una dimensione sognante in una camminata tra le macerie di una New York surreale che rimbalza tra apparenza ed enigma.

Il lettore vede attraverso gli occhi del bambino i reliquiari dell'accaduto, conosce le storie di quegli inquilini incontrati da Oskar in una disperata ricerca matematicamente precisa che sfoga la sua curiosità dando concretezza alla consapevolezza della più grande di tutte le mancanze: la morte.

 

 

Sulle tracce di Joseph Cornell [7]

Jonathan Safran Foer è noto al mondo dell'arte come grande ammiratore delle opere cornelliane. Il suo primo scritto A Convergence of Birds: Original Fiction and Poetry inspired by Joseph Cornell [8] è un'antologia di testi basata su racconti ispirati alle scatole Aviaries del “cacciatore di immagini”.

Il suo romanzo-esordio Everything is illuminated [9]  è un chiaro richiamo all'artista: “Ogni cosa è illuminata porta l'eco dell'arte di Joseph Cornell: è una reinterpretazione del viaggio come ricerca delle proprie radici e raccolta di oggetti che allestiscono una parete espositiva della memoria familiare” [10] .

Anche Molto forte, incredibilmente vicino [11] continua a condurre il lettore in un viaggio di ricerca che ha il sapore dell'indagine. La raccolta di elementi è l'equivalente di una minuziosa analisi archeologica [12] dove i pezzi-indizi vengono repertati quasi testimonianze di un giallo enigmatico. “Quando sono arrivato a casa ho esaminato i reperti in laboratorio, al microscopio, un pezzo alla volta: un cucchiaio storto, alcune viti, un paio di forbici arrugginite, un'automobilina, una penna, un portachiavi ad anello, gli occhiali rotti di qualcuno che ci vedeva davvero male..” [13] .

Il percorso di Oskar è documentato da una serie di scatti, fotografie realizzate con la macchina fotografica del nonno, eco di quella tradizione familiare sulla scia del romanzo precedente. Gli scatti intervallano il testo dando una testimonianza visiva della camminata “flâneuristica” del bambino: ogni immagine è una scoperta, objet trouvé, strappo di esistenza, stralcio di realtà che incontra casualmente la “missione” di Oskar.

I riferimenti a Monsieur Phot di Cornell sono evidenti, ma anche a L'uomo della folla di Poe con vari richiami alle promenades baudelairiane e agli inseguimenti ben noti al contemporaneo.

La caccia surrealista è animata dall'enigma di una chiave che racchiude un mistero in una scritta, “Black” [14] , lavoro per esperti de L' Antologie de l'Humor Noir, ricerca di “una soluzione semplice a un problema impossibile” [15] .

Tutto il romanzo si compone di elementi stranianti associati attraverso un accostamento surrealista, “molto forte, incredibilmente vicino”. É lo stesso meccanismo presente alla base delle creazioni cornelliane che intrecciano alchemicamente mondi differenti animati dalla delizia di un filtro personalissimo. Questo aspetto, questo taglio personale, è il filo conduttore degli scritti di Foer dove la memoria familiare, la tradizione e  l'interiorità diventano il moto della scoperta stessa.

La struttura del testo è un accumulo di parti disparate trattate come componenti della ricerca personale: così i pensieri di Oskar si mischiano alla storia, alla memoria, ai biglietti da visita, alle lettere dei nonni, alle fotografie, alle immagini, ai ritagli, alle scritte... “Ogni cosa è illuminata” dalla lente (magnifyieng glass) della scoperta.

 

 

Ludoteca psicogeografica

La memoria del piccolo Oskar è piena di ricordi del padre, strisce affettuose che caramellano gli eventi in chiave personale. Il padre di Oskar non è certo un uomo qualunque, ma un altro enigmista del burattinaio Foer che lascia sentire il peso del suo personaggio sul taglio di scoperta del figlio.

Il signor Schell è un giocatore nato, docente di stranezze e curiosità, cercatore e “cerchiatore” di errori dal New York Times [16] , creatore di bozze – prove - proofs [17] alla Duane Michals, propositore di indovinelli come il “gioco dell'identificazione” [18] , googleplex di idee [19] , “un google seguito da cento zeri” [20] ...

