“Siamo di fronte a una scatola chiusa che non possiamo
aprire” [2]
11 settembre. Dieci anni dopo
Sono passati dieci anni dall'attacco dell'11 settembre 2001,
una data che il mondo non ha dimenticato. L'anniversario, celebrato da poco, ha
riportato alla memoria le immagini di un evento che ha segnato profondamente
l'inizio del millennio.
Il fatto è diventato oggetto di cronaca, dibattito politico-
sociale- culturale, evento mediatico, punto di partenza di una riflessione che
ha toccato non solo la storia, ma la psiche dell'uomo contemporaneo tra il
silenzio del più profondo rispetto e l'urlo soffocante di chi ha vissuto più o
meno indirettamente una grande ferita umana.
Il mondo dell'arte, dal canto suo, non è rimasto
indifferente ad un evento di tale impatto: si sono moltiplicate le opere che
hanno tracciato, secondo i più svariati punti di vista, l'effetto dell'accaduto
con un fine comune: We will never forget.
Tra le prime commemorazioni si ricorda Tribute in Light,
un'installazione di 88 fari di ricerca collocati nelle fondamenta delle torri
finalizzati alla proiezione di due colonne di luce verticale in direzione del
cielo.
I monumenti dedicati all'evento vengono annotati in una Memorial
List costantemente aggiornata ad ogni nuova edificazione.
L'arte, il cinema e la letteratura hanno contribuito a
documentare, rappresentare, rievocare, rileggere quegli attimi infiniti tra le
8. 45 e le 10.28, quei minuti che hanno cambiato la storia.
Tra tutte le testimonianze artistiche colpisce il romanzo di
Jonathan Safran Foer Extremely Loud & Incredibily Close [3] . Il
testo del 2005 è stato tradotto in film proiettato nelle sale americane nel
2011 e in quelle italiane nel 2012.
La vicenda ruota intorno ad un bambino, Oskar Schell,
protagonista del romanzo e di una ricerca profonda che accompagna il lettore in
una “caccia alle immagini” [4] attraverso
i quartieri newyorkesi in un errare che rende le sue scarpe sempre “più
pesanti” [5]
tra l'impeto della scoperta e la consapevolezza della morte del padre
negli attacchi terroristici dell'11 settembre.
Il piccolo Oskar rappresenta la vita/arte che raccoglie gli ephemeras
di quel giorno e di tante altre vite proiettandosi in una dimensione sognante
in una camminata tra le macerie di una New York surreale che rimbalza tra
apparenza ed enigma.
Il lettore vede attraverso gli occhi del bambino i
reliquiari dell'accaduto, conosce le storie di quegli inquilini incontrati da
Oskar in una disperata ricerca matematicamente precisa che sfoga la sua
curiosità dando concretezza alla consapevolezza della più grande di tutte le
mancanze: la morte.
Sulle tracce di Joseph Cornell [7]
Jonathan Safran Foer è noto al mondo dell'arte come grande
ammiratore delle opere cornelliane. Il suo primo scritto A Convergence of
Birds: Original Fiction and Poetry inspired by Joseph Cornell [8] è un'antologia di testi basata su racconti
ispirati alle scatole Aviaries del “cacciatore di immagini”.
Il suo romanzo-esordio Everything is illuminated [9] è un chiaro richiamo all'artista: “Ogni
cosa è illuminata porta l'eco dell'arte di Joseph Cornell: è una
reinterpretazione del viaggio come ricerca delle proprie radici e raccolta di
oggetti che allestiscono una parete espositiva della memoria familiare” [10] .
Anche Molto forte, incredibilmente vicino [11] continua a condurre il lettore in un
viaggio di ricerca che ha il sapore dell'indagine. La raccolta di elementi è
l'equivalente di una minuziosa analisi archeologica [12]
dove i pezzi-indizi vengono repertati quasi testimonianze di un giallo
enigmatico. “Quando sono arrivato a casa ho esaminato i reperti in laboratorio,
al microscopio, un pezzo alla volta: un cucchiaio storto, alcune viti, un paio
di forbici arrugginite, un'automobilina, una penna, un portachiavi ad anello,
gli occhiali rotti di qualcuno che ci vedeva davvero male..” [13] .
Il percorso di Oskar è documentato da una serie di scatti,
fotografie realizzate con la macchina fotografica del nonno, eco di quella
tradizione familiare sulla scia del romanzo precedente. Gli scatti intervallano
il testo dando una testimonianza visiva della camminata “flâneuristica” del
bambino: ogni immagine è una scoperta, objet trouvé, strappo di
esistenza, stralcio di realtà che incontra casualmente la “missione” di Oskar.
