Sarebbe
davvero interessante ammirare i Guardiani
di Davide Pizzigoni in un nuovo museo, archeologico o di arte moderna. Perché
quella che si è tenuta questo inverno al Bagatti Valsecchi di Milano, e recentemente
conclusasi poi a Villa Carlotta di Tremezzo, è stata una mostra diversa dalle
altre: un’iniziativa da “assaporare” lentamente, molto di più di una qualsiasi
rassegna fotografica su un soggetto apparentemente banale come il custode di un
museo. E anche se la mostra è terminata, è comunque possibile ammirare il
lavoro di Pizzigoni grazie al catalogo Guardiani
edito da Allemandi, che contiene un bel saggio di Pierre Rosenberg, a lungo
direttore del Louvre.
Di
primo acchito, l’idea non sembrava particolarmente originale: un fotografo che
sceglie di riprendere questi soggetti mentre sono al lavoro davanti a dipinti, in
mezzo a sculture, alla base di scalinate monumentali o all’interno di saloni
affrescati (persino vicino agli animali impagliati nei musei di storia naturale).
Cosa ci sarà mai di interessante, veniva
da chiedersi leggendo il comunicato stampa. Poi, una volta entrati e
osservandole meglio, è come se le immagini avessero iniziato a parlare da sole:
e il merito è stato principalmente dei luoghi scelti per ospitare la mostra,
ovvero un museo carico di storia come il Bagatti Valsecchi, nel cuore del quadrilatero
della moda milanese, e una villa come quella abitata dal marchese Sommariva sul
lago di Como. Contesti che fanno davvero la differenza. Le foto raffigurano
infatti interni di altri musei, e collocate sopra tavoli antichi, oppure tra un
armadio e un’armatura, hanno creato un gioco di specchi che veniva poi
accentuato da alcuni scatti a grandezza naturale, dove le figure dei guardiani creavano
un curioso effetto tromple-l’oeil tale
da farle sembrare vere: è il caso, ad esempio, della custode ritratta nella
Sala dei Giganti di Palazzo Tè a Mantova, la cui gigantografia è stata scenograficamente
posta in fondo a un corridoio del Bagatti Valsecchi.
Ma
l’aspetto più intrigante è stato indubbiamente il gioco di sguardi venutosi a
creare tra il guardiano – l’etimologia di questa parola, e non è un caso, è la
stessa di “guardare” – e i capolavori che deve sorvegliare, come nella foto
scattata al Victoria&Albert Museum di Londra, dove il personaggio osserva
le forme di una Venere sdraiata su un materasso (una scultura che rievoca il
celebre Ermafrodito Borghese), non si sa se con attrazione, riprovazione o semplice imbarazzo: e proprio questa immagine è stata scelta per i manifesti e la copertina del catalogo. Ma le
combinazioni di questi sguardi sono molteplici, come quelli tra gli altri guardiani
ripresi a coppie che, rivolti uno verso l’altro, sembrano disinteressarsi di
tutto il resto, oppure gli sguardi che rivolgono al fotografo, e quindi al
pubblico: si veda la custode di Villa Necchi Campiglio a Milano la cui immagine,
riprodotta a grandezza naturale all’interno di una nicchia, guarda incuriosita lo
spettatore. In alcuni casi l’intento era chiaramente ironico, come nella coppia
di guardiani da Capodimonte, seduti e con gli occhiali da sole indosso, in una
posa chiaramente sfaccendata, per non citare il loro collega di un museo
francese, colto in un momento di stanchezza… mentre dorme a bocca aperta.
Cinque foto sono state poi realizzate all'interno del Bagatti Valsecchi: esposte nelle stesse sale, hanno provocato un effetto di straniamento come nella suntuosa Sala Rossa, dove addirittura, ad alcuni orari
di visita, lo stesso guardiano “immortalato” veniva a mettersi accanto alla
gigantografia, dando l’idea di fare parte della scenografia di un film o di
quei videoclip dove l’inquadratura “penetra” in un quadro, o uno specchio, dove
si sta svolgendo un’altra azione.
La serie di immagini è il frutto di un lavoro che Pizzigoni ha realizzato dal 2008 a
oggi in numerosi musei di vari Paesi tra cui Francia, Inghilterra, Russia,
Brasile e Italia. Uno degli scopi della sua ricerca, oltre al gioco di sguardi,
è di individuare le relazioni che si stabiliscono tra i soggetti fotografati e lo
spazio in cui lavorano tutti i giorni. In alcuni casi non è stato facile, come
racconta lo stesso artista: riprendere i custodi di nascosto comportava il
rischio di movimenti improvvisi che avrebbero rovinato la messa in scena, mentre
al contrario, sono emerse espressioni di imbarazzo in coloro che sapevano di
essere ritratti. Non tutti, per fortuna, anzi: in molti casi i soggetti,
dimenticata la presenza del fotografo e rilassandosi, hanno assunto vere e
proprie pose artistiche, come nel caso di un dipendente che si appoggia
malinconicamente ad un pilastro.
L’aspetto probabilmente più surreale ha riguardato poi la comparsa di veri
e propri casi di mimetismo: vedi il primo piano di un custode con uno scimpanzè
impagliato dietro, dove la foto sembrava presa da un manuale di antropologia, come
a voler mostrare le tappe dell’evoluzione dell’uomo. Comune a molti, infine, è
la volontà di risultare invisibili al pubblico: quel pubblico che comunque spesso
li ignora, come se fossero trasparenti. Che è dopotutto la missione del loro
lavoro: sorvegliare senza essere visti. Anche se, dopo aver visto queste foto, la
prossima volta che entreremo in un museo ci ricorderemo sempre di loro.
Guardiani. Fotografie di Davide Pizzigoni
www.davidepizzigoni.com
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