Il terreno di gioco per queste chicche da pensatori è la stessa New York, non solo quella reale, ma anche quella pensata-surreale in un'interiorizzazione che è psicogeografia cornelliana [21] .

Oskar impara attraverso piccoli giochi ad indovinello il senso della scoperta, la meraviglia della curiosità, il fascino dell'inventore: la sua mente risolve enigmi, progetta cerebralmente un servizio di bollitori che cantano Yellow submarine [22] come se fosse il Cappellaio Matto del “Paese delle Meraviglie”, pensa a possibili sonar [23] , skateboard per sentire battiti del cuore delle persone...

La sua letteratura d'infanzia è piena di storie surreali. Il padre del bambino è un vero cantastorie che inculca nella mente del figlio una certa dose di immaginazione e spirito di ricerca, teoria da verificare con indagine accurata come per il “sesto distretto” [24] : “Era un'isola separata da Manhattan da una sottile striscia d'acqua, il cui punto più stretto-guarda un po'- corrispondeva al record mondiale di salto in lungo, per cui precisamente un'unica persona sulla terra poteva andare da Manhattan al sesto distretto senza finire a mollo” [25] . Il padre gli racconta di una festa in cui “i bambini di New York catturavano le lucciole in barattoli di vetro che facevano galleggiare nell'acqua fra un distretto e l'altro. (…) quando l'atleta saltava il fiume era tutto un palpitìo di luce” [26] . L'immagine di quei barattoli ricorda il ritratto fotografico di Cornell scattato da Michals [27]   negli anni Settanta così vicino all'immagine di Safran in Ogni cosa è illuminata [28] .

Secondo la leggenda narrata dal padre il sesto distretto si muove allontanandosi un millimetro per volta:“I cavi del telefono e della luce si spezzarono costringendo gli abitanti del sesto distretto a tornare a tecnologie antiquate, generalmente simili a giochi di bambini: per riscaldare i pasti d'asporto usavano le lenti di ingrandimento; piegavano i documenti importanti in aeroplani di carta che si lanciavano da una finestra all'altra degli uffici; e quelle lucciole nei barattoli di vetro, che prima usavano solo per far scena durante il festival del salto in lungo, finirono per tenerle in ogni stanza di tutte le case al posto delle luci artificiali” [29] .

Il Central Park una volta si trovava in mezzo al sesto distretto: viene fatto scivolare fino al centro di Manhattan. Una coltre di bambini viene fatta sdraiare sul parco per evitarne la deriva: “Quando il parco trovò la sua sede attuale i bambini si erano addormentati tutti, ma proprio tutti, e il parco era un mosaico dei loro sogni” [30] . Il Central Park diventa quindi il centro del gioco, tesoro di sogni, luogo prediletto per i giochi di Oskar e del padre, raccolta di prove inconfutabili nascoste quali strani fossili o il PH discordante del laghetto.

Il parco è anche una delle tappe dell'errare di Cornell: si ricordano le scatole e il celebre ritratto in cui l'artista solleva una roccia scoprendo una fatina.

La leggenda-indovinello del sesto distretto termina con la collocazione definitiva in Antartide: “I marciapiedi sono coperti di ghiaccio, il vetro colorato della Biblioteca si sforza sotto il peso della neve. Ci sono fontane ghiacciate in parchi rionali ghiacciati, dove i bambini sono fermi all'apice della salita delle altalene, tenuti lì sospesi da corde ghiacciate. (…) I cavalli che tirano le carrozze nel parco. Sono inumani. Sono ghiacciati a metà del trotto. I venditori del mercato delle pulci sono ghiacciati a metà contrattazione. Le donne di mezza età sono ghiacciate a metà della loro vita. I martelletti dei giudici ghiacciati sono sospesi tra colpevolezza e innocenza. Per terra ci sono i cristalli ghiacciati dei primi respiri dei bambini, e quelli degli ultimi respiri dei moribondi. Su uno scaffale ghiacciato, in una capanna ghiacciata e tutta chiusa, c'è un barattolo con dentro una voce” [31] . É difficile non pensare ad Untitled (Setting for a fairy tale) [32] di Cornell, ma anche al concetto di congelamento della memoria che richiama Safran, il collezionista-protagonista di Ogni cosa è illuminata [33] .