I riferimenti a Monsieur Phot di Cornell sono
evidenti, ma anche a L'uomo della folla di Poe con vari richiami alle promenades
baudelairiane e agli inseguimenti ben noti al contemporaneo.
La caccia surrealista è animata dall'enigma di una chiave
che racchiude un mistero in una scritta, “Black”,
lavoro per esperti de L' Antologie de l'Humor Noir, ricerca di
“una soluzione semplice a un problema impossibile”.
Tutto il romanzo si compone di elementi stranianti associati
attraverso un accostamento surrealista, “molto forte, incredibilmente vicino”.
É lo stesso meccanismo presente alla base delle creazioni cornelliane che
intrecciano alchemicamente mondi differenti animati dalla delizia di un filtro
personalissimo. Questo aspetto, questo taglio personale, è il filo conduttore
degli scritti di Foer dove la memoria familiare, la tradizione e l'interiorità diventano il moto della
scoperta stessa.
La struttura del testo è un accumulo di parti disparate
trattate come componenti della ricerca personale: così i pensieri di Oskar si
mischiano alla storia, alla memoria, ai biglietti da visita, alle lettere dei
nonni, alle fotografie, alle immagini, ai ritagli, alle scritte... “Ogni cosa è
illuminata” dalla lente (magnifyieng glass) della scoperta.
Ludoteca psicogeografica
La memoria del piccolo Oskar è piena di ricordi del padre,
strisce affettuose che caramellano gli eventi in chiave personale. Il padre di
Oskar non è certo un uomo qualunque, ma un altro enigmista del burattinaio Foer
che lascia sentire il peso del suo personaggio sul taglio di scoperta del
figlio.
Il signor Schell è un giocatore nato, docente di stranezze e
curiosità, cercatore e “cerchiatore” di errori dal New York Times,
creatore di bozze – prove - proofs [17] alla Duane Michals, propositore di
indovinelli come il “gioco dell'identificazione”, googleplex di idee,
“un google seguito da cento zeri”...
Il terreno di gioco per queste chicche da pensatori è la
stessa New York, non solo quella reale, ma anche quella pensata-surreale in
un'interiorizzazione che è psicogeografia cornelliana.
Oskar impara attraverso piccoli giochi ad indovinello il
senso della scoperta, la meraviglia della curiosità, il fascino dell'inventore:
la sua mente risolve enigmi, progetta cerebralmente un servizio di bollitori
che cantano Yellow submarinecome se fosse il Cappellaio Matto del “Paese
delle Meraviglie”, pensa a possibili sonar,
skateboard per sentire battiti del cuore delle persone...
La sua letteratura d'infanzia è piena di storie surreali. Il
padre del bambino è un vero cantastorie che inculca nella mente del figlio una
certa dose di immaginazione e spirito di ricerca, teoria da verificare con
indagine accurata come per il “sesto distretto” [24] :
“Era un'isola separata da Manhattan da una sottile striscia d'acqua, il cui punto
più stretto-guarda un po'- corrispondeva al record mondiale di salto in lungo,
per cui precisamente un'unica persona sulla terra poteva andare da Manhattan al
sesto distretto senza finire a mollo” [25] .
Il padre gli racconta di una festa in cui “i bambini di New York catturavano le
lucciole in barattoli di vetro che facevano galleggiare nell'acqua fra un
distretto e l'altro. (…) quando l'atleta saltava il fiume era tutto un palpitìo
di luce” [26] .
L'immagine di quei barattoli ricorda il ritratto fotografico di Cornell
scattato da Michals [27] negli anni Settanta così vicino all'immagine
di Safran in Ogni cosa è illuminata [28] .
Secondo la leggenda narrata dal padre il sesto distretto si
muove allontanandosi un millimetro per volta:“I cavi del telefono e della luce
si spezzarono costringendo gli abitanti del sesto distretto a tornare a
tecnologie antiquate, generalmente simili a giochi di bambini: per riscaldare i
pasti d'asporto usavano le lenti di ingrandimento; piegavano i documenti
importanti in aeroplani di carta che si lanciavano da una finestra all'altra
degli uffici; e quelle lucciole nei barattoli di vetro, che prima usavano solo
per far scena durante il festival del salto in lungo, finirono per tenerle in
ogni stanza di tutte le case al posto delle luci artificiali” [29] .
Il Central Park una volta si trovava in mezzo al sesto
distretto: viene fatto scivolare fino al centro di Manhattan. Una coltre di
bambini viene fatta sdraiare sul parco per evitarne la deriva: “Quando il parco
trovò la sua sede attuale i bambini si erano addormentati tutti, ma proprio
tutti, e il parco era un mosaico dei loro sogni” [30] .
