La chiesa del Gran Priorato di S.
Andrea a Piazza Armerina fu donata nel 1148 da Simone Aleramico all’Ordine dei
Cavalieri del S. Sepolcro di Gerusalemme. Sulla data di donazione le fonti che
si sono avvicendate non sono state sempre concordi , soltanto Carlo Alberto
Garufi, in base ad una ricerca storica più approfondita, all’inizio del secolo
scorso, ha posto nel 1148 e precisamente al 30 novembre, giorno consacrato
all’apostolo Andrea, la data dell’avvenimento . Questo atto sanciva a
tutti gli effetti il riconoscimento politico, da parte della famiglia dei
marchesi aleramici, della missione di riconquista dell’isola in senso cristiano,
dopo il lungo dominio musulmano.
Ricordiamo che la famiglia in
questione, originaria del nord Italia, giunse al seguito del Granconte Ruggero,
con cui instaurò una vera e propria politica matrimoniale, il cui caso più
esemplare può essere considerato quello delle nozze dello stesso normanno con
Adelasia del Vasto ,
zia di Simone, terza moglie del Granconte, nonché madre del re Ruggero II.
L’azione coincideva anche con un
fenomeno storico e culturale che stava coinvolgendo quasi tutta l’Europa, quello
delle crociate che vide la
Sicilia direttamente coinvolta, in primis come vero e proprio laboratorio di sperimentazione di una
vera e propria Reconquista, poi
perché, dal punto di vista geografico, la collocazione strategica dell’isola
rendeva l’isola stessa un ponte, una piattaforma di sosta per i cavalieri e i
pellegrini che avrebbero poi raggiunto i luoghi santi della Palestina.
Dal punto di vista architettonico
(Fig.1), la discussione critica non è stata sempre concorde per quanto
riguarda la cronologia e gli influssi culturali dell’edificio sacro . L’importanza del
monumento, dal punto di vista storico e architettonico, è inoltre corroborata
dalla presenza, al suo interno, di un
importante palinsesto di pittura siciliana medievale.
Gli affreschi, restaurati tramite
tecnica dello strappo, consistono in 21 pannelli, oggi posizionati sulle pareti
dell’edificio e corrispondenti a vari secoli del periodo medievale,
precisamente dal XII al XV. Il loro stato di conservazione non ci permette la
lettura integrale di quasi tutti i brani pittorici, ad eccezione di quelli che
nel XVIII non vennero “dealbati”, perché direttamente legati a questioni di
culto e soprattutto di devozione popolare .
La discussione sulla data di
erezione dell’edificio medesimo è chiaramente importante per determinare la
cronologia afferente agli affreschi. Una prima fase bizantineggiante è stata
messa a confronto con altre esperienze quasi coeve sempre riconducibili alla
zona centro - orientale della Sicilia (la cappella del castello di Paternò, la
chiesa di S. Nicolò a Castiglione di Sicilia, le pitture murali degli oratori
rupestri di Assoro e di Enna). I fenomeni che ci rimangono nelle arti visive
possono dunque essere interpretati come testimonianze storiche e culturali di
grande spessore, poiché la cultura “crociata”, di cui l’edificio fu detentore
s’irradiò in altri contesti, si diffuse ed è dunque spia per farci intendere
che il ruolo del Priorato dovette dunque essere quello di attore principale, di
veicolo attivo nella propulsione dei nuovi valori. Del resto, l’affermazione
dei Normanni in Sicilia, dal punto di vista politico, consistette proprio nella
creazione di diocesi .
Non si può ritenere che ad atti
politici non dovessero corrispondere fatti culturali, e così gli Aleramici, che
supportarono fortemente i Normanni, almeno fino al secolo successivo, sposarono
in pieno la causa “crociata”, tanto che la stessa Adelasia, dopo la morte del
Granconte, sposò Baldovino re di Gerusalemme, divenendo così regina della città
santa . La recente mostra
svoltasi presso il Museo Diocesano della città di Piazza Armerina, dal titolo La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal
Granconte Ruggero al Settecento, ha posto fortemente questo problema. In
merito alla pittura del XII secolo, è chiaro che ci si trovi di fronte ad una
vera e propria koinè
bizantineggiante, che denuncia gli evidenti rapporti con l’oriente.