 

 

Collezionisti

I personaggi dei romanzi di Foer sono cercatori-cacciatori di oggetti-immagini, collezionisti sulla scia cornelliana. Safran in Ogni cosa è illuminata allestiva una parete espositiva per il suo personalissimo museo di oggetti di famiglia. Allo stesso modo Oskar colleziona tracce-fotografie-indizi. Le persone incontrate dal bambino nel suo errare newyorkese sono a loro volta collezionisti maniacali: “L'appartamento era pieno di oggetti che aveva collezionato durante la sua vita e che io ho fotografato con la macchina del nonno. C'erano libri in lingue straniere, statuette, rotoli con bei dipinti, lattine di Coca da tutto il mondo e un mucchio di sassi sulla mensola del caminetto, anche se erano sassi comuni. Una cosa affascinante era che ogni sasso aveva vicino un pezzettino di carta che diceva dove e quando era stato raccolto tipo 'Normandia, 19/6/44' o 'Diga Hwach'on, 9/4/51' o 'Dallas, 22/11/64'” [34] .

Il gusto del collezionismo è l'eco di una volontà documentaristica e classificatoria. Non manca il fascino della catalogazione come per l' “indice biografico” [35] : “L'ho cominciato quando stavo iniziando a scrivere! Volevo fare una scheda relativa a tutti quelli per cui pensavo che un giorno mi sarebbe servito un riferimento! C'è una scheda per ogni persona di cui ho scritto qualcosa in vita mia! E anche le schede delle persone con cui ho parlato mentre scrivevo i miei articoli! E le schede di quelli di cui parlavano i libri che ho letto! E quelle delle persone citate nelle note dei libri! Alla mattina leggevo giornali e compilavo le schede di chiunque mi fosse sembrato biograficamente significativo! E continuo anche ora!” [36] .

La mente vola a Cornell che allestiva i suoi personalissimi schedari-dossiers tematici con minuziosa attenzione, “un laboratorio – diario - giornale di bordo - deposito, galleria d'arte, museo, santuario, osservatorio, chiave... il cuore di un labirinto, una camera di compensazione per sogni e visioni... la fanciullezza riconquistata” [37] , e a Safran che annotava data e proprietario degli oggetti di famiglia.

La vena collezionistica è un'ancora per il passato, la memoria, il preservare. Non è un caso che Oskar porti nel suo viaggio-indagine la macchina fotografica del nonno. Foer è particolarmente legato alle sue tradizioni, alla storia, alle radici, alla famiglia, a quel passato che ha fatto dell'uomo quello che è oggi.

L'oggetto-immagine-fotografia-reperto è un ponte tra passato e presente concepito come nodo dotato di forte significanza emotiva sulla scia cornelliana. Non manca anche in questo romanzo lo slittamento di piani temporali: in Molto forte incredibilmente vicino il testo è intervallato da lettere dei nonni di Oskar che   presentano il loro passato a Dresda e l'arrivo a New York.

La macchina fotografica mischia gli occhi di Oskar con quelli del nonno lasciando scivolare l'obiettivo tra mani parenti, ma lontane nel tempo. “Fotografò tutto. I lati inferiori dei cassetti dell'armadio. I lati posteriori degli specchi. Anche le cose rotte. Le cose che non hai voglia di ricordare. Avrebbe potuto ricostruire l'appartamento incollando insieme le foto. E i pomelli delle porte. Fotografò ogni pomello dell'appartamento. Proprio tutti. Quasi che il mondo e il futuro del mondo dipendessero da ciascun pomello. Quasi che, se veramente avessimo dovuto usare le loro foto, avremmo pensato ai pomelli” [38] . Avrebbe potuto realizzare un collage di stampo cornelliano: “Ma Cornell, anche se usciva ogni giorno dalla porta del tempo per esplorare le magiche prospettive dell’immaginazione associativa e, come un bimbo che incolla le figurine la sera, lavorava sul tavolo della cucina della modesta casa di Long Island sepolto in un mondo di piccoli oggetti, ritagli di stampe, biglietti di viaggio scaduti, angeli di bisquit e di carta ricamata, bicchierini, palle di vetro colorate, etichette, piccoli flaconi, carte del cielo e del mare, fotografie, frammenti di specchio, rami secchi e infiniti relitti del tempo, non per questo mancò di partecipare attivamente, in prima linea, alla vita di quella grande vicenda dell’arte americana” [39] .