Il Central Park diventa quindi il centro del gioco, tesoro di sogni, luogo
prediletto per i giochi di Oskar e del padre, raccolta di prove inconfutabili
nascoste quali strani fossili o il PH discordante del laghetto.
Il parco è anche una delle tappe dell'errare di Cornell: si
ricordano le scatole e il celebre ritratto in cui l'artista solleva una roccia
scoprendo una fatina.
La leggenda-indovinello del sesto distretto termina con la
collocazione definitiva in Antartide: “I marciapiedi sono coperti di ghiaccio,
il vetro colorato della Biblioteca si sforza sotto il peso della neve. Ci sono
fontane ghiacciate in parchi rionali ghiacciati, dove i bambini sono fermi all'apice
della salita delle altalene, tenuti lì sospesi da corde ghiacciate. (…) I
cavalli che tirano le carrozze nel parco. Sono inumani. Sono ghiacciati a metà
del trotto. I venditori del mercato delle pulci sono ghiacciati a metà
contrattazione. Le donne di mezza età sono ghiacciate a metà della loro vita. I
martelletti dei giudici ghiacciati sono sospesi tra colpevolezza e innocenza.
Per terra ci sono i cristalli ghiacciati dei primi respiri dei bambini, e
quelli degli ultimi respiri dei moribondi. Su uno scaffale ghiacciato, in una
capanna ghiacciata e tutta chiusa, c'è un barattolo con dentro una voce” [31] .
É difficile non pensare ad Untitled (Setting for a fairy tale) di
Cornell, ma anche al concetto di congelamento della memoria che richiama
Safran, il collezionista-protagonista di Ogni cosa è illuminata [33] .
Collezionisti
I personaggi dei romanzi di Foer sono cercatori-cacciatori
di oggetti-immagini, collezionisti sulla scia cornelliana. Safran in Ogni
cosa è illuminata allestiva una parete espositiva per il suo personalissimo
museo di oggetti di famiglia. Allo stesso modo Oskar colleziona
tracce-fotografie-indizi. Le persone incontrate dal bambino nel suo errare
newyorkese sono a loro volta collezionisti maniacali: “L'appartamento era pieno
di oggetti che aveva collezionato durante la sua vita e che io ho fotografato
con la macchina del nonno. C'erano libri in lingue straniere, statuette, rotoli
con bei dipinti, lattine di Coca da tutto il mondo e un mucchio di sassi sulla
mensola del caminetto, anche se erano sassi comuni. Una cosa affascinante era
che ogni sasso aveva vicino un pezzettino di carta che diceva dove e quando era
stato raccolto tipo 'Normandia, 19/6/44' o 'Diga Hwach'on, 9/4/51' o 'Dallas,
22/11/64'” [34] .
Il gusto del collezionismo è l'eco di una volontà
documentaristica e classificatoria. Non manca il fascino della catalogazione
come per l' “indice biografico” [35] : “L'ho cominciato quando stavo iniziando a
scrivere! Volevo fare una scheda relativa a tutti quelli per cui pensavo che un
giorno mi sarebbe servito un riferimento! C'è una scheda per ogni persona di
cui ho scritto qualcosa in vita mia! E anche le schede delle persone con cui ho
parlato mentre scrivevo i miei articoli! E le schede di quelli di cui parlavano
i libri che ho letto! E quelle delle persone citate nelle note dei libri! Alla
mattina leggevo giornali e compilavo le schede di chiunque mi fosse sembrato
biograficamente significativo! E continuo anche ora!” [36] .
La mente vola a Cornell che allestiva i suoi personalissimi
schedari-dossiers tematici con minuziosa attenzione, “un laboratorio – diario -
giornale di bordo - deposito, galleria d'arte, museo, santuario, osservatorio,
chiave... il cuore di un labirinto, una camera di compensazione per sogni e
visioni... la fanciullezza riconquistata”,
e a Safran che annotava data e proprietario degli oggetti di famiglia.
La vena collezionistica è un'ancora per il passato, la
memoria, il preservare. Non è un caso che Oskar porti nel suo viaggio-indagine
la macchina fotografica del nonno. Foer è particolarmente legato alle sue
tradizioni, alla storia, alle radici, alla famiglia, a quel passato che ha
fatto dell'uomo quello che è oggi.
L'oggetto-immagine-fotografia-reperto è un ponte tra passato
e presente concepito come nodo dotato di forte significanza emotiva sulla scia
cornelliana. Non manca anche in questo romanzo lo slittamento di piani
temporali: in Molto forte incredibilmente vicino il testo è intervallato
da lettere dei nonni di Oskar che
presentano il loro passato a Dresda e l'arrivo a New York.