La studiosa Maria Katja Guida , curatrice della mostra,
mette in relazione il culto dell’icona della Madonna delle Vittorie di Piazza
Armerina, agganciandola proprio al contesto di circolazione di cultura “franca”
in Sicilia e ad altri fatti storici e culturali, come la crociata che coinvolse
Federico II, che lo fece approdare a Cipro . La studiosa considera
l’icona piazzese una riproposizione del modello della Madonna del Monastero di
Kykkos a Cipro da cui deriverebbero anche le esperienze di pittura murale
pugliese .
Su questo tema si dispiega l’argomentazione di Maria Katja Guida riguardo a
questo periodo storico. Ma la chiesa di S. Andrea e la sua pittura sono più famosi per un’altra
fase individuata e letta da Raffaello Delogu , giustamente, come un unicum, come un fenomeno straordinario
in tutta la Sicilia. Sto parlando della
seconda fase cronologica degli affreschi, definita dal Delogu “romanica” e
d’impronta tipicamente occidentale, una fase che è divenuta più famosa, tanto
da collegare ad essa il Maestro degli affreschi di S. Andrea” .
Dopo il Delogu, altri studiosi
hanno preso in considerazione questo momento della pittura della chiesa
piazzese, come ad esempio Pierluigi Leone De Castris . Paola Santucci ha poi
messo in relazione la pittura di questa fase a quella catalano - roussiglionese, mettendo in luce alcuni eventi
storici dell’ultimo ventennio del XIII secolo che si rifletterebbero in fatti
della cultura figurativa dell’Italia meridionale, in particolare della Puglia,
e che troverebbero una somiglianza con le opere del pittore Giovanni da Taranto
. La lettura “occidentale”
è stata contraddetta da Concetta Maiezza , che ha messo in
relazione questa seconda fase sempre con pittura di Terrasanta. Il Bella ha
confermato quest’ultima lettura . Il Delogu, nel
sottolineare la lettura “occidentale”, la postergava al XIII secolo. La sua
lettura risulta ancora interessante, proprio per averne sottolineato il carattere
eccezionale, romanico e occidentale all’interno di un contesto come quello
siciliano, fortemente caratterizzato dal bizantinismo. Alcune linee di
continuità potrebbero esser lette in alcuni elementi decorativi – le rotae ad esempio, presenti nelle vesti
delle sante - e in altre raffigurazioni, ma vengono notevolmente contraddette
da uno stile che marca gli appunti di una poetica vivace, per dirla come
Delogu, “di un’arte giovane”.
Ed è su alcuni aspetti di questa
seconda fase, che voglio soffermarmi. Consta di otto pannelli, che la Maiezza ha giustamente
distinto in due gruppi: la scene e delle vere e proprie raffigurazioni iconiche
di Santi e della Madonna che riprendono la staticità tipicamente bizantina. Le
scene invece, vivaci e concitate, assumono un’altra connotazione ed una resa
icastica del tutto eccezionale per la pittura siciliana, come aveva giustamente
notato per primo il Delogu. Proprio un pannello (Fig. 2) appartenente al
gruppo delle raffigurazioni iconiche (cm 236 x 105), mostra un santo, il cui
volto risulta quasi integralmente abraso e le parti rimanenti molto sbiadite.
In generale, però, presenta caratteristiche simili agli altri pannelli: dentro
un riquadro con contorno rosso, la figura è posta su un fondo blu. È anche qui
nimbata, ed il nimbo presenta due contorni, uno rosso e l’altro ocra; l’abito
indossato dal santo è caratterizzato da campiture di bianco su fondo più scuro,
che insistono come per definire meglio il panneggio, un particolare che si
riscontra anche con altri brani pittorici di quest’epoca. Poiché la figura è
molto lacunosa, non ci sarebbero elementi che potrebbero ricondurlo ad un santo
piuttosto che ad un altro, se non fosse per una caratteristica alquanto
singolare, che si trova in basso, alla sinistra dello spettatore (Fig. 3). Di
questa figura che fa capolino dalla superficie abrasa, si distingue ciò che
rimane del volto e della testa di un Bambino Gesù (il nimbo è crucigerato), che
presenta delle caratteristiche stilistiche sicuramente molto più tarde rispetto
al Santo: questi tratti peculiari consistono in una buona resa volumetrica
della testolina, nella precisa e definita raffigurazione dei riccioli biondi
con contorno nero.