La memoria è un legante talvolta difficile da affrontare, graffetta pungente di un passato che il presente ricorda con amarezza: “Lei ha preso una cucitrice . E una scatola di graffette. E del nastro adesivo. Adesso penso a queste cose. Carta, cucitrice, graffette, nastro. Mi danno la nausea. Cose materiali. Quarant'anni di amore per una persona trasformati in graffette e nastro adesivo” [40] . I segni lasciano affiorare ricordi che si vorrebbero eliminare: “quando tuo nonno m'aveva lasciata, quarant'anni prima, avevo cancellato tutto quello che aveva scritto. Avevo cancellato le parole dagli spacchi e dai pavimenti. Tinteggiato i muri. Ripulito le tende della doccia. Levigato addirittura i pavimenti. Per liberarmi di tutte le sue parole ci misi tanto tempo quanto era quello da cui lo conoscevo . Come capovolgere una clessidra” [41] .

 

 

Grattacieli

 

Il continuo riferimento al passato e al ricordo si mischia al presente in un asse che edifica qualcosa tra la vita e la morte, due realtà a specchio. La mente di Oskar fantastica sui numeri e le forme: dal National Geographic si apprende che “ci sono più persone vive oggi di quante ne sono morte in tutta la storia dell'uomo. Se tutti volessero recitare Amleto contemporaneamente, non ci sarebbero abbastanza teschi” [42] . L'idea è quella di un doppio spazio per la vita e la morte: “E inventare grattacieli per i morti, costruiti verso il basso ? Potrebbero star sotto i grattacieli per i vivi, che sono costruiti verso l'alto. Si potrebbe seppellire la gente cento piani nella terra, e ci sarebbe tutto un mondo morto sotto quello vivo. A volte penso che sarebbe pazzesco se ci fosse un grattacielo che va su e giù mentre il suo ascensore resta fermo” [43] . La metafora si lega alle Torri Gemelle, ma anche all'idea del monumento alla memoria, richiamo alla pietra. Il legame tra i due mondi è un reliquiario dell'esistenza. “Il fumo sale a velocità diverse, ma le vite sono tutte in fiamme e tutti siamo in trappola” [44] .

La ricerca di Oskar non è altro che provare a dare un senso ad una bara vuota, un finto posto che il bambino non riesce a riempire nella realtà come nella sua mente: “anche se la bara di papà era vuota, il suo ripostiglio era pieno” [45] . La chiave con la scritta Black, errare, fotografare, repertare sono segni e gesti che svelano un tentativo di compensazione così come l'edificazione di monumenti funebri, un segno tangibile di qualcosa che non c'è più, ma che si vuole ricordare. Oskar pensa a edifici vuoti, palazzi fantasma [46] che richiamano i giochi linguistici sull'Empire, “Empty State Building” [47] : “Siamo di fronte a una scatola chiusa che non possiamo aprire” [48] . Oskar deve riempire un vuoto affettivo e conoscitivo: la sua ricerca finisce nel momento in cui capisce che non importa sapere la modalità con cui è morto il padre. Il finale è un viaggio à rebours molto simile a Il curioso caso di Benjamin Button [49] che però, nel romanzo, funziona come uno di quei taccuini che raccolgono pacchi di fogli per i cartoni animati da sfogliare per dare inizio all'animazione, ma al contrario. “Ho preso la torcia dal mio zaino e l'ho puntata contro il libro. Ho visto le cartine, i disegni , le foto prese dai giornali e riviste e da Internet, e quelle che avevo scattato io con la macchina del nonno. C'era tutto un mondo lì dentro. Finalmente ho trovato il corpo che cadeva.

Era papà? Forse.

Chiunque fosse, era qualcuno.