La macchina fotografica mischia gli occhi di Oskar con
quelli del nonno lasciando scivolare l'obiettivo tra mani parenti, ma lontane
nel tempo. “Fotografò tutto. I lati inferiori dei cassetti dell'armadio. I lati
posteriori degli specchi. Anche le cose rotte. Le cose che non hai voglia di
ricordare. Avrebbe potuto ricostruire l'appartamento incollando insieme le
foto. E i pomelli delle porte. Fotografò ogni pomello dell'appartamento.
Proprio tutti. Quasi che il mondo e il futuro del mondo dipendessero da ciascun
pomello. Quasi che, se veramente avessimo dovuto usare le loro foto, avremmo
pensato ai pomelli” [38] .
Avrebbe potuto realizzare un collage di stampo cornelliano: “Ma Cornell,
anche se usciva ogni giorno dalla porta del tempo per esplorare le magiche
prospettive dell’immaginazione associativa e, come un bimbo che incolla le
figurine la sera, lavorava sul tavolo della cucina della modesta casa di Long
Island sepolto in un mondo di piccoli oggetti, ritagli di stampe, biglietti di
viaggio scaduti, angeli di bisquit e
di carta ricamata, bicchierini, palle di vetro colorate, etichette, piccoli
flaconi, carte del cielo e del mare, fotografie, frammenti di specchio, rami
secchi e infiniti relitti del tempo, non per questo mancò di partecipare attivamente,
in prima linea, alla vita di quella grande vicenda dell’arte americana” .
La memoria è un legante talvolta difficile da affrontare,
graffetta pungente di un passato che il presente ricorda con amarezza: “Lei ha
preso una cucitrice . E una scatola di graffette. E del nastro adesivo. Adesso
penso a queste cose. Carta, cucitrice, graffette, nastro. Mi danno la nausea.
Cose materiali. Quarant'anni di amore per una persona trasformati in graffette
e nastro adesivo” [40] .
I segni lasciano affiorare ricordi che si vorrebbero eliminare: “quando tuo
nonno m'aveva lasciata, quarant'anni prima, avevo cancellato tutto quello che
aveva scritto. Avevo cancellato le parole dagli spacchi e dai pavimenti.
Tinteggiato i muri. Ripulito le tende della doccia. Levigato addirittura i
pavimenti. Per liberarmi di tutte le sue parole ci misi tanto tempo quanto era
quello da cui lo conoscevo . Come capovolgere una clessidra” [41] .
Grattacieli
Il continuo riferimento al passato e al ricordo si mischia
al presente in un asse che edifica qualcosa tra la vita e la morte, due realtà
a specchio. La mente di Oskar fantastica sui numeri e le forme: dal National
Geographic si apprende che “ci sono più persone vive oggi di quante ne sono
morte in tutta la storia dell'uomo. Se tutti volessero recitare Amleto contemporaneamente,
non ci sarebbero abbastanza teschi”.
L'idea è quella di un doppio spazio per la vita e la morte: “E inventare
grattacieli per i morti, costruiti verso il basso ? Potrebbero star sotto i
grattacieli per i vivi, che sono costruiti verso l'alto. Si potrebbe seppellire
la gente cento piani nella terra, e ci sarebbe tutto un mondo morto sotto
quello vivo. A volte penso che sarebbe pazzesco se ci fosse un grattacielo che
va su e giù mentre il suo ascensore resta fermo”.
La metafora si lega alle Torri Gemelle, ma anche all'idea del monumento alla
memoria, richiamo alla pietra. Il legame tra i due mondi è un reliquiario
dell'esistenza. “Il fumo sale a velocità diverse, ma le vite sono tutte in
fiamme e tutti siamo in trappola”.
La ricerca di Oskar non è altro che provare a dare un senso
ad una bara vuota, un finto posto che il bambino non riesce a riempire nella
realtà come nella sua mente: “anche se la bara di papà era vuota, il suo
ripostiglio era pieno”.
La chiave con la scritta Black, errare, fotografare, repertare sono segni e
gesti che svelano un tentativo di compensazione così come l'edificazione di
monumenti funebri, un segno tangibile di qualcosa che non c'è più, ma che si
vuole ricordare. Oskar pensa a edifici vuoti, palazzi fantasma
che richiamano i giochi linguistici sull'Empire, “Empty State Building”:
“Siamo di fronte a una scatola chiusa che non possiamo aprire”.