È palese che la figura del Cristo
- Bambino sia stata aggiunta in epoca posteriore, ma bisogna chiedersi il
perché. La risposta può risiedere nella lettura attenta dei bisogni della
committenza e dell’ordine che deteneva il luogo sacro: l’ordine era soggetto
alla Regola agostiniana , come del resto la
maggior parte degli ordini legati alla Terrasanta - la Regola agostiniana era
seguita anche presso la Badia di S. Spirito, anch’essa di epoca medievale,
nella vicina Caltanissetta-. Il Santo, a mio avviso, potrebbe essere proprio S.
Agostino, e lo confermerebbe l’aggiunta, sicuramente a tempera, successiva. Il
fatto potrebbe essere riconfermato seguendo quella tradizione, invero
abbastanza tarda, ovvero quattrocentesca, che vuole il Santo accompagnato da un
Bambino, a volte raffigurato come angelo, altre come Cristo.
Questo episodio, assente nelle Legenda Aurea, è raffigurato in molti
esempi di esimi pittori quali Botticelli, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli e
Carpaccio. Non è un episodio che si trova negli scritti di Agostino, né nella
vita del Santo scritta da Possidio, ma è stato utilizzato sicuramente sulla
scia di una tradizione che riporta ad una delle problematiche teologiche, che
aveva fatto riflettere e disquisire di più il Santo: il tema della Trinità.
Secondo questa tradizione, in un sogno o in una visione, Agostino, che meditava
sul mistero della Trinità, si trovò davanti un infante seduto sulla riva del
mare, che, con un cucchiaio o con una
conchiglia, raccoglieva l’acqua per versarla dentro una pozzanghera. Il
bambino, rivolgendosi al santo, gli avrebbe detto che prima che Agostino si
fosse spiegato il mistero, lui sarebbe riuscito a raccogliere lì l’acqua di
tutto il mare.
A livello testuale sappiamo
invece come Agostino abbia discusso questa problematica sia nelle Confessiones, sia, in modo più
sistematico, nell’opera filosofica che porta appunto il titolo De Trinitate. Nel nostro dipinto, quella
striscia di colore azzurro alle spalle del bambino e che copre la sussistente
linea rossa di contorno, presente in quasi tutti i pannelli, potrebbe definire,
seppur in modo elementare, l’orizzonte del mare; forse il colore potrebbe
essere stato aggiunto o corretto con i
restauri, ma un altro limite è definito da un altro sfondo, questa volta
giallo, che potrebbe voler raffigurare la spiaggia. Quindi ci troviamo di
fronte ad un S. Agostino, dell’epoca degli affreschi precedenti, raffigurato
non con gli attributi vescovili - nella stessa chiesa sarà così raffigurato in
un altro affresco del pieno Quattrocento - ma come monaco agostiniano , di certo una veste più
vicina agli intenti e alla consuetudine dei monaci agostiniani del Priorato.
Sono dunque lontana dal Bella
quando sostiene che si possa trattare di un ipotetico S. Cristoforo , a quanto pare, molto
ricorrente in quegli anni come santo legato agli ordini militari: per prima
cosa, tradizionalmente S. Cristoforo reca sulle spalle il piccolo Cristo,
secondo poi, non trovo la motivazione per cui si sarebbe dovuta apportare così
in ritardo un’aggiunta che in realtà non appartiene ad una tradizione di
un’epoca così avanzata, visto che il Bambino Gesù caratterizza da sempre
l’iconografia di questo santo, mentre definisce Agostino solo nel Quattrocento
inoltrato, un’ epoca che, tra l’altro, combacia perfettamente, in base a dati
stilistici, con quella in cui venne posta l’aggiunta. Il registro “popolare”
che si evince nel pannello preso in analisi, non contraddice, ma è anzi in
linea con il resto delle pitture rinvenute nella chiesa piazzese, ed è quindi
questo linguaggio non aulico il vero denominatore comune, il vero protagonista e fil rouge
che lega eventi figurativi tra loro invece lontani nel tempo.
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