Ho strappato le pagine del libro.

Le ho rimesse in ordine al contrario, in modo che l'ultima fosse la prima e la prima fosse l'ultima.

Le ho sfogliate velocemente e sembrava che l'uomo stesse alzandosi in cielo.

E se avessi avuto altre fotografie, sarebbe volato dentro una finestra e dentro la torre, e il fumo sarebbe stato aspirato nel buco da cui l'aereo stava per uscire.

Papà avrebbe lasciato i suoi messaggi a rovescio finché la segreteria non sarebbe stata vuota, e l'aereo sarebbe volato all'indietro, fino a Boston.

Papà avrebbe preso l'ascensore per scendere in strada e schiacciato il bottone per l'ultimo piano.

Avrebbe camminato all'indietro fino al metrò e il metrò sarebbe andato indietro nel tunnel fino alla nostra fermata.

(…) Mi avrebbe raccontato la storia del sesto distretto, della voce nel barattolo fino all'inizio, da 'Ti amo' a 'Una volta, ma tanto tempo fa..'.

E saremmo stati salvi” [50] .






Bibliografia

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NOTE

[1]      J. S. FOER, Extremely Loud & Incredibly Close, (tr. it. A cura di M. Bocchiola, Molto forte, incredibilmente vicino), Milano 2009²

[2]      Ivi , p. 329

[3]      Ibidem

[4]      C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy. The Art of Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di immagini. L’arte di Joseph Cornell) Milano 2005².

[5]      FOER 2009², p. 150

[6]      Ivi, p. 15

[7]      D. SOLOMON, Utopia Parkway : the life and work of Joseph Cornell, Boston 2004

[8]      J. S. FOER, A Convergence of Birds:  Original Fiction and Poetry inspired by Joseph Cornell , New York 2007³

[9]      J. S. FOER, Everything is illuminated, (tr. It a cura di M. Bocchiola, Ogni cosa è illuminata) Milano 2004²

[10]    E. ROVIDA, “Ogni cosa è illuminata”: un'indagine surrealista, “collegare.net” 2011, http://www.collegare.net/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=12&Itemid=17

[11]    FOER 2009²

[12]    Ivi, p. 21

[13]    Ibidem

[14]    Ivi, p. 55

[15]    Ivi, p. 308

[16]    Ivi, p. 21

[17]    D. MICHALS, Real Dreams, Danbury (NH) 1976.

[18]    FOER 2009², p. 20

[19]    Ivi, p. 48

[20]    Ivi, p. 53

[21]    A. SBRILLI , Rêveries germaniques. Una psico-geografia del Romanticismo nell’opera di Joseph Cornell (1903-1972), “collegare.net”, aprile 2010,  

           http://www.collegare.net/index.php?view=article&catid=9%3Acornell&id=3%3A..

[22]    FOER 2009², p. 13

[23]    Ibidem

[24]    Ivi,  pp. 236-52

[25]    Ivi, p. 236

[26]    Ivi, pp. 236-7

[27]    M. LIVINGSTONE, The Essential Duane Michals, Boston 1997

[28]    E. ROVIDA, “Ogni cosa è illuminata”: un'indagine surrealista, “collegare.net” 2011, http://www.collegare.net/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=12&Itemid=17

[29]    FOER 2009², p. 238

[30]    Ivi, p. 240

[31]    Ivi, pp. 241-42

[33]    FOER 2004²

[34]    FOER 2009², pp. 174-175

[35]    Ivi, p. 175

[36]    Ivi, pp. 175-6

[37]    SIMIC 2005², p. 68

[38]    FOER 2009², pp. 193-194

[39]    Joseph Cornell, catalogo della mostra a cura di K. McShine, (Firenze 1981), Firenze 1981, p.11.

[40]    FOER 2009², pp. 248-9

[41]    Ivi, p. 252

[42]    Ivi, p. 15

[43]    Ibidem

[44]    Ivi, p. 265

[45]    Ivi, p. 49

[46]    SIMIC 2005², p. 90

[47]    FOER 2009², p. 268

[48]    Ivi, p. 329

[50]    FOER 2009²,  p. 350







 

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