Oskar deve riempire un vuoto affettivo e conoscitivo: la sua ricerca finisce
nel momento in cui capisce che non importa sapere la modalità con cui è morto
il padre. Il finale è un viaggio à rebours molto simile a Il curioso
caso di Benjamin Button che
però, nel romanzo, funziona come uno di quei taccuini che raccolgono pacchi di
fogli per i cartoni animati da sfogliare per dare inizio all'animazione, ma al
contrario. “Ho preso la torcia dal mio zaino e l'ho puntata contro il libro. Ho
visto le cartine, i disegni , le foto prese dai giornali e riviste e da
Internet, e quelle che avevo scattato io con la macchina del nonno. C'era tutto
un mondo lì dentro. Finalmente ho trovato il corpo che cadeva.
Era papà? Forse.
Chiunque fosse, era qualcuno.
Ho strappato le pagine del libro.
Le ho rimesse in ordine al contrario, in modo che l'ultima
fosse la prima e la prima fosse l'ultima.
Le ho sfogliate velocemente e sembrava che l'uomo stesse
alzandosi in cielo.
E se avessi avuto altre fotografie, sarebbe volato dentro una finestra e dentro la torre, e il fumo sarebbe stato aspirato nel buco da cui l'aereo stava per uscire.
Papà avrebbe lasciato i suoi messaggi a rovescio finché la
segreteria non sarebbe stata vuota, e l'aereo sarebbe volato all'indietro, fino
a Boston.
Papà avrebbe preso l'ascensore per scendere in strada e
schiacciato il bottone per l'ultimo piano.
Avrebbe camminato all'indietro fino al metrò e il metrò
sarebbe andato indietro nel tunnel fino alla nostra fermata.
(…) Mi avrebbe raccontato la storia del sesto distretto,
della voce nel barattolo fino all'inizio, da 'Ti amo' a 'Una volta, ma tanto
tempo fa..'.
E
saremmo stati salvi” [50] .
Bibliografia
R.
COHEN, A Chance Meeting: Intertwined Lives of American Writers and Artists,
1854-1967, (tr. It.
a cura di S. Manferlotti, Un incontro
casuale. Le vite intrecciate di scrittori e artisti americani, 1845-1967)
Milano 2006.
J. S.
FOER, Eating Animals, (tr. it. A cura di M. Bocchiola, Se niente importa) Milano
2010
J. S.
FOER, Everything is illuminated, (tr. It a cura di M. Bocchiola, Ogni cosa è illuminata),
Milano 2004²
J. S.
FOER, Extremely Loud & Incredibly Close, (tr. it. A cura di M. Bocchiola, Molto
forte, incredibilmente vicino, Milano 2009²
M. KUNDERA, L'insostenibile leggerezza dell'essere,
Milano 2010³¹
M.
LIVINGSTONE, The Essential Duane Michals, Boston 1997.
Joseph Cornell, catalogo della mostra a cura di K. McShine, (Firenze 1981),
Firenze 1981.
Joseph
Cornell: Navigating the Imagination,
catalogo della mostra a cura di L. Roscoe Hartigan, (Salem,
Washington 2006 – 2007), Salem, Washington,
London 2006.
E. ROVIDA, American Beauty, “Bta”, n. 571,
01/09/10, http://bta.it/txt/a0/05/bta00571.html
E. ROVIDA, Fotografica-mente, "Bta", n. 573, 13/09/10, http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00573.html
E. ROVIDA, Lee Miller e Joseph Cornell: La Musa e
l'argonauta, “Bta”, n. 566, 20/06/2010,
http://bta.it/txt/a0/05/bta00566.html
E.
ROVIDA, Time voyager: echi di Joseph Cornell nel bestseller “The time's
Traveler's Wife”, “Bta” n. 577, 17/10/2010, http://bta.it/txt/a0/05/bta00577.html
E. ROVIDA, “Un'inquietante simmetria”: un mosaico di
immagini, “Bta” n. 579, 03/11/2010, http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00579.html
A. SBRILLI, Joseph Cornell. Ogni cosa è illuminata,
“Art e Dossier” n. 260, novembre 2009
A. SBRILLI, P. CASTELLI, Esplorazioni, estensioni,
costellazioni. Aspetti della memoria in Joseph Cornell, “La Rivista di
Engramma on line”, n. 70, marzo 2009, < www.engramma.it>.
C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy. The Art of
Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di
immagini. L’arte di Joseph Cornell) Milano
2005².
D.
SOLOMON, Utopia Parkway:
the life and work of Joseph Cornell, Boston 2004.
B. M.
STAFFORD, F. TERPAK, Devices of Wonder. From the world in a box to images on
a screen, Los Angeles 2001.
D.
WALDMAN, Joseph Cornell: Master of dreams, New York 2002